L'OPERA ITALIANA, A CONFRONTO CON QUELLA FRANCESE, NEL 1739-40:
L'opera italiana è molto differente da quella francese, sia per la scelta dei soggetti, sia per la costruzione della favola, sia per il numero e la specie degli attori, come pure il modo di metterli insieme. Non è, come da noi [in Francia], una serie di ruoli fissi, scritturati per opere analoghe che vengano rinnovati quando sia il caso. Qui [in Italia] l'impresario che vuol mettere su un'opera per un inverno, ottiene il permesso del governatore, prende in affitto un teatro, scrittura da diverse parti voci e strumenti, contratta con gli operai e lo scenografo, e finisce spesso per far bancarotta come i nostri direttori di compagnie di provincia. Per maggiore sicurezza, gli operai si fanno assegnare in pagamento dei palchi, che poi affittano per conto loro. In ciascun teatro si eseguono due opere ogni inverno, a volte tre; sicché facciamo il conto di vederne circa otto nel corso del nostro soggiorno [in Italia]. Ogni anno sono opere nuove e nuovi cantanti. Non si vuol rivedere né un'opera, né un balletto, né una scena, né un attore che sia stato visto già l'anno prima, a meno che non si tratti di qualche eccellente opera di Vinci, o qualche voce famosissima. Quando il celebre Senesino apparve a Napoli l'autunno scorso, tutti gridarono: "Che è questo? È un attore che abbiamo già visto, canterà al vecchio modo". Egli ha la voce un po' fievole, ma a mio giudizio è quanto ho udito di meglio per lo stile del canto. (...)
Vi ho detto che in Italia ignorano cosa significhi riprodurre o stampare qualunque musica, sia vocale sia strumentale. Ne avrebbero da fare troppe; i concerti, le sinfonie per grande coro piovono da ogni parte. Per quanto riguarda le voci, il loro numero è limitato; l'opera italiana si compone, di regola, soltanto di una mezza dozzina di personaggi, senza tutto quell'apparato di cori, di feste cantate e di danze che si incontra nelle nostre [in Francia]. Qui invece [in Italia] è più numerosa e variata l'orchestra; ma gli strumenti non sono né vari né preziosi, mentre le belle voci si pagano un prezzo esorbitante, oltre quello che bisogna sborsare per farle venire anche da molto lontano. I signori castrati sono zerbinotti graziosissimi, pieni di albagia, i quali i loro affari non li hanno dati via per nulla. In un'opera [in Italia] ci sono tre o quattro voci di "soprano" e un "contralto", maschi o femmine, oltre ad un "tenore" per le parti di re. Le voci di basso non si usano; sono rare e poco apprezzate. Se ne servono solo nelle farse; dove il ruolo del comico è di regola sostenuto da un basso. I tre generi di voce citati sono più alti di una terza o di una quarta di quelli che si trovano tra noi [in Francia]. I contralto [in Italia] sono rari e molto apprezzati; arrivano fino al 'si-mi' e sono di un genere diverso dai nostri [in Francia]. Non vi è genere di voce nota in Francia, che potrebbe riprodurre il loro modo di cantare. Sono voci di donna, in tono da mezzosoprano, però più basso di qualunque dei nostri [in Francia]; essi cantano, non già nell'ottava superiore propria delle donne, ma all'unisono con gli uomini.
A volte la voce dei castrati subisce la muta, ossia si abbassa nell'invecchiare, e da soprano che era diventa contralto. Non è raro che, nella muta, la perdano addirittura del tutto; sicché non rimane loro più nulla del baratto fatto, e l'affare si dimostra assai svantaggioso. Subiscono l'operazione verso i sette o otto anni; deve essere il bambino stesso a chiederla: la polizia ha messo questa condizione, perché la sua tolleranza apparisse un po' meno intollerabile. Diventano quasi tutti grandi e grassi come capponi, coi fianchi, il sedere, le braccia, il petto, il collo tondi e paffutelli come donne. Quando si incontrano in un gruppo di persone si rimane sbalorditi, quando parlano, a sentire uscire da questi colossi una vocetta da bambini. Alcuni sono molto graziosi; si fanno corteggiare e ricercare dalle donne, le quali, secondo quanto sostengono le cronache della maldicenza se li disputano per i loro talenti, che sono innumerevoli; e ne hanno, di talenti. Raccontano persino che uno di questi "semiviri" presentò al papa Innocenzo XI una supplica per ottenere il permesso di ammogliarsi, adducendo che l'operazione era stata fatta male; il papa scrisse in margine alla domanda: "Che si castri meglio". Bisogna essere abituati a queste voci di castrato per gustarle. Hanno un timbro chiaro e penetrante come quello dei chierichetti, e molto più forte; mi pare che cantino un'ottava più su della voce naturale delle donne. Queste voci hanno quasi sempre qualcosa di secco e di aspro, molto distante dalla dolcezza giovanile e pastosa delle voci di donna; ma sono brillanti, leggere, piene di splendore, assai forti ed estese. Le voci di donna in Italia sono di un genere analogo, estremamente lievi e flessibili; insomma, hanno lo stesso carattere della loro musica. Rotondità, non chiedetegliene, non sanno che cosa sia. Non parlate loro di quei mirabili suoni, che ci sono nella nostra musica francese, filati, continui, turgidi, e decrescenti sopra una stessa nota. Non vi capirebbero neppure, e tantomeno saprebbero eseguire tali suoni.
I DUE TIPI DI VOCE - 'DI TESTA' e 'DI PETTO' - DEGLI ITALIANI, E L'ARTE DELLE SFUMATURE E DEL "CHIAROSCURO", NEL 1739-40:
Gli italiani distinguono tuttavia due tipi di voce, e li chiamano: "voce di testa", fatta tutta di lievità ed adatta agli svolazzi che essi sanno dare alle loro variazioni musicali; "voce di petto", con suoni più schietti, più naturali e pieni. Per dirla in una parola, le voci sono in questo paese [l'Italia] gradevoli, modulate, seducenti al massimo; ma se si mettessero tutte dentro un alambicco, da tutto il miscuglio non si tirerebbe fuori una voce che possa neanche lontanamente paragonarsi a quella della [Catherine-Nicole] Lemaure. Benché sia partigiano zelante della musica italiana, son d'accordo con voi quando sostenete che quel genere di voce così rotondo, pieno, turgido, sonoro debba essere preferito a qualunque altro. Le migliori che io abbia udito sono la Faustina, la Tesi, la Baratti; dei castrati, Senesino, Lorenzino, Marianini, Appianino, eccellente contralto, Egizietto, Molticelli, Salimbeni, Porporino, un giovane scolaro di Porpora, grazioso quanto la più graziosa delle fanciulle; dei tenori, Rabbi, il migliore tenore che esista, che riesce ad arrivare in su quanto [Pierre de] Jellyot*, e ottimo attore. Nell'opera i sessi si scambiano facilmente; a Napoli, la Baratti faceva la parte di un uomo; qui invece sulla scena non tollerano donne; il buon costume non lo permette, e vuole soltanto graziosi fanciulli vestiti da donna; e, Dio mi perdoni, considerata l'inclinazione che in tutto il mondo si dimostra verso le femmine di teatro, ho un gran timore che a volte anche qui non si metta di mezzo la fornicazione. Talvolta queste bellezze sotto mentite spoglie non sono neppure tanto piccole. Marianini, che ha sei piedi di altezza, recita in una parte di donna al teatro Argentina; è la principessa più lunga che incontrerò in vita mia.
Quanto all'arte del canto, nessuno può meglio darvene un'idea dell'affascinante Vanloo [= Cristina Somis] se l'avete udita a Parigi. Non ha una voce molto estesa, in Italia se ne trovano molte più belle; ma nessuno la supera nell'arte di modularla con delicatezza e con gusto squisito. Potete vedere che quasi tutti i ruoli, sia che il personaggio sia uomo o donna, sono per voci acute; esse sono registrate sempre in chiave di 'do' sotto il primo rigo; la chiave di 'sol', sul secondo rigo, serve soltanto per gli strumenti. Qui non adoperano mai la chiave di 'sol' sul primo rigo, praticata da noi. (...) Essi [gli italiani] usano un metodo di accompagnamento che noi [francesi] non comprendiamo; ma che potremmo facilmente introdurre nella nostra esecuzione perché mette in rilievo tutto il valore della musica; esso consiste nell'arte del suono aumentato o diminuito, che vorrei chiamare arte delle sfumature e del chiaroscuro. Ciò si pratica sia insensibilmente, a gradi, sia d'un colpo. Oltre al forte e al piano, al fortissimo e al pianissimo, essi impiegano anche un "mezzo piano" ed un "mezzo forte", più o meno appoggiato. Ne vengono fuori dei riflessi, delle 'mezze tinte', che dànno un'incredibile grazia al colore del suono. (...) Quasi tutte le loro arie sono per voce singola; in tutta un'opera vi saranno sì e no due o tre duetti, e quasi mai un terzetto. I duetti sono dedicati ai temi affettuosi e commoventi, alle situazioni più patetiche dell'opera; sono di una bellezza meravigliosa, e producