Cari
lettori, il nostro appassionante viaggio nel mondo del Belcanto prosegue oggi mettendo un attimo in disparte le seppur utili "scienze esatte"
della foniatria e dei libri, (i trattati nascono per tentare di frenare la progressiva e lenta decadenza del Canto) prendendo in considerazione autorevoli testimonianze dirette di grandi Cantanti che ci hanno preceduto.
Analizziamo quanto dicono il Falsettista Domenico Mancini e il Tenore Franco Corelli, e cioè che il Canto si impara ESCLUSIVAMENTE per trasmissione orale da Maestro ad Allievo.
Analizziamo quanto dicono il Falsettista Domenico Mancini e il Tenore Franco Corelli, e cioè che il Canto si impara ESCLUSIVAMENTE per trasmissione orale da Maestro ad Allievo.
L'Allievo canta una frase vocale, l'insegnante la ripete correggendola e l'Allievo nuovamente la esegue finché non è esatta.
1 - DOMENICO MANCINI: "IL
CANTO SI FA PER IMITAZIONE" - Testimonianza del falsettista Domenico
Mancini (Civita Castellana, 1891 - Roma, 1984), rilasciata in una intervista
registrata negli anni '50:
Ecco il punto chiave di quanto dice il Falsettista Domenico Mancini nell'intervista: "Moreschi… mi ascoltò e mi cominciò a
dare delle lezioni, ma erano delle lezioni superlative, era sempre lui che cantava,
io dovevo imitarlo, perché il canto come tutte le cose, come tutti i mestieri,
si fa per imitazione. Era una cosa meravigliosa, io ero
incantato dalla sua bellissima voce, e cercavo di imitarlo come ragazzo, avendo
una gran passione per il canto." (...) ... "La tecnica...la tecnica è la stessa perché io dovevo imitare Moreschi, lo
dovevo imitare, in tutto, come lui faceva, la sua scuola era quella."
Mancini,
che intervistato diceva ci volesse l'espansivo ambiente acustico di San Pietro
per conoscere bene la voce del castrato e l'effetto che faceva, descrive la
voce del suo maestro così:
"Quella del Moreschi era una voce di soprano, di vero soprano, che si differenzia da tutte le altre in quanto voce naturale che canta tutto di petto, poi quando va in acuto prende la voce di testa, e allora si sente il cambiamento della voce dal petto a quella della testa, è come se fosse un tenore che dal mi bemolle passa alla testa. La tecnica era quella dei cantanti dell’epoca d’oro."
Il Coro della Cappella Sistina nel 1904, diretto dal Castrato Domenico Mustafà (ultima fila, 5° da destra) e Alessandro Moreschi (fila centrale, 4° da destra) |
BREVE BIOGRAFIA DEL FALSETTISTA DOMENICO MANCINI:
Domenico
Mancini fu allievo del celebre castrato romano Alessandro Moreschi (1858-1922),
soprannominato "l'angelo del Vaticano", fu poi falsettista della
Sistina (1939-1959) ed anche professore d'orchestra (come contrabbassista)
nelle orchestre romane del teatro dell'Opera di Roma, del Teatro Augusteo e
dell'Orchestra di Santa Cecilia.
La
preparazione con Moreschi, iniziata nel novembre del 1904, gli permette
l'ammissione alla Schola Cantorum di San Salvatore in Lauro a Roma, scuola dove
hanno avuto la prima formazione musicale tanti celebri cantanti e maestri, fra
i quali si annoverano il baritono Giuseppe De Luca, il basso Nazzareno de
Angelis, il basso buffo Salvatore Baccaloni, il compositore Goffredo Petrassi,
il compositore e direttore d'orchestra Bonaventura Somma, con il quale fu
legato da una lunga amicizia.
Nel
1907 viene ammesso al Liceo Musicale dell'Accademia di Santa Cecilia, dove si
diploma nel 1913 in
contrabbasso.
