Visualizzazione post con etichetta Pavarotti. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Pavarotti. Mostra tutti i post

martedì 31 luglio 2018

L'importante questione del suono "coperto" per acuti sicuri nel canto lirico

 La questione del passaggio di registro, zona obbligatoria per tutte le voci per "passare", appunto, dal registro grave e medio a quello acuto, è ultimamente molto dibattuta e risolta comunque nella pratica in modo insoddisfacente.

Una voce lirica deve studiare per avere come minimo due ottave di estensione più suoni extra sia sotto che sopra le due ottave della propria normale gamma. Ogni nota deve essere eseguita senza sforzo, con una sensazione di grande scioltezza e con l'impressione di "liberare" la voce senza minima ombra di rigidità. Se ciò non avviene vuol dire che per cattiva gestione del proprio strumento vocale si sta forzando su posizioni vocali sbagliate, e non si è trovato l'equilibrio perfetto tra fiato, risonanze, e posizioni laringee (registri e relativi passaggi, 2 passaggi e tre registri per le voci femminili, 1 passaggio e due registri per quelle maschili).

VIDEO: SPIEGAZIONE SULLA DIFFERENZA TRA SUONI APERTI E COPERTI
E PASSAGGIO DI REGISTRO
CON RELATIVI ACUTI



COMPARAZIONE TECNICA DI SUONI "RACCOLTI" NEL PASSAGGIO DI REGISTRO

Grandi cantanti lirici che hanno parlato dell'esigenza assoluta di non aprire i suoni, bensì "raccogliere" e "coprire" nel passaggio di registro e l'hanno applicata nella pratica canora sono ad esempio stati: Pertile, Borgioli, Gigli, Lázaro, Masini, Battistini, Stracciari, Milanov, Peerce, Corelli, Gedda, Bergonzi, Pavarotti e Benelli

Diamo parola ad alcuni dei più grandi cantanti conosciuti, che spiegano molto chiaramente come affrontare il passaggio di registro verso la zona acuta.



Il tenore Aureliano Pertile :
« Il Maestro Bavagnoli mi fece capire in brevissimo tempo la ragione della mia difficoltà alle note acute: tenevo i suoni bassi e centrali troppo abbandonati e aperti. Allora raccolsi la voce tenendola sempre leggera seguendo il sistema seguente. Iniziavo un esercizio a scala con una A rotondata quasi ad O e man mano che salivo, raccoglievo sempre di più il suono e colore arrivando al passaggio e alle note acute con un O scuro. (...) Compreso bene il sistema continuai ad usarlo scrupolosamente ed acquistai, tenendo leggero il centro, la facilità di tenere raccolta e alla maschera la voce che sempre più facilmente saliva agli acuti. »

(da: Domenico Silvestrini - "Aureliano Pertile e il suo metodo di canto" - Bologna, Aldina Editrice, 1932)



Il tenore Dino Borgioli :
« A proposito della conferenza sul canto che ho tenuto all'Università di Parigi [nel 1936], vi furono diverse sessioni ufficiali della sovvenzionata Accademia di Canto, guidata da Thomas Salignac [tenore e prof. di canto lirico]. (...) al tenore Borgioli, che si trovava là accidentalmente, fu chiesto da A. Magne: "Che emissione usa Lei negli acuti?" "Si deve coprire tra il MI e il FA, e man mano che si sale si deve coprire maggiormente, però lasciando la gola rilassata." »

(da: Celestino Sarobe, allievo di Mattia Battistini, baritono e "Profesor de Canto y Alta Opera del Conservatorio del Liceo" - "Venimécum del Artista Lírico" - Barcelona, 1947)






Il tenore Beniamino Gigli :
« Il passaggio vocale dal fa al fa diesis che prepara tutta la gamma. Dal FA al FA DIESIS bisogna chiudere, appoggiarsi un po' sulle vie più alte. Così...
La mia maestra mi diceva: chiudi, chiudi, chè viene il FA. Io chiudevo ma non mi riusciva a capire in che cosa consistesse quel chiudere e allora il mio FA usciva sordo, opaco, così...
Aprire certi suoni è dannoso per gli studi successivi che l'esordiente dovrà affrontare. Non colpi di glottide, ma legature, così... appoggiarsi. » (E ripete il passaggio vocale d'ottava, in FA, scivolando sul FA DIESIS con una facilità stupefacente, unica, la sua.)
« Per questo basta tenere la gola aperta. A Santa Cecilia, Cotogni mi diceva di far prendere alla gola la posizione dello sbadiglio, e, a settantadue anni, me lo insegnava come faccio io adesso. » (E l' "appoggio coperto" di Gigli risuona ancora, ineguagliabile, nella sala.)

(dall'articolo di giornale, "Milano. Gigli, insegnaci a cantare" - Il Popolo d'Italia, 1 marzo 1938 - Masterclass di Bel Canto di Beniamino Gigli al Conservatorio di Milano - 28 febbraio, 10 marzo 1938)





Il tenore Hipólito Lázaro :
« Comincerai a posizionare la voce al "ponte" a partire dal "la" del secondo spazio del pentagramma, "si" e "do". Da quest'ultima nota, fino ad arrivare all'ottava del "la" naturale, dovrai posizionare il fiato al ponte, poco a poco, come ti ho detto, con l'idea di scurire il suono con le vocali "OU" legate, per ottenere lo stesso suono, come ti ho indicato nella seconda lezione. Ripeterai quest'esercizio finché non sarai convinto di aver ottenuto il risultato desiderato. Continuerai poi l'esercizio sulle note "re", "mi bemolle", "mi naturale", "fa", "fa diesis", "sol", e per fare "sol" diesis e "la" ti risulterà facile - se terrai il fiato ben controllato - fino ad arrivare alla nota più acuta che tu riesca ad emettere. »

(da: Hipólito Lázaro - "Mi método de canto", 1947)




Il tenore Galliano Masini :
« Io tenevo larga la gola, poi passare da Fa – Fa diesis – Sol raccoglievo e preparavo il suono per andar su. Tutto sta in Fa – Fa diesis – Sol da mettere a posto: questo è il fondamento per andare su. Se vogliono cantare i giovani devono raccogliere questi suoni, ma non imbottigliarli o intubarli. »

(da un'intervista effettuata a Livorno al celebre tenore Galliano Masini ottantenne il 6 dicembre 1976 nel circolo lirico a lui dedicato)



Il baritono Mattia Battistini :
« Dunque, facciamo una scala: do, re, mi, fa; vediamo che la voce inizia ad incontrare difficoltà sul Fa diesis (stiamo parlando della voce di baritono). Sul La bemolle le difficoltà diventano insormontabili. Siamo al cambiamento della natura del suono o il citato cambio di registro. Battistini mi dice: “Inizia a pronunciare meno A; mischiala con O a partire dal Fa diesis.” Egli lo fa e le note risultano perfette, piene, sonore, senza sforzo. Per me sono difficili; è come se mi perdessi nel vuoto. Ma con quel misto di A ed O, escono meglio. Al La bemolle odo che egli sta pronunciando in modo molto schietto la vocale O. Lo faccio anch'io. Arriviamo a Do diesis 3 e Re, e poi ho udito il Battistini pronunciare U. Non posso seguirlo. E' per me impossibile emettere un buon suono sulla U. Sento come se mi si chiudesse la gola, e perciò provo invece con una O. Don Mattia non lo consente; egli emette una vocale U libera e sonora. "Don Mattia," chiedo: "Perché dobbiamo lavorare con la vocale U?" "Ragazzo mio", rispose, "questa difficoltà durerà un bel po', ma quando questa U risuonerà bene a partire da Do diesis, l'intera voce sarà posizionata, alta e avanti. Ogni suono uscirà libero, la gola rilassata e tranquilla."
Vedete gli esercizi vocali che faceva Caruso: le note basse su A, le centrali su O, e le alte su U. Bonci chiamava la U la vocale salvatrice delle note acute. »

(tratto da: Conferenza data all'Istituto di Studi Ispanici dell'Università di Parigi l'11 gennaio 1936 in: "Venimécum del artista lírico" di Celestino Sarobe, Prof. di canto e grand'opera del Conservatorio del Liceo - Barcelona, 1947)



Il baritono Riccardo Stracciari :
« La vocale A si trasforma in O nelle note acute specialmente, per tenore dal FA naturale, per baritono dal MI bemolle e per basso dal RE naturale, perché pronunciandole aperte diventerebbero schiacciate e di timbro sgradevole. »

(da alcune pagine manoscritte, rinvenute nell'archivio storico di casa Stracciari, presso la nipote in Ferrara, Eliana Nappi Stracciari, pubblicate all'interno dell' LP "Riccardo Stracciari", Mizar Records, 1980)



Il soprano Zinka Milanov :
- Cosa mi dice del passaggio più acuto nella voce del soprano, sul secondo FA sopra al do centrale?

"Quando è pesante, è un omicidio! E' quello più delicato. Molti soprani hanno problemi sul Fa. Vi spingono troppo, dovrebbe essere coperto quel suono." (...)
"Quando si colpisce - a volte è necessario, come ad esempio, 'Suicidio' (FF su FA diesis del passaggio) - ha bisogno di un piccolo attacco morbido, il suono non è mai così grande come quando si fa un attacco morbido e poi un crescendo", ella disse.

(tratto da una intervista al soprano Zinka Milanov condotta dal basso Jerome Hines, riportata in: J.Hines - "Great Singers on Great Singing", Doubleday, 1982)









Il tenore Jan Peerce :
- "Cosa mi dice del cambiamento nella voce quando si sale attraverso il 'passaggio' ?" domandai. "Non c'è un mutamento nella laringe?"

"Beh, per natura faccio sempre un suono 'misto' sul FA (primo FA sopra al DO centrale). Copro sul FA diesis, ma il FA non viene lasciato comunque aperto."

(tratto da una intervista al tenore Jan Peerce condotta dal basso Jerome Hines, riportata in: J.Hines - "Great Singers on Great Singing", Doubleday, 1982)



Il tenore Franco Corelli :
« Ci sono molte belle voci che non hanno trovato la via alle note acute... come "girare" gli acuti. Una cosa è molta chiara: se si produce un suono nella voce media e poi si sale alla zona del "passaggio", cantando con lo stesso tipo di suono, non funzionerà. Si deve fare un cambiamento nel salire, altrimenti... [Egli cantò "A" su una scala salendo attraverso il "passaggio" sino alla voce acuta senza cambiare il colore della vocale. Ne risultò un urlo a squarciagola.] »

- "Dunque si deve andare da "A" nella voce media ad "U" nella voce acuta, con "O" situato circa in mezzo."
« L'hai spiegato chiaramente. Ora questo famoso "passaggio", tra una nota collocata normalmente nella voce su "A" e la nota acuta su "U", va più in maschera, va più in alto [nel posizionamento]. Parlando praticamente, questo è il percorso. Quasi tutti sanno che il "passaggio" va arrotondato. Se si canta una "A" aperta si può arrivare sino a un Fa diesis. Ma se si cerca di mantenerla come "A", non girerà per lo meno fino al Sol diesis, perché allora si starà aprendo, disperdendone il suono. »

- Franco, quando sali nel "passaggio", crei un poco più di spazio nella gola?
« Beh, un'apertura generica, inclusa la bocca, è necessaria. »

- "Dunque questo arrotondamento del "passaggio" di cui parlavi, è aprire di più la gola?"
« Ovviamente. Ma tutto questo dovrebbe essere messo in atto con l'aiuto di un buon insegnante. »

(tratto da una intervista al tenore Franco Corelli condotta dal basso Jerome Hines, riportata in: J.Hines - "Great Singers on Great Singing", Doubleday, 1982)



Il tenore Nicolai Gedda :
« Noi tenori abbiamo quelle difficili note nel passaggio−Fa diesis, SOL−che va superato. Come tenore, per la posizione nella gola attorno a FA diesis e SOL, si deve pensare di sbadigliare ancor più. La AH dovrebbe essere coperta. Mi è stato insegnato di pensare più a una OH. Non può essere una AH aperta, come nel registro inferiore. »

(tratto da una intervista al tenore Nicolai Gedda condotta dal basso Jerome Hines, riportata in: J.Hines - "Great Singers on Great Singing", Doubleday, 1982)



Il tenore Carlo Bergonzi :
« Oggi abbiamo le stesse voci di cento anni fa, non è cambiato niente. Ma i maestri e direttori dicono che questo modo di cantare è antico. La tecnica invece è una sola perché le note sono sempre le stesse. Oggi si sentono voci forzate, non naturali: di forza si fa tutto, ma solo appoggiando il fiato otteniamo il fraseggio e l’espressione vocale. (...) la voce deve essere sempre coperta e tirata sulla maschera ricorrendo al fiato, altrimenti il suono non gira. (...)
Oggi è difficile sentire il bel canto verdiano, io sento belle voci ma tutte uguali, non c’è l’arco, non c’è l’espressione, non c’è il fraseggio, non c’è l’appoggio della nota. Ogni autore ha un’interpretazione, una posizione ed un fraseggio, ma il fraseggio più difficile è quello verdiano. (...) Tornando a parlare di tecnica nella frase “Celeste Aida, forma divina” bisogna avere il fiato a posto. Bisogna coprire il suono perché sui finali non scappi e non si rompa la nota. Quest’aria, insieme a “O tu che in seno agli angeli” da La forza del destino, è una delle più difficili per il tenore, questa in particolare, secondo me, è la più difficile in assoluto.
In “Sacerdote, io resto a te” la difficoltà è che siamo alla fine del terzo atto e hai dovuto cantare “Io son disonorato” che è tutta sulle note difficili del passaggio. E’ facile che la voce vada indietro, bisogna tenere il fiato naturale e farla passare sul fiato. »

(da un incontro con Carlo Bergonzi - Parma, Casa della Musica, 11 ottobre 2008)






Il tenore Luciano Pavarotti :
« Il tenore ha un passaggio quasi obbligato in generale (...) il tenore di solito incomincia a "chiudere" i suoni, o a "raccogliere", per meglio dire, verso il fa-fa diesis e sol (...) è un suono al quale il giovane difficilmente crede e, però, è un suono che produce nella voce, tecnicamente parlando, anatomicamente parlando produce nella voce un riposo delle corde vocali che saranno poi pronte, quando la voce sale a note più alte, a vibrare con più elasticità e quindi a prendere gli acuti con una certa facilità, gli acuti che vanno dal si bemolle fino al si naturale e al do, che sono le note più impervie per un tenore. Dico che nessuno ci crede perché nella gola succede un procedimento tale che sembra un suono soffocato a chi lo fa, di fuori invece è un suono che ha una certa nobiltà, che dà alla voce una caratteristica di cantante serio (...) è difficile crederci però i risultati sono sempre piuttosto notevoli perché una voce anche se è piccola ma che incomincia a "raccogliere" questi suoni in partenza avrà sempre uno sviluppo naturale e sarà sempre un passo avanti l'altro che farà per tutta la carriera, basta che logicamente continui a seguire questa tecnica vocale. Chi non fa questo, chi comincia ad "aprire" può essere una cosa anche più eccitante, diciamo così, il sentire una voce "aperta" in certi suoni di passaggio, però se questa, da una eccezione, che dovrebbe essere, diventa una regola generale credo sicuramente che la voce, anche la più bella, la più meravigliosa, dopo un po' di tempo finisca per logorarsi, finisca per sfibrarsi, e, proprio per il discorso che abbiamo fatto prima, cioè quello delle corde vocali che riposano "chiudendo" i suoni, "aprendoli" invece le corde si sfibrano, incominciano ad arrivare con grande difficoltà prima al si naturale, poi al si bemolle, poi al la, e soprattutto non riescono a incominciare una frase, per esempio come "Che gelida manina" riposate, quindi quando la voce comincia a stancarsi si dice "voce vecchia" anche di un ragazzo di vent'anni (...)
Si sente il pubblico, quando il pubblico ad una nota fa "oh..." vuol dire che c'è qualche cosa che non va, lui non lo sa il motivo, un tecnico può anche sapere il motivo, noi analizzandolo sappiamo il perché, per esempio in "Nessun dorma", novanta casi su cento, io ti so dire dalla nota precedente se il tenore farà bene il si naturale, immediatamente, perché se fino a lì è arrivato con un certo controllo del "raccolto" è facile che lo faccia bene, viceversa è facile che lo stecchi o che faccia un brutto suono. (...)
Considerando la teoria che ho enunciato prima, si cerca di indirizzarla su questi suoni "chiusi" e in questo ci vuole una grandissima fiducia, secondo me, dell'allievo e deve ciecamente fidarsi dell'insegnante quando gli dice che un suono è bello, anche se lui dentro la gola e nelle sue risonanze, con i suoi orecchi quindi, lo sente brutto. (...) E' specialmente per questi suoni, ecco perché ripeto ancora quello che ho detto prima, tu vai in giro per il mondo, vengono degli allievi in camerino da te a dire: "Ma come canta bene, ma che meraviglia, ma che facilità, ma come fa Lei a cantare...". E tu dici: "Io chiudo il fa, il fa diesis e il sol". E loro dicono: "Eh, io lo apro". Il discorso è proprio di una fiducia che l'allievo deve avere, poi logicamente se si parla in generale, non esiste maestro di canto bravo e non esiste allievo bravo, esiste un bell'incontro. »

(da "Scuola di canto", presentata da Mirella Freni e Luciano Pavarotti, Modena, 1976)


« ...tecnicamente parlando, fisiologicamente parlando, il suono dev'essere "coperto". Coprendo il suono, le corde vocali che in generale vibrano totalmente, sono in una posizione di riposo che ti permette di salire in cima molto facilmente poiché sono fresche. Non solo questo, ma ti permettono di produrre un suono nobile invece di un suono bianco e strozzato. E questa, per me, è la chiave dell'intera situazione. Volete un esempio?
Potete fare (egli mostra con l'esempio, cantando un arpeggio ascendente su fa diesis, un'emissione aperta sul passaggio) Sospetto di strozzamemto, eh!
Se voi fate (egli mostra con l'esempio, cantando il medesimo arpeggio su fa diesis, un'emissione coperta e libera sul passaggio) Non faccio maggior fatica, è più facile... dopo vent'anni, naturalmente, ma... con il sostegno del diaframma, e quando faccio questo suono le corde vocali vibrano proprio nel mezzo non in fondo, sono in una posizione di riposo. Allora posso realizzare ciò che segue molto facilmente, saltando all'altro suono (più alto) come fa un animale. E' la verità, è un po' la stessa cosa, se state molto attenti fino a quella zona in modo da poter essere totalmente liberi. »

Masterclass of tenor Luciano Pavarotti at the Juilliard School of Music, 1979


« Una delle cose più difficili da padroneggiare è il "passaggio". Quasi tutti i cantanti non hanno una sola voce, ma tre: il registro basso, il registro medio e il registro acuto. Quando devi passare dall'uno all'altro, è come cambiare bruscamente di marcia: il mutamento di registro è avvertibile.
La prima cosa che un cantante deve fare è imparare dove si trovano questi passaggi ed esercitarsi a controllarli in modo da ridurre al massimo il mutamento di voce. L'ideale sarebbe che gli ascoltatori non se ne accorgessero affatto, perché la tua voce rimane uniforme da una estremità all'altra della tua estensione vocale.
Qui le cose variano molto da cantante a cantante. Alcuni hanno soltanto due registri e quindi un unico passaggio di cui preoccuparsi. (...)
Il passaggio è molto importante anche in rapporto agli acuti. Se lo spostamento dal registro medio a quello superiore è fatto nel modo corretto, la voce si apre meglio e quei SI acuti o DO di petto hanno maggiori probabilità di essere penetranti e sicuri. (...) È un po' come superare la barriera del suono. L'infrangerla nel modo giusto influisce su ciò che avviene una volta passati al di là.

Infine, oltre alla sua importanza in rapporto agli acuti, il passaggio è un punto cruciale perché c'è il pericolo che la voce si spezzi o si producano altri suoni sgradevoli: un altro motivo per tenere queste note sotto stretto controllo. »

Luciano Pavarotti - "Sul canto e l'interpretazione",
da: "Pavarotti My Own Story", Doubleday, 1981 (a cura di William Wright)

Leone Magiera, il pianista di Pavarotti :
« Ci si accorgerà che cantando le vocali molto chiare, particolarmente nella zona di passaggio, il suono perde la posizione, diventando ingolato e sguaiato (in gergo tecnico "schiacciato").
Con l'opportuno e discreto processo di oscuramento consigliato sopra, che può essere agevolato dal pensare, cantando la I, la E e la A, al suono della parola francese fleur oppure ad una u lombarda, la maschera dovrebbe essere prontamente riconquistata. C'è chi trae giovamento, anziché dal pensare alla eu francese, addirittura dal pensare a una o scura, se non a una u pronunciando una vocale chiara. Con questi accorgimenti si superano anche molti problemi di disuguaglianza della voce nei passaggi di registro.
Prendiamo per esempio la voce di tenore e diciamo che dal do basso al mi bemolle in quarto spazio la pronuncia delle vocali può essere più chiara e aperta. Dal mi bemolle in su, si inzierà a oscurare (chiudere o raccogliere in gergo tecnico) il timbro delle vocali chiare. Non per questo la voce risuonerà meno sonora: al contrario, la proiezione del suono sulla maschera ne eviterà la caduta in gola e faciliterà l'emissione, a tutto vantaggio della qualità del suono e con un minore sforzo delle corde vocali.
Su questa tecnica del suono raccolto nella zona di passaggio, non tutti sono d'accordo. Non mancano alcuni puristi, che (...) non tollerano quello che considerano uno snaturamento, una violenza all'esatta pronuncia della lingua italiana. E' un parere rispettabilissimo sul piano teorico.
Su quello pratico, però, si è sempre visto che la quasi totalità delle voci che non usano la tecnica del suono raccolto nella zona di passaggio, finisce col rovinarsi dopo pochi anni di attività. (...)
L'abuso dei suoni aperti è stato presto fatale a Di Stefano: primo a risentirne è stato il registro acuto, raggiunto sempre più a fatica; poi tutta la voce ha accusato lo sforzo di questi suoni; belli, sì, ma prodotti cantando "sulle corde" e non sulla maschera. (...)
Pavarotti, che ha sempre molto ammirato e ascoltato la lezione interpretativa di Di Stefano, non ha però mai ceduto alla sirena incantatrice dei suoni di passaggio aperti: pur possedendoli anch'egli bellissimi e non disdegnando di usarli eccezionalmente, in particolari momenti interpretativi.
Al contrario, la sua tecnica del suono raccolto è veramente da manuale. Appresa da Arrigo Pola e non dimentichiamolo, derivante da Enrico Caruso attraverso Luigi Bertazzoni - con orecchio attento ai cantanti contemporanei Carlo Bergonzi e ancor più, Gianni Raimondi, un vero fanatico del suono chiuso - Pavarotti riesce a raccogliere mirabilmente tutta la zona di passaggio senza dar l'impressione di sacrificare troppo l'esatta pronuncia delle vocali chiare. »

(da: L.Magiera - "Luciano Pavarotti, Metodo e Mito" - Ricordi, 1990)



Il tenore Ugo Benelli :
« Per me il passaggio... bisogna cominciare a stare attenti dal mi bemolle in su, perché c'è il pericolo di aprire i suoni e i suoni perdono il fuoco e non raggiungono il pubblico, e se cominci a farlo dal mi bemolle questo ti evita di spingere perché se cominci a farlo dal fa o dal fa diesis questo ti porta a spingere... e in una discussione con Luciano (Pavarotti) anche lui mi ha detto che cominciava a pensarci dal mi bemolle. »

Articolo del M° Astrea Amaduzzi e del M° Mattia Peli, fondatori di Belcanto Italiano ®.

Estratto dall'intervista-incontro di Belcanto Italiano ®, a cura del soprano e docente di tecnica vocale Astrea Amaduzzi e del M° Mattia Peli - Genova, 14 aprile 2016



Corsi di canto e lezioni con il M° Astrea Amaduzzi e il M° Mattia Peli,
fondatori di Belcanto Italiano ®,
a Ravenna:

http://www.amaduzziastrea.com/contatti/



sabato 28 febbraio 2015

Intervista al Tenore Ugo Benelli

BELCANTO ITALIANO INTERVISTA IL TENORE UGO BENELLI -
Intervista realizzata dal Soprano Astrea Amaduzzi il 25 gennaio 2015
Ho avuto la fortuna di conoscere il Tenore Ugo Benelli negli anni Novanta, durante un corso tenuto sul Lago di Garda in cui io ero Allieva del meraviglioso Mezzosoprano Biancamaria Casoni, docente dell’Accademia del Teatro alla Scala di Milano. Ricordo chiaramente che talvolta, nei momenti di pausa, transitando da una stanza all’altra passavo proprio  nell’aula dove il Maestro Benelli faceva lezione, e lo vedevo sempre con un gran sorriso e l’aria vagamente distratta, tipica dei veri grandi artisti.  Ho avuto la fortuna di ascoltarlo mentre faceva degli esempi e raccontava qualche breve aneddoto, e questo mi ha dato l’illusione di trovarmi in un paradiso felice che però si stava ormai sgretolando: quello di chi aveva studiato duramente in ogni minimo dettaglio ed era da sempre stato seriamente al servizio della Musica.
Non dimenticherò mai l’emozione provata quando al termine della mia esecuzione dell’aria dei Capuleti di Bellini “Oh quante volte” la Signora Casoni mi abbracciò con le lacrime agli occhi dicendomi di quanto fosse stato straordinario quello che aveva sentito, e che non avrei mai dovuto cambiare nemmeno una virgola di quello che avevo fatto – e allora come adesso – passò il Maestro Benelli e mi disse “Sei bravissima!” con lo sguardo pieno di entusiasmo che non ho mai più trovato in nessuno. Ah, già, però è anche vero che di Cantanti così (specie tra i Tenori)  non sappiamo se ce ne siano più, dobbiamo lavorare duramente e alla svelta perché la nostra opera rinasca.
E così Benelli, ottant'anni da poco compiuti e una carriera durata ben quarantasette anni, persona squisita e dall'ancora intatta e sempre presente ironia, ascolta le mie domande e risponde con grande passione! 
Il Tenore Ugo Benelli è il Conte di Almaviva nel Barbiere di Siviglia,
 al Teatro San Carlo di Napoli

- Come ti sei avvicinato allo studio del canto? 

Eh...si scopre che ho una voce, che viene apprezzata da qualcuno. Io ho avuto una strana combinazione, il vuoto della mia casa, diciamo quando quattro palazzi sono messi uno attaccato all'altro rimane un vuoto in questi palazzi, che sarebbe la parte dietro di tutti e quattro i palazzi, in questo vuoto abitava vicino a dove stavo io una signora che aveva una fabbrica di pelliccerie, vendeva pellicce a Genova e aveva studiato canto. Si chiamava Beltrami, non mi ricordo più il nome, e studiava canto; io ero ragazzetto ancora, avrò avuto 14-15 anni, e lei mi sentiva sempre cantare. Ormai non aveva più l'età per poter aspirare a una carriera, però andava a studiar canto perché gli serviva come uno sfogo, il canto è una cosa liberatoria. Essendo molto amante del canto, andava a studiare canto da un certo maestro. E mi disse, "poi quando hai diciottanni, ti porterò a far sentire da questo maestro".
Non ci pensavo quasi più... avevo studiato un po' di pianoforte in maniera abbastanza approssimativa, finiti gli esami di ragioneria a diciottanni, ci si parlava sempre da una finestra all'altra del palazzo, era roba di tre o quattro metri, e mi disse "Guarda che ti ho fissato un appuntamento, domani ti porto dal mio maestro". E la storia è cominciata così! Questo maestro era un avvocato, una persona di una cultura enorme... se tu pensi che suo padre era stato ambasciatore in Russia dello Zar! Era un appassionato di canto, perché era un avvocato con una grande responsabilità in una banca centrale di Genova a livello nazionale, e dava lezione così per diletto e non pagavamo niente, pagavamo solo l'affitto tutti insieme di questo enorme stanzone, e da questo stanzone sono usciti Giuseppe Campora, Rosetta Noli, Ottavio Garaventa, Federico Davià, Enrico Campi e quel grande tenore comprimario del San Carlo, come si chiama... un tenore che doveva fare il primo tenore in maniera assoluta... Piero De Palma!

- Quindi è questo che tu ricordi come il tuo maestro di canto?

Si, il mio maestro di canto, perché come dice Dara: "fortunati quelli che hanno avuto un maestro solo". Dara ha avuto un organista di una chiesa a Mantova, non è stato allievo di Campogalliani, però lui ha continuato a studiare. Dice, "guai cambiare tanti maestri"! Bisogna aver la fortuna di trovare subito quello giusto. Con questo maestro ho cominciato a studiare che era epoca estiva, faceva lezioni collettive, anche  in due tre per volta, e così potevamo cantare a lungo, perché fra un vocalizzo e l'altro ci potevamo riposare. D'estate non veniva nessuno, e così io andavo tutti i giorni a lezione. Diciamo che quei due mesi, i primi due mesi di studio per me sono stati molto importanti, perché lui mi ha seguito da solo personalmente, tutti i giorni, mattina e pomeriggio. 

- Senti, in realtà che cosa facevate durante le lezioni?

Dei grandi vocalizzi, lui non voleva assolutamente che cantassimo pezzi d'opera. Tutt'al più aveva delle frasi che lui aveva composto e alla fine dei vocalizzi ci faceva fare queste frasi che ricordo ancora, erano molto poetiche, perché era un uomo di grande cultura: "O fior, o fior di gioventù io t'ho goduto, io t'ho goduto un dì". E su queste frasi praticamente si spaziava in tutte le note, si saliva alle note acute per poi scendere alle note gravi, oppure l'altra era: "Ella la testa sovra me chinava e il vento ai sogni un fremito donava." Erano le frasi musicate da lui che ci faceva fare, era il massimo di canto che lui ci concedeva. 

- Quindi per mesi praticamente tu hai studiato l'emissione vocale?

Eh, sì, sì... per due anni, addirittura! E poi, c'era il concorso alla Scala, e lui disse: "Vai a fare questo concorso per la scuola della Scala per i cadetti, perché così sapremo cosa studiare; laggiù c'è Confalonieri, Campogalliani, ti daranno un giudizio, chiedilo anzi, su come approfondire le nostre lezioni". E io andai a fare questo concorso: prima la Cossotto, Benelli e Casoni, vincemmo noi tre! E mi trovai a orientare la mia vita in maniera diversa, non far più il ragioniere, rinunciare a un importante posto che mi avevano offerto a Genova, e andare alla Scuola della Scala. 
Mio padre non voleva nel modo più assoluto, è stata l'anima romantica di mia madre che ha vinto, perché per una settimana non scambiò parola con mio padre e mio padre alla fine cedette, perché capisci che per un padre, il cui figlio aveva già un posto buono, non poter aver una garanzia per tutta la vita, andar a Milano a rischiare, eh, studiar canto è sempre un rischio...

- Quando studiavi i tuoi ruoli meravigliosi e difficilissimi che cosa hai fatto per preparare tutto il ruolo intero? Qual era il tuo sistema di studio? 

Sai, dal punto di vista culturale poco, perché quando ho fatto Bel Canto io, lo sai, sono quasi ruoli insipidi quelli dell'amoroso, capito? L'amoroso è sempre lo stesso! Lindoro che è lì che piange e che si dispera e non ha una schiena, non è un maschio, un macho che reagisce a questa cosa... L'Elisir è abbastanza interessante, perché io che sono diventato poi, diciamo, anche abbastanza un aggressivo, la mia natura è di grande timido, capisci? quindi mi calzava a pennello il ruolo di Nemorino. Perché in fondo il timido con degli amici molto stretti che lui ha è dominante con pochissime persone e teme la massa, almeno per me era così...
La prima cosa che facevo, prendevo lo spartito e, prima cosa, davo una passata generale per vedere il tipo di vocalità che mi stesse bene, lo guardavo dall'inizio alla fine; poi cercavo di trovare un senso alle parole dal punto di vista grammaticale, se c'era qualche cosa da scoprire come personaggio cercavo di documentarmi, ma questo l'ho fatto di più nella seconda parte della carriera, quando ho fatto per esempio Wozzeck, ho preso il Wozzeck di Berg, ma ho anche letto il libro. 
Poi cercavo di approfondire la parola con il suono, vedere bene dove si deve respirare, non respirare troppo spesso se si può, se si può fare qualche virtuosismo con il fiato, tipo in "Don Pasquale" (canta): "né frapposti monti e mar, ti potranno" e continuare; invece potresti fare anche "monti e mar", fiato, "ti potranno, o dolce amica", perché è logica. Però quando si poteva... oppure nella serenata di Don Pasquale sempre "Com'è gentil" avevo sentito Valletti, mi raccontava Bruscantini, che faceva a gara a non respirare e allora anche in quei pezzi lì cercare dei virtuosismi con il fiato per dimostrare che qualcosa del canto avevi capito! È tutta lì la storia del canto, cantare sul fiato...
Bruscantini nei primi tempi, quando uno non capisce, faceva mettere una cinghia di cuoio sotto il diaframma, capisci, un po' tirata di modo che, se questo non ha l'idea, dice: "Prendi il fiato lentamente col naso, senti lì dov'è la cinghia, è lì che poi devi partire con il suono!" Eh, è difficile... il canto s'insegna direttamente, io non credo nella scuola di canto scritta. Come fai? è già difficile quando hai l'allievo, dargli delle idee, l'idea del diaframma come quei materassi ad acqua, perché il diaframma ha due pericoli, non si deve affondare troppo il suono però non si può neanche cantare per aria, c'è questa via di mezzo del suono nel canto, come l'acceleratore di una macchina se acceleri troppo in fretta la macchina si arresta con un sobbalzo, quello lì è affondare troppo il suono, però se cominci una piccola salita e tu non schiacci abbastanza l'acceleratore la macchina si ferma ugualmente perché non sale, però, capisci, gli dai questi esempi, ma poi gli devi far sentire qualche cosa, insomma.

- Nella tua esperienza quale importanza hanno i vocalizzi, quanto tempo al giorno bisogna fare di vocalizzi? E li hai usati solo per riscaldare la voce oppure anche per preparare taluni passaggi specifici delle arie?

Bisogna fare un'ora di vocalizzi, non tutti di seguito; un po' di seguito, sì, per allenare bisogna fare vocalizzi; per conto mio, sono la base di tutta la tecnica. Va all'orecchio del maestro sentire quando l'allievo comincia ad essere stanco, però io credo che un'oretta di vocalizzi fatti per benino, senza affogare, facciano bene.   

- Ho sentito talvolta dietro le quinte miei colleghi fare un'ora e mezza di vocalizzi a tutto spiano e poi entrare in scena e cantare già stanchi, in quel caso prima di entrare in scena conviene farne di meno di vocalizzi!

Io sono d'accordo di farne di meno prima d'entrare in scena. La Cossotto quando cantava il Trovatore lo cantava una volta tutto in camerino, eh, beata lei, evidentemente aveva delle corde d'acciaio. 
Io quando avevo la recita andavo il mattino, verso le undici e mezza, mezzo giorno, facevo un quarto d'ora, venti minuti, quel giorno lì, di vocalizzi, poi andavo in teatro, nel camerino ne facevo uno o due, senza stancarmi, più che altro tendevo a far dei "suoni", a preparare lo strumento come "ma, bo, be" col suono in avanti, mai con la T, e quello lo faceva anche Panerai, per preparare le risonanze del viso. Oppure, se sei in macchina, quando andavo in macchina che arrivavo in ritardo, in macchina mai vocalizzi, perché non ti senti, facevo tutti questi "suoni" per prepararmi a cantare. 

- Qualcosa sulla tua respirazione ci hai già detto, ma qual è il tuo vero segreto per una buona respirazione? 

Il mio maestro diceva che bisogna respirare come respirano i pesci, una apertura di diaframma molto laterale diciamo anche, lui diceva, per respirare. E anche quando si può, questo lo diceva anche Bruscantini, respirare dal naso quando si può. Ad esempio nella "Furtiva lagrima", che hai tempo, prima di ogni attacco, un bel respiro non profondissimo, ma profondo; lo sai te quando sei arrivato, che il diaframma è pronto. Ecco, approfittare quando si può di respirare col naso, per evitare di avere magari un po' d'aria fredda in gola, se il respiro è preso male o preso troppo in fretta. È un'Arte il saper respirare! Ci sono certi cantanti che respirano fra una frase e l'altra, e, se anche registrati, non te ne accorgi, uno era Bruscantini, ad esempio.

- Io sono solita abbracciare i miei allievi, e gli dico adesso fai forza contraria e così gli sento proprio i muscoli... 

Certo, far sentire anche te come respiri: "Mettete la mano, sentite dove respiro io!" 

- Sì, sì, assolutamente, e gli dico di mettere le braccia a cintura e poi gli faccio sentire come respiro, e devo dire poi che per imitazione loro vanno molto bene!

Sì, e l'altra cosa, se non la capiscono ancora, fargli sollevare una sedia molto pesante, sono costretti ad attaccare sul diaframma, perché lo sforzo di sollevare questa sedia pesante impegna il muscolo del diaframma, gliela fai sollevare e poi li fai attaccare. Questo ci faceva fare quel famoso avvocato, vedrai che sono costretti ad attaccare sul diaframma. 

- Che cos'è per te il cosiddetto "suono in maschera"? 

Mah, io ti dico che Bruscantini, che faceva vocalizzi con Kraus, e io che studiavo spesso con Bruscantini, perché cantavo spesso con lui, diceva: "Intanto il primo passo è mettere la voce nella "Gnagnera", diciamo lì, anche se sa un po' di naso, non importa, basta che sia in avanti." Perché le gallerie non si scavano tutte assieme, ora sì, si chiama "talpa", ma una volta... la galleria si scava piano piano, l'importante è andare avanti in questa galleria, capisci... e Sesto mi ricordo mi diceva, dopo il primo passo dei suoni (fa, cantando, "E") in avanti: "E adesso però arrotonda il suono! Adesso che stai scavandoli, adesso falla bella la galleria, dagli una forma rotonda a questa galleria, fai un bel suono". 

- E, di conseguenza, quanto è importante la pronuncia nell'arte del canto?

Tutto, tutto. Mi ricordo i complimenti di Massimo Mila: "Un tenore che canta con le vocali e con le consonanti!" ha detto. Esempio, la prima cosa che mi ha fatto riflettere su questo è stato Tito Gobbi nel Belcore. "Ti avRRei stRRozzato, RRidotto in bRRani" Se invece fai: "Ti avrei strozzato, ridotto in brani." Ma se tu dici: "Ti avRRei stRRozzato, RRidotto in bRRani" allora sì. Ecco che cos'è la pronuncia!


- Adesso una domanda squisitamente tecnica, molto importante per tutti i registri vocali. Quanto è importante l'uso della flessibilità laringea e morbidezza di gola nel canto? 

Ah, te lo dico subito. Io feci da giovinetto una lezione con Tito Schipa che era di passaggio a Genova, ma io non studiavo ancora canto, volevo forse studiar canto, ma so che c'era Schipa, mi ricordo che andai... lui diceva "è importante la gola, rilassare la gola", ha parlato per un quarto d'ora di "rilassare la gola", diceva che non era mai abbastanza... di "cantare morbido", "come se la mascella non esistesse"...e una frase di Schipa è questa; e l'altra di Montarsolo: "Bisogna cantare come se uno dormisse, ma solo col diaframma". Per dar l'idea, deve esistere la colonna del fiato, il diaframma, e quel corpo lì dev'essere morto, per dire di nuovo di come dev'essere rilassata la gola di un cantante, è la cosa basilare. 
Quando incisi con la Decca la "Cenerentola" con la Simionato, io ero giovanissimo, lei era già famosissima, mi diceva sempre: "Giù la testa, piccinella!" Perché io, alzando un po' la testa, trovavo bene il suono. E lei continuava a dirmi, "No, piccinella, più giù la testa, non alzare così la testa. Piccinella, abbassa la testa!"
Tirando su la testa il suono esce, ma sa leggermente di gola. Tenendo la testa nella posizione giusta e ammorbidendo la gola allora il suono acquista un altro sapore, la libertà. 
E poi te lo aggiusti, anche. In un teatro con una buona acustica, il suono te lo aggiusti con questo sistema, se hai la gola morbida; se hai la gola dura è mal riuscito e il suono rimane quello.  

- E adesso c'è una domanda proprio per i tenori. Perché i giovani tenori hanno così tanti problemi nel "passaggio" verso il registro di testa? 

Luciano cominciava già a passare dal mi bemolle, eh, Pavarotti. Io ho avuto una gran fortuna, che quell'avvocato non ci ha mai parlato di "passaggio"; non ci ha mai detto, in quei mesi lì, che ci sono le "note di passaggio". Io mi sono trovato bene perché, evidentemente, si vede che la voce si stava impostando nella maniera giusta. 

- Io ho notato che facendo lavorare i tenori tra il mi, fa e fa diesis con la massima morbidezza e con la mandibola che tende a sganciarsi, e soprattutto "portando la voce" come si intendeva anticamente, proprio il portamento per prendere la voce con dolcezza e portarla da una parte all'altra, gli ho risolto proprio questo problema tecnico del "passaggio" al registro di testa.

Vorrei farti una domanda io, nel caso di tenori leggeri, gliela fai fare qualche nota d'effetto un po' leggermente aperta, non è il termine esatto aperta, ma hai capito, non coperta? 

- Guarda, io faccio lavorare tutti quanti i miei allievi con voci anche grandi, o piccole che siano, e anche i tenori leggeri, su suoni piccoli che qualche volta gli faccio ingrandire un po' di più a seconda di quello che devono dire ed esprimere, ma normalmente li faccio lavorare su un punto focale che è posto dietro le fosse nasali, una concentrazione sonora tutta lì, molto piccola, suoni molto ben in avanti, e parole ben pronunciate, e lavorare sul colore dei suoni.

Sì, diciamo, la Scotto ha sempre fatto gli acuti mai in pieno, li ha sempre presi piano e poi ampliati, se ci hai fatto caso, mai una nota: "pa!", però sempre "en garde", capisci, presa bene, giusta, lì, e poi ampliata. Taddei, anche, prendeva le note e poi diventavano delle caverne, però non le ha mai prese di getto.

- Io suggerisco anche talvolta l'attacco preciso, intonato, ma un pochino da sotto, per addolcire il suono e per portarlo, anche perché il segreto del legato è il portare una nota all'altra legando sul fiato!

Certo, quando uno sa legare vuol dire che canta "sul fiato". Il legato è il segreto del grande cantante, eh!

- Allora, adesso ho un'altra domanda che si ricollega un po' ai passaggi di registro, perché tanti ragazzi studiano con una posizione "a sorriso" verso gli acuti, io vengo dalla scuola che invece prediligeva lo sgancio mandibolare flessibile con totale abbandono della gola e maggiore apertura in senso verticale verso le note acute e, quindi, che cosa mi sai dire di questa famigerata posizione "a sorriso" in ogni zona della voce?

Ti rispondo con un esempio. La Freni era venuta a Genova e cantava Bohème all'Auditorium Montale, quel piccolo teatro che abbiamo insieme al Teatro dell'Opera. Ha ricevuto praticamente il pubblico, e c'era una persona che, guardandomi quasi con una certa rabbietta, disprezzando evidentemente il mio tipo di canto, chiese alla Freni: "Cosa pensa, signora Freni, del canto col sorriso?" E lei fece: "Che cos'è sto sorriso?" Capisci? Avrebbe voluto che la Freni dicesse: 'La tecnica del sorriso è la sola sulla quale si costruisce la voce'. Invece lei scosse la testa e disse sorridendo: "Ma che cos'è sto sorriso?" Ché cantano "La mamma morta" (di Giordano) con il sorriso sul viso. Te lo immagini "Ah perché non posso odiarti, infedel, com'io vorrei" (della Sonnambula) col sorriso!! (ride) 
Per altri ha risolto le carriere, il tenore Alvinio Misciano aveva questo dono di avere un sorriso che comunicava al pubblico un'idea di rilassatezza e facilità di canto.

- Sì, comunque ho notato che nei tenori soprattutto andare verso gli acuti alzando un pochino su gli zigomi e tendendo un po' al sorriso, scoprendo i denti, vedo che questo tipo di posizione li aiuta a salire verso le note acute, evidentemente è un fatto di strumento fisiologico fatto proprio così...

Certamente, se tu pensi al cavallo quando nitrisce, come fa? Per nitrire deve scoprire i denti, così fa il suono.

- Adesso ti faccio un'altra domanda che però secondo me, per il tuo tipo di scuola e di emissione, si risponde già da sola e sei autorizzato anche a farti una bella risata. Che cosa ne pensi della tecnica dell' "affondo"? 

Cioè la scuola di Del Monaco, per dire... funzionava solo per lui. Eh, quell'esempio che t'ho fatto dell'acceleratore, se vai in una strada liscia, devi tener l'acceleratore lo senti col piede l'acceleratore, lo accarezzi, se "schiacci" la macchina salta e si ferma. E questo ha funzionato solo con uno e con pochi altri, quella tecnica lì; però non dimentichiamoci che ha cantato "Otello" per 25 anni, avrà avuto delle corde di titanio...

- Sì, certo, però prenderlo come modello per i ragazzi che iniziano a studiare forse è un tantino dannoso...

No, può essere totalmente negativo.

- Eh, infatti... pericoloso, diciamo, secondo me...

Mah, molto pericoloso, eh!

- Mi chiedono se secondo te le agilità sono naturali o si studiano? 

Io dico che si studiano, perché quando ero alla scuola della Scala il Maestro Confalonieri voleva le agilità legate, poi ero alla Scala, c'era bisogno di un sostituto di Alva e Abbado, abituato con la Berganza, ché come sai, le voci spagnole le hanno anche un po' di natura, perché la famosa collana di perle, o il pallottoliere che lo arrovesci, e il pallottoliere o le perle fanno: ta-ta-ta-ta-ta-ta-ta... io ho fatto l'audizione con Abbado e ho dovuto cominciare a impararle staccate. Feci l'audizione e mi prese e imparai; quindi evidentemente c'è una tecnica per imparare le agilità. Io continuo a dire che fra vent'anni verrà fuori uno chiamato "Claudio Abbadion", perché questo è il merito di Rossini che è talmente moderno come compositore, che dirà:  "Ma perché così staccate, mi piacerebbero un pochino più legate", e ritornerà di moda l'agilità rossiniana legata, perché dischi dell'epoca di Rossini non ne abbiamo, non abbiamo nessun documento che attesti come voleva le agilità Rossini...

- No, aspetta, però c'è qualcosa, c'è una traccia... nel senso che Manuel Garcia figlio suggeriva di fare le agilità staccate, mentre invece il padre, che è stato il tenore che ha fatto il Conte d'Almaviva nella prima del Barbiere di Siviglia al Teatro Argentina a Roma, suggeriva nel suo piccolo manuale di fare sempre le agilità legate e, siccome lui era un grande amico di Rossini, sicuramente c'è una buona probabilità che Rossini le abbia predilette legate, anche perché molte volte nello stesso spartito di Rossini troviamo proprio le quartine legate...
Certo, io ti parlo di Confalonieri, perché era il più grande critico d'Europa. Alla Piccola Scala dava lezioni a quelli che sono diventati poi i nuovi critici, c'era un pomeriggio alla settimana in cui dava lezioni e portava degli esempi che noi della scuola cantavamo, accompagnati da lui al pianoforte per dimostrare a questi che poi... alcuni, non faccio nomi, ma stanno scrivendo ancora, hai capito? Insomma, Confalonieri sapeva quello che diceva, eh, non poteva inventarsi le agilità... comunque, adesso se vogliono far Rossini devono pensare alla collana di perle o al pallottoliere: ta-ta-ta-ta-ta-ta-ta.

- Ma, dipende anche da come le stacchi...

Bisogna che non sia una macchinetta, merletti, punti perfetti, punti perfetti, perché se no non sa più neanche di musica, diventa quasi un nervosismo, quest'agilità tremendamente staccata, è un virtuosismo, però, eh...

- Cosa ne pensi della funzione del regista? Ritieni che una buona regia che tenga conto delle velocità o lentezze musicali nelle varie scene possa aiutare un cantante a cantare meglio e più a suo agio?

Sì, senz'altro! Basta che rimanga il senso della musica... A me è successo una volta che nel Don Pasquale, nell'entrata d'Ernesto, aprivo la porta, entravo baldanzoso! "Cosa fai?" mi han detto... - "Perché 'cosa fai?' perché non la sente questa musica? - "Ma la musica non importa"... capisci? Oppure, a Glyndebourne un grandissimo regista, che è stato anche direttore della Scottish Opera per anni, sai quel momento del Barbiere in cui Bartolo chiede a Figaro: "Che vieni a fare?" "Oh bella! Vengo a farvi la barba!" e il mio amico (...ride...) che è stato un baritono molto famoso faceva Bartolo in quell'edizione e ha visto passare sul fondo della scena una donna bellissima. E si è alzato e dice: "Mah... cosa ci fa quella lì?" - "Eh, ma chi dici? Non hai sentito Figaro che dice: 'Oh bella! Vengo a farvi la barba!'?" Hai capito? Ma questo un grande regista... ecco, allora, quando le regie sono queste, mi viene da urlare!!!
Quando la regia anche moderna ha un senso con l'opera è un'altra cosa. Mi diceva Leo Nucci che una volta in un Rigoletto in Germania gli chiesero una cosa talmente assurda che lui andò in direzione e disse, convinto di essere uno dei più grandi Rigoletti del mondo, con passione: "Non è possibile per me questo, o va via il regista o me ne vado io!" E il sovrintendente gli disse: "Va via Lei!" E mi disse Leo, "Da allora non son più andato in direzione a chiedere o lui o io"... perché purtroppo il mondo è in mano non si sa a chi! 
Il Maestro Benelli è Ernesto Rousignac ne "Il giovedi' grasso" - La Scala - 1971

I recitativi del Barbiere sono importantissimi, nell'ingresso di Fiorello con Almaviva devono esserci due preoccupazioni, che il pubblico deve sentire, ma che lì c'è silenzio, non bisogna svegliare altri. E questa idea non c'è mai, in scena. "Fiorello-olà", eh no! "Fiorello... olà..." è tutto da trattenere, quella prima parte del Barbiere, cantare, pensare che devono farsi sentire, ma ci dev'essere quest'idea di non svegliare la gente; poi c'è la 'serenata' e questa è un'altra storia, perché quando suonano la musica si sente e mai fare quelle "puzzonate" come diceva Bruscantini di finire col do finale, perché allora Rosina dovrebbe aprire la finestra e buttarsi giù di sotto, no! è un'aria di maniera, che Almaviva canta a cinquanta ragazze e sempre la stessa, invece no, è alla seconda, che è l'aria che viene dal cuore, che Rosina apre il balcone, lezione di Sesto Bruscantini. E poi fanno: "Bene-bene, tutto-giova-a-saper", non è "bene-bene" è "bene, bene, tutto, giova a saper". È diversa la storia, eh! Lezione di Bruscantini. È recitativo! "È-desso-oppur-m'inganno?" Intanto prima di "È desso" stai vedendo nell'oscurità, "È desso... oppur m'inganno?" "Chi sarà mai costui?" "Oh è lui senz'altro" "Figaro!", perché ogni tanto Almaviva ha il comando. Sempre comandi netti, finché non diventa complice con Figaro, che poi scherzano assieme, c'è sempre la distanza fra Almaviva e Figaro. Perché Almaviva teneva il berretto in testa, aveva la concessione di tenere il berretto in testa, di non doverselo togliere quando passava il re, si diceva. 

- Hai un consiglio speciale da dare ai giovani che vogliano intraprendere oggi la via del canto?

Sì, trovare subito il maestro giusto, questo qui è l'unico consiglio da dare, uno e subito. Prima d'andare a studiare canto, farsi accompagnare da uno che studia, quello studia dal tale, quello dal tal altro e dire: "Mi fai assistere a una tua lezione?" E vedi subito se è un allievo intelligente, perché sarà in grado di scartare e sentirà che cosa consiglieranno al collega che va a lezione da questo, Tizio, Caio e Sempronio e sarà in grado di decidere quale sarà il suo maestro. E dev'essere uno e solo quello, quello il grande consiglio, di scegliere bene il maestro, perché poi rimediare agli errori è molto difficile, quando poi hai specialmente una voce che si ingola, togliergliela dalla gola è patire le pene dell'inferno.

- Cosa ne pensi del mondo dell'Opera oggi?

E' un disastro, un disastro completo, non c'è avvenire per i giovani. Vedo qui a Genova, non so, ho visto addirittura un cast di sei recite che è stato diviso le prime due a un soprano, le altre due a un altro soprano, poi una a un soprano e una a un altro soprano. Questo vuol dire gettarli nelle fauci del leone, perché come fai a fare... intanto non ci sono le prove abbastanza per tutti, e poi rischiare per una recita, capisci, tutto appeso a un filo... e veramente ho pena per questi ragazzi che hanno tanto entusiasmo, tanta voglia di fare, ma non ci sono le possibilità di emergere, difficile venirne fuori. 

- Che cosa si potrebbe fare per migliorare la situazione? perché oggi il Belcanto, il canto in generale sta proprio morendo... un po' perché c'è poca meritocrazia nell'ambiente teatrale, e c'è lo strapotere delle agenzie, un po' perché le colorature non si fanno più e quindi lo strumento vocale non si usa più come strumento ed è tutto bloccato e... tutti badano a essere "gran divi" senza avere una preparazione tecnica effettiva...

Brava, io dico che "sono degli otorino-laringoiatri ma non sanno cantare". C'è della gente che mi  "insegna", mi parla di gola, di narici, di tutto di canto però non sanno cantare. E poi vanno in mano anche a questi otorino-laringoiatri che alle volte, se è gente molto capace, possono avere un consiglio su che tipo di corde vocali hanno e a che cosa indirizzare i loro studi, ma spesso non capiscono niente. Perché, ti dico cosa facevo io quando iniziavo la carriera e non avevo soldi e avevo bisogno d'avere le medicine e ti garantisco che l'Enpals ai miei tempi aveva grandi specialisti e aveva dei reparti speciali, dei vice-primari d'ospedale, gente molto qualificata. Io andavo a rifornirmi dall'otorino-laringoiatra di Milano, o di Genova, a seconda se venivo a trovare i miei genitori, e andavo lì e cominciavo come un bravo attore a tossire in un certo modo, ma per finta; allora mi dicevano che avevo la laringite, oppure fingevo con altri di tossire anche in altri modi e allora mi dicevano ad esempio che avevo la laringo-faringite e mi facevano dare tutte le medicine per queste cose qui. I vari medici della gola e foniatri credevano veramente che fossi lì a farmi visitare perché stavo male e li convincevo che ero o afono o che avevo mal di gola o altro; e mi guardavano in gola e non capivano niente e mi assegnavano i medicinali che, nel caso mi fossi trovato a cantare fuori sede, avrei in realtà adoperato solo se mi fossi ammalato veramente. Quindi come posso credere a certi specialisti? D'altronde non ne ho avuto quasi mai bisogno, grazie a Dio! Ecco, questa è la verità, è molto triste, ma è la verità. 

- Quindi, che cosa vogliamo fare di pratico per aiutare questo ormai morente mondo del canto?

Non do lezioni di canto, logicamente, perché ho avuto qualche delusione, perché cominci un lavoro e poi non lo puoi finire... è quella la fregatura, vanno a studiare da qualcuno che poi gli promette che lo farà cantare... e poi anche perché preferisco e mi è più congeniale fare del perfezionamento su spartiti; se vengono che sento che cantano abbastanza bene e vogliono perfezionarsi sui ruoli che sono stati i miei ruoli, quello lo faccio più volentieri, perché insegnar canto richiede una passione enorme, dà soddisfazione ma ci vuole una grande passione e una grande pazienza e una grande attitudine! 
C'è della gente che mi telefona e io dico subito: "Non raccomando nessuno, non conosco nessuno". Perché tanta gente viene solo per... io penso come ho dovuto fare io: "Tu pensa a studiare e pensa a essere bravo che poi le porte si aprono". L'audizione a Glyndebourne, mi hanno preso, l'audizione ad Aix-en-Provence, m'hanno detto: "Promettente, la vogliamo risentire". Ma alla seconda audizione mi hanno preso. Quando uno è preparato bene può sperare nel futuro; è la certezza d'aver studiato bene e di esser pronto che dà sicurezza a una carriera. Poi, sai, scommettere, non si può scommettere su nulla, specialmente al tempo d'oggi che è così dura; anche poter aiutare un allievo ad indirizzarlo, capisci... io direi a tutti: "Andate in Germania a far delle audizioni, perché lì ci sono almeno centoventi teatri e se avete delle qualità vi prendono."

Ci salutiamo caramente, con la promessa di rivederci presto.
Prestissimo, le belle cose della vita non bisogna mai lasciarle scappare! 

Un saluto cordiale a tutti coloro che amano Belcanto Italiano, e anche a chi non lo ama, sperando che da chi sa e ha saputo cantare davvero s’impari una vera lezione di necessaria umiltà.
M° Astrea Amaduzzi
... e non dimenticate di ascoltare lo splendido Conte di Almaviva
del Tenore Ugo Benelli!!!


----------------------------------------------------------------------------------------------------



Belcanto Italiano Masterclasses torna a Roma
dal 28 al 31 maggio 2015.

Durante il seminario sarà organizzato un incontro speciale con il Dott. Beniamino Gigli,
nipote del grande Tenore Italiano.

Venite a trovarci nella Sala dei Papi in Piazza della Minerva!
Per informazioni e prenotazioni: 347.58.53.253
segreteria.belcantoitaliano@gmail.com 


mercoledì 26 novembre 2014

La respirazione nel Canto Lirico

Il meccanismo respiratorio è una questione facile e assolutamente naturale, ma quando tale meccanismo viene applicato al Canto Lirico, tutto deve essere fatto a regola d'arte.


La respirazione, assieme alla totale flessibilità laringea e al giusto punto di risonanza, è la base della migliore tecnica vocale. 

Teorici più o meno famosi complicano moltissimo la faccenda, in realtà la maggior parte degli Allievi ha grandissimi problemi nell'emissione per grande pigrizia respiratoria e sovraccarico di tensione a livello di muscoli del collo e spalle.



La respirazione nel Canto Lirico è impegnativa, ma non così tanto complicata! 
I suoi principali punti di appoggio sono il diaframma, i muscoli intercostali e i muscoli addominali. Usati bene e con la corretta coordinazione di assoluta libertà laringea, questi tre punti speciali diventano un prezioso capitale per l'arte del Canto. 

Analizzo ora semplicemente il meccanismo respiratorio sulla base di mia diretta esperienza, sia come artista che come docente. 

1) I polmoni hanno una forma non omogenea e sono assai più capienti alla base (in basso)


2) Il diaframma è posto alla base dei polmoni (in basso)



3) I muscoli intercostali che aiutano direttamente la respirazione sono soprattutto quelli delle costole mobili (basse)



4) I muscoli di meraviglioso sostegno e controllo del fiato sono quelli addominali (ancora una volta posti dalla pancia in giù, cioè in basso)



Deduzione logica: LA RESPIRAZIONE NEL CANTO LIRICO NON PUÒ E NON DEVE ESSERE SOLO ALTA o APICALE, perchè la sede di miglior efficienza respiratoria tra muscoli e capienza è tutta verso il basso. 

Come si respira al meglio nel Canto Lirico?
Inspirazione: il diaframma si abbassa, i muscoli intercostali, le costole e l'addome si dilatano, aiutate dal meraviglioso mantice dei muscoli addominali. In questa fase ogni bravo Cantante rilassa completamente gola e spalle, prepara nella propria mente l'intonazione del suono vocale lasciando totalmente libera la laringe, e predispone lievemente il palato molle a sollevarsi un po' come quando si sbadiglia.

Espirazione: il diaframma risale, i muscoli intercostali e l'addome si restringono e i muscoli addominali regolano la velocità di emissione del fiato, sostenendo la pressione attraverso l'uso del sapiente appoggio su questi punti muscolari. In questa fase il Cantante tiene completamente rilassate spalle e gola, lascia la laringe totalmente libera di muoversi e scivolare e aiuta con l'uso sapiente di labbra lingua e palato molle sia la proiezione dei suoni (affettuosamente chiamata in gergo "maschera") che una buona pronuncia del testo. 


In un mondo pieno di teorici di tecniche del canto nuove o arcaiche sarebbe forse il caso di fermarsi a riflettere e iniziare a dare ascolto sia a grandi artisti del passato che ad artisti capaci di dimostrare di saper oggi veramente cantare.

Andreste mai a lezione di violino o pianoforte da gente che non è capace di suonare veramente bene il proprio strumento? Certamente no. E allora perchè chi non è capace di cantare, o piccoli o grandi teorici dovrebbero chiamarsi "maestro"? Se la risposta è NO, leggete dunque nell’appendice all’articolo alcune interessantissime testimonianze di grandi cantanti, il cui valore è testimoniato, tra l’altro da registrazioni immortali.

“E qui sorge un altro contrasto: quello delle opinioni, tra loro avverse, degli scienziati della voce. Ma il cantore deve prescindere da elucubrazioni analitiche e applicare l’opinione che nasce dall’esperienza viva del canto e dalle urgenze di problemi che talvolta si presentano improvvisi alla ribalta, nel pieno svolgimento dell’azione scenica e del canto.” - (Giacomo Lauri - Volpi, “Misteri della voce umana” Ed. Dall’Oglio - pag 77- 78)


Appendice:  TESTIMONIANZE DI GRANDI CANTANTI SULLA RESPIRAZIONE

Lauri-Volpi sulla respirazione e il trovare gli "armonici":
"...io ho pensato sempre che la respirazione è diaframmatico-costale, perché noi abbiamo due casse armoniche, questa e questa, ma se noi ci limitiamo solamente alla cassa toracica e dimentichiamo la cassa cranica non troviamo gli armonici, è come un pianoforte, se non si mette il pedale quel cassone lì a che serve..." 

Beniamino Gigli : Il respiro "sul fiato" e il respiro profondo:
"La prima condizione, per cantare bisogna ricordarsi il punto massimo, e cioè dove si deve appoggiare la voce, dove si deve prendere il "respiro profondo", perché il canto è basato unicamente sul respiro, e il respiro bisogna farlo sul diaframma; il diaframma ha una grande importanza."

Carlo Bergonzi sull’importanza della padronanza del fiato, fondamento della tecnica vocale:
“..ho potuto cantare a fianco di grandi tenori come Gigli, Schipa e Pertile. Ai quali chiedevo consigli tecnici negli intervalli: “Commendatore, come respira Lei per fare quegli attacchi sul passaggio?”. E Gigli rispondeva: “Caro, mettiti la mano qua sopra il diaframma mentre respiro”. E per darmi un esempio attaccava la prima frase di “Mi par d’udir ancor”. Ci sono tanti che dicono oggi: “Sì, ma è una tecnica vecchia!”. Sbagliano: la tecnica è una ed è basata sulla padronanza del fiato; è l’interpretazione semmai a mutare con gli anni”.

Conversazione tra Arturo Toscanini e Giuseppe Valdengo:
"Soltanto il fiato deve essere sempre in colonna col suono, naturalmente perché, se manca il fiato, addio linea di bel canto!" 
(Tratto da "Scusi, conosce Toscanini?" Musumeci Editore 1984, p. 77)

Intervista a Lauri - Volpi a Busseto, il 12 giugno 1976:
Dissi a Toscanini “Maestro sono dieci volte che esco e il pubblico la chiama, venga” allora siamo usciti altre cinque volte. Quando si è chiuso il sipario mi disse “Senta Lauri Volpi, io il tempo lo sento come lei, ma non credevo che un essere umano avesse la forza di ricuperare i fiati, di prender fiato e arrivare con questo impeto fino alla fine: io credevo che lei crepasse”

Intervista a Giuseppe Valdengo, a Parma il 9/4/1977 in casa di amici:
Lei insegna canto. Qual è la cosa che insegna per prima?
«Il fiato: si canta col fiato. Poi i vocalizzi. Ci vuole del tempo e tanta pazienza prima di arrivare
alla romanza. Insegno quello che so».

Intervista a Mariella Devia, 28 settembre 2010:
"La base tecnica del canto è sicuramente il fiato; io ho fatto molto lavoro su di me, ascoltandomi, facendomi ascoltare."

Intervista al Tenore Ugo Benelli:
"Ha qualche consiglio per i giovani che stanno studiando su cosa è auspicabile fare durante lo studio e cosa, invece, è assolutamente da non fare dal punto di vista tecnico?
- La cosa principale è “cantare sul fiato”, ma spiegarlo è assai difficile. Montarsolo diceva che il corpo dovrebbe essere come nel sonno, eccetto il diaframma e la colonna del fiato. Bruscantini consigliava di far mettere agli allievi una larga cintura sotto il diaframma (e lui l’ha fatto tutta la vita) per abituarli e ricordar loro dove si deve appoggiare il fiato che si è inspirato. Io parlo di morbidezza, di onde del mare che si infrangono dolcemente sulla scogliera. Trovo che quando si parla di legare o di appoggiare si debba pensare come ad una scavatrice o ad una vanga che deve raccogliere qualcosa…. e trovo che una posizione con il corpo che tende leggermente in avanti può facilmente aiutare per trovare il giusto supporto. Quello che non si deve assolutamente fare è cantare con le spalle che si alzano ad ogni presa di fiato, con la rigidità del corpo e tenendo la testa troppo alzata, perché si va facilmente a finire in gola. La Simionato durante la registrazione di Cenerentola mi diceva: “Piccinella, giù la testa”. Un consiglio che fu assai prezioso.-"

Intervista a Luciana Serra
“...La voce sempre proiettata fuori con bocca ovale dando molta importanza alla parola.
La respirazione è uguale per tutti (soprani, baritoni, tenori, ecc.), le agilità devono averle tutti…” (tratto dal sito "operaclick")

Intervista a Jose Carreras
"La mia impostazione tecnica è quella di sostenere sempre il suono sul fiato e non chiudere mai la gola"

A proposito di Luciano Pavarotti:
“Nel modo di cantare di Pavarotti non tutto era allo stesso livello (per esempio le mezzevoci), ma le fondamenta erano solidissime: respirazione da manuale, appoggiata sul diaframma,  voce ‘in maschera’, passaggio di registro corretto e, di conseguenza, acuti facili e squillanti."
(Alberto Mattioli su Luciano Pavarotti nel libro "Big Luciano"Mondadori, 2007)

Intervista a Gabriella Tucci:
"Attualmente un'altra attività importante nella sua vita professionale è l'insegnamento. Su cosa basa essenzialmente la sua didattica?
In genere il mio insegnamento è subito a 360°, nel senso che si affronta il canto nei suoi aspetti tecnici, in particolare insisto sulla respirazione (poco e malamente insegnata oggigiorno)"

Intervista a Bruno De Simone:
Sesto Bruscantini (...) mi aveva ben presto “ammonito” : “sappi che con le tue caratteristiche interpretative sicuramente ti affideranno quanto prima i ruoli del Buffo ma – aggiungeva – dovrai essere ben preparato per eseguirli, mantenendo la tua vocalità salda e ben tornita, non solo agile e spedita nel sillabato, e per questo devi prima imparare bene il Canto legato sul fiato, che è la base per una corretta emissione vocale; altrimenti puoi rischiare di divenire solo un… buffo parlante!" 

Parole di Sonia Ganassi mezzosoprano belcantista d'agilità (anche soprattutto rossiniano) : <<ho sempre fatto e faccio agilità sempre usando un grande controllo del fiato...con tanta tecnica...nulla si fa, neanche un suono si fa senza tecnica, il canto è tecnica, il canto è lavoro sul proprio strumento continuo e serio>>!!!
(Click qui per il video)

Luisa Tetrazzini:
"Bisogna capire il funzionamento di polmoni e diaframma e dell'intero apparato respiratorio, poiché il fondamento del canto è la respirazione e il controllo del fiato.
Io respiro basso giù nel diaframma, non, come fanno alcuni, in alto nella parte superiore del petto. Tengo sempre un po' di fiato di riserva per i crescendo, impiegando solo ciò che è assolutamente necessario, e riprendo fiato ovunque sia il punto più comodo per farlo.
Un cantante deve essere in grado di fare affidamento sul proprio fiato, proprio come egli fa affidamento sulla solidità del terreno sotto i suoi piedi. Un respiro traballante, senza controllo è come un fondamento malsicuro sul quale non si può costruire nulla, e finché quel fondamento non è stato sviluppato e rafforzato l'aspirante cantante non deve aspettarsi alcun risultato soddisfacente.
  
Non ci deve essere mai alcuna pressione della gola. Il suono vocale deve essere prodotto dal continuo flusso dell'aria. Dovete imparare a controllare questo flusso d'aria, cosicché nessuna azione muscolare della gola possa interromperlo. La quantità di suono viene controllata per mezzo del respiro."

Ed ora un video che vale più di mille parole, in cui la divina Montserrat Caballé fa compiere un esercizio pratico a qualcuno dei suoi Allievi. Lo stesso che propongo sempre anch'io ai miei (ma quanti di essi lo praticheranno regolarmente? ;) )

Buona respirazione a tutti!
M° Astrea Amaduzzi








ACCADEMIA NAZIONALE DI BELCANTO ITALIANO

Offerte formative dei corsi:

Corso di alta formazione per cantanti d’opera
(corso primario, medio e avanzato)
Corso di alto magistero per l’insegnamento del canto lirico
Corso “Opera Senior”
Corso Pre-accademico (anche on line)

Opere in programma in collaborazione con importanti realtà estere

Tutte le informazioni su: www.accademiabelcanto.com