mercoledì 27 maggio 2020

Il decalogo di Puccini (10 Commandments of Puccini)


Giacomo Puccini seduto al pianoforte

 

"Tutto non si può scrivere" - ammoniva Puccini, alludendo, si capisce, al "quid" imponderabile che la musica è chiamata ad esternare con la forza espressiva, "spesso condensata" - aggiungeva acutamente - "in una sola nota e perfino in una pausa": in uno di quei silenzi che il grande Maestro chiamava "musica sottintesa".
"Ma se tutto non è possibile scrivere, da parte nostra, si rispetti al massimo grado, da parte degli esecutori, ciò che è stato possibile segnare negli spartiti e nelle partiture". E questo, si badi bene, lo diceva parlando della musica di altri musicisti, che venerava: ma, si capisce, lo stesso discorso poteva e doveva servire per la sua musica. Per la quale, bisogna dirlo, era esigentissimo. 



Così si legge nell'introduzione del libro "Puccini interprete di se stesso" del 1954, scritto da Luigi Ricci, rinomato pianista, preparatore vocale e direttore, che collaborò con Puccini per alcuni anni preparando le opere da Manon Lescaut al Trittico.

Un esempio pratico di come Puccini sia stato 'esigentissimo' ci viene descritto sempre dal Ricci più tardi, nel 1977 ( --> http://belcantogigli.blogspot.com/2020/03/beniamino-gigli-e-giacomo-puccini.html ):

Nel gennaio del 1918 (avevo già cominciato a lavorare in palcoscenico 'gratis', così allora s'incominciava a lavorare per far pratica) ci fu una esecuzione di "Rondine" presente l'Autore. E' con la Rondine che io ho iniziato la collaborazione col Maestro Puccini, che doveva durare ininterrottamente per circa sette anni.
Il tenore per quest'opera doveva essere Carlo Hachett, ma all'ultimo momento si ammala. Era compromessa l'andata in scena. Il tenore Pertile, che aveva intepretato l'opera al Comunale di Bologna, era impegnatissimo al Teatro alla Scala. Come fare? Beniamino Gigli che cantava "Lodoletta" e doveva cantare in seguito "Gioconda", "Mefistofele" e "Tosca", lo interpellarono. Gigli rifiutò e si comprende benissimo la ragione del suo rifiuto: opera non facile e pochi giorni per studiarla. Tuttavia mostrò il desiderio che io gli suonassi e accennassi l'opera al piano. Gli piacque, lo tratteneva soltanto la ristrettezza del tempo. Il Maestro Puccini, Emma Carelli e in buona parte anche io, data la grande amicizia che mi legava a Gigli, riuscimmo a vincere la sua riluttanza. Ci ponemmo al lavoro. Dopo due giorni d'intenso e profondo studio, sapendo come il Maestro Puccini era esigente e incontentabile per l'interpretazione delle sue opere, andai dalla signora Carelli e le dissi che sarebbe stato utile che il Maestro assistesse almeno una o due volte alle lezioni per darci la sua interpretazione, le sue desiderata, perchè io non avevo mai sentito l'opera. E così fu. Per tre giorni l'Autore di Bohème, venne durante le lezioni. Eravamo nel salone delle prove al Costanzi: Puccini, Gigli ed io. Poi venne il Maestro Panizza che dirigeva l'opera. Il Puccini c'insegnò l'interpretazione del personaggio, gli effetti vocali, i rallentati, affrettati ecc. In certe pagine non c'era un quarto uguale all'altro, e tutte queste cose sullo spartito non erano scritte. Io mi permisi di dire al Maestro: "Perchè non ha scritto sullo spartito tutte queste splendide interpretazioni?" Mi rispose: "Oh come si può scrivere tutto questo?"
In una settimana Beniamino fu pronto. Egli sapeva non soltanto cantare quest'opera con quella sua gola d'oro, ma la sapeva interpretare con arte sovrana, grazie alle prove avute con l'Autore. Puccini ne fu entusiasta. Gigli insieme alla insuperabile protagonista Gilda Dalla Rizza, la prima interprete dell'opera a Montecarlo, ebbe un successo personale.