Nel
1919 prende parte, insieme al coro delle Basiliche Romane, diretto dal Maestro
Mons. Raffaele Casimiri ad una tournee negli Stati Uniti e in Canada. Sempre
con lo stesso maestro partecipa a concerti in Francia, Belgio, Olanda e
Svizzera. Con
il Maestro Mons. Lorenzo Perosi partecipa nei primi anni Venti a diversi
concerti tenuti in tutta Italia.
Nel
1922 è nel coro della Cappella Giulia in Vaticano chiamato dal Maestro Boezi
che lo sceglie per rimpiazzare il posto di Moreschi come solista soprano -
falsettista. Nel
1935 quando Mons. Lorenzo Perosi ottiene il ripristino del Coro della Cappella
Sistina, il suo nome è il primo nella lista dei cantori presentata per
l'approvazione della Santa sede.
Per
un cinquantennio, prende parte come solista a tutte le più importanti cerimonie
liturgiche della capitale, con i maestri Boezi, Renzi, Perosi, Cometi,
Casimiri, Refice, Antonelli e Somma. Ha legami con quasi tutto il mondo
musicale romano dell'epoca!
Ritornando
al suo maestro di canto, chiamare come è stato fatto Moreschi "l'ultimo
castrato" non è esatto. L'ultimo castrato solista della Sistina, sì, ma
nel coro di quell'epoca c'erano altri sei castrati, molti di cui cantavano
durante le sedute di 1902 e 1904: Giovanni Cesari (1843-1904), Gustavo Pesci
(1833-1913), Giuseppe Ritarossi (1841-1902), Domenico Salvatori (1859-1909),
Vincenzo Sebastianelli (1851-1919), e Giosafat Vissani (1841-1904). Dopo il "motu
proprio" di Pio X del novembre 1903, quelli che c'erano ancora nel coro
erano tenuti ad esaurimento e maturazione della pensione ma cantavano sempre
meno.
Fotografia di Mascagni firmata "Al carissimo Prof. Alessandro Moreschi con stima e affetto, Roma 1898" |
Il Tenore Franco Corelli (a sinistra) con il Tenore Giacomo Lauri-Volpi al pianoforte |
Sono in sintonia con il maestro che insegna frase per frase al proprio allievo non lasciandolo proseguire fino a quando la frase non viene cantata correttamente, lostesso vale per un vocalizzo. Sono contrario al canto per imitazione, nessuno può né mai deve imitare con la propria voce quella di un altro, ognuno di noi ha una voce esclusiva determinata dalla personalità e dal carattere e quindi deve sempre sviluppare la propria personalità e quindi la propria vocalità. Questo NON VALE per chi parla male. Allora il maestro di canto per prima cosa deve insegnargli l'uso corretto della voce parlata, soltanto dopo uno può accostarsi al canto. Ricordiamoci che: " il canto nasce dalla declamazione della parola (Donizetti)". A chi parla correttamente lo studio del canto sarà molto più semplice. Claudio Giombi
RispondiEliminaVede, caro Claudio Giombi, che non ci si capisce nemmeno tra italiani usando solo "la parola" che è sempre equivoca rispetto alla Musica. Qui con "canto per imitazione" non si voleva certo intendere l'imitare la voce di un altro, ma il ripetere da parte di Corelli decine di volte la stessa frase proposta decine di volte in un certo modo corretto da Lauri-Volpi era invece proprio quello che si intendeva con l'espressione "canto per imitazione"! Ovviamente, Corelli affinò un sistema canoro che si portò sempre dietro con sé, anche quando interpretando i medesimi ruoli li cantò con la propria personalità e vocalità! Questo è il discorso pratico che si può e si deve fare con le voci virili, quanto al primo esempio ci è impossibile al giorno d'oggi provarlo nella pratica nel momento in cui non abbiamo un castrato come Moreschi che insegni ad un falsettista come Mancini, oggi semmai abbiamo tanti falsettisti che insegnano ad altri falsettisti (controtenori, contraltisti, sopranisti)! Cordialmente
EliminaRispondo seppure in ritardo con piacere a questo argomento, poiché vivo in Casa Verdi a Milano dove troppo spesso ascolto voci di giovani che vengono esibirsi e cantano imitando i loro maestri e maestre. Al tempo del Mancini erano solo uomini che insegnavano il canto ed il motivo è che l'uomo riesce con il falsetto mostra anche alle donne come attaccare il suono, mentre per una maestra e assai difficile spiegarlo o mostrarlo ad un basso o baritono. Io sostengo che il canto lirico moderno è concepito male e la conseguenza è la fine prematura di belle voci. Poiché oltre a sapere e conoscere bene la respirazione e come usarla la difficoltà maggiore è l'attacco del suono ed oggi rispetto al passato le voci sono impostate spesso nel modo che risuonano grandi in un ambiente piccolo e piccole in un ambiente grande mentre nel passato avveniva il contrario anche perché l'orecchio non era sottoposto alle confusioni e rumori e amplificazioni moderne. Perciò l'imitazione viene oggi scambiata per ripetere la voce e i difetti dell'insegnante. I migliori Maestri sono quelli che non cantano ma spiegano.
RispondiEliminaAllora, se le cose stessero in questi termini, dove sarebbero i risultati dei diversi insegnanti di canto noti in Italia al giorno d'oggi solo per aver pubblicato uno o più libri nei quali, con complessissime nozioni a loro dire scientifiche, spiegano come andrebbe usata la voce? Parlano, scrivono, spiegano, non ci fanno ascoltare niente di concreto a livello canoro pratico e non producono cantanti... per esempio, se solo prendiamo in esame per un momento il registro del Tenore non abbiamo più, ormai da 15 anni a questa parte, tenori validi, gli ultimi sono stati Benelli, Kraus e Pavarotti, poi il nulla... Quanto al discorso che le donne non potrebbero insegnare agli uomini è una tesi che si smentisce da sola, basti considerare che uno dei migliori Bassi italiani odierni, Roberto Scandiuzzi, ha studiato canto con un soprano leggero, ed è da decenni in carriera (tutto fuorché l'aver fatto una fine prematura)!!! L'imitazione della quale si parlava qui non ha niente a che fare con il ripetere come allievo i difetti dell'insegnante, si riferiva piuttosto al realizzare personalmente come studenti di canto, ognuno con il proprio strumento vocale, tutto quello che vedono e ascoltano fare nella pratica con la voce da ottimi loro docenti, tanto in pubblico (teatri, sale da concerto, ecc.) quanto durante le lunghe e approfondite lezioni, sia dal punto di vista di ogni singolo dettaglio della tecnica vocale che da quello inerente all'interpretazione musicale, scenica e del personaggio!
EliminaIl Professore Moreschi aveva capito che la musica si sente prima coll'orecchio ! Imitarlo nel suo modo di cantare non voleva dire che - una volta che l'allievo aveva sentito bene le sensazioni del Canto ed imparato il grande stile - l'allievo non doveva interpretare le opere colla sua propria anima !
RispondiEliminaIl Professore Moreschi aveva capito che la musica tocca prima l'orecchio.Il Professore Moreschi correggeva l'allievo imitando quello sbaglio che aveva fatto,e dopo lo ricantava bene per fare sentire la differenza. L'allievo provava ancora,essendo corretto ancora ed ancora nel lo stesso modo. Una volta che l'allievo l'imitava bene nell'emissione vocale,e che aveva anche studiato il grande stile,l'allievo naturalmente cantava colla sua propria anima.
RispondiEliminaBasterebbe ricordare che impariamo a parlare per imitazione e infatti acquisiamo respirazione, pronuncia, timbro, andamento prosodico tutto insieme. Ma così avvenendo acquisiamo anche una grande quantità di vizi così radicati da potersi superare soltanto con grandi difficoltà e talvolta mai.
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