4 novembre 2019, ore 21: va in scena a Cremona "La Traviata" di Giuseppe Verdi.
L'allestimento, a cura di Belcanto Italiano, è concepito per ridare a Verdi la sua autentica voce in un originale equilibrio tra parti vocali e attorialità, seguendo un discorso stilistico fedele all'epoca in cui il Maestro Verdi ha dato vita ai suoi capolavori.
Il cast sottolinea la collaborazione internazionale degna di una realtà di ampio respiro: un'appassionante e italianissima Violetta Valery, interpretata da Astrea Amaduzzi, eccellente belcantista. Alfredo Germont è Xiaoyue Sun, tenore lirico proveniente dalla Cina. Giorgio Germont è Vladimír Chmelo, un baritono dal timbro brunito e bella presenza scenica che ha calcato anche le scene del Metropolitan.
A chiudere il cast Annalisa Cappelleri (Flora), Eleonora Pintus (Annina), Martin Bareš, (Gastone) proveniente dalla Repubblica Ceca e infine Bruno Rinaldi, (Dottor Grenville).
La direzione musicale è affidata al M° Mattia Peli, che, come raffinato pianista, accompagnerà tutta l'opera.
La regia, i costumi e le scene sono a cura della Compagnia Lirica Internazionale di Belcanto Italiano.
La Compagnia Lirica Internazionale di Belcanto Italiano nasce con il duplice scopo di riportare musica e compositore al centro delle rappresentazioni liriche, in modo da donare al pubblico l'emozione unica di un grande capolavoro; e poi con l'intento di unire professionisti, studenti e anche semplici appassionati dell'opera nella collaborazione per allestimenti autentici e per questo davvero straordinari.
La messa in scena della Compagnia Lirica Internazionale di Belcanto Italiano, fin dall'Overture, realizzata come fosse un "quadro vivente", trasporta il pubblico, con magia teatrale, nella cultura Parigina della metà del 1800, in una magistrale fusione tra emozione e musica.
Il Soprano Astrea Amaduzzi nel ruolo di Violetta Valery
Il tour della Compagnia Lirica Internazionale di Belcanto Italiano, proseguirà poi con altre straordinarie opere in Francia e in Repubblica Ceca.
L'ingresso è a offerta libera, per informazioni ulteriori o prenotazioni contattare il numero 3475853253
Una Traviata internazionale in tour: prima rappresentazione a da Corte de' Frati (Cremona)
La grande lirica per tutti gli appassionati, porterà la messa in scena de La Traviata di Verdi da Corte de' Frati (CR), ad Alessandria, a Cremona, e poi attraverso l'Emilia Romagna salirà di nuovo a Nord fino a Praga, cuore dell'Europa centrale.
La Compagnia Lirica Internazionale di Belcanto Italiano nasce con il duplice scopo di riportare musica e compositore al centro delle rappresentazioni liriche, in modo da donare al pubblico l'emozione unica di un grande capolavoro; e poi con l'intento di unire professionisti, studenti e anche semplici appassionati dell'opera nella collaborazione per allestimenti autentici e per questo davvero straordinari.
Inizia il tour, appunto, con La Traviata di Verdi, il 15 settembre 2019 a Corte de' Frati alle ore 21,00 presso il teatro oratoriale di Via Castello 1.
Il cast sottolinea la collaborazione internazionale degna di una realtà di ampio respiro: un'appassionante Violetta Valery è interpretata da Astrea Amaduzzi, eccellente belcantista. Alfredo Germont è Xiaoyue Sun, tenore lirico proveniente dalla cina.
Partecipazione d'eccezione sarà quella di Don Claudio Corbani, nipote di Aldo Protti, che interpreta Giorgio Germont. A chiudere il cast Annalisa Cappelleri (Flora), Emanuela Rinaldi (Annina), Martin Bareš, (Gastone) proveniente dalla Repubblica Ceca. Bruno Rinaldi, (Dottor Grenville).
La Traviata, scritta da Giuseppe Verdi nel 1853, è ispirata al romanzo “La signora delle camelie” di Alexandre Dumas figlio, e narra la storia d’amore tra Violetta e il giovane borghese Alfredo, osteggiata dal padre di lui Germont .
La messa in scena della Compagnia Lirica Internazionale di Belcanto Italiano, fin dall'Overture, realizzata come fosse un "quadro vivente", trasporta il pubblico, con magia teatrale, nella cultura Parigina della metà del 1800, in una magistrale fusione tra emozione e musica.
La direzione musicale è affidata al M° Mattia Peli, che, come raffinato pianista, accompagnerà tutta l'opera.
La regia, i costumi e le scene sono a cura della Compagnia Lirica Internazionale di Belcanto Italiano.
L'ingresso è a offerta libera, per informazioni ulteriori o prenotazioni contattare il numero 3355480186
La rappresentazione verrà replicata ad Alessandria, al Teatro Parvum il 21 settembre 2019 e a Cremona al Teatro Filo il 4 novembre 2019, sempre alle ore 21,00
La recita che si terrà ad Alessandria sarù preceduta, alle ore 20,00 dalla mostra "Maria Callas, la voix" con 20 tele originali della pittrice Anna Sticco.
Per informazioni e prenotazioni contattare il numero 3475853253
"Vita di Giuseppe Verdi" - Figurine della "Serie Liebig" del 1902
"Scrivere ancora opere? e perché? Per vedersele eseguire sempre nel modo più barbaro? Credi tu che il 'Ballo in maschera' sia stato, non dirò eseguito, ma un po' interpretato, un po' inteso? Mai. E tu l'hai visto a Milano." (da lettera di Verdi a Tito Ricordi, 3 ottobre 1863)
E' da ritenere che per lui fosse essenziale una perfetta resa delle "parole sceniche", per tali intendendo
"quelle che scolpiscono una situazione od un carattere, le quali sono sempre potentissime sul pubblico" (a Giulio Ricordi, luglio 1870).