(da: Luigi Ricci - "Ricordando Beniamino Gigli e il suo tempo" - Roma, 14 novembre 1977)


 

Ecco dunque il "DECALOGO" pucciniano, come ci testimonia il Ricci:

I. - I TEMPI
II. - I COLORITI DI ESPRESSIONE
III. - I COLORITI DELLA SONORITA'
IV. - LE CORONE
V. - I PORTAMENTI
VI. - LA DEDIZIONE DEGLI ARTISTI
VII. - GLI SCENARI E L'ATMOSFERA DRAMMATICA
VIII. - IL SIPARIO INTESO COME MUSICA
IX. - LA MUSICA IN PALCOSCENICO
X. - FORZA SUGGESTIVA DELLE CAMPANE


I. - I TEMPI
Le indicazioni usate da Puccini nei riguardi del movimento agogico di questo o di quel brano di musica teatrale, non si discostano dalle usuali denominazioni: "lento, grave, adagio, largo, larghetto, andante, andantino, moderato, allegretto, allegro, presto", ecc.; e nemmeno le altre consuete indicazioni, che appaiono come ampliamenti o anche sfumature delle precedenti, subiscono nel musicista lucchese varianti di speciale importanza. Troviamo, cioè, lungh'esse le pagine degli spartiti la normale e consuetudinaria terminologia più o meno abbreviata: "allargando, ritardando, stentando, rallentando, accelerando, affrettando, stringendo", ecc.
In Puccini, un'importanza notevolissima acquistano le altre sottospecie agogiche: quelle espresse dalle parole: "più", "meno", "assai", "molto più", "molto meno" e che modificano alquanto il primitivo significato.
Puccini aveva una sensibilità acutissima nei riguardi di tutta questa varietà di movimenti ritmici: tanto di quelli fondamentali, o generali che dir si voglia, quanto di quelli restrittivi o secondari. All' "Andante", per esempio, voleva che effettivamente corrispondesse il suo esatto movimento; e cioè: "moderato", "piuttosto lento", "ma non del tutto lento". In generale quando si trattava di tempi lenti, il suo fiuto era d'una finezza straordinaria. Diceva che i tempi "troppo lenti" fanno morire l'azione, la narcotizzano, la rendono accidiosa e pesante, come tutte le cose morte.
Questa sua fobia dei tempi troppo lenti, era suscettibile - come tutte le regole - della sua brava eccezione; ma ho sentito più d'una volta la voce cordiale di Puccini spronare confidenzialmente il direttore d'orchestra: "Maestro! se s'addormenta lei, ci addormentiamo tutti!". Oppure: "Vita, vita, maestro! Non rallenti troppo. Non sente che questo brano casca a brandelli, che questo frammento si sbriciola, quest'altro s'impaluda?".
"Tutti han diritto al riposo" - sentenziava, bonario - "ma la musica non deve mai appisolarsi nè tanto meno star sveglia a mala pena e cascar morta dal sonno". Anche ammoniva: "La stasi è la negazione della musica, specie della musica teatrale. Anche un passo grave deve accusar la vita. La gazzella e l'elefante si muovono con la deambulazione che è loro propria: ma guai se piegano le gambe e stramazzano a terra...".
In queste immagini c'è tutto Puccini.


Comunque, a evitare equivoci sostanziali sulla dinamica generale del pezzo, il metronomo faceva buona guardia.
I numeri di metronomo segnati da Puccini sugli spartiti e nelle partiture sono esattissimi. Qualche indicazione numerica è stata cambiata, qualche altra aggiunta. Non c'è segno di metronomo che non sia stato da me scrupolosamente controllato in ognuna delle moltissime esecuzioni, alle quali assistette l'Autore. Ma, anche in questa del metronomo, bisognava con Puccini intendersi chiaramente. Era troppo ovvio, per lui, che altro è lo "stacco" giusto, esattamente corrispondente al numero metronomico; e altra cosa è lo svoglimento del nastro melodico. Qui entrava in funzione un altro metronomo: il cuore - "il Maelzel che sta dentro di noi" - come diceva Puccini. Qui entra in funzione quell'imponderabile "quid" che gli faceva dire: "Non tutto si può scrivere". No, non tutto si può scrivere: ma molto si deve sentire. E, d'altra parte, il molto sentire non deve far causa comune con l'arbitrio, nè venire in combutta con i capricci interpretativi.
Qualche sensibile oscillazione e un certo divario dal pensiero dell'Autore si può maggiormente verificare nell'interpretazione delle indicazioni dinamiche secondarie, o, diremo meglio, subordinate: là dove ci si imbatte nelle indicazioni dianzi elencate: "allargando, ritardando...".
Il "quantum": ecco il primo interrogativo che si prospetta all'interprete. Poi ce n'è un altro: l'andamento insensibilmente progressivo della modificazione del movimento. In altri termini: in quale spazio di tempo deve essere raggiunto l'acme della sfumatura? A questi interrogativi Puccini rispondeva con una sola parola: equilibrio. E' la parola che presiede a tutta la sua poetica, a tutta la sua estetica, a tutta la sua arte di compositore.


II. - I COLORITI DI ESPRESSIONE
Alla interpretazione delle indicazioni riguardanti i coloriti vari da darsi a un pezzo oppure a un particolare del pezzo stesso - "appassionato, comodo, con affetto, dolce, morendo, tranquillo, grazioso, gaio", ecc. - presiede un'altra parola: "Gusto". Nel decalogo pucciniano è l'imperativo categorico di maggiore peso. Cafonerie: nessuna. Gigionerie: abolite. Signorilità: ineccepibile. 


III. - I COLORITI DELLA SONORITA'
La medesima parola d'ordine, la medesima norma debbono essere tenute presenti in fatto di indicazioni riferentisi ai gradi di sonorità cui può giungere questo o quel luogo dello spartito; e cioè: "crescendo, diminuendo, forte, piano, sotto voce, mezza voce", et similia.


IV. - LE CORONE
Le note coronate, in mezzo alla frase, Puccini voleva che fossero esattamente "il doppio del loro valore morfologico". La qual cosa rientrava nel suo modo di intendere l'arte; mai effetti esagerati. Niente acuti molto lunghi e nemmeno esageratamente forti, violenti, aggressivi. Niente note dalla lunga agonia: note che, a smorzarle, ci vorrebbe un collasso. Esattezza di quel che era scritto: ecco quello che Puccini pretendeva.


V. - I PORTAMENTI
Puccini aveva in uggia il portamento ad ogni costo, il portamento ad ogni svolto, il portamento per abitudine. Ma se per caso ne segnava lui qualcuno, guai a non dare a quel voluto pezzo espressivo il massimo dell'intensità.


VI. - LA DEDIZIONE DEGLI ARTISTI
La voleva totale. In questa materia era un despota. Dalla esattezza tonale a quella del colore; dalla efficacia interpretativa della voce umana al gesto espressivo; dal nitore della pronunzia - per lui fondamentale - all'aderenza della parola, all'inflessione musicale.


VII. - GLI SCENARI E L'ATMOSFERA DRAMMATICA
Qui - si capisce - potremmo correre il rischio di esulare dal campo strettamente musicale. Eppure no. Per Puccini, la musica doveva investire la scena, doveva essere l'aria che i personaggi avrebbero dovuto respirar sulla scena, l'atmosfera, insomma, degli scenari. Certi effetti di luce dovevano essere, nè più nè meno, delle modulazioni toanli: ottiche quanto vi pare, ma rivolte a concorrere, con quelle auditive, all'emozione artistica di tutto l'insieme.
Parlando un giorno con Mascagni, Puccini ebbe occasione di dire con acutissima immagine che gli effetti di luce da lui sognati avrebbero dovuto essere regolati "da un orecchio attentissimo". 


VIII. - IL SIPARIO INTESO COME MUSICA
A un musicista di teatro della sensibilità di Puccini non poteva sfuggire l'importanza, spesso decisiva, dell'apertura, e, più ancora, della chiusura del sipario.
Non v'è dubbio che l'apparire e il disparire della scena dinanzi agli occhi dello spettatore debbono essere regolati anch'essi da un "orecchio attentissimo". Vi sono situazioni inesorabili che esigono una conclusione netta e perentoria, scene dopo le quali il sipario deve richiudersi con rapida violenza. Nella stessa guisa che il musicista dà a questo genere di catarsi un drastico uso di trincianti accordali, il regolatore di sipario, che dev'essere un musicista, ha da comportarsi in conformità della struttura musicale della chiusa, troncando nettamente l'azione. Ma esistono sipari che vanno chiusi quasi in un miracolo di estenuata lentezza, così come muoiono in orchestra le note sospirate dagli strumenti. in codesto modo di chiudere il sipario Puccini era l'incontentabilità fatta persona. Guai a non far coincidere l'ultimo movimento di chiusura, l'ultima sparizione della scena con l'accordo da lui designato! "Un sipario chiuso troppo presto o troppo tardi significa spesso l'insuccesso dell'opera". Era la sua ossessione.


IX. - LA MUSICA IN PALCOSCENICO
Se per l'orchestra, collocata giù nel "golfo mistico" le esigenze di Puccini si può dire fossero severissime, pur nella loro forma signorile e cordiale, esse diventavano addirittura meticolose quando si trattava di far giungere al pubblico dei suoni strumentali su dal palcoscenico. La loro amalgama, specie di colore, con l'orchestra al di qua della scena, era da lui curata al massimo grado.


X. FORZA SUGGESTIVA DELLE CAMPANE
Quante mai campane ha fatto suonare Puccini nelle sue opere! Eppure quanta varietà di effetti! Ogni rintocco di campana si traduceva in un incubo per i Maestri Sostituti, addetti all'andamento musicale del palcoscenico. Riuscire a contentare Puccini in questa delicata faccenda era un problema quasi insolubile, perchè il timbro, l'intensità e la giustezza del suono che erano dentro di lui difficilmente combaciavano con lo scampanìo prodotto dalle campane di palcoscenico. "Troppo piano... No, adesso troppo forte. E' aspro. Troppo lontano. Troppo vicino. Più percussione, meno vibrazione. Poesia, poesia, poesia del suono, signori!".
Queste erano le sue osservazioni. Questa la sua grande arte.


(da: Luigi Ricci - PUCCINI INTERPRETE DI SE STESSO - Ricordi, 1954)




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TEN COMMANDMENTS OF PUCCINI
by Luigi Ricci

I. Tempo
II. Expressive Terms
III. Gradations in Volume
IV. Fermatas
V. Portamentos
VI. Dedication of the Artists
VII. Scenery and Dramatic Atmosphere
VIII. The Curtain as Music
IX. Music Behind the Scene
X. Bells

(from "Opera News" - December 17, 1977)
 


I. Tempo
The terms Puccini used with respect to tempo are not unusual - "lento, grave, adagio, largo, larghetto, andante, andantino, moderato, allegretto, allegro, presto" and so forth. Other terms that seem to amplify or diminish previous ones also do not undergo any important variations. We find, therefore, in the scores the normal and customary terminology, more or less abbreviated - "allargando, ritardando, stentando, rallentando, accelerando, affrettando, stringendo", etc.
There is another subspecies of tempo modification of considerable importance in Puccini's music. It is expressed by such words as "più", "meno", "assai", "molto più", "molto meno", and these rather alter the meaning of the terms to which they are added. Puccini had a very acute sensitivity to all this sort of rhythmic movement, both the fundamental or general types that you might care to name, as well as those types that are restrictive or secondary. For example, at an "andante" when he wanted to be certain of the exact tempo he would add "moderato", "piuttosto lento", "ma non del tutto lento".
In general, when he used slow tempos he was very discriminating. He said tempos that are "too slow" make the action die, narcotize it, make it seem heavy and lazy, as if everything were dead. His phobia toward very slow tempos was susceptible, as all rules are, to honest exceptions. But more than once I heard the friendly voice of Puccini say as he urged the conductor confidentially, "Maestro, if you go to sleep, then everything will go to sleep," or "Livelier, livelier, Maestro! Dont' slow down too much. Dont' you hear that this section is falling into fragmnets, and these fragments are crumbling apart and stagnating?"
He passed judgment good-naturedly, saying, "Everybody has a right to rest, but music must never drop off to sleep, much less become almost motionless and then fall into coma." He admonished that "stasis [motionlessness] is the negation of music, especially theater music. Even a solemn occasion must be charged with life. Gazelles and elephants move with a walk that is peculiar to them, but watch out if their legs fold up and they fall to the floor." In this metaphor is all Puccini.
Ordinarily, to avoid substantial misunderstanding about the tempo of a piece, the metronome makes a good guide. Metronome numbers assigned by Puccini in his vocal and orchestral scores are very precise... [but] it was obvious to him that tempos other than those corresponding exactly to a metronome number could also be the proper articulation of a piece. Another thing that could effect a change in the metronome mark is the unfolding of the melodic line. in this case another metronome takes over, the heart - "the Mälzel that is inside us," as Puccini put it. All this poses the question of what metronome mark one should follow. Puccini would answer by saying, "Not everything can be notated." A great deal must be felt; on the other hand, such feeling should not be an excuse for arbitrary or capricious interpretation.
Some of Puccini's sensitive oscillation and diversity of thought in tempo modification can be examined to a greater extent in the interpretation of the secondary, or better, subordinate terms listed above - "Allargando, ritardando", etc. The first question that confronts the interpreter regarding these is: how much? Another is the imperceptible and progressive execution of these terms. On other words, how much time should one take to reach the height of each tempo modification? Puccini answered this with one word: balance. This word presides over all his poetry, all his asthetics, all his compositional art.

II. Expressive Terms
To the interpretation of the terms concerning the various expressive coloring ("coloriti di espressione") given to a piece or a particular part of the same piece - "appassionato, comodo, con affetto, dolce, morendo, tranquillo, grazioso, gaio", etc. - there is another word that must take precedence: "taste"." In the commandments of Puccini this is of greatest importance. Silly practices: none. Conceited antics: abolished. Refinement: without exception.


III. Gradations in Volume
The same keyword, tha same norm ("taste"), must be upheld in terms referring to the gradations in the volume of sound ["coloriti della sonorità"], such as "crescendo, diminuendo, forte, piano, sotto voce, mezza voce" and the like.

IV. Fermatas
Puccini wanted the notes in the middle of a phrase that are marked with a fermata to be held "twice their actual value". This was consistent with his understanding of art: no exaggerated effects. No very long, piercing notes or exaggeratedly loud, violent or aggressive ones. No long, painfully held notes that would bring on the effect of exhaustion when released. Exactness in what he had written is what Puccini demanded.


V. Portamentos
Puccini disliked the excessive use of portamento - the portamento at every turn, the portamento out of habit. But if he happened to write one, be sure to give that section where it appears its maximum intensity.

VI. Dedication of the Artists
In this matter Puccini was a despot. He wanted total dedication, from tonal precision in the use of color; from effective interpretation of the human voice to effective use of expressive gesture; from clearness of pronunciation, which was to him fundamental, to adherence to the words and musical inflection.

VII. Scenery and Dramatic Atmosphere
Here we might run the risk of being outside a strictly musical area - but perhaps not. For Puccini, music must envelop a scene. It had to be the air his characters breathed onstage. In short, music must create the atmosphere of the scenery. The use of certain lighting effects was limited to what was evident from the harmonic changes. There could be as many visual effects as necessary, but they had to be arranged to correspond to aural effects and total artistic feeling. Speaking one day with Mascagni, Puccini remarked in the most vivid terms that the lighting effects of his dreams would be dutifully regulated with "a most attentive ear."

VIII. The Curtain as Music
The decisive importance of the raising and, even more important, the lowering of the curtain would not escape a theatrical composer with Puccini's sensitivity. The appearance and disappearance of the scene from the audience's sight must again be regulated with "a most attentive ear." There are situations that require a neat and peremptory conclusion, scenes after which the curtain must be closed rapidly and sharply. In the same manner that the composer makes dramatic use of slashing chords in this kind of cathartic ending, the operator of the curtain, a musician in his own right, has to behave in conformity with the closing musical structure, neatly cutting off the action. But there are also curtains that close just as the last gasping notes of the instruments die out in the orchestra, as if in a miracle of exhausting slowness. With this kind of closing curtain, Puccini was fastidiousness personified. Woe if the final closing moment, the final disappearance of the scene, did not coincide with the chord Puccini had designated! "A curtain closed too fast or too slow often means the failure of an opera." This was an obsession of his.

IX. Music Behind the Scene
If for the orchestra in the "mystic gulf" [orchestra pit] one could say Puccini's requirements were severe, no matter how refined and cordially worded, they were downright meticulous when it came to the sound of the backstage instruments reaching the public. Their amalgamation, especially of color, with the orchestra on this side of the stage was attended to by him with the greatest of care.

X. Bells
Puccini used bells many times, yet with what variety of effect! Each toll of the bell would turn into a nighmare for the assistant conductor charged wiht musical events backstage. Pleasing Puccini in this delicate affair was almost impossible, because the timbre, intensity and precision of the sound that he envisioned had difficulty tallying with the pealing actually produced. "Too soft...no, now it's too loud and harsh, Now it sounds as if it's too far away. Now too near. More percussive-sounding and less vibrant. Poetry, poetry, poetry of sound, gentlemen!"
These were his observations. This was his great art. 

Beniamino Gigli con Luigi Ricci ('Il Trovatore', 9-12-1939)

 
 Breve testimonianza di Luigi Ricci su Beniamino Gigli, studente per pochi mesi nel 1911 nella classe di canto di Antonio Cotogni a Santa Cecilia in Roma :

"Io accompagnavo già da vari anni la scuola di canto di Cotogni sia privatamente che nel Liceo di Santa Cecilia durante il periodo dei miei studi, e avevo conosciuto molti suoi allievi tra cui Gigli, il quale studiava al Liceo di Santa Cecilia e dava, per la bellezza della sua voce, ottima speranza di quello ch'è stato poi il suo avvenire luminoso. Questi entrò nella scuola di Cotogni, ma per esigenze di distribuzione di allievi, in seguito, venne affidato al Professore Enrico Rosati, venuto dal Conservatorio di Parma. Quei pochi mesi di studio, ma profondo studio accompagnati dal sottoscritto, bastarono al Cotogni per insegnare al suo allievo, quello che egli seppe sfoggiare nella sua lunga carriera: la mezza voce e il canto a fior di labbro, che doveva poi, nell'ugola di Gigli, commuovere gli uditori di tutto il mondo."

(tratta dal discorso inedito intitolato "RICORDANDO BENIAMINO GIGLI E IL SUO TEMPO" dato il 14 novembre 1977 a Roma - in occasione del 20° anniversario della scomparsa di Gigli - da Luigi Ricci, direttore d'orchestra, pianista accompagnatore, preparatore vocale di tanti cantanti tra i quali Bruscantini, Moffo, Olivero, curatore e compilatore dei volumi di variazioni, tradizioni e cadenze per tutti i registri vocali femminili e maschili, e scrittore di libri su Puccini, Mascagni e sui maestri di canto e sul canto lirico)

Cotogni e Ricci
Antonio Cotogni al pianista e compositore suo amico Luigi Ricci nel giorno del suo onomastico

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