giovedì 25 dicembre 2014

Le 12 Lezioni di Canto di Rubini

Cari lettori e amici, Belcanto Italiano ® vi offre per queste festività natalizie, il fascicolo musicale di Giovanni Battista Rubini: le "12 lezioni di canto moderno per tenore o soprano"  (1839).
Il fascicolo può essere scaricato direttamente da questo link: http://www.belcantoitaliano.com/BELCANTO_LIBRARY_FILES/Rubini_Lezioni_di_Canto.htm
Il Tenore Giovanni Battista Rubini
L'8 aprile 1839 usciva, come riportato su "Teatri, arti e letteratura", Tomo 31 pubblicato a Bologna in quell'anno, questo AVVISO MUSICALE che si apriva con queste parole:

<<Annunziamo agli amatori del bel canto italiano che si pubblicheranno per associazione il giorno 20 giugno pross. vent. "Dodici lezioni di canto moderno per voce di tenore e soprano" composte dall'insigne artista GIO. BATT. RUBINI.
Questo nome è il più sicuro garante del merito di tale opera e ci esime dal cercar parole per raccomandarla.>> E poi prosegue: <<RUBINI, avendo, a quel che dicono, fiso nell'animo di lasciar il Teatro prima che il Teatro lo abbandoni, pensa di provvedere stabilmente alla propria fama lasciando un monumento della profonda sua scienza.>>

Teatri, arti e letteratura, tomo 31 - Avviso musicale Rubini 1839

Rubini fu uno dei più famosi tenori della prima metà dell’800. Bellini scrisse per lui la parte di Gualtiero nel ‘Pirata’ e Donizetti quella del re nell’ ‘Anna Bolena’, conosciuto come ‘il re de tenori’ raggiunse il culmine della fama a Parigi con ‘I Puritani’. Tenore di grande raffinatezza fu particolarmente ammirato per le sue note acute (sino al sol sovracuto). La sua carriera durò ben 30 anni, dal 1815 al 1845!!!

Rubini é Gualtiero ne "IL PIRATA" di Bellini (ottobre 1827)

Il tenore Rubini e la moglie nell'Opera "Il Pirata" di Bellini, data a Bologna nel 1830

Nel 1871 Enrico Panofka, che aveva udito la voce di Rubini dal vivo, così la descriveva: 
"La voce di Rubini era, ad una volta, d’una maschia possanza, meno per l’intensità del suono, che pel suo metallo vibrato, della più nobile lega, e d’una rara flessibilità, al pari d’un soprano leggiero: cosicché egli arrivava alle più alte note del soprano sfogato con una sicurezza ed una purezza d’intonazione così meravigliose, che si sarebbe tentato di crederlo un castrato. Rubini teneva, ad un tempo, del tenore di forza e del tenore leggiero: e cantava in modo impareggiabile ed ugualmente bene, la parte di Otello e la parte d’Almaviva, di Pollione e d’Arturo, d’Elvino e Don Ottavio.

Il tenore Giovanni Battista Rubini nella parte di Arturo nei ''Puritani'' di Bellini,
disegno di Chalon del 1836

Così l’opera ebbe con Rubini una nuova era per tenori; e poiché egli apparteneva agli uomini di genio, così, non solamente egli non formò scuola, ma ispirò per giunta il suo compositore di predilezione a scrivere particolarmente di lui; dond’è venuto che le ultime Opere di Bellini son quasi scomparse dal repertorio. L’aria che dà la più giusta idea dell’immensa esecuzione di Rubini, era l’aria della Niobe di Pacini.
Uno de rari meriti di questo cantante consisteva nel potere cantare pianissimo, e far già così un grande effetto; di servirsi del primo registro ( volgarmente e falsamente chiamato di petto ) fino al sol solamente, e d’avere unito il primo al secondo registro in modo, da potere, senz’ombra di sforzo, emettere collo stesso vigore il si b, il si e il do. Così il suo do non è mai stato chiamato do di petto; ma era più bello, più luminoso, più potente che la nota forzata dei tenori del do. I quali non si possono abbastanza biasimare, perché hanno ucciso l’arte del canto e un buono numero di poveri giovani, i quali avrebbero potuto essere utili ai teatri; senza la mania di cercare, prima di tutto, il do per ispaccarsi il petto." (E. Panofka, Voci e cantanti, Firenze, 1871, pag. 97-98)

Ecco alcune note tecnico-stilistiche, sulla voce del celeberrimo tenore Rubini:

<< Giovanni Battista Rubini  [Romano di Lombardia (Bergamo) 7 Aprile 1794 – 3 Marzo 1854]

Rubini va considerato come il più grande tenore dell'800 e forse dell'intera storia dell'opera. Su Rubini ci sono rimaste molte indicazioni e notizie di cronisti e musicografi del tempo. Come ormai d'abitudine cercheremo di mettere in evidenza le capacità vocali e interpretative del cantante, visto che poi è quello che a noi deve interessare maggiormente.
Il timbro è descritto unanimemente come eccezionalmente puro, soave e toccante.

La prima ottava (mi2 b mi3 b) era meno sonora e brillante del resto della voce e presentava una lievissima velatura, ciò che però accentuava la dolcezza dell'impasto. Agli inizi fu esclusivamente un tenore di grazia molto agile e dalla voce chiara e leggera. Questo fino all'anno 1825. Dagli anni immediatamente successivi, timbro, colore e intensità cominciarono ad acquistare rotondità e vibrazioni tali che in taluni momenti, potevano far pensare ad un tenore di forza. Il tratto mi3-si3 era poi brillantissimo e di squillo eccezionale.

Dopo il si3 Rubini adottava la tecnica detta di falsettone o "di testa" emettendo suoni penetranti e luminosissimi che, secondo l'autorevole opinione del Panofka, rendevano il suo do4 altrettanto sonoro di quello emesso "di petto" da altri tenori. In falsettone Rubini arrivava al fa4, nota di eccezionale altezza anche per quel tipo di fonazione, e in alcune occasioni toccò addirittura il sol4 (Sonnambula a Parigi nel 1825). Sotto questo profilo R. fu un classico tenore contraltino, in grado di sostenere le tessiture acutissime di Rossini, di Donizetti (Percy nella Bolena, parte scritta per lui) e di Bellini (primo interprete di Bianca e Fernando, Pirata, Sonnambula e Puritani) che lo spinse ad altezze veramente astrali.

La grande tecnica e il portentoso controllo dei fiati gli assicurarono un 'intonazione impeccabile e la capacità di non forzare mai il suono in nessuna zona della gamma. Altre sue spiccatissime doti furono la flessibilità e la capacità virtuosistica.

Nel repertorio rossiniano fu, sotto questo punto di vista l'erede di Giovanni David. La vocalizzazione era rapida, precisa e scintillante, e le variazioni e le ornamentazioni erano eseguite impeccabilmente. Vantò inoltre un trillo granitico e sonoro ed a livello di improvvisazione fu meno estroso ma più misurato di David.

La flessibilità del suono lo portò a effetti di piani e pianissimi e repentini contrasti dinamici dei quali a volte abusava, ma il pubblico se ne deliziava. In ogni caso, l'effetto complessivo del canto rubiniano era di una dolcezza nuova, perché da nessun tenore prima di lui si era udito nulla di simile, né come emissione che come espressione. C'è da sottolineare che nel primo ventennio dell'ottocento erano vivissimi il ricordo e la nostalgia dei castrati, fino a poco prima ritenuti insostituibili nelle parti di amoroso, sia per il virtuosismo, sia per le capacità espressive nel genere elegiaco, sia per l'unicità timbrica e lo stile. Rubini ricordava per la purezza del canto, specie nelle acutissime tessiture questo tipo di vocalità, associandole però alle vibrazioni intense della voce maschile.

Fu dunque il fascino di questo inedito tipo di cantante a far sì che il tenore divenisse la voce amorosa per definizione e l'incarnazione dell'eroe romantico. Rubini fu dunque un innovatore nel senso più ampio del termine ed il vero iniziatore di una dinastia vocale alla quale dopo di lui appartennero Mario, Moriani, Angelo Masini, per arrivare a Bonci e per alcuni aspetti fino a Kraus. Tenori il cui canto estatico e malinconico, alternato a slanci squillanti, simboleggiò gli aspetti più caratteristici della sensibilità romantica, l'amore casto e idealizzato ed i valori morali della giovinezza. >>

Rubini - 12 lezioni di canto (prima pagina) - ediz. Schirmer, 1906

Analizziamo ora brevemente, come visione panoramica introduttiva, l'impostazione di queste 12 "lezioni" di canto del Rubini, originalmente pubblicate a Milano dall'editore F. Lucca nel 1839 e in seguito da Ricordi nel 1840 ed altri ancora, accompagnate dall'indicazione "composte dall'esimio virtuoso di canto G. B. Rubini":

1. Nel primo esercizio vocale, o vocalizzo, Rubini inizia intelligentemente, in tempo Andante, con i semitoni a note lunghe con "messa di voce" per continuare poi con intervalli anche più ampi, in "legato", che servano a imparare a collegare l'area media della voce con il registro di testa. [L'ambito dell'esercizio, di un'ottava e mezzo, va dal RE sopra al Do centrale sino al LA acuto]

2. Nel secondo vocalizzo egli comincia subito a introdurre lo studio di brillanti agilità di terzine, giocando sempre molto sull'ammorbidimento vocale dei semitoni, alternando "piano" a "forte", agilità di terzine in certi punti ancora più difficili di quelle rossiniane!
[L'ambito dell'esercizio, di circa un'ottava e mezzo, va dal RE sopra al Do centrale sino al SI bemolle acuto]

3. Nel terzo esercizio vocale, in tempo Andantino, vengono prese in considerazione, alternandole, le appoggiature e le acciaccature, sempre prediligendo il "legato" e l'attacco del suono con "messa di voce", immettendo ogni tanto fra le crome delle colorature di semicrome. Viene richiesto al cantante di cantare alternando il "forte" al "piano" e "pianissimo" e alcune riduzioni vocali. Notare inoltre la fondamentale indicazione iniziale, segnata per questo vocalizzo: "Portando la voce"!
[L'ambito dell'esercizio, di oltre un'ottava e mezzo, va dal SI sotto al Do centrale sino al SOL acuto]

4. Il quarto vocalizzo, in tempo Allegro agitato, serve a studiare la realizzazione di note accentate in ritmo sincopato, sempre nella morbidezza vocale del canto "legato", sia in sequenze di gradi congiunti che di arpeggi ed arpeggi spezzati procedenti dalla zona bassa sino all'acuta, modulando la voce dal "pianissimo" al "forte".
[L'ambito dell'esercizio, di più di un'ottava e mezzo, va dal DO centrale sino al LA acuto]

5. Il quinto vocalizzo, in tempo Adagio, si incentra sull'esercizio pratico del gruppetto (di tre-quattro note) e del mordente (di due note) con esecuzione leggera ed elegante, dalla dinamica di "pianissimo" a quella di "fortissimo".
[L'ambito dell'esercizio, di circa un'ottava e mezzo, va dal RE diesis sopra al Do centrale sino al LA acuto]

6. La sesta "lezione", in tempo Allegro giusto, è una preparazione alla Roulade [1] da eseguirsi con vigore e decisione, alternando volatine di quartine di semicrome semi-staccate ad altre legate, in "pianissimo", "piano", "fp", sino al "forte".
[L'ambito dell'esercizio, di quasi due ottave, va dal DO centrale sino al SI bemolle acuto]

7. Nel settimo vocalizzo egli trova un'intelligente soluzione progressiva per studiare il trillo. L'esercizio, in tempo Moderato, da eseguirsi con leggerezza e grazia, va ripetuto, accelerandone gradualmente l'andamento, e passa dal "pianissimo" al "forte", sia lavorando all'affinamento del trillo nella zona media della voce che in quella acuta.
[L'ambito dell'esercizio, di circa un'ottava e mezzo, va dal FA sopra al Do centrale sino al SI bemolle acuto]

8. Nell'ottavo vocalizzo, in tempo Allegro maestoso, da eseguirsi "forte e ben accentato", egli unisce la "messa di voce", su nota lunga, alle "roulades", volatine di quartine veloci, diatoniche e cromatiche, legate o leggermente staccate, su una stessa sillaba. [1]
[L'ambito dell'esercizio, di quasi due ottave, va dal DO diesis sopra al Do centrale sino al SI acuto]

9. Nella nona "lezione" egli affronta l'importante tema della gestione delle CADENZE, offrendo una serie di esempi di cadenze finali con le colorature, ben sette tipologie-modello diverse (semplice, doppia o tripla), alcune da cantarsi "con forza" ed altre invece "con grazia" e "leggerezza". Nelle indicazioni esecutive viene ricordato che è di fondamentale importanza che la cadenza e gli abbellimenti scelti in essa siano in accordo con il carattere del pezzo, e che il cantante economizzi il fiato il più possibile, in modo che la cadenza sia fatta con tutta la necessaria solidità ed intensità.
[L'ambito complessivo di questi sette modelli cadenzali, che è di più di due ottave, va dal DO centrale sino al RE sovracuto]

10. Nella decima "lezione" rubiniana, accompagnata dall'indicazione "Sostenuto", che si apre sulle parole "Ella riposa... Alcuni istanti almeno", abbiamo lo studio del Recitativo (accompagnato), da eseguirsi in modo "marcato e ben accentato".
[L'ambito vocale, di circa un'ottava e mezzo, va dal RE sopra al Do centrale sino al LA bemolle acuto]

11. L'undicesima "lezione", in tempo Andante basato sul ritmo di Barcarola in 6/8, che s'avvia sulle parole "Forse, ah forse in suo pensier", è un espressivo Cantabile da cantarsi "a mezza voce"; qui prevalgono, nel dolce "legato" infarcito da qualche momento di coloratura in semicrome, le sonorità di "piano" e verso la fine di "pianissimo"!
[L'ambito vocale, di oltre un'ottava e mezzo, va dal FA sopra al Do centrale sino al RE bemolle sovracuto]

