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martedì 31 luglio 2018

L'importante questione del suono "coperto" per acuti sicuri nel canto lirico

 La questione del passaggio di registro, zona obbligatoria per tutte le voci per "passare", appunto, dal registro grave e medio a quello acuto, è ultimamente molto dibattuta e risolta comunque nella pratica in modo insoddisfacente.

Una voce lirica deve studiare per avere come minimo due ottave di estensione più suoni extra sia sotto che sopra le due ottave della propria normale gamma. Ogni nota deve essere eseguita senza sforzo, con una sensazione di grande scioltezza e con l'impressione di "liberare" la voce senza minima ombra di rigidità. Se ciò non avviene vuol dire che per cattiva gestione del proprio strumento vocale si sta forzando su posizioni vocali sbagliate, e non si è trovato l'equilibrio perfetto tra fiato, risonanze, e posizioni laringee (registri e relativi passaggi, 2 passaggi e tre registri per le voci femminili, 1 passaggio e due registri per quelle maschili).

VIDEO: SPIEGAZIONE SULLA DIFFERENZA TRA SUONI APERTI E COPERTI
E PASSAGGIO DI REGISTRO
CON RELATIVI ACUTI



COMPARAZIONE TECNICA DI SUONI "RACCOLTI" NEL PASSAGGIO DI REGISTRO

Grandi cantanti lirici che hanno parlato dell'esigenza assoluta di non aprire i suoni, bensì "raccogliere" e "coprire" nel passaggio di registro e l'hanno applicata nella pratica canora sono ad esempio stati: Pertile, Borgioli, Gigli, Lázaro, Masini, Battistini, Stracciari, Milanov, Peerce, Corelli, Gedda, Bergonzi, Pavarotti e Benelli

Diamo parola ad alcuni dei più grandi cantanti conosciuti, che spiegano molto chiaramente come affrontare il passaggio di registro verso la zona acuta.



Il tenore Aureliano Pertile :
« Il Maestro Bavagnoli mi fece capire in brevissimo tempo la ragione della mia difficoltà alle note acute: tenevo i suoni bassi e centrali troppo abbandonati e aperti. Allora raccolsi la voce tenendola sempre leggera seguendo il sistema seguente. Iniziavo un esercizio a scala con una A rotondata quasi ad O e man mano che salivo, raccoglievo sempre di più il suono e colore arrivando al passaggio e alle note acute con un O scuro. (...) Compreso bene il sistema continuai ad usarlo scrupolosamente ed acquistai, tenendo leggero il centro, la facilità di tenere raccolta e alla maschera la voce che sempre più facilmente saliva agli acuti. »

(da: Domenico Silvestrini - "Aureliano Pertile e il suo metodo di canto" - Bologna, Aldina Editrice, 1932)



Il tenore Dino Borgioli :
« A proposito della conferenza sul canto che ho tenuto all'Università di Parigi [nel 1936], vi furono diverse sessioni ufficiali della sovvenzionata Accademia di Canto, guidata da Thomas Salignac [tenore e prof. di canto lirico]. (...) al tenore Borgioli, che si trovava là accidentalmente, fu chiesto da A. Magne: "Che emissione usa Lei negli acuti?" "Si deve coprire tra il MI e il FA, e man mano che si sale si deve coprire maggiormente, però lasciando la gola rilassata." »

(da: Celestino Sarobe, allievo di Mattia Battistini, baritono e "Profesor de Canto y Alta Opera del Conservatorio del Liceo" - "Venimécum del Artista Lírico" - Barcelona, 1947)






Il tenore Beniamino Gigli :
« Il passaggio vocale dal fa al fa diesis che prepara tutta la gamma. Dal FA al FA DIESIS bisogna chiudere, appoggiarsi un po' sulle vie più alte. Così...
La mia maestra mi diceva: chiudi, chiudi, chè viene il FA. Io chiudevo ma non mi riusciva a capire in che cosa consistesse quel chiudere e allora il mio FA usciva sordo, opaco, così...
Aprire certi suoni è dannoso per gli studi successivi che l'esordiente dovrà affrontare. Non colpi di glottide, ma legature, così... appoggiarsi. » (E ripete il passaggio vocale d'ottava, in FA, scivolando sul FA DIESIS con una facilità stupefacente, unica, la sua.)
« Per questo basta tenere la gola aperta. A Santa Cecilia, Cotogni mi diceva di far prendere alla gola la posizione dello sbadiglio, e, a settantadue anni, me lo insegnava come faccio io adesso. » (E l' "appoggio coperto" di Gigli risuona ancora, ineguagliabile, nella sala.)

(dall'articolo di giornale, "Milano. Gigli, insegnaci a cantare" - Il Popolo d'Italia, 1 marzo 1938 - Masterclass di Bel Canto di Beniamino Gigli al Conservatorio di Milano - 28 febbraio, 10 marzo 1938)





Il tenore Hipólito Lázaro :
« Comincerai a posizionare la voce al "ponte" a partire dal "la" del secondo spazio del pentagramma, "si" e "do". Da quest'ultima nota, fino ad arrivare all'ottava del "la" naturale, dovrai posizionare il fiato al ponte, poco a poco, come ti ho detto, con l'idea di scurire il suono con le vocali "OU" legate, per ottenere lo stesso suono, come ti ho indicato nella seconda lezione. Ripeterai quest'esercizio finché non sarai convinto di aver ottenuto il risultato desiderato. Continuerai poi l'esercizio sulle note "re", "mi bemolle", "mi naturale", "fa", "fa diesis", "sol", e per fare "sol" diesis e "la" ti risulterà facile - se terrai il fiato ben controllato - fino ad arrivare alla nota più acuta che tu riesca ad emettere. »

(da: Hipólito Lázaro - "Mi método de canto", 1947)