Giuseppe Verdi
Ma nelle opere più felici di Verdi tutto è "parola scenica", in fondo, anche il dettaglio infinitesimale.
In uno dei suoi numerosi elogi di Adelina Patti (a Giulio Ricordi, 5 novembre 1877) Verdi non ricorderà, del "Rigoletto" interpretato dal celebre soprano, l'esecuzione di "Caro nome" o di "Tutte le feste al tempio", ma "l'effetto sublime" dell' "Io l'amo" di Gilda allorché il padre, all'inizio del IV atto, mostrandole il Duca nella taverna, le chiede se l'ami ancora. Si tratta di tre sole note, semplicissime, elementari, vocalmente; eppure, a detta di Verdi, l'effetto era "sublime". In questo Verdi coincide con il rossiniano Stendhal, secondo il quale era soprattutto "l'infinitamente piccolo" (cioè la sfumatura) a distinguere il grande interprete dal pappagallo. E dunque il cantante incapace di sfumare e di valorizzare i dettagli non sarà mai "sublime" in Verdi.
Verdi dirige La Creazione di Haydn (figurine Caffé Lavazza)
Nelle tre lettere che, nel gennaio-febbraio 1847, Verdi indirizzò a Felice Varesi, primo interprete del "Macbeth", sono frequentissime le raccomandazioni di cantare "sotto voce" certi brani. Più tardi, nel 1857, Verdi scriverà al baritono Leone Giraldoni, primo interprete del "Simon Boccanegra":
"Les artistes, les femmes comme les hommes, chantent et ne crient pas! Qu'ils reflechissent à ceci: que déclamer ne signifie pas hurler! Si l'on ne trouve pas trop de vocalises dans ma musique, on ne doit pas en profiter pour s'arracher les cheveux, s'agiter et crier comme des possédés". Ecco poi come Verdi immaginava la vocalità di Iago:
"Non bisogna in quella parte né cantare, né alzar la voce (salvo poche eccezioni). Io, per es., se fossi attore cantante la direi tutta a fior di labbro, a MEZZA VOCE..." (a Giulio Ricordi, 11 novembre 1886).
Sempre a proposito dell' "Otello", è noto che Verdi esitò molto prima di scegliere come protagonista Francesco Tamagno. Giacché, scriveva Verdi a Giulio Ricordi, Tamagno era incline a cantare sempre forte e, se tentava la mezzavoce, il suono diventava "brutto, incerto, stonato". Nell' "Otello", continuava Verdi, vi erano frasi larghe, lunghe, legate
"da dire a MEZZA VOCE, cosa impossibile per lui".
Francesco Tamagno "Esultate" - 1903
Più tardi Verdi si rassegnò a Tamagno, ma quando udì Giovanni Battista De Negri, voce meno folgorante e stentorea, ma cantante più rifinito, espressivo e musicale, lo preferì di gran lunga, come da lettera a Giulio Ricordi del 5 febbraio 1889. I punti di forza di Tamagno, scrisse Verdi, erano, nell' "Otello", l' "Esultate", l' "Ora e per sempre addio" e "qualche altro sfoggio di voce". In tutto il resto De Negri (che però era anche lui applaudito nell' "Esultate" e doveva bissare l' "Ora e per sempre addio") era nettamente superiore.
Disco Zonofono 1903 - Giovanni Battista de Negri - Otello: Niun mi tema
In definitiva a Verdi non piacevano gli Otelli sempre stentorei (e figuratevi se potevano piacergli gli Ernani, i Duchi di Mantova, gli Alfredi, i Riccardi incapaci di modulare i suoni) e la fama di Tamagno in quest'opera sarebbe da considerare in parte usurpata o comunque dovuta al culto loggionistico degli acuti.
Il concetto verdiano di "parola scenica" e di fraseggio implica varietà d'accento, di colori e d'intensità. Nel gennaio 1863 Verdi si trovava a Madrid per mettere in scena la "Forza del destino" e Tito Ricordi gli spedì le parti di canto e il materiale d'orchestra. Verdi esaminò il tutto e si sentì "gelare il sangue nelle vene", per gli innumerevoli errori dei copisti. Tra l'altro, scrisse all'editore,
"mai o quasi mai nelle parti cantanti un'indicazione di frase, mai i cresc... rall... stent... pppp... ecc., qualche F o P semplice. In questo modo la musica diventa solfeggio."
Un'esecuzione simile, aggiunge poco dopo Verdi, è
"a controsenso, senza coloriti, senza espressione, senza intelligenza".
Se ne deduce che tutti i cantanti che, emulano i copisti della Ricordi, omettono sistematicamente l'esecuzione dei segni d'esressione, non interpretano, ma "solfeggiano" e sono quindi dei robot. Se vogliamo dare ragione a Verdi.
Ma questa lettera a Ricordi tocca un altro punto interessante.
"I tuoi copisti hanno il malvezzo d'aggiungere qualche nota (e immagina che note) quando di due vocali io ne faccio l'elisione e per conseguenza una nota sola".
Tanto per fare un esempio: Leonora, nella Forza del destino, non deve cantare "Dolce mia terra addio", ma "Dolce mia terr'addio".
Verdi - Forza del destino
Torniamo all'interpretazione di Verdi. Ci sono tre ragioni per le quali i cantanti più rinomati e, in particolare, i divi dello "star system" del disco ci propongono esecuzioni incolori e solfeggiate. Primo: non conoscono la tecnica o l'hanno dimenticata; secondo: per avidità cantano indefessamente; terzo: se studiano un'opera nuova hanno appena il tempo di apprendere note e parole. Ma Verdi sapeva che il fraseggio, l'interpretazione nascono da uno studio approfondito. Da una lettera indirizzata al mezzosoprano Maria Waldmann il 5 marzo 1875, risulta che Verdi non riteneva sufficienti quaranta giorni di studio per poter cantare degnamente un nuovo brano della Messa, "facile, facilissimo come 'note' e come 'musica' ", in una'esecuzione parigina prevista per il 19 aprile di quell'anno.