12. La dodicesima ed ultima "lezione" di Rubini, in tempo Allegro giusto, che esordisce con le parole "Moriamo, e amanti spiriti", è un'animata Cabaletta (con sporadici passaggi di coloratura e serie di trilli) da cantarsi "a piena voce" su un baldo ritmo francese di marcia, accompagnata dall'indicazione: "Deciso". Qui per il tipo di carattere conclusivo quasi trionfale prevale, senza dimenticare alcuni momenti in "piano", la sonorità di "forte" e anche di "fortissimo". La cabaletta, com'era consuetudine, viene ripetuta due volte, inframmezzato da un breve momento marcato "Più mosso", perciò chiaramente si dà per scontato che la seconda volta, nel "da capo" (Tempo I), venisse eseguita dal Rubini con l'aggiunta estemporanea di personali ornamentazioni e variazioni.
[L'ambito vocale, di oltre due ottave, è il più esteso di queste dodici lezioni rubiniane e va dal MI bemolle sopra al Do centrale sino a raggiungere il FA sovracuto!!!]

G.B. Rubini - Figurino di Giacomo Pregliasco per il ruolo di Licida nell'opera "Niobe" di Giovanni Pacini - San Carlo - Napoli, 19 novembre 1826

Le ultime tre "lezioni" rubiniane, quindi, come si può notare, corrispondono di fatto ad un'intera scena lirica su parole del grande librettista Felice Romani, nelle classiche sezioni, tipicamente usate nelle opere belcantistiche, della forma multipartita, nota come "solita forma", termine più tardi codificato dal Basevi nel 1859: Recitativo (in Mi bemolle maggiore, concludendo su un accordo coronato sospeso di mi bemolle con la settima che fa da dominante del successivo La bemolle maggiore) - Adagio, o Cantabile (in La bemolle maggiore) - Cabaletta (sempre in La bemolle maggiore). Il testo è tratto dall'Opera "Il Romito della Provenza" (Scena VII - Atto II) data alla Scala di Milano nel 1831.

G.B. Rubini - Figurino di Felice Cerrone per il ruolo di Gianni nell'opera "Gianni di Calais" di Gaetano Donizetti - San Carlo - Napoli, 30 novembre 1828

[1] "Roulade" (gorgheggio) descritto così dal musicologo Arnaldo Bonaventura nell'Enciclopedia Italiana Treccani del 1933:
Rapido passaggio di suoni eseguito dalla voce sopra una stessa sillaba. Richiede grande flessibilità delle corde vocali e una sicura agilità. I compositori se ne sono valsi, sia per abbellire la melodia, sia per evitare che i cantanti ne introducessero ad arbitrio, allo scopo di far valere la propria voce e di mostrare la propria abilità.

Può essere in certi casi un efficace ornamento del canto, purché usato a tempo e luogo e con parsimonia; purché, soprattutto, non nuoccia al testo poetico e non sia in contrasto col significato e col sentimento delle parole. Onde potrà meglio applicarsi quando le parole esprimano brio o gioia che non quando esprimano passione, angoscia, furore. Tuttavia anche il gorgheggio poté talvolta assurgere a potenza drammatica, come nel passo "Ah non tremare, o perfido" della NORMA di Vincenzo Bellini.

Rubini con Giuditta Pasta ne "La Sonnambula" di Bellini

Ecco infine alcuni esempi di vocalità dai ruoli belliniani cantati da Rubini, magistralmente interpretati da 3 Tenori storici del Novecento: Gigli, Lauri-Volpi e Kraus!

Un cordiale saluto a tutti i nostri lettori Belcantisti! - Mattia Peli







Vi aspettiamo dal 6 al 21 marzo 2016 per un fantastico appuntamento dedicato all'Opera Italiana nelle terre di Beniamino Gigli.

Si selezionano:
- 10 Cantanti e 2 Pianisti (partecipanti effettivi)
- 5 Uditori (Cantanti o Pianisti)
per un laboratorio tecnico, stilistico e interpretativo su Lucia di Lammermoor, La Traviata, La Bohème.

Il corso, della durata di 16 giorni, si articolerà nello studio approfondito di Arie e Scene d'insieme, sia dal punto di vista tecnico e interpretativo che della prassi esecutiva e scenica.


Il laboratorio si svolgerà a Recanati nei locali del Centro Internazionale di Studi per il Belcanto Italiano "Beniamino e Rina Gigli", al Teatro Persiani, nell'Aula Magna del Comune con il Pianoforte di Beniamino Gigli e al Teatro "La Rondinella di Montefano.

E' possibile scaricare il bando di partecipazione da questo link: 

Gli Allievi saranno sempre in costantemente guidati dai Docenti del Corso, il M° Astrea Amaduzzi, Soprano Lirico di Coloratura, Docente di Tecnica Vocale ed esperta nella prassi esecutiva Belcantistica, e dal Maestro Mattia Peli, Direttore d'orchestra, Pianista e Compositore.
Pierluca Trucchia, Presidente dell'Associazione "Beniamino Gigli" di Recanati guiderà invece i partecipanti alla scoperta dei luoghi gigliani e curerà una visita al Museo Gigli di Recanati.

  
 A insindacabile giudizio dei Docenti, a fine corso, gli Allievi ritenuti idonei parteciperanno all'allestimento dell'Opera "La Traviata" di Giuseppe Verdi e i migliori saranno scritturati per un grande Concerto Internazionale estivo retribuito dedicato al Belcanto Italiano.

A ciascun Allievo effettivo sarà chiesta un contributo di partecipazione di 22 Euro giornalieri.


L'intero ricavato sarà devoluto all'Associazione Gigli per l'organizzazione delle numerose iniziative Culturali in collaborazione con il CISBI, Centro internazionale di Studi per il Belcanto Italiano. 



tel. (+39) 347 58 53 253

(+39) 3475853253
Contatto WhatsApp di Belcanto Italiano:
(+39) 347 58 53 253

martedì 16 dicembre 2014

L'insegnamento del Canto Lirico da Maestro ad Allievo

Cari lettori, il nostro appassionante viaggio nel mondo del Belcanto prosegue  oggi mettendo un attimo in disparte le seppur utili "scienze esatte" della foniatria e dei libri, (i trattati nascono per tentare di frenare la progressiva e lenta decadenza del Canto) prendendo in considerazione autorevoli testimonianze dirette di grandi Cantanti che ci hanno preceduto.

Analizziamo quanto dicono il Falsettista Domenico Mancini e il Tenore Franco Corelli, e cioè che il Canto si impara ESCLUSIVAMENTE per trasmissione orale da Maestro ad Allievo.
L'Allievo canta una frase vocale, l'insegnante la ripete correggendola e l'Allievo nuovamente la esegue finché non è esatta.

1 - DOMENICO MANCINI: "IL CANTO SI FA PER IMITAZIONE" - Testimonianza del falsettista Domenico Mancini (Civita Castellana, 1891 - Roma, 1984), rilasciata in una intervista registrata negli anni '50:


Ecco il punto chiave di quanto dice il Falsettista Domenico Mancini nell'intervista:  "Moreschi… mi ascoltò e mi cominciò a dare delle lezioni, ma erano delle lezioni superlative, era sempre lui che cantava, io dovevo imitarlo, perché il canto come tutte le cose, come tutti i mestieri, si fa per imitazione. Era una cosa meravigliosa, io ero incantato dalla sua bellissima voce, e cercavo di imitarlo come ragazzo, avendo una gran passione per il canto." (...) ... "La tecnica...la tecnica è la stessa perché io dovevo imitare Moreschi, lo dovevo imitare, in tutto, come lui faceva, la sua scuola era quella."

Mancini, che intervistato diceva ci volesse l'espansivo ambiente acustico di San Pietro per conoscere bene la voce del castrato e l'effetto che faceva, descrive la voce del suo maestro così: 

"Quella del Moreschi era una voce di soprano, di vero soprano, che si differenzia da tutte le altre in quanto voce naturale che canta tutto di petto, poi quando va in acuto prende la voce di testa, e allora si sente il cambiamento della voce dal petto a quella della testa, è come se fosse un tenore che dal mi bemolle passa alla testa. La tecnica era quella dei cantanti dell’epoca d’oro."

Il Coro della Cappella Sistina nel 1904, diretto dal Castrato Domenico Mustafà (ultima fila, 5° da destra) e Alessandro Moreschi (fila centrale, 4° da destra)

2 - FRANCO CORELLI: "Si iniziava così, io facevo una frase o un vocalizzo, lui immediatamente la riprendeva, e mi diceva: "guarda, noi non ci fermiamo mai, cioè, fino a che io non mi fermerò tu la dovrai rifare, perché solo allora in questa maniera tu capirai che la nota, il vocalizzo o la frase va bene"; e allora era un vocalizzo dietro l'altro, una frase dietro l'altra..."




BREVE BIOGRAFIA DEL FALSETTISTA DOMENICO MANCINI:

Domenico Mancini fu allievo del celebre castrato romano Alessandro Moreschi (1858-1922), soprannominato "l'angelo del Vaticano", fu poi falsettista della Sistina (1939-1959) ed anche professore d'orchestra (come contrabbassista) nelle orchestre romane del teatro dell'Opera di Roma, del Teatro Augusteo e dell'Orchestra di Santa Cecilia.

La preparazione con Moreschi, iniziata nel novembre del 1904, gli permette l'ammissione alla Schola Cantorum di San Salvatore in Lauro a Roma, scuola dove hanno avuto la prima formazione musicale tanti celebri cantanti e maestri, fra i quali si annoverano il baritono Giuseppe De Luca, il basso Nazzareno de Angelis, il basso buffo Salvatore Baccaloni, il compositore Goffredo Petrassi, il compositore e direttore d'orchestra Bonaventura Somma, con il quale fu legato da una lunga amicizia.

Nel 1907 viene ammesso al Liceo Musicale dell'Accademia di Santa Cecilia, dove si diploma nel 1913 in contrabbasso.
Nel 1919 prende parte, insieme al coro delle Basiliche Romane, diretto dal Maestro Mons. Raffaele Casimiri ad una tournee negli Stati Uniti e in Canada. Sempre con lo stesso maestro partecipa a concerti in Francia, Belgio, Olanda e Svizzera. Con il Maestro Mons. Lorenzo Perosi partecipa nei primi anni Venti a diversi concerti tenuti in tutta Italia.

Nel 1922 è nel coro della Cappella Giulia in Vaticano chiamato dal Maestro Boezi che lo sceglie per rimpiazzare il posto di Moreschi come solista soprano - falsettista. Nel 1935 quando Mons. Lorenzo Perosi ottiene il ripristino del Coro della Cappella Sistina, il suo nome è il primo nella lista dei cantori presentata per l'approvazione della Santa sede.
Per un cinquantennio, prende parte come solista a tutte le più importanti cerimonie liturgiche della capitale, con i maestri Boezi, Renzi, Perosi, Cometi, Casimiri, Refice, Antonelli e Somma. Ha legami con quasi tutto il mondo musicale romano dell'epoca!

Ritornando al suo maestro di canto, chiamare come è stato fatto Moreschi "l'ultimo castrato" non è esatto. L'ultimo castrato solista della Sistina, sì, ma nel coro di quell'epoca c'erano altri sei castrati, molti di cui cantavano durante le sedute di 1902 e 1904: Giovanni Cesari (1843-1904), Gustavo Pesci (1833-1913), Giuseppe Ritarossi (1841-1902), Domenico Salvatori (1859-1909), Vincenzo Sebastianelli (1851-1919), e Giosafat Vissani (1841-1904). Dopo il "motu proprio" di Pio X del novembre 1903, quelli che c'erano ancora nel coro erano tenuti ad esaurimento e maturazione della pensione ma cantavano sempre meno.





Fotografia di Mascagni firmata "Al carissimo Prof. Alessandro Moreschi con stima e affetto, Roma 1898"
Il Tenore Franco Corelli (a sinistra) con il Tenore Giacomo Lauri-Volpi al pianoforte



domenica 30 novembre 2014

Metodo Italiano di Canto di Aprile

Siamo nuovamente lieti di offrire alla vostra attenzione, come Belcanto Italiano ®, un prezioso esempio di studio della Tecnica Vocale: il Metodo di Canto di Giuseppe Aprile.


Aprile, detto SCIROLETTO, (Martina Franca, 1735 – 1813) fu un celebre cantante "castrato" pugliese, compositore e maestro di canto.

Dopo aver studiato a Napoli con Gregorio Sciroli (un allievo di Leonardo Leo) dal quale proviene il soprannome Sciroletto o Scirolino, divenne uno dei migliori cantanti castrati della sua epoca ed il sopranista più amato da Jommelli del quale cantò diverse opere, tra le quali "Didone abbandonata" (1763), "Demofoonte" (1764) e "Fetonte" (1768).
Fu stimato da Burney e da Mozart, che ammiravano in lui sia la bellezza della voce che il buon gusto nel canto e la giusta presenza scenica. Charles Burney ebbe occasione di ascoltarlo a Napoli nel 1770, mentre W.A. Mozart, che lo sentì sia a Milano che a Bologna, lo descrisse come "un cantante ineguagliato dotato di una bellissima voce".

"Giuseppe Aprile" , tela di Angelo Crescimbeni, 1777 ca.
Eccellendo per la voce di straordinaria estensione e la non comune capacità di padroneggiare ambedue i registri di soprano e contralto, interpretò oltre ottanta ruoli operistici, oltre a cantate ed oratori, nell'arco di più di vent'anni di carriera, dal 1752 al 1785, essendo attivo tra Italia (Napoli, Torino, Roma, Venezia) e varie corti europee (Madrid, Stoccarda).