Il tenore Galliano Masini :
« Io tenevo larga la gola, poi passare da Fa – Fa diesis – Sol raccoglievo e preparavo il suono per andar su. Tutto sta in Fa – Fa diesis – Sol da mettere a posto: questo è il fondamento per andare su. Se vogliono cantare i giovani devono raccogliere questi suoni, ma non imbottigliarli o intubarli. »

(da un'intervista effettuata a Livorno al celebre tenore Galliano Masini ottantenne il 6 dicembre 1976 nel circolo lirico a lui dedicato)



Il baritono Mattia Battistini :
« Dunque, facciamo una scala: do, re, mi, fa; vediamo che la voce inizia ad incontrare difficoltà sul Fa diesis (stiamo parlando della voce di baritono). Sul La bemolle le difficoltà diventano insormontabili. Siamo al cambiamento della natura del suono o il citato cambio di registro. Battistini mi dice: “Inizia a pronunciare meno A; mischiala con O a partire dal Fa diesis.” Egli lo fa e le note risultano perfette, piene, sonore, senza sforzo. Per me sono difficili; è come se mi perdessi nel vuoto. Ma con quel misto di A ed O, escono meglio. Al La bemolle odo che egli sta pronunciando in modo molto schietto la vocale O. Lo faccio anch'io. Arriviamo a Do diesis 3 e Re, e poi ho udito il Battistini pronunciare U. Non posso seguirlo. E' per me impossibile emettere un buon suono sulla U. Sento come se mi si chiudesse la gola, e perciò provo invece con una O. Don Mattia non lo consente; egli emette una vocale U libera e sonora. "Don Mattia," chiedo: "Perché dobbiamo lavorare con la vocale U?" "Ragazzo mio", rispose, "questa difficoltà durerà un bel po', ma quando questa U risuonerà bene a partire da Do diesis, l'intera voce sarà posizionata, alta e avanti. Ogni suono uscirà libero, la gola rilassata e tranquilla."
Vedete gli esercizi vocali che faceva Caruso: le note basse su A, le centrali su O, e le alte su U. Bonci chiamava la U la vocale salvatrice delle note acute. »

(tratto da: Conferenza data all'Istituto di Studi Ispanici dell'Università di Parigi l'11 gennaio 1936 in: "Venimécum del artista lírico" di Celestino Sarobe, Prof. di canto e grand'opera del Conservatorio del Liceo - Barcelona, 1947)



Il baritono Riccardo Stracciari :
« La vocale A si trasforma in O nelle note acute specialmente, per tenore dal FA naturale, per baritono dal MI bemolle e per basso dal RE naturale, perché pronunciandole aperte diventerebbero schiacciate e di timbro sgradevole. »

(da alcune pagine manoscritte, rinvenute nell'archivio storico di casa Stracciari, presso la nipote in Ferrara, Eliana Nappi Stracciari, pubblicate all'interno dell' LP "Riccardo Stracciari", Mizar Records, 1980)



Il soprano Zinka Milanov :
- Cosa mi dice del passaggio più acuto nella voce del soprano, sul secondo FA sopra al do centrale?

"Quando è pesante, è un omicidio! E' quello più delicato. Molti soprani hanno problemi sul Fa. Vi spingono troppo, dovrebbe essere coperto quel suono." (...)
"Quando si colpisce - a volte è necessario, come ad esempio, 'Suicidio' (FF su FA diesis del passaggio) - ha bisogno di un piccolo attacco morbido, il suono non è mai così grande come quando si fa un attacco morbido e poi un crescendo", ella disse.

(tratto da una intervista al soprano Zinka Milanov condotta dal basso Jerome Hines, riportata in: J.Hines - "Great Singers on Great Singing", Doubleday, 1982)









Il tenore Jan Peerce :
- "Cosa mi dice del cambiamento nella voce quando si sale attraverso il 'passaggio' ?" domandai. "Non c'è un mutamento nella laringe?"

"Beh, per natura faccio sempre un suono 'misto' sul FA (primo FA sopra al DO centrale). Copro sul FA diesis, ma il FA non viene lasciato comunque aperto."

(tratto da una intervista al tenore Jan Peerce condotta dal basso Jerome Hines, riportata in: J.Hines - "Great Singers on Great Singing", Doubleday, 1982)



Il tenore Franco Corelli :
« Ci sono molte belle voci che non hanno trovato la via alle note acute... come "girare" gli acuti. Una cosa è molta chiara: se si produce un suono nella voce media e poi si sale alla zona del "passaggio", cantando con lo stesso tipo di suono, non funzionerà. Si deve fare un cambiamento nel salire, altrimenti... [Egli cantò "A" su una scala salendo attraverso il "passaggio" sino alla voce acuta senza cambiare il colore della vocale. Ne risultò un urlo a squarciagola.] »

- "Dunque si deve andare da "A" nella voce media ad "U" nella voce acuta, con "O" situato circa in mezzo."
« L'hai spiegato chiaramente. Ora questo famoso "passaggio", tra una nota collocata normalmente nella voce su "A" e la nota acuta su "U", va più in maschera, va più in alto [nel posizionamento]. Parlando praticamente, questo è il percorso. Quasi tutti sanno che il "passaggio" va arrotondato. Se si canta una "A" aperta si può arrivare sino a un Fa diesis. Ma se si cerca di mantenerla come "A", non girerà per lo meno fino al Sol diesis, perché allora si starà aprendo, disperdendone il suono. »

- Franco, quando sali nel "passaggio", crei un poco più di spazio nella gola?
« Beh, un'apertura generica, inclusa la bocca, è necessaria. »

- "Dunque questo arrotondamento del "passaggio" di cui parlavi, è aprire di più la gola?"
« Ovviamente. Ma tutto questo dovrebbe essere messo in atto con l'aiuto di un buon insegnante. »

(tratto da una intervista al tenore Franco Corelli condotta dal basso Jerome Hines, riportata in: J.Hines - "Great Singers on Great Singing", Doubleday, 1982)



Il tenore Nicolai Gedda :
« Noi tenori abbiamo quelle difficili note nel passaggio−Fa diesis, SOL−che va superato. Come tenore, per la posizione nella gola attorno a FA diesis e SOL, si deve pensare di sbadigliare ancor più. La AH dovrebbe essere coperta. Mi è stato insegnato di pensare più a una OH. Non può essere una AH aperta, come nel registro inferiore. »

(tratto da una intervista al tenore Nicolai Gedda condotta dal basso Jerome Hines, riportata in: J.Hines - "Great Singers on Great Singing", Doubleday, 1982)



Il tenore Carlo Bergonzi :
« Oggi abbiamo le stesse voci di cento anni fa, non è cambiato niente. Ma i maestri e direttori dicono che questo modo di cantare è antico. La tecnica invece è una sola perché le note sono sempre le stesse. Oggi si sentono voci forzate, non naturali: di forza si fa tutto, ma solo appoggiando il fiato otteniamo il fraseggio e l’espressione vocale. (...) la voce deve essere sempre coperta e tirata sulla maschera ricorrendo al fiato, altrimenti il suono non gira. (...)
Oggi è difficile sentire il bel canto verdiano, io sento belle voci ma tutte uguali, non c’è l’arco, non c’è l’espressione, non c’è il fraseggio, non c’è l’appoggio della nota. Ogni autore ha un’interpretazione, una posizione ed un fraseggio, ma il fraseggio più difficile è quello verdiano. (...) Tornando a parlare di tecnica nella frase “Celeste Aida, forma divina” bisogna avere il fiato a posto. Bisogna coprire il suono perché sui finali non scappi e non si rompa la nota. Quest’aria, insieme a “O tu che in seno agli angeli” da La forza del destino, è una delle più difficili per il tenore, questa in particolare, secondo me, è la più difficile in assoluto.
In “Sacerdote, io resto a te” la difficoltà è che siamo alla fine del terzo atto e hai dovuto cantare “Io son disonorato” che è tutta sulle note difficili del passaggio. E’ facile che la voce vada indietro, bisogna tenere il fiato naturale e farla passare sul fiato. »

(da un incontro con Carlo Bergonzi - Parma, Casa della Musica, 11 ottobre 2008)






Il tenore Luciano Pavarotti :
« Il tenore ha un passaggio quasi obbligato in generale (...) il tenore di solito incomincia a "chiudere" i suoni, o a "raccogliere", per meglio dire, verso il fa-fa diesis e sol (...) è un suono al quale il giovane difficilmente crede e, però, è un suono che produce nella voce, tecnicamente parlando, anatomicamente parlando produce nella voce un riposo delle corde vocali che saranno poi pronte, quando la voce sale a note più alte, a vibrare con più elasticità e quindi a prendere gli acuti con una certa facilità, gli acuti che vanno dal si bemolle fino al si naturale e al do, che sono le note più impervie per un tenore. Dico che nessuno ci crede perché nella gola succede un procedimento tale che sembra un suono soffocato a chi lo fa, di fuori invece è un suono che ha una certa nobiltà, che dà alla voce una caratteristica di cantante serio (...) è difficile crederci però i risultati sono sempre piuttosto notevoli perché una voce anche se è piccola ma che incomincia a "raccogliere" questi suoni in partenza avrà sempre uno sviluppo naturale e sarà sempre un passo avanti l'altro che farà per tutta la carriera, basta che logicamente continui a seguire questa tecnica vocale. Chi non fa questo, chi comincia ad "aprire" può essere una cosa anche più eccitante, diciamo così, il sentire una voce "aperta" in certi suoni di passaggio, però se questa, da una eccezione, che dovrebbe essere, diventa una regola generale credo sicuramente che la voce, anche la più bella, la più meravigliosa, dopo un po' di tempo finisca per logorarsi, finisca per sfibrarsi, e, proprio per il discorso che abbiamo fatto prima, cioè quello delle corde vocali che riposano "chiudendo" i suoni, "aprendoli" invece le corde si sfibrano, incominciano ad arrivare con grande difficoltà prima al si naturale, poi al si bemolle, poi al la, e soprattutto non riescono a incominciare una frase, per esempio come "Che gelida manina" riposate, quindi quando la voce comincia a stancarsi si dice "voce vecchia" anche di un ragazzo di vent'anni (...)
Si sente il pubblico, quando il pubblico ad una nota fa "oh..." vuol dire che c'è qualche cosa che non va, lui non lo sa il motivo, un tecnico può anche sapere il motivo, noi analizzandolo sappiamo il perché, per esempio in "Nessun dorma", novanta casi su cento, io ti so dire dalla nota precedente se il tenore farà bene il si naturale, immediatamente, perché se fino a lì è arrivato con un certo controllo del "raccolto" è facile che lo faccia bene, viceversa è facile che lo stecchi o che faccia un brutto suono. (...)
Considerando la teoria che ho enunciato prima, si cerca di indirizzarla su questi suoni "chiusi" e in questo ci vuole una grandissima fiducia, secondo me, dell'allievo e deve ciecamente fidarsi dell'insegnante quando gli dice che un suono è bello, anche se lui dentro la gola e nelle sue risonanze, con i suoi orecchi quindi, lo sente brutto. (...) E' specialmente per questi suoni, ecco perché ripeto ancora quello che ho detto prima, tu vai in giro per il mondo, vengono degli allievi in camerino da te a dire: "Ma come canta bene, ma che meraviglia, ma che facilità, ma come fa Lei a cantare...". E tu dici: "Io chiudo il fa, il fa diesis e il sol". E loro dicono: "Eh, io lo apro". Il discorso è proprio di una fiducia che l'allievo deve avere, poi logicamente se si parla in generale, non esiste maestro di canto bravo e non esiste allievo bravo, esiste un bell'incontro. »

(da "Scuola di canto", presentata da Mirella Freni e Luciano Pavarotti, Modena, 1976)


« ...tecnicamente parlando, fisiologicamente parlando, il suono dev'essere "coperto". Coprendo il suono, le corde vocali che in generale vibrano totalmente, sono in una posizione di riposo che ti permette di salire in cima molto facilmente poiché sono fresche. Non solo questo, ma ti permettono di produrre un suono nobile invece di un suono bianco e strozzato. E questa, per me, è la chiave dell'intera situazione. Volete un esempio?
Potete fare (egli mostra con l'esempio, cantando un arpeggio ascendente su fa diesis, un'emissione aperta sul passaggio) Sospetto di strozzamemto, eh!
Se voi fate (egli mostra con l'esempio, cantando il medesimo arpeggio su fa diesis, un'emissione coperta e libera sul passaggio) Non faccio maggior fatica, è più facile... dopo vent'anni, naturalmente, ma... con il sostegno del diaframma, e quando faccio questo suono le corde vocali vibrano proprio nel mezzo non in fondo, sono in una posizione di riposo. Allora posso realizzare ciò che segue molto facilmente, saltando all'altro suono (più alto) come fa un animale. E' la verità, è un po' la stessa cosa, se state molto attenti fino a quella zona in modo da poter essere totalmente liberi. »

Masterclass of tenor Luciano Pavarotti at the Juilliard School of Music, 1979


« Una delle cose più difficili da padroneggiare è il "passaggio". Quasi tutti i cantanti non hanno una sola voce, ma tre: il registro basso, il registro medio e il registro acuto. Quando devi passare dall'uno all'altro, è come cambiare bruscamente di marcia: il mutamento di registro è avvertibile.
La prima cosa che un cantante deve fare è imparare dove si trovano questi passaggi ed esercitarsi a controllarli in modo da ridurre al massimo il mutamento di voce. L'ideale sarebbe che gli ascoltatori non se ne accorgessero affatto, perché la tua voce rimane uniforme da una estremità all'altra della tua estensione vocale.
Qui le cose variano molto da cantante a cantante. Alcuni hanno soltanto due registri e quindi un unico passaggio di cui preoccuparsi. (...)
Il passaggio è molto importante anche in rapporto agli acuti. Se lo spostamento dal registro medio a quello superiore è fatto nel modo corretto, la voce si apre meglio e quei SI acuti o DO di petto hanno maggiori probabilità di essere penetranti e sicuri. (...) È un po' come superare la barriera del suono. L'infrangerla nel modo giusto influisce su ciò che avviene una volta passati al di là.

Infine, oltre alla sua importanza in rapporto agli acuti, il passaggio è un punto cruciale perché c'è il pericolo che la voce si spezzi o si producano altri suoni sgradevoli: un altro motivo per tenere queste note sotto stretto controllo. »

Luciano Pavarotti - "Sul canto e l'interpretazione",
da: "Pavarotti My Own Story", Doubleday, 1981 (a cura di William Wright)

Leone Magiera, il pianista di Pavarotti :
« Ci si accorgerà che cantando le vocali molto chiare, particolarmente nella zona di passaggio, il suono perde la posizione, diventando ingolato e sguaiato (in gergo tecnico "schiacciato").
Con l'opportuno e discreto processo di oscuramento consigliato sopra, che può essere agevolato dal pensare, cantando la I, la E e la A, al suono della parola francese fleur oppure ad una u lombarda, la maschera dovrebbe essere prontamente riconquistata. C'è chi trae giovamento, anziché dal pensare alla eu francese, addirittura dal pensare a una o scura, se non a una u pronunciando una vocale chiara. Con questi accorgimenti si superano anche molti problemi di disuguaglianza della voce nei passaggi di registro.
Prendiamo per esempio la voce di tenore e diciamo che dal do basso al mi bemolle in quarto spazio la pronuncia delle vocali può essere più chiara e aperta. Dal mi bemolle in su, si inzierà a oscurare (chiudere o raccogliere in gergo tecnico) il timbro delle vocali chiare. Non per questo la voce risuonerà meno sonora: al contrario, la proiezione del suono sulla maschera ne eviterà la caduta in gola e faciliterà l'emissione, a tutto vantaggio della qualità del suono e con un minore sforzo delle corde vocali.
Su questa tecnica del suono raccolto nella zona di passaggio, non tutti sono d'accordo. Non mancano alcuni puristi, che (...) non tollerano quello che considerano uno snaturamento, una violenza all'esatta pronuncia della lingua italiana. E' un parere rispettabilissimo sul piano teorico.
Su quello pratico, però, si è sempre visto che la quasi totalità delle voci che non usano la tecnica del suono raccolto nella zona di passaggio, finisce col rovinarsi dopo pochi anni di attività. (...)
L'abuso dei suoni aperti è stato presto fatale a Di Stefano: primo a risentirne è stato il registro acuto, raggiunto sempre più a fatica; poi tutta la voce ha accusato lo sforzo di questi suoni; belli, sì, ma prodotti cantando "sulle corde" e non sulla maschera. (...)
Pavarotti, che ha sempre molto ammirato e ascoltato la lezione interpretativa di Di Stefano, non ha però mai ceduto alla sirena incantatrice dei suoni di passaggio aperti: pur possedendoli anch'egli bellissimi e non disdegnando di usarli eccezionalmente, in particolari momenti interpretativi.
Al contrario, la sua tecnica del suono raccolto è veramente da manuale. Appresa da Arrigo Pola e non dimentichiamolo, derivante da Enrico Caruso attraverso Luigi Bertazzoni - con orecchio attento ai cantanti contemporanei Carlo Bergonzi e ancor più, Gianni Raimondi, un vero fanatico del suono chiuso - Pavarotti riesce a raccogliere mirabilmente tutta la zona di passaggio senza dar l'impressione di sacrificare troppo l'esatta pronuncia delle vocali chiare. »

(da: L.Magiera - "Luciano Pavarotti, Metodo e Mito" - Ricordi, 1990)



Il tenore Ugo Benelli :
« Per me il passaggio... bisogna cominciare a stare attenti dal mi bemolle in su, perché c'è il pericolo di aprire i suoni e i suoni perdono il fuoco e non raggiungono il pubblico, e se cominci a farlo dal mi bemolle questo ti evita di spingere perché se cominci a farlo dal fa o dal fa diesis questo ti porta a spingere... e in una discussione con Luciano (Pavarotti) anche lui mi ha detto che cominciava a pensarci dal mi bemolle. »

Articolo del M° Astrea Amaduzzi e del M° Mattia Peli, fondatori di Belcanto Italiano ®.

Estratto dall'intervista-incontro di Belcanto Italiano ®, a cura del soprano e docente di tecnica vocale Astrea Amaduzzi e del M° Mattia Peli - Genova, 14 aprile 2016



Corsi di canto e lezioni con il M° Astrea Amaduzzi e il M° Mattia Peli,
fondatori di Belcanto Italiano ®,
a Ravenna:

http://www.amaduzziastrea.com/contatti/



giovedì 9 novembre 2017

LA VOCE IN MASCHERA NEL CANTO LIRICO, O SIA IL SUONO "AVANTI"

IL SUONO IN MASCHERA NEL CANTO LIRICO, O SIA IL SUONO "AVANTI"
di Astrea Amaduzzi

Questo articolo è la prefazione dell'articolo

La verità della "maschera" spiegata dal tenore Aureliano Pertile



"Ho qualche dubbio sulla tecnica vocale che mi hanno insegnato, soprattutto perché dopo anni di studio io mi sforzo e arrivo a sentire dolore ed essere afono, cantare non dovrebbe essere altro?"

Questo è quanto mi sento dire troppo spesso. La domanda successiva la faccio io:

"Che cosa ti hanno spiegato sulla tecnica vocale?"

E questa, è la risposta agghiacciante che arriva puntuale:

"Non ho capito molto sulla respirazione, mi hanno detto che devo respirare poco (n.d.r. qualcuno è arrivato a dire "non respirare perché il corpo respira da solo").... e poi mi hanno detto di mandare il suono indietro, verso la nuca, verso il muro".


No, non va bene.
Chi vi dice di non respirare o respirare poco, o respirare senza muoversi
è un assassino della voce.
Chi vi dice di mandare il suono indietro, nel muro, nella nuca,
è un assassino della voce.
Chi vi dice di cantare infilandovi oggetti o pugni nella bocca
è un assassino della voce.
Non si può riuscire a cantare repertorio operistico in questo modo, perché la voce si blocca.
Sprecare anni di vita e possibilità dietro queste falsità sulla tecnica vocale vi farà solo un gran male.

Ricordo come fosse ora la mia prima lezione di canto, ero felicissima e piena di curiosità perché cantare - già lo sentivo - era la cosa che più amavo fare. Avevo 12 anni.
Il Maestro prima di iniziare ad ascoltare la mia voce mi disse poche cose che sarebbero state un faro luminoso per la mia vita nel canto.

"Astrea, che bel nome che hai! Sentiremo la voce, ma prima devi sapere come funziona il tuo strumento. Perché la voce deve essere impostata. Prima di tutto per imparare a cantare bene devi saper respirare bene, con una respirazione ampia e profonda e in basso, con la pancia, vedi?" 

Il Maestro mi fece vedere come respirava mentre mi faceva sentire i muscoli addominali che funzionavano benissimo... pancia in fuori!

E poi mi fece sentire un vocalizzo su tre note congiunte in una zona media della voce di tenore - con una o sonora e robusta, quillante e ricca di armonici.

"Ecco!" - disse il Maestro - "vedi? Morbida, morbida qui (si toccava la mandibola) come uno sbadiglio! E poi il suono dev'essere mandato su, AVANTI, IN MASCHERA, prova a cantare così!"

Dopo un brevissima prova d'intonazione, mi face fare tre suoni congiunti sulla vocale O.

"No, non va bene, senti che non va su? Il suono deve girare e andare in MASCHERA, AVANTI" (Il Maestro indicava con il dito in diagonale verso l'alto all'altezza del naso) "La maschera è importantissima, perché la voce si deve amplificare in modo naturale, con il sostegno del fiato, adesso prova con la U"

Ripetei la successione di note sulla U in una zona centrale e comoda della mia estensione e... come per magia la mia voce squillò e si fece brillante e sonora

"Ma che bella voce Astrea, tu sei un usignolo! Ecco, e adesso dove hai messo la U metti la O e tutte le altre vocali!"

Il Maestro mi aveva insegnato le basi più semplici, vere e profonde del sistema tecnico - vocale migliore che ci sia con una facilità disarmante, e questo è quello che io insegno tutt'ora ai miei Allievi.

Che cos'è il SUONO IN MASCHERA o SUONO AVANTI?

E' un sistema che serve a rendere la voce brillante, squillante, potente ed efficace (anche nelle condizioni acustiche più infelici!)...

Il fiato passa attraverso le corde vocali e - permettetemi un termine "pittorico" - si "tinge" delle vibrazioni delle corde vocali, ma questo non basta. Questo flusso d'aria che porta il prezioso carico sonoro con sè, deve essere indirizzato soprattutto nella parte centrale e bassa della voce in alto. Un'immagine utile può essere quella di immaginare di dirigere il suono "verso il naso" e "avanti"

- senza naturalmente far confusione tra "suono in maschera, avanti" e "suono nasale" che invece è da evitare.

Il "SUONO IN MASCHERA" è ricco, vivo, brillante e bello, il SUONO NASALE è ovattato, sgraziato, costretto e difficile da formare  e ricorda lontanamente...  il timbro di un'oca!


Pronunciando la vocale U su una nota media della vostra prima ottava (ad esempio per soprani e tenori il SOL), non farete altro che questo, sollevando il palato molle farete in modo che le vibrazioni prodotte in gola mettano in vibrazione quella che appunto viene identificata "MASCHERA" ovvero cartilagini del naso e zigomi.

Non aspettatevi enormi vibrazioni; sentirete vibrazioni lievi e un suono che schizza in alto da solo, ricco e penetrante, più potente certamente di un normale suono che resti bloccato in gola. Il canto lirico parte da questo punto e con l'aiuto di un vero bravo Maestro, attraverso adattamenti vocalici e cambi di posizione soprattutto mandibolari, sviluppa una totale facilità di emissione sempre più alta e potente sia nelle note più acute che in quelle più basse. 

Il canto lirico è facile, se sentite fatica in gola, muscoli e costrizione nel collo siete sulla strada sbagliata. Il suono dev'essere non troppo largo ma squillante e penetrante, queste caratteristiche lo renderanno naturalmente potente.

Sulla voce in maschera alcuni cantanti che hanno fatto la storia dell'opera italiana hanno scritto cose assai chiare, altre meno semplici, ma tutte assieme aiutano a spiegare come meravigliosamente perfetta sia questo tipo di emissione.

L'importanza del suono proiettato in maschera determina anche la buona riuscita del "famoso passaggio" di registro agli acuti, esattamente come spiegato dal leggendario tenore Aureliano Pertile:

"...Può accadere che, invece di appoggiare più ALLA MASCHERA in maniera che automaticamente il suono si raccolga e arrotondi di per se stesso, lo chiuda, irrigidendo i muscoli del collo e quindi strozzando la gola: in tal modo il FA e il FA DIESIS diventano scuri come il SOL, baritoneggianti, mentre nella colonna vocale (che ha l'appoggio sul diaframma a mezzo del fiato, e l'altro polo di corrispondenza vibrante nella MASCHERA facciale) avviene una strozzatura in corrispondenza della parte posteriore del faringe. È facile comprendere come detta strozzatura dia una forte fatica alle corde vocali; impedisca la libera e facile emissione del suono, e permetta di cantare malamente solo con la gioventù e la forza.
Il cantante diventa rosso, quasi cianotico e salta senza nessuna gradazione dalle note di passaggio alle note così dette chiuse (raccolte al massimo) del registro acuto."

Pertile prosegue spiegando che un suono perfetto nei centri, con relativo accomodamento delle note di passaggio al registro acuto, e conseguente meravigliosa emissione acuta senza sforzo, è l'indice della vera perfezione nel canto:

"La fusione del colore di queste tre note, "Fa, Fa diesis, Sol", emesse con progressivo appoggio alla maschera, costituisce la perfezione canora."

(Citazioni di Pertile tratte da: Domenico Silvestrini - "Aureliano Pertile e il suo metodo di canto" - Bologna, Aldina Editrice, 1932)
"PROGRESSIVO APPOGGIO ALLA MASCHERA", che vuol dire?
In altre parole Pertile spiega le proprie sensazioni vocali, e ci illustra come il suono anche salendo non sia costretto, ma galleggi "appoggiato", "aiutato" da un flusso d'aria che sia capace di levitare alla cosiddetta "VOCE DI TESTA" o voce di zona acuta.

Lasciare la laringe libera di muoversi nel passaggio di registro e negli acuti è la chiave di volta per concquistarli sicuri e sonori, semplicemente sostenendo poco più con il fiato e adattando le posizioni mandibolari a un sistema perfetto.

Il canto lirico è un canto IMPOSTATO, la stessa Luisa Tetrazzini, leggendario soprano capace di essere udita da migliaia di persone all'aperto, ci ha lasciato una bellissima testimonianza sull'impostazione vocale nel canto lirico:

«(...) si è soliti istruire l'allievo a cantare "avanti", "dans le masque" (IN MASCHERA), e così via, ma andrebbe capito con chiarezza che sebbene tali termini siano utili dal punto di vista pratico, ciò nonostante sono solo un "façon de parler" (modo di dire), e un mezzo per istruire l'allievo ad aggiustare ed adattare l'intero apparato vocale, per così dire, nel modo più efficace possibile. (...)
Alcuni fortunati, come me, possiedono voci che sono già perfettamente posizionate per Natura. (...) Tuttavia, nella stragrande maggioranza dei casi la voce dello studente non è naturalmente posizionata in modo da dare i migliori risultati. Vale a dire che con un'istruzione e una formazione adeguate si può ottenere di produrre risultati migliori—suoni più armoniosi, maggior suono, più risonante, e così via - ed è qui che l'assistenza d'un insegnante esperto e capace non ha prezzo.
»
(dal capitolo "Placing the voice" del libro "How to sing" di Luisa Tetrazzini pubblicato nel 1923)
Anche il baritono Titta Ruffo ci parla delle sue sensazioni vocali identificabili proprio con quelle che si definiscono di "suono in maschera":

«(...) credo che uno studente di canto, dopo aver ben piantata la voce nelle fondamenta – cioè dai suoni più gravi fino alle estreme note alte, sempre composta, libera, appoggiata, riunita tutta AL DI SOPRA DEL PALATO, senza contrazioni muscolari (...) possa con l'esercizio riuscir a formare tutti i colori di una tavolozza sonora, ed esprimere così tutti quanti i moti dell'anima in tutte le loro tinte e i chiaroscuri. Certo non è cosa né facile né breve. A perfezionare la voce umana, diceva giustamente uno de' più geniali e dotti artisti, Antonio Cotogni, occorrerebbero due vite: una per studiare, l'altra per cantare.»
(da: Titta Ruffo - "La mia parabola" - Fratelli Treves Editori, 1937) 
 
E anche il tenore Beniamino Gigli insiste sul suono "AVANTI". 

"(Gigli accenna cantando): «Senza cambiare nulla io canto sempre lì» !!! (...) ora la dizione nostra è chiara, è semplice, è così, AVANTI e come la voce nostra noi portiamo sempre, è vero, questa voce, sempre la voce AVANTI"
(Masterclass di Beniamino Gigli a Vienna nel 1955)
Un altro leggendario tenore, Giacomo Lauri Volpi ci insegna:

"Infatti la MASCHERA facciale corrisponde al timbro e il timbro alla maschera. Un timbro chiaro, schietto, armonioso è proprio di chi sa ben respirare e modulare gli armonici (...)
Per MASCHERA non è da intendersi la cavità nasale soltanto. E la risonanza nasale non va identificata col suono nasale."

E poi ancora sul suono su posizioni "alte":
"Per ottenere l'A estetica, tecnica, artistica, sarà sufficiente illuminare la mente con l'idea della "verticalità" del suono."

"(...) Qualunque nota, a qualunque regione appartenga, va collocata in corrispondenza dei seni frontali in modo che, per "simpatia", partecipino alle risonanze anche le cavità etmoidali sfenoidali mascellari nasali. Collocata la prima nota le altre seguiranno sul filo del soffio che produce le meraviglie del "cantar legato" e del "legar cantando". Una sola nota che devii da quel "curriculum" sbanda le ulteriori. E la frase musicale apparirà come un tessuto scucito."
(da: Giacomo Lauri-Volpi - "Misteri della voce umana", 1957)
Anche il soprano Licia Albanese parla della voce in maschera:

"(...) Ma il suono dovrebbe uscire...attraverso la MASCHERA...brillante e vivo. (...) Tutto IN MASCHERA...rotondo...bello...facendo attenzione alla bellezza."
Il tenore Franco Corelli, che studiò per oltre 10 anni con il grande Giacomo Lauri Volpi così ci parla della maschera:

" (...) la cosa importante è che, se si "percepisce" la voce che batte nella MASCHERA, significa che la voce e la gola sono libere. Perché quando la gola è libera, e si permette al fiato di passare con tranquillità, e le corde sono in salute, solo allora la voce batte nella MASCHERA."
 
E naturalmente anche Rosa Ponselle, soprano eccezionale scoperto da Caruso, parla della voce in maschera:
"Cosa ne pensa del posizionamento?"
«Si usa la MASCHERA... AVANTI,» ella rispose. «Si ha la sensazione che la faccia stia per staccarsi.»
- "Per le vibrazioni?"
«Sì.»
- "Lei usava la voce di petto?"
«Solo quando necessario, ma sempre IN MASCHERA
."

(Citazioni tratte da interviste condotte dal basso Jerome Hines, riportata in: J.Hines - "Great Singers on Great Singing", Doubleday, 1982)
Carlo Bergonzi, tenore dal fraseggio eccezionale e dalla vocalità facile e generosa ci parla della voce  IN MASCHERA:
«(...) la voce deve essere sempre coperta e tirata SULLA MASCHERA ricorrendo al fiato, altrimenti il suono non gira. (...)
il canto, quando la voce è a posto, è un divertimento. Non è una fatica! E’ una fatica quando si canta indietro.»
(da un incontro con Carlo Bergonzi - Parma, Casa della Musica, 11 ottobre 2008)
Il tenore Ugo Benelli parla del suono AVANTI:

"Intanto il primo passo è mettere la voce nella "Gnagnera", diciamo lì, anche se sa un po' di naso, non importa, basta che sia IN AVANTI." Perché le gallerie non si scavano tutte assieme, ora sì, si chiama "talpa", ma una volta... la galleria si scava piano piano, l'importante è andare avanti in questa galleria, capisci..."
Straordinaria anche la testimonianza di Virginia Zeani, allieva di Pertile:
"Da un punto di vista tecnico, ecco quel che io chiamo il mio sistema di canto: in italiano diciamo "raccogliere i suoni". Ciò significa che si devono raccogliere le vibrazioni, i "suoni", IN un punto, la MASCHERA, che consente alla voce d'essere brillante quanto più possibile con il minor sforzo possibile"

Quindi cari studenti di canto, vi ricordo ancora una volta:

NON CREDETE a chi vi dice di non respirare o respirare poco, o respirare senza muoversi.
NON CREDETE a chi vi dice di mandare il suono indietro, nel muro, nella nuca o nel "cappello del mago" (...)
NON CREDETE a chi vi dice di cantare infilandovi oggetti o pugni nella bocca.
NON CREDETE a chi vi dice che la maschera sia inutile.
NON CREDETE a chi vi dice scrive senza essere capace di fare esempi chiari.
NON CREDETE a chi vi dice che per imparare a cantare servano decine di anni.

Per dirla molto semplicemente trovo sia splendida la frase pronunciata da Birgit Nilsson che insegna come produrre la voce in maschera
"PIU' LEGGERO, PIU' AVANTI, PIU' NELLA "MASCHERA", TROPPA GOLA"


Non è una voce lirica quella che è povera d'armonici,
che non ha squillo, che non corre,
non è proiettata e quando l'emissione
non è pulita, limpida, ma sfocata, opaca, 
velata, con l'aria in mezzo alle corde, ingolata ed afonoide.

Al contrario, è voce lirica quella che viene mantenuta dal cantante
sempre ben "a fuoco"
in tutte le dinamiche dal Pianissimo al Fortissimo.

Come approfondimento dell'argomento si suggerisce la lettura dell'articolo: "LA VERITA' DELLA MASCHERA SPIEGATA DAL TENORE AURELIANO PERTILE"



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martedì 16 dicembre 2014

L'insegnamento del Canto Lirico da Maestro ad Allievo

Cari lettori, il nostro appassionante viaggio nel mondo del Belcanto prosegue  oggi mettendo un attimo in disparte le seppur utili "scienze esatte" della foniatria e dei libri, (i trattati nascono per tentare di frenare la progressiva e lenta decadenza del Canto) prendendo in considerazione autorevoli testimonianze dirette di grandi Cantanti che ci hanno preceduto.

Analizziamo quanto dicono il Falsettista Domenico Mancini e il Tenore Franco Corelli, e cioè che il Canto si impara ESCLUSIVAMENTE per trasmissione orale da Maestro ad Allievo.
L'Allievo canta una frase vocale, l'insegnante la ripete correggendola e l'Allievo nuovamente la esegue finché non è esatta.

1 - DOMENICO MANCINI: "IL CANTO SI FA PER IMITAZIONE" - Testimonianza del falsettista Domenico Mancini (Civita Castellana, 1891 - Roma, 1984), rilasciata in una intervista registrata negli anni '50:


Ecco il punto chiave di quanto dice il Falsettista Domenico Mancini nell'intervista:  "Moreschi… mi ascoltò e mi cominciò a dare delle lezioni, ma erano delle lezioni superlative, era sempre lui che cantava, io dovevo imitarlo, perché il canto come tutte le cose, come tutti i mestieri, si fa per imitazione. Era una cosa meravigliosa, io ero incantato dalla sua bellissima voce, e cercavo di imitarlo come ragazzo, avendo una gran passione per il canto." (...) ... "La tecnica...la tecnica è la stessa perché io dovevo imitare Moreschi, lo dovevo imitare, in tutto, come lui faceva, la sua scuola era quella."

Mancini, che intervistato diceva ci volesse l'espansivo ambiente acustico di San Pietro per conoscere bene la voce del castrato e l'effetto che faceva, descrive la voce del suo maestro così: 

"Quella del Moreschi era una voce di soprano, di vero soprano, che si differenzia da tutte le altre in quanto voce naturale che canta tutto di petto, poi quando va in acuto prende la voce di testa, e allora si sente il cambiamento della voce dal petto a quella della testa, è come se fosse un tenore che dal mi bemolle passa alla testa. La tecnica era quella dei cantanti dell’epoca d’oro."

Il Coro della Cappella Sistina nel 1904, diretto dal Castrato Domenico Mustafà (ultima fila, 5° da destra) e Alessandro Moreschi (fila centrale, 4° da destra)

2 - FRANCO CORELLI: "Si iniziava così, io facevo una frase o un vocalizzo, lui immediatamente la riprendeva, e mi diceva: "guarda, noi non ci fermiamo mai, cioè, fino a che io non mi fermerò tu la dovrai rifare, perché solo allora in questa maniera tu capirai che la nota, il vocalizzo o la frase va bene"; e allora era un vocalizzo dietro l'altro, una frase dietro l'altra..."




BREVE BIOGRAFIA DEL FALSETTISTA DOMENICO MANCINI:

Domenico Mancini fu allievo del celebre castrato romano Alessandro Moreschi (1858-1922), soprannominato "l'angelo del Vaticano", fu poi falsettista della Sistina (1939-1959) ed anche professore d'orchestra (come contrabbassista) nelle orchestre romane del teatro dell'Opera di Roma, del Teatro Augusteo e dell'Orchestra di Santa Cecilia.

La preparazione con Moreschi, iniziata nel novembre del 1904, gli permette l'ammissione alla Schola Cantorum di San Salvatore in Lauro a Roma, scuola dove hanno avuto la prima formazione musicale tanti celebri cantanti e maestri, fra i quali si annoverano il baritono Giuseppe De Luca, il basso Nazzareno de Angelis, il basso buffo Salvatore Baccaloni, il compositore Goffredo Petrassi, il compositore e direttore d'orchestra Bonaventura Somma, con il quale fu legato da una lunga amicizia.

Nel 1907 viene ammesso al Liceo Musicale dell'Accademia di Santa Cecilia, dove si diploma nel 1913 in contrabbasso.
Nel 1919 prende parte, insieme al coro delle Basiliche Romane, diretto dal Maestro Mons. Raffaele Casimiri ad una tournee negli Stati Uniti e in Canada. Sempre con lo stesso maestro partecipa a concerti in Francia, Belgio, Olanda e Svizzera. Con il Maestro Mons. Lorenzo Perosi partecipa nei primi anni Venti a diversi concerti tenuti in tutta Italia.

Nel 1922 è nel coro della Cappella Giulia in Vaticano chiamato dal Maestro Boezi che lo sceglie per rimpiazzare il posto di Moreschi come solista soprano - falsettista. Nel 1935 quando Mons. Lorenzo Perosi ottiene il ripristino del Coro della Cappella Sistina, il suo nome è il primo nella lista dei cantori presentata per l'approvazione della Santa sede.
Per un cinquantennio, prende parte come solista a tutte le più importanti cerimonie liturgiche della capitale, con i maestri Boezi, Renzi, Perosi, Cometi, Casimiri, Refice, Antonelli e Somma. Ha legami con quasi tutto il mondo musicale romano dell'epoca!

Ritornando al suo maestro di canto, chiamare come è stato fatto Moreschi "l'ultimo castrato" non è esatto. L'ultimo castrato solista della Sistina, sì, ma nel coro di quell'epoca c'erano altri sei castrati, molti di cui cantavano durante le sedute di 1902 e 1904: Giovanni Cesari (1843-1904), Gustavo Pesci (1833-1913), Giuseppe Ritarossi (1841-1902), Domenico Salvatori (1859-1909), Vincenzo Sebastianelli (1851-1919), e Giosafat Vissani (1841-1904). Dopo il "motu proprio" di Pio X del novembre 1903, quelli che c'erano ancora nel coro erano tenuti ad esaurimento e maturazione della pensione ma cantavano sempre meno.





Fotografia di Mascagni firmata "Al carissimo Prof. Alessandro Moreschi con stima e affetto, Roma 1898"
Il Tenore Franco Corelli (a sinistra) con il Tenore Giacomo Lauri-Volpi al pianoforte