"Sapete che vi sono sempre delle intenzioni su cui bisogna pensare", concludeva.
Verdi è circondato dagli eroi delle sue opere più celebri
Verdi non perdonava ai cantanti la scarsa professionalità e l'avidità. Quando Antonietta Fricci, già da lui molto stimata, volle cantare la parte di Aida, che non le si confaceva, pur di intascare 100.000 franchi, il commento, in una lettera del gennaio 1875, fu: "Va bene il denaro, ma un po' di coscienza e dignità vale più di 100 mila franchi".
Quando di trattò di dare il "Falstaff" alla Scala, tra le condizioni dettate da Verdi a Giulio Ricordi campeggia questa: "Non paghe esorbitanti agli artisti" (1 settembre 1892).
Ed ecco come definì Tamagno, che si presentava alla Scala, per una ripresa di Otello, quarantott'ore dopo aver cantato altrove: "o matto" - scrisse Verdi - "o schifosamente avido" (a Giulio Ricordi, 5 febbraio 1889).
Ritratto di Verdi con una citazione musicale dal Trovatore nelle figurine del "Cacao Suchard"
Voltiamo pagina. Verdi biasimava i direttori che curavano più l'orchestra che la concertazione con i cantanti, come il Mascheroni (lettera al Piroli del 28 giugno 1887).
"Il direttore esperto e pratico deve curare anzitutto il concerto delle voci."
Per concertare personalmente il "Simon Boccanegra" alla Scala chiese dai 25 ai 30 giorni di prove (a Giulio Ricordi, 21 febbraio 1881). Biasimava altresì i direttori (Faccio, nel caso specifico) che per propria comodità giudicavano i cantanti "dal lato puramente musicale", trascurando i valori vocali (a Giulio Ricordi, 1 ottobre 1883).
I criteri con i quali Verdi giudicava i cantanti erano quasi sempre in funzione delle parti che essi dovevano sostenere. In alcuni casi, della potenza della voce e della bellezza timbrica non gli importava nulla. Al tempo delle prime esecuzioni della "Traviata", esaltò la Piccolomini, la Spezia e la Boccabadati. "Tutte e tre hanno voce debole, ma talento, anima e sentimento di scena" (a Torelli, 11 novembre 1856).
La verità è che, come spiegò al Ricordi l'11 maggio 1887, Verdi vedeva come Desdemona non un'attrice-cantante, ma una vocalista.
Adalgisa Gabbi, interprete di Desdemona nell'Otello di Verdi
"Desdemona canta dalla prima nota del Recitativo, che è una frase melodica, fino all'ultima nota, 'Otello non uccidermi', che è ancora una frase melodica. Quindi la più perfetta Desdemona sarà quella che canta meglio."
Design for Giuseppe Verdi's I vespri siciliani (1855) by Roberto Focosi (father of Alessandro Focosi)
Trattandosi invece di scegliere un'Amneris, Verdi scriveva a Ricordi (10 luglio 1871) che, per quella parte, il sentimento drammatico, la padronanza della scena e "il diavolo addosso" contavano molto più della bella voce e della "finitezza del canto".
Giuseppe Verdi e le sue opere- Verdi nel salone dell'Hotel Milan a Milano
Verdi, s'è già detto, detestava i cantanti professionalmente poco seri e tra questi incluse il tenore Baucardé, il cosidetto inventore del do di petto della "pira" del "Trovatore".
Verdi si dichiarava "nemicissimo" dei tagli e dei trasporti di tono, che rimproverò perfino alla Patti nell' "Aida", in una lettera a Giulio Ricordi del 1878, pur riconfermando che la riteneva "una meravigliosa Attrice-Cantante".
(tratto da: Rodolfo Celletti - IL CANTO - Storia e tecnica, stile e interpretazione dal "recitar cantando" a oggi - 1989)
Le prove al piano del Falstaff alla presenza del Maestro Verdi - Milano 1893
Alcune caratteristiche essenziali che Giuseppe Verdi si aspetta da un cantante che aspiri ad interpretare nel modo giusto le sue opere :
"I nostri cantanti non sanno fare in generale che la voce grossa; non hanno elasticità di voce, né sillabazione chiara e facile, e mancano d'accento e di fiato."
(da una lettera di Giuseppe Verdi a Giulio Ricordi del 13 giugno 1892 - riprodotta in Abbiati, "GIUSEPPE VERDI", IV, 444)
"La voce della Sig. Pantaleoni avvezza a parti violente, ha molte volte gli acuti un po' troppo mordenti, vi mette dirò così troppo metallo. Se potesse abituarsi a cantare un po' più di testa le riescirebbe più facilmente lo smorzato, e la voce sarebbe anche più sicura e più giusta."
(da una lettera di Giuseppe Verdi a Franco Faccio del 2 settembre 1886 - riprodotta in Giuseppe Morazzoni, "VERDI: LETTERE INEDITE", Milano 1929, 44)
(citazioni riportate nel capitolo "Towards a Verdian Ideal of Singing", da: David Milsom - "Classical and Romantic Music", first published in 2011 by Ashgate Publishing)
Ritratto di Giuseppe Verdi
VOCE VERDIANA :
"Voce verdiana, lo vogliamo sottolineare e chiarire ancora una volta, è quella che ha il fraseggio verdiano. E il fraseggio verdiano, come quello pucciniano o rossiniano, lo si ottiene da una profonda preparazione tecnica-vocale e una altrettanto profonda conoscenza dell'opera che l'artista deve interpretare, piegando la sua voce alla linea creata dal compositore. Perchè un cliché di voce verdiana, come è intesa, volgarmente: ampiezza, robustezza, colore cupo e drammatico, non esiste e particolarmente per i personaggi femminili.
Per questo concetto, possiamo affermare che Renata Scotto ha una voce verdiana e la sua struggente Gilda ne è una documentazione tangibile."
(da: "Renata Scotto o il trionfo della volontà", di Pierluigi Caviglia - Discografia completa a cura di R. Vegeto, in: "DISCOTECA", novembre 1967)
Renata Scotto - Rigoletto - "Caro nome"
Un esempio di cantante approvato da Verdi stesso: "Caro Bonci - scriveva Verdi ottantacinquenne da Milano, il 21 maggio 1898 - nel mio vecchio Ballo in maschera che il pubblico fiorentino predilige, la vostra interpretazione mi è stata una sorpresa graditissima e mi ha fatto ridere: ridere col pensiero: riandando al tempo lontano in cui lo scrissi... “È scherzo od è follia”... va detto quasi parlato e sfiorato col canto, e l'aggiunta della risata rispettando il tempo e gli spazi, è una vostra unica privativa e specialità che Vi riconosco e che mi riconferma la vostra perizia e lo studio che voi ponete in ogni esecuzione."
GIUSEPPE VERDI acclamato a PARIGI per Faltaff (1894)
<<La voce – scriveva Verdi al Somma – non importa sia grossa o piccola, basta che si senta, ma intelligenza, anima... >> !!! - (Parigi 17 maggio 1854)
Giuseppe Verdi conducting the Paris Opera premiere of "Aida" (sung in French) at the Palais Garnier on 22 March 1880
L'OPINIONE DI VERDI SUL CANTO (1875)
«Si è talvolta ingiusti verso i cantanti italiani quando li si accusa di trascurare la scena per amore del "belcanto". E però quanti cantanti vi sono che riuniscono le due cose, che sanno cantare e recitare? Nell'opera comica le due cose unite sono facili. Ma nell'opera tragica! Un cantante che è preso dall'azione drammatica, a cui vibra ogni fibra del corpo, che s'immedesima totalmente nel ruolo che rappresenta, non troverà il giusto tono. Forse per un minuto, ma nel successivo mezzo minuto egli canta già falso o la voce gli viene a mancare. Per l'azione e il canto raramente sono sufficienti forti polmoni. E pertanto sono dell'opinione che nell'opera la voce ha soprattutto il diritto di essere ascoltata. Senza voce non vi è canto giusto.»
(da: "L'opinione di Verdi sul canto", in "Signale für die musikalische Welt", Leipzig, XXXIII, 33: luglio 1875, p. 521)
VERDI ON SINGING:
«Italian singers are often unjustifiably criticized for neglecting acting for the sake of "bel canto". Yet how many singers are there who combine both, who can act and sing? In comic opera both are easily combined. But in tragic opera! A singer who is moved by the dramatic action, concentrates on it with every vibrant fibre of his body and is utterly consumed by the role he is portraying, will not find the right tone. He might for a minute, but in the next thirty seconds he will sing in the wrong way or the voice will simply fail. A single lung is rarely strong enough for acting and singing. And yet I am of the opinion that in opera the voice has, above all, the right to be heard. Without a voice true singing cannot exist.»
(from: "L'opinione di Verdi sul canto", in "Signale für die musikalische Welt", Leipzig, XXXIII, 33: July 1875, p. 521)
Signale für die musikalische Welt", Leipzig, XXXIII, 33: July 1875, p. 521
IL CANTO COME "ESPRESSIONE POETICA DELL'ANIMA" SECONDO GIUSEPPE VERDI :
“Certo che in Germania non mancano le voci, esse sono quasi più sonore di quelle italiane, ma i cantanti considerano il canto come una ginnastica, si occupano ben poco di perfezionarsi e aspirano solo a crearsi un vasto repertorio entro il più breve tempo possibile. Non si prendono la briga di mettere nel loro canto un bel fraseggio; tutta la loro aspirazione non consiste altro che nell’emettere questa o quella nota con grande potenza. Perciò il loro canto non è un’espressione poetica dell’anima, bensì una gara fisica del loro corpo.”
(da un’intervista a Giuseppe Verdi, intitolata "Verdi in Wien", pubblicata su "Neue Freie Presse" - Vienna, 9 giugno 1875)
LA "MEZZA VOCE" VERDIANA - Parla Verdi stesso in due estratti di lettere del 1848 e 1855 !!!
Parigi, 6 ottobre 1848 (Lettera di Verdi a Marianna Barbieri-Nini, per la quale il compositore di Busseto compose il ruolo di Gulnara nel suo "Il Corsaro", che era già stata prima interprete assoluta di Lucrezia ne "I due Foscari" al Teatro Argentina di Roma nel 1844 e di Lady Macbeth nel "Macbeth" al Teatro della Pergola di Firenze nel 1847) :
« Cara Sg.ra Barbieri, Credo che il "Corsaro" fatto da voi, da Fraschini e da Bassini andrà bene, tanto più che non è opera che esiga grandi elementi ad eccezione dei cantanti principali. Eccomi dunque a dirvi alcune cose, come desiderate, sui vostri pezzi. La cavatina è facile d'interpretare: bisogna cantarla semplicemnte e voi lo potete: prendete l'adagio largo e cantatelo a MEZZA VOCE.
La cabaletta pure prendetela non troppo presto e stringete soltanto le tre o quattro note d'agilità con cui termina. Io credo che questa cavatina vi farà molto effetto. Badate che il finale sia ben messo in scena. Il primo agitato se non è bene in scena potrebbe far ridere. L'adagio sia largo e declamato: e la stretta non tanto presto. Nel duetto col basso prendete il primo tempo sostenuto, declamato; non date importanza alle note ma alle parole; la cabaletta in tempo tagliato ma non troppo presto. Il basso ha la prima frase, che la dirà a piena voce: voi canterete in tutto questo tempo a MEZZA VOCE (ricordatevi delle "mezzevoci" che fate nel Macbeth). Voi sapete meglio di me che l'ira non si esprime sempre gridando, ma qualche volta con voce soffocata, e questo è il caso. Cantate dunque tutto quest'ultimo tempo sotto voce, ad eccezione dell'ultime quattro note: aspettate che il basso sia quasi fuori della scena per prorompere in un grido accompagnato da un "gesto terribile", quasi a far prevedere il delitto, che siete per commettere. Nel duetto col tenore vi raccomando scena e musica; questo è certamente il pezzo meno cattivo di tutta l'opera. Quando voi entrate in scena fatelo lentamente e dite il recitativo sottovoce e lento: il primo tempo sarà moderato e cercate di esprimere la parola con tutta la potenza dell'anima vostra. Il principio dell'adagio altrettanto lento ditelo sottovoce; spiegate la voce e dite con passione tutto il resto, cominciando dalle parole "ah! fuggiamo". Dopo, quando abbandonate la scena fatelo precipitosamente, e quando ritornate pallida sconvolta fate ogni passo quasi come lo indica la musica, fino al momento in cui non potete più reggervi in piedi: mi direte per terra le parole seguenti: "già... l'opra è finita, per destarsi egli stava". Ditele senza andare a tempo, senza badare alle note, ma colla voce soffocata che appena si senta. La cabaletta ditela lenta e cantatela con tutta la passione. (...) »
Parigi, 8 gennaio 1855
(Lettera di Verdi ad Antonio Somma, drammaturgo, librettista e poeta italiano):
« Caro amico, (...) V'ho detto di far Edmondo d'un carattere schernitore, perché in musica resterà più variato: facendolo diversamente, bisognerebbe farlo cantare una delle frasi "grosse" con dei gridi. Lo scherno, l'ironia si dipingono (ed è più nuovo) a MEZZA VOCE: diviene più terribile e mi dà varietà di tinte rapporto all'Introduzione e Finale. Nel finale, riducendo le strofe in versi sciolti, procurate che sieno questi alternati fra settenaried endecasillabi: non perché così si usa, ma perché "cantando" si perde maggior tempo che "recitando", ed è necessario che i versi dei recitativi non siano continuamente "lunghi"... »
PRESCRIZIONI DI GIUSEPPE VERDI SUGLI STUDI DA FAR FARE AI GIOVANI COMPOSITORI E CANTANTI
A Francesco Florimo - Genova, 5 gennaio 1871
Car. Florimo, Se vi ha qualche cosa che possa lusingare il mio amor proprio, si è quest'invito a Direttore del Conservatorio di Napoli che, per mezzo vostro, m'inviano i Maestri dello stesso Conservatorio ed i tanti musicisti della vostra città. E' ben doloroso per me non poter rispondere, come io desidererei, a questa fiducia (...) Avrei voluto porre, per così dire, un piede sul passato e l'altro sul presente e sull'avvenire (ché a me non fa paura la "musica dell'avvenire") ; avrei detto ai giovani alunni:
« Esercitatevi nella "Fuga" costantemente, tenacemente, fino alla sazietà, e fino a che la mano sia divenuta franca e forte a piegar la nota al voler nostro. Imparerete così a comporre con sicurezza, a disporre bene le parti ed a modulare senz'affettazione. Studiate Palestrina e pochi altri suoi coetanei. Saltate dopo a Marcello e fermate specialmente la vostra attenzione sui recitativi. - Assistete a "poche rappresentazioni" delle Opere moderne, senza lasciarvi affascinare né dalle molte bellezze armoniche ed istromentali né dall'accordo di "settima diminuita", scoglio e rifugio di tutti noi che non sappiamo comporre quattro battute senza una mezza dozzina di queste "settime"». (...) Nell'insegnamento di canto avrei voluto pure gli studj antichi, uniti alla declamazione moderna. (...) Torniamo all'antico: sarà un progresso. (...)
Al senatore Giuseppe Piroli - Genova, 20 febbraio 1871
Caro Piroli, Viste le condizioni e le tendenze musicali dell'epoca nostra, eccovi quanto, secondo me, dovrebbe essere adottato in una Commissione chiamata a riordinare l'insegnamento. Sono idee generalissime, dette a voi tante volte a voce ed in iscritto ed accennate anche nella mia lettera a Florimo. Non parlerò che del "Compositore" e del "Cantante", perché credo che nella parte esecutiva istromentale (che ha sempre dato ottimi risultati) vi sia poco a riformare. Vorrei dunque pel giovine Compositore esercizj lunghissimi e severi su tutti i rami del Contrappunto. Studj sulle composizioni antiche sacre e profane. Bisogna però osservare che anche fra gli antichi, non tutto è bello; quindi bisogna scegliere. "Nissuno studio sui moderni!" Ciò parrà a molti strano; ma quando sento e vedo in oggi tante opere fatte come i cattivi sarti fanno i vestiti sopra un patron, io non posso cambiar d'opinione. (...) Quando il giovine avrà fatto severi studi; quando si sarà fatto uno stile e che avrà confidenza nelle proprie forze, potrà bene, se lo crederà utile, studiare più tardi queste opere e sarà a lui tolto il pericolo di diventare un imitatore. (...) Pel "Cantante" vorrei: estesa conoscenza della musica; esercizj sull'emissione della voce; studj lunghissimi di solfeggio come in passato; esercizî di voce e parola con pronunzia chiara e perfetta. Poi, senza che un Maestro di perfezionamento gli insegnasse le affettazioni del canto, vorrei che il giovine forte in musica e colla gola esercitata e pieghevole cantasse guidato solo dal proprio sentimento. Non sarebbe un canto di scuola, ma d'ispirazione. L'artista sarebbe un'individualità; sarebbe "lui" o, meglio ancora, sarebbe nel melodramma il personaggio che dovrebbe rappresentare. E' inutile il dire che questi studj musicali devono essere uniti a molta cultura letteraria. Eccovi le mie idee. - Potranno queste venire approvate da una Commissione? - Sì? Eccomi allora pronto agli ordini del Ministro. - No?... Val meglio che me ne ritorni a S. Agata.
VERDI, "THE MASTER OF FAST TEMPOS" ("il maestro dei tempi celeri"), AND THE METRONOME !!!
In 1844, Geremia Vitali offered a description of tempo that seems to reflect Verdi’s own idea:
"Il tempo è . . . un principio essenziale dell'arte: è la vita, l'anima, l'energia fisicomorale d'ogni frase e d'ogni idea: è la scintilla che muove e caratterizza le passioni e i sentimenti della melodia: è il nerbo che collega e sostiene le forme dell'armonia: è il sangue che circola nelle sue vene".
("Tempo is . . . an essential principle of the art of music; it is the lift, the soul, the internal energy of every phrase and every idea; it is the spark that arouses and distinguishes the passions and the sentiments of the melody; it is the nerve that connects and sustains the forms of the accompaniment; it is the blood that flows within its veins".)
[Geremia Vitali, “Proposta d’un nuovo mezzo per determinare con esatezza i tempi musicali,” Gazzetta musicale di Milano 3, no. 20 (1844): 79-80.]
Emanuele Muzio's letter of 20 May 1844 to Antonio Barezzi, in which he mentions articles concerning tempo by Vitali in the "Gazzetta musicale di Milano", testifies to Verdi's familiarity with the well-known musical journal and his interest in its ongoing debate concerning the matter of tempo.
The real problem, of course, was the lack of a precise means for measuring "movimento". The seemingly obvious solution - already in use in other countries - was the metronome. But in Italy in both theory and practice, resistance to the metronome was strong. Reluctance to change established habits, tradition, pride, and even the cost of the device accounted for the unwillingness of musicians in "Primo Ottocento" Italy to adopt it.
Despite objections, however, gradually the metronome began to meet with greater tolerance in Italy, as a series of articles by Luigi Casamorata in Ricordi's "Gazzetta musicale di Milano" during February and March 1846 attests. These essays declare the advantages of incorporating metronome markings into opera scores, explain how the metronome works, and explicitly instruct composers and performers on how to use the device and even how to construct one. Since Verdi subscribed to Ricordi's journal, he surely knew these essays, and there can be little doubt that he read them with an attentive eye. It was undoubtedly not a coincidence, the, that immediately upon the conclusion of Casamorata's series of essays Verdi added metronome markings to an opera for the first time - to "Attila".
[Vide: Casamorata, "Osservazioni, discussioni, proposte" - Gazzetta musicale di Milano 5, no. 9 (1 March 1846) and also no. 6 (8 February 1846), no. 11 (15 March 1846) and no. 13 (29 March 1846)]
In a letter of 30 March 1846, Muzio informed Barezzi: "Nei passati giorni abbiamo posto i tempi in tutto lo spartito [Attila] col Metronomo di Maelzel".
("In the past few days we have placed tempos in the entire score of 'Attila' using Maelzel's metronome".) Verdi did not write metronome markings in the autograph for "Attila" but rather wrote them on a separate folio. The autograph score for "Attila" contains no metronome markings. Instead, after relinquishing the score to his publisher, Francesco Lucca, Verdi wrote the metronome markings on a separate folio along with musical incipits for each major section. The autograph folio is currently in the Gisella Seldon Goth collection at the New York Public Library.From this point onward, incorporating metronme markings into his operas was one of Verdi's priorities. By July 1846 he had evidently assigned metronome markings to "I due Foscari". After this Verdi proceeded to write metronomic equivalents in the scores for his next two Italian operas: "Macbeth" and "I masnadieri". He omitted them from the work that followed, "Il corsaro" (this omission is not surprising, however, since Verdi neither attended the premiere nor participated in the publication of "Il corsaro", and the autograph contains little evidence of revision or of the meticulous attention to detail observed in other autographs!), but included them in "La battaglia di Legnano". He did not write them into his next score, "Luisa Miller", although he later added them to a manuscript copy for a performance in Milan. And Verdi wrote metronome markings into each of his scores from "Stiffelio" to "Falstaff", with the exceptions of "Rigoletto" and "La traviata".
Verdi's use of metronome markings is especially significant since, as a rule, no such measurements can be found in the autograph scores of operas by his Italian predecessors or contemporaries. It would appear that Verdi was one of the first major "Ottocento" composers to include metronome markings in his scores as a routine matter.
(Martin Chusid specifies: "None of the autographs or early piano-vocal editions for operas by Bellini, Donizetti, Pacini, or Mercadante that I have had the opportuinity to examine contains metronome markings. Rossini's Italian operas lack such markings as well, although, not surprisingly, his French scores do include them.")
In April 1844, Verdi wrote to conductor Leone Herz concerning the Viennese premiere of Ernani: “I advise you only that I do not like slow tempos; it is better to err on the fast side than to be too slow.”
("I tempi sono tutti segnati sullo spartito colla possibile chiarezza. Basta badare alla posizione drammatica ed alla parola, difficilmente si può sbagliare un tempo. Avverto solo che io non amo i tempi larghi; è meglio peccare di vivacità che languire". - Lettera di Verdi a Leone Herz, Milano, 18 aprile 1844,
istruzioni per una messinscena di "Ernani" all'Opera di Vienna)
In one review of Verdi’s performance of the Requiem in 1877 Cologne, the critic noted the composer’s preference for fast tempos. Verdi came to be known as “the master of fast tempos” ("il maestro dei tempi celeri") according to Opprandino Arrivabene in 1870 (Letter of Arrivabene to Verdi, 17 March 1870), and his tendency toward fast speeds became one of his trademarks.
[cfr. :
- Roberta Montemorra Marvin - "Verdi and the Metronome" - Verdi Forum: No. 20, Article 2 (1992)
- Martin Chusid - "Verdi's Middle Period: Source Studies, Analysis, and Performance Practice" - University of Chicago Press, 1997
- Ick Hyun Cho - "Rediscovering Giuseppe Verdi’s Messa da Requiem". Thesis Prepared for the Degree of Doctor of Musical Arts (Performance), University of North Texas, August 2003]
Verdi's Requiem - first performance at la Scala - 25 May, 1874
[The picture shows: LA MESSA DI VERDI SUL PALCOSCENICO DELLA SCALA (from left to right: Maini, Capponi, signora Waldmann, signora Stolz, Verdi) - Disegno dal vero del signor Osvaldo Tofani (1849-1915), incisione del signor Baldi, pubblicata nella "Illustrazione Universale" di Milano del 1874.
Verdi's Requiem - first performance at la Scala - 25 May, 1874. Three days after having played the
Requiem Mass in the Church of San Marco, Verdi organized a performance at La Scala, with the same soloists: Teresa Stolz (soprano), Maria Waldmann (mezzo-soprano), Giuseppe Capponi (tenor), Ormando Maini (bass). With La Scala's choir ( for the occasion, 120 choristers) and the full orchestra, of course, directed again by the same Verdi. The success of the Requiem Mass was immense.]
PRESCRIZIONI DI GIUSEPPE VERDI SUL RISPETTO ESECUTIVO DELLE SUE OPERE
A Giulio Ricordi - Genova, 11 aprile 1871
Ho letto il vostro articolo, che vi rimando, sull'orchestra, e credo vi sarebbe a ridire: 1) Sulle intenzioni e sull'efficacia istromentali dei Maestri nostri che voi citate. 2) Sulla divinazione dei Direttori... e "sulla creazione ad ogni rappresentazione"...(...) io voglio un solo creatore, e m'accontento che si eseguisca semplicemente ed esattamente quello che ho scritto; il male sta che non si eseguisce mai quello che è scritto. (...) Io non ammetto né ai Cantanti né ai Direttori la facoltà di "creare", che, come dissi prima, è un principio che conduce all'abisso... Volete un esempio? Voi mi citaste altra volta con lode un effetto che Mariani traeva dalla sinfonia della "Forza del Destino", facendo entrare gli "ottoni" in "sol" con un fortissimo. Ebbene: io disapprovo quest'effetto. Quelli ottoni a "mezza voce" nel mio concetto dovevano, e non potevano esprimere altro, che il Canto religioso del Frate. Il "fortissimo" di Mariani altera completamente il carattere, e quello squarcio diventa una fanfara guerriera: cosa che non ha nulla a che fare col soggetto del dramma, in cui la parte guerriera è tutt'affatto episodica. (...)
A Giulio Ricordi - S. Agata, 9 giugno 1894
(...) 1.° Io ho il diritto che le mie opere, come da contratto, vengano eseguite come le ho scritte. 2.° L'Editore deve mantenere tale diritto, e se in Francia, come voi diceste, non ha abbastanza autorità, subentro io come autore e domando che "Falstaff" venga eseguito come io l'ho immaginato.
Domando questo formalmente e deploro che siensi fatte recite all'Opéra Comique in modo mostruoso ed umiliante. (...) io non sono disposto affatto a tollerare questo che io considero come un insulto artistico.
Cari amici, oggi abbiamo il piacere di fare un regalo a tutti i Baritoni:
Alessandro Busti (1799-1859)
- Studio di canto per baritono (Napoli, Cottrau, 1874) -
Alessandro Busti, allievo del castrato Girolamo Crescentini, è
stato un tenore, maestro di canto e prolifico compositore italiano di lavori
sacri, così come di trattati, tra i quali "Studio di canto per baritono"
(1874).
Fu il creatore del ruolo del Duca
d'Alziras ne "La zingara" di Donizetti ed insegnante di canto al Real
Conservatorio di Napoli. Tra i suoi allievi: Alfonso Buonomo (compositore di
una decina di opere liriche), Gaetano Braga (compositore e violoncellista che
ai suoi scolari raccomandava, prima di prendere in mano il violoncello, di
studiare il "belcanto" per saper "ben cantare" sullo
strumento), Vincenzo Curti (pianista), Nicolò Gabrielli, Erennio Gammieri, così
come il famoso tenore Raffaele Mirate (il creatore del ruolo verdiano del Duca
di Mantova nella prima assoluta di "Rigoletto" del 1851) e il celebre
baritono Filippo Coletti (creatore di ruoli verdiani quali Gusmano nella "Alzira"
e di Francesco ne "I Masnadieri", come anche di Donizetti, Mercadante
e Pacini), uno dei tre baritoni principali dell'Ottocento, con Antonio
Tamburini e Giorgio Ronconi, antico modello di "Baritono verdiano". Verdi
revisionò il ruolo di Germont ne "La traviata" per Coletti, la cui
interpretazione ridefinì il ruolo così come è conosciuto oggigiorno.
Scrive Busti, proprio al principio
della prefazione a questa sua opera didattica, a motivazione di questa versione
per baritono, la seguente spiegazione: "La favorevole accoglienza fatta
alla mia Opera Didascalica di Canto già composta appositamente per gli alunni
del Real Collegio di Musica di Napoli, e le reiterate richieste avute perché,
trovandosi questa composta per voce di Soprano, lo fosse per tutte le voci, mi
hanno indotto a portare alcuni cambiamenti necessari all'uopo, e lo
Stabilimento Cottrau ne ha di già pubblicato la riduzione per tutte le sei
voci."
Più avanti, dichiarando il fine
di questo suo metodo, continua dicendo: "Lo scopo di quest'Opera è precipuamente quello di preparare l'allievo
nello studio del vocalizzo, assolutamente necessario per ben cantare.
Egli deve aver sicura la intonazione; e'l diligente Istitutore,
studiando i mezzi del medesimo, lo istituirà dapprima a ben mettere la voce sul
vero portamento di essa: non dovendo 'strisciare' come da molti si pratica,
poiché credono che tal sia il portar la voce. Deve altresì l'Istitutore porre
attenzione che l'allievo non isforzi i suoni, e giunga al pieno della voce
gradatamente.
Canti 'legato' e non stacchi i suoni, se non quando la frase lo
indicherà: e dovendosi tanto eseguire, non tralasci mai di portar la voce; ma,
spingendo leggermente il fiato, rendere il suono distinto, come se fosse
accentato.
Deve inoltre attendere al modo come adoperar bene la respirazione, cosa
principalissima e trascurata, per non renderla pesante, aspirata urtando la
gola. Finalmente badi a non ispezzare le frasi, nè le parole, ed i periodi di
un canto: come pure dar gradazione al colorito. Quante volte poi dovrà
l'allievo cantar con le parole, siano queste ben sillabate, con pronunzia
distinta e non affettata.
In ultimo gli deve far eseguire un corso completo di vocalizzo,
attendendosi a tal uopo alle composizioni pubblicate de' celebri Aprile,
Righini, Crescentini ed altri rinomati Maestri: istruendolo ben' anche nelle
diverse maniere di dire il Recitativo, e fargli cantar qualche pezzo classico,
per dargli una conoscenza della Musica de' celebri fondatori delle scuola di
Canto."
Analizzando la parte pratica
degli esercizi vocali del metodo di Busti, si nota immediatamente come egli (dopo
due sezioni preparatorie costituite da "elementi di lettura musicale"
e ottanta brevi esercizi di "divisione del tempo musicale" a voce
sola, nei quali esplora moltissime combinazioni ritmiche diverse) con il primo
esercizio vocale con accompagnamento di pianoforte, punti subito
all'acquisizione del LEGATO, come egli stesso dice: "Il primo esempio serve per mettere la voce legando un suono con
l'altro, col semituono che vi si troverà, nel modo ascendente e discendente."
Partendo dalla "messa di
voce" e dall'intervallo di 2nda egli arriva progressivamente addirittura
fino a quello di 15esima, con esercizi di preparazione all'esecuzione di tutti
gli intervalli!
Interessante come, per ogni
esercizio, l'autore indichi sempre in quali punti respirare, come egli stesso
precisa: "La intiera respirazione è
segnata con due virgolette ,, la metà con una ,".
Seguono i "Ristretti
esercizi di canto", da eseguirsi "sempre legato", che
prediligono il semitono, e l'esecuzione di tutti gli intervalli come di
sequenze d'estese scale diatoniche.
Corpo centrale del metodo di
Busti sono le successive "melodie facili e progressive" costituite da
33 Melodie per baritono con accompagnamento di pianoforte, alle quali seguono "Sei
Melodie per esercitarsi sugli abbellimenti del canto": "Esercizio pel gruppetto, per
l'Appoggiatura, Esercizio per l'Acciaccatura, Esercizio pel modo sincopato,
Esercizio pel Trillo, Esercizio per Terzine e Sestine", più 5
vocalizzi accompagnati, da eseguirsi "sempre legato", titolati
"Breve esercizio giornaliero per baritono" le cui finalità di studio vengono
così descritte: "un piccolo saggio
di canto maestoso e vibrato pel canto declamato, onde ben mettere la voce,
sostenerne il suono, e svilupparne con gradazione il colorito."
E ancora: "Per l'assiduo esercizio indispensabile al
cantante, affin di rendere sempre più pieghevole e di sicura intonazione la sua
voce e di ben regolare la respirazione, presento qui poche Melodie, con che lo
studioso, tutti i giorni, dopo la scala diatonica non misurata potrà esercitarsi
su le grazie del canto, evitando così la noia dello studio sterile uso a
praticarsi. Queste Melodie potranno eseguirsi o per parte isolatamente o
interamente, facendo ben attenzione ai movimenti ed a tutti i segni così pel
colorito come per la respirazione."
A concludere quest'opera
didattica di Busti troviamo otto "Melodie per la voce di baritono, scritte
espressamente e dedicate all'egregio artista Filippo Coletti dal suo Maestro
Alessandro Busti", divise in quattro iniziali e quattro "di perfezionamento",
che, toccando tonalità diverse, riassumono un po' tutte le possibilità date
alla voce di baritono, alternando tempi lenti a veloci, con diversi tipi di
ornamentazioni e colorature, agilità di terzine e quartine, così come varietà
di stile e carattere, di ritmi e di dinamiche (dal ppp al ff) richieste
all'esecutore, nell'ambito di una estensione totale di dodicesima, procedente
dal si bemolle basso al fa bequadro acuto. Come lui scrive: "Gli esempi di perfezionamento servono per
rendere più sicuro l'allievo nella giustezza del fraseggiare e dell'accentare."
Potete scaricare questo straordinario Metodo di Canto per Baritoni, di una linea di Scuola squisitamente italiana, direttamente da questo link: BUSTI - STUDIO PER BARITONI
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