Fu anche un didatta molto apprezzato, tanto da essere chiamato "Il padre di tutti i cantanti". Insegnò canto a Napoli, e tra i suoi allievi si annoverano il castrato Girolamo Crescentini, il tenore Michael Kelly, il tenore baritonale Gaetano Crivelli, il soprano drammatico Francesca Festa Maffei, il compositore Domenico Cimarosa, il basso Luigi Lablache, e il giovane baritono Manuel García!
Pedagogo e autore di quasi un centinaio di brani vocali (tra Arie, Duetti Notturni e Rondeau), più sette composizioni sacre di non sicura attribuzione e una Cantata a tre voci perduta dedicata alla Duchessa Anna Amalia di Weimer, Giuseppe Aprile lascia anche un metodo di canto, pubblicato circa tra il 1791 e il 1795 in Inghilterra dall'editore londinese Broderip, nel quale adatta ed elabora alcuni insegnamenti elargiti all’inizio del secolo da Tosi. Molti principi e precetti della sua didattica, nonché alcuni esempi ed esercizi vocali, furono ripresi dal trattato di Giusto Ferdinando Tenducci (detto il Senesino), "Instructions […] to his scholars" (1782-85).

Il metodo di Aprile venne in seguito ripubblicato in varie edizione in Germania, Francia, Italia ed ancora Inghilterra ed uscì anche un'edizione stampata forse nel 1806 dal napoletano Antonio Francesco Pacini come "École moderne de chant: Solfèges d'Aprile maitre de Crescentini; arrangés avec accompagnement de piano par Bergangini".
Influenzò poi il celebre tenore e didatta bergamasco Marco Bordogni che si ispirò ad Aprile sia nel titolo che nei principi e contenuti dei suoi "Trentasei vocalizzi per la voce di soprano o tenore" (Bologna, ca. 1840).
La concezione degli esercizi vocali di Aprile fu anche alla base del metodo in due parti di García del 1840/1847, come rilevato nel volume 3 dell'enciclopedia Treccani del 1961, nella lunga descrizione biografica, alla voce "Giuseppe Aprile": "Questi solfeggi hanno il loro valore nell'aristocratica e musicalmente seria stilizzazione di particolari esercizi per le più importanti specie degli ornamenti del canto; si fanno sempre appoggiature, gruppetti e trilli, lenti o rapidi passaggi, tutti con una propria difficoltà, trattati ciascuno in uno o più solfeggi, principio questo che forma, com'è noto, anche la base del metodo di García." 

Qui è possibile ascoltare uno di questi vocalizzi, il numero XXXIII dei suoi 36 Solfeggi:

Il metodo apriliano, entrato in uso nel Conservatorio di Napoli, è introdotto da 21 regole "indispensabili per gli studenti e i dilettanti di musica vocale", che delineano in modo semplice e sintetico alcuni dei punti essenziali nella gestione della voce:

- corretta e bella emissione del suono vocale (basata in particolare sulla "MESSA DI VOCE"); 
- precisione dell'intonazione e della pronuncia (specialmente quella italiana);
- esercizio quotidiano nei solfeggi e nello scrivere una piccola musica ogni giorno
- corretto impiego della VOCE DI PETTO e della VOCE DI TESTA;
- morbidezza nel canto, senza tensioni e senza distorsioni della bocca,
da controllare allo specchio
- espressione del volto calma e serena nel cantare
- uso temporale giornaliero misurato della voce e senza mai forzare i suoni,
specie quelli acuti e sovracuti; 
- scelta giusta dei punti in cui prendere fiato, senza spezzare la frase musicale
- predilezione del "legato" (sia a livello vocale che di pronuncia delle parole)
rispetto allo staccato;
- cura del trillo, come degli ornamenti ed abbellimenti
sempre in accordo con il carattere dell'Aria, 
e cura dei "sentimenti" espressi dal compositore della musica e dall'autore dei testi vocali.

Seguono quindi 22 esercizi preparatori e i 36 solfeggi propri, che alternano note tenute, a scale, singoli intervalli, arpeggi con un’interessante varietà di figurazioni ritmiche, passando da diverse tonalità maggiori e minori, e da varie indicazioni di tempo: Andante, Andantino, Larghetto, Largo, Allegro, Adagio.


APPENDICE I: 21 IMPORTANTI REGOLE (in inglese e italiano) del "MODERNO METODO ITALIANO DI CANTO" di Giuseppe Aprile 

Giuseppe Aprile - "The Modern Italian Method of Singing"
with a Variety of Progressive Examples, and Thirty Six Solfeggi - London, ca. 1791-95
"Il moderno metodo italiano di canto, con una varietà di esempi progressivi, e 36 solfeggi"


Necessary Rules For Students and Dilettanti of Vocal Music
Regole indispensabili per gli studenti e i dilettanti di musica vocale
                                                                                              
I. "The first and most necessary Rule in Singing, is to keep the voice steady."
La prima e più indispensabile regola nel Canto, è di mantenere la voce ferma.

II. "To form the voice in as pleasing a Tone as is in the Power of the Scholar."
Di modellare la voce in un suono tanto piacevole quanto è nella capacità dell'allievo.

III. "To be exactly in Tune, as without a perfect Intonation, it is needless to attempt singing."

Di essere esattamente in tono, poiché senza una perfetta intonazione, è inutile cercare di cantare. 

IV. "To vocalize correctly, that is, to give as open and clear a sound to the Vowels, as the Nature of  the Language in which the Student sings, will admit."
Di vocalizzare correttamente, cioè, di dare alle vocali un suono così aperto e chiaro, quanto la natura del linguaggio in cui lo studente canta, lo permetterà.

V. "To articulate perfectly each Syllable."

Di articolare perfettamente ogni sillaba.
  
VI. "To sing the Scale, or Gamut frequently, allowing to each sound one BREVE or SEMIBREVE, which must be sung in the same Breath, and this must be done, in both,  A MEZZA DI VOCE, that is by swelling the Voice, beginning Pianissimo, and encreasing gradually to Forte, in the first part of the Time, and so diminishing gradually to the end of each Note, which will be expressed in this way. [Pianissimo - encreasing - Forte (Fermata) - diminishing - Piano]"
Di cantare di frequente la scala, o estensione, consentendo ad ogni suono una BREVE o SEMIBREVE, che deve essere cantata nello stesso fiato, e questo va fatto, in entrambi i casi, A MEZZA DI VOCE, cioè aumentando d'intensità la voce, iniziando Pianissimo, e crescendo gradualmente al Forte, nella prima parte del tempo, e quindi diminuendo gradualmente alla fine di ogni nota, che sarà espressa in questo modo. [Pianissimo - cresc. - Forte (Corona) - dim. - Piano]


VII. "To exercise the Voice in SOLFEGGIO every Day, with the Monosyllables DO, RE, MI etc."Di esercitare la voce nel SOLFEGGIO ogni giorno, con i monosillabi DO, RE, MI, ecc.

VIII. "To copy a little Music every Day, in order to accustom the Eye to divide the Time into all its Proportions."

Di copiare una piccola musica ogni giorno, così da abituare l'occhio a dividere il tempo in tutte le sue proporzioni.

IX. "Never to force the Voice, in order to extend its Compass in the VOCE DI PETTO upwards, but rather to cultivate the VOCE DI TESTA in what is called FALSETTO, in order to join it well, and imperceptibly to the VOCE DI PETTO, for fear of incurring the disagreeable Habit of singing in Throat or through the Nose; unpardonable Faults in a Singer."
Di non forzare mai la voce, per ampliare la sua estensione nella VOCE DI PETTO verso l'alto, ma piuttosto di coltivare la VOCE DI TESTA, in quel che è chiamato FALSETTO, al fine di unirla bene e impercettibilmente alla VOCE DI PETTO, per timore di incorrere nella spiacevole abitudine di cantare con la gola o attraverso il naso; difetti imperdonabili in un cantante.

X. "In the Exercise of Singing, never to discover any Pain or Difficulty by distortion of the Mouth, or Grimace of any kind, which will be best avoided by examining the Countenance in a Looking glass, during the most difficult Passages."

Nell'esercizio del canto, mai scoprire alcun dolore o difficoltà con distorsioni della bocca, o smorfie di alcun tipo, che saranno meglio evitate esaminando l'espressione del volto in uno specchio, durante i passaggi più difficili.

XI. "It is recomended to Sing a little at a Time, and often, and, if standing so much the better for the Chest."

Si raccomanda di cantare poco alla volta, e spesso, e, se stando in piedi tanto meglio quanto al torace.

XII. "That Scholars should appear at the Harpsichord and to their Friends with a calm and chearful Countenance."

Che gli allievi debbano apparire al clavicembalo e ai loro amici con un'espressione del volto calma e serena.

XIII. "To rest or take breath, between the Passages, and in proper Time, that is to say, to take it only when the Periods, or members of the Melody, are ended; which Periods or Portions of the Air, generally terminate on the accented parts of a Bar. And this Rule is the more necessary, as by dwelling too long upon the last Note of a musical Period the Singer loses the Opportunity it affords of taking Breath, without breaking the Passages, or even being perceived by the Audience."

Di riposare o prendere fiato, tra un passaggio e l'altro, e nel momento appropriato, cioè, di prenderlo solo quando i periodi, o pezzi della melodia, sono conclusi; i quali periodi o parti dell'Aria, generalmente terminano sulle parti accentate di una battuta. E questa regola è la più necessaria, siccome con il soffermarsi troppo a lungo sulla ultima nota di un periodo musicale il cantante perde l'opportunità che essa offre di prendere fiato, senza spezzare i passaggi, o essere addirittura percepito dal pubblico.

XIV. "That without the most urgent necessity, of either a long Passage, or of an affecting Expression, Words must never be broken, or divided."

Che le parole, senza la necessità più urgente o di un lungo passaggio o di un'espressione emozionante, non debbano mai essere spezzate, o divise.

XV. "That a good MEZZA DI VOCE or Swell of the Voice must always precede the AD LIBITUM Pause (Fermata) and CADENZA."

Che una buona MESSA DI VOCE o rigonfiamento della voce (cresc.-dim.) debba sempre precedere la corona AD LIBITUM e la CADENZA.

XVI. "That in pronouncing the Words care must be taken to accord with the sentiment that was intended by the Poet."

Che nel pronunciare le parole si debba avere cura di accordarsi con il sentimento inteso dal poeta.

XVII. "That the acute and super-acute sounds must never be so forced as to render them similar to shrieks."

Che i suoni acuti e sovracuti non debbano mai essere tanto forzati da renderli simili a urli.

XVIII. "That in Singing, the Tones of the Voice must be united, except in the case of Staccato Notes."

Che nel canto, i suoni della voce debbano essere uniti, eccetto nel caso di note staccate.

XIX. "That in pronouncing the words, double Consonants in the Italian Language must be particularly enforced, and Care must be taken not to make those that are single seem double."
Che nel pronunciare le parole, nella lingua italiana debbano essere in particolare rispettate le consonanti doppie, e si debba avere cura di non far sembrare doppie quelle che sono singole.

XX. "To practice the Shake with the greatest Care and Attention, which must generally commence with the highest of the two Notes, and finish with the lowest."

Di esercitarsi nel trillo con la più grande cura e attenzione, il quale deve generalmente cominciare con la più alta delle due note, e finire con la più bassa.

XXI. "That the Ornaments and Embellishments of Songs should be derived from the Character of the Air, and Passion of the words."

Che gli ornamenti e abbellimenti dei canti debbano derivare dal carattere dell'Aria e passione delle parole.

 
APPENDICE II:  Elenco di alcuni ruoli operistici che interpretò il grande Maestro e Cantante Giuseppe Aprile: 

Euribarte in "Ifigenia in Aulide" di Niccolò Jommelli e Tommaso Traetta (Napoli, 1753);
Timagene in "Alessandro nell'Indie" di Baldassarre Galuppi (Napoli, 1754);
Ezio in "Ezio" di Tommaso Traetta (Roma, 1757);
Enea in "Didone abbandonata" di Tommaso Traetta (Venezia, 1757);
Ciro in "Ciro riconosciuto" di Niccolò Jommelli (Mantova, 1758);
Timante in "Demofoonte" di Tommaso Traetta (Mantova, 1758);
Alceste in "Demetrio" di Baldassare Galuppi (Padova, 1761);
Megacle in "L'Olimpiade" di Niccolò Jommelli (Stuttgart, 1761);
Enea in "Didone abbadonata" di Niccolò Jommelli (Stuttgart, 1763);
Megacle in "L'Olimpiade" di Johann Adolf Hasse (Torino, 1765);
Fetonte in "Fetonte" di Niccolò Jommelli (Ludwigsburg, 1768);
Aminta in "Il re pastore" di Niccolò Piccinni (Napoli, 1765);
Euriso in "Creso" di Antonio Sacchini (Napoli, 1765);
Giulio Cesare in "Cesare in Egitto" di Niccolò Piccinni (Milano, 1770);
Rinaldo in "Armida abbandonata" di Niccolò Jommelli (Napoli, 1770; Firenze, 1775);
Timante in "Demofoonte" di Niccolò Jommelli (Napoli, 1770);
Linceo in "Ipermestra" di Niccolò Piccinni (Napoli, 1772);
Arsace in "Medonte, re di Edipo" di Giuseppe Sarti (Perugia, 1778; Firenze, 1779);
Tarsile in "La Calliroe" di Josef Mysliveček (Pisa, 1779);
Annio in "Cajo Mario" di Domenico Cimarosa (Roma, 1780)

Vi aspettiamo dal 6 al 21 marzo 2016 per un fantastico appuntamento dedicato all'Opera Italiana nelle terre di Beniamino Gigli.

Si selezionano:
- 10 Cantanti e 2 Pianisti (partecipanti effettivi)
- 5 Uditori (Cantanti o Pianisti)
per un laboratorio tecnico, stilistico e interpretativo su Lucia di Lammermoor, La Traviata, La Bohème.

Il corso, della durata di 16 giorni, si articolerà nello studio approfondito di Arie e Scene d'insieme, sia dal punto di vista tecnico e interpretativo che della prassi esecutiva e scenica.


Il laboratorio si svolgerà a Recanati nei locali del Centro Internazionale di Studi per il Belcanto Italiano "Beniamino e Rina Gigli", al Teatro Persiani, nell'Aula Magna del Comune con il Pianoforte di Beniamino Gigli e al Teatro "La Rondinella di Montefano.


Gli Allievi saranno sempre in costantemente guidati dai Docenti del Corso, il M° Astrea Amaduzzi, Soprano Lirico di Coloratura, Docente di Tecnica Vocale ed esperta nella prassi esecutiva Belcantistica, e dal Maestro Mattia Peli, Direttore d'orchestra, Pianista e Compositore.
Pierluca Trucchia, Presidente dell'Associazione "Beniamino Gigli" di Recanati guiderà invece i partecipanti alla scoperta dei luoghi gigliani e curerà una visita al Museo Gigli di Recanati.

  
 A insindacabile giudizio dei Docenti, a fine corso, gli Allievi ritenuti idonei parteciperanno all'allestimento dell'Opera "La Traviata" di Giuseppe Verdi e i migliori saranno scritturati per un grande Concerto Internazionale estivo retribuito dedicato al Belcanto Italiano.

A ciascun Allievo effettivo sarà chiesta un contributo di partecipazione di 22 Euro giornalieri.


L'intero ricavato sarà devoluto all'Associazione Gigli per l'organizzazione delle numerose iniziative Culturali in collaborazione con il CISBI, Centro internazionale di Studi per il Belcanto Italiano. 



tel. (+39) 347 58 53 253

(+39) 3475853253
Contatto WhatsApp di Belcanto Italiano:
(+39) 347 58 53 253

mercoledì 26 novembre 2014

La respirazione nel Canto Lirico

Il meccanismo respiratorio è una questione facile e assolutamente naturale, ma quando tale meccanismo viene applicato al Canto Lirico, tutto deve essere fatto a regola d'arte.


La respirazione, assieme alla totale flessibilità laringea e al giusto punto di risonanza, è la base della migliore tecnica vocale. 

Teorici più o meno famosi complicano moltissimo la faccenda, in realtà la maggior parte degli Allievi ha grandissimi problemi nell'emissione per grande pigrizia respiratoria e sovraccarico di tensione a livello di muscoli del collo e spalle.



La respirazione nel Canto Lirico è impegnativa, ma non così tanto complicata! 
I suoi principali punti di appoggio sono il diaframma, i muscoli intercostali e i muscoli addominali. Usati bene e con la corretta coordinazione di assoluta libertà laringea, questi tre punti speciali diventano un prezioso capitale per l'arte del Canto. 

Analizzo ora semplicemente il meccanismo respiratorio sulla base di mia diretta esperienza, sia come artista che come docente. 

1) I polmoni hanno una forma non omogenea e sono assai più capienti alla base (in basso)


2) Il diaframma è posto alla base dei polmoni (in basso)



3) I muscoli intercostali che aiutano direttamente la respirazione sono soprattutto quelli delle costole mobili (basse)



4) I muscoli di meraviglioso sostegno e controllo del fiato sono quelli addominali (ancora una volta posti dalla pancia in giù, cioè in basso)



Deduzione logica: LA RESPIRAZIONE NEL CANTO LIRICO NON PUÒ E NON DEVE ESSERE SOLO ALTA o APICALE, perchè la sede di miglior efficienza respiratoria tra muscoli e capienza è tutta verso il basso. 

Come si respira al meglio nel Canto Lirico?
Inspirazione: il diaframma si abbassa, i muscoli intercostali, le costole e l'addome si dilatano, aiutate dal meraviglioso mantice dei muscoli addominali. In questa fase ogni bravo Cantante rilassa completamente gola e spalle, prepara nella propria mente l'intonazione del suono vocale lasciando totalmente libera la laringe, e predispone lievemente il palato molle a sollevarsi un po' come quando si sbadiglia.

Espirazione: il diaframma risale, i muscoli intercostali e l'addome si restringono e i muscoli addominali regolano la velocità di emissione del fiato, sostenendo la pressione attraverso l'uso del sapiente appoggio su questi punti muscolari. In questa fase il Cantante tiene completamente rilassate spalle e gola, lascia la laringe totalmente libera di muoversi e scivolare e aiuta con l'uso sapiente di labbra lingua e palato molle sia la proiezione dei suoni (affettuosamente chiamata in gergo "maschera") che una buona pronuncia del testo. 


In un mondo pieno di teorici di tecniche del canto nuove o arcaiche sarebbe forse il caso di fermarsi a riflettere e iniziare a dare ascolto sia a grandi artisti del passato che ad artisti capaci di dimostrare di saper oggi veramente cantare.

Andreste mai a lezione di violino o pianoforte da gente che non è capace di suonare veramente bene il proprio strumento? Certamente no. E allora perchè chi non è capace di cantare, o piccoli o grandi teorici dovrebbero chiamarsi "maestro"? Se la risposta è NO, leggete dunque nell’appendice all’articolo alcune interessantissime testimonianze di grandi cantanti, il cui valore è testimoniato, tra l’altro da registrazioni immortali.

“E qui sorge un altro contrasto: quello delle opinioni, tra loro avverse, degli scienziati della voce. Ma il cantore deve prescindere da elucubrazioni analitiche e applicare l’opinione che nasce dall’esperienza viva del canto e dalle urgenze di problemi che talvolta si presentano improvvisi alla ribalta, nel pieno svolgimento dell’azione scenica e del canto.” - (Giacomo Lauri - Volpi, “Misteri della voce umana” Ed. Dall’Oglio - pag 77- 78)


Appendice:  TESTIMONIANZE DI GRANDI CANTANTI SULLA RESPIRAZIONE

Lauri-Volpi sulla respirazione e il trovare gli "armonici":
"...io ho pensato sempre che la respirazione è diaframmatico-costale, perché noi abbiamo due casse armoniche, questa e questa, ma se noi ci limitiamo solamente alla cassa toracica e dimentichiamo la cassa cranica non troviamo gli armonici, è come un pianoforte, se non si mette il pedale quel cassone lì a che serve..." 

Beniamino Gigli : Il respiro "sul fiato" e il respiro profondo:
"La prima condizione, per cantare bisogna ricordarsi il punto massimo, e cioè dove si deve appoggiare la voce, dove si deve prendere il "respiro profondo", perché il canto è basato unicamente sul respiro, e il respiro bisogna farlo sul diaframma; il diaframma ha una grande importanza."

Carlo Bergonzi sull’importanza della padronanza del fiato, fondamento della tecnica vocale:
“..ho potuto cantare a fianco di grandi tenori come Gigli, Schipa e Pertile. Ai quali chiedevo consigli tecnici negli intervalli: “Commendatore, come respira Lei per fare quegli attacchi sul passaggio?”. E Gigli rispondeva: “Caro, mettiti la mano qua sopra il diaframma mentre respiro”. E per darmi un esempio attaccava la prima frase di “Mi par d’udir ancor”. Ci sono tanti che dicono oggi: “Sì, ma è una tecnica vecchia!”. Sbagliano: la tecnica è una ed è basata sulla padronanza del fiato; è l’interpretazione semmai a mutare con gli anni”.

Conversazione tra Arturo Toscanini e Giuseppe Valdengo:
"Soltanto il fiato deve essere sempre in colonna col suono, naturalmente perché, se manca il fiato, addio linea di bel canto!" 
(Tratto da "Scusi, conosce Toscanini?" Musumeci Editore 1984, p. 77)

Intervista a Lauri - Volpi a Busseto, il 12 giugno 1976:
Dissi a Toscanini “Maestro sono dieci volte che esco e il pubblico la chiama, venga” allora siamo usciti altre cinque volte. Quando si è chiuso il sipario mi disse “Senta Lauri Volpi, io il tempo lo sento come lei, ma non credevo che un essere umano avesse la forza di ricuperare i fiati, di prender fiato e arrivare con questo impeto fino alla fine: io credevo che lei crepasse”

Intervista a Giuseppe Valdengo, a Parma il 9/4/1977 in casa di amici:
Lei insegna canto. Qual è la cosa che insegna per prima?
«Il fiato: si canta col fiato. Poi i vocalizzi. Ci vuole del tempo e tanta pazienza prima di arrivare
alla romanza. Insegno quello che so».

Intervista a Mariella Devia, 28 settembre 2010:
"La base tecnica del canto è sicuramente il fiato; io ho fatto molto lavoro su di me, ascoltandomi, facendomi ascoltare."

Intervista al Tenore Ugo Benelli:
"Ha qualche consiglio per i giovani che stanno studiando su cosa è auspicabile fare durante lo studio e cosa, invece, è assolutamente da non fare dal punto di vista tecnico?
- La cosa principale è “cantare sul fiato”, ma spiegarlo è assai difficile. Montarsolo diceva che il corpo dovrebbe essere come nel sonno, eccetto il diaframma e la colonna del fiato. Bruscantini consigliava di far mettere agli allievi una larga cintura sotto il diaframma (e lui l’ha fatto tutta la vita) per abituarli e ricordar loro dove si deve appoggiare il fiato che si è inspirato. Io parlo di morbidezza, di onde del mare che si infrangono dolcemente sulla scogliera. Trovo che quando si parla di legare o di appoggiare si debba pensare come ad una scavatrice o ad una vanga che deve raccogliere qualcosa…. e trovo che una posizione con il corpo che tende leggermente in avanti può facilmente aiutare per trovare il giusto supporto. Quello che non si deve assolutamente fare è cantare con le spalle che si alzano ad ogni presa di fiato, con la rigidità del corpo e tenendo la testa troppo alzata, perché si va facilmente a finire in gola. La Simionato durante la registrazione di Cenerentola mi diceva: “Piccinella, giù la testa”. Un consiglio che fu assai prezioso.-"

Intervista a Luciana Serra
“...La voce sempre proiettata fuori con bocca ovale dando molta importanza alla parola.
La respirazione è uguale per tutti (soprani, baritoni, tenori, ecc.), le agilità devono averle tutti…” (tratto dal sito "operaclick")

Intervista a Jose Carreras
"La mia impostazione tecnica è quella di sostenere sempre il suono sul fiato e non chiudere mai la gola"

A proposito di Luciano Pavarotti:
“Nel modo di cantare di Pavarotti non tutto era allo stesso livello (per esempio le mezzevoci), ma le fondamenta erano solidissime: respirazione da manuale, appoggiata sul diaframma,  voce ‘in maschera’, passaggio di registro corretto e, di conseguenza, acuti facili e squillanti."
(Alberto Mattioli su Luciano Pavarotti nel libro "Big Luciano"Mondadori, 2007)

Intervista a Gabriella Tucci:
"Attualmente un'altra attività importante nella sua vita professionale è l'insegnamento. Su cosa basa essenzialmente la sua didattica?
In genere il mio insegnamento è subito a 360°, nel senso che si affronta il canto nei suoi aspetti tecnici, in particolare insisto sulla respirazione (poco e malamente insegnata oggigiorno)"

Intervista a Bruno De Simone:
Sesto Bruscantini (...) mi aveva ben presto “ammonito” : “sappi che con le tue caratteristiche interpretative sicuramente ti affideranno quanto prima i ruoli del Buffo ma – aggiungeva – dovrai essere ben preparato per eseguirli, mantenendo la tua vocalità salda e ben tornita, non solo agile e spedita nel sillabato, e per questo devi prima imparare bene il Canto legato sul fiato, che è la base per una corretta emissione vocale; altrimenti puoi rischiare di divenire solo un… buffo parlante!" 

Parole di Sonia Ganassi mezzosoprano belcantista d'agilità (anche soprattutto rossiniano) : <<ho sempre fatto e faccio agilità sempre usando un grande controllo del fiato...con tanta tecnica...nulla si fa, neanche un suono si fa senza tecnica, il canto è tecnica, il canto è lavoro sul proprio strumento continuo e serio>>!!!
(Click qui per il video)

Luisa Tetrazzini:
"Bisogna capire il funzionamento di polmoni e diaframma e dell'intero apparato respiratorio, poiché il fondamento del canto è la respirazione e il controllo del fiato.
Io respiro basso giù nel diaframma, non, come fanno alcuni, in alto nella parte superiore del petto. Tengo sempre un po' di fiato di riserva per i crescendo, impiegando solo ciò che è assolutamente necessario, e riprendo fiato ovunque sia il punto più comodo per farlo.
Un cantante deve essere in grado di fare affidamento sul proprio fiato, proprio come egli fa affidamento sulla solidità del terreno sotto i suoi piedi. Un respiro traballante, senza controllo è come un fondamento malsicuro sul quale non si può costruire nulla, e finché quel fondamento non è stato sviluppato e rafforzato l'aspirante cantante non deve aspettarsi alcun risultato soddisfacente.
  
Non ci deve essere mai alcuna pressione della gola. Il suono vocale deve essere prodotto dal continuo flusso dell'aria. Dovete imparare a controllare questo flusso d'aria, cosicché nessuna azione muscolare della gola possa interromperlo. La quantità di suono viene controllata per mezzo del respiro."

Ed ora un video che vale più di mille parole, in cui la divina Montserrat Caballé fa compiere un esercizio pratico a qualcuno dei suoi Allievi. Lo stesso che propongo sempre anch'io ai miei (ma quanti di essi lo praticheranno regolarmente? ;) )

Buona respirazione a tutti!
M° Astrea Amaduzzi








ACCADEMIA NAZIONALE DI BELCANTO ITALIANO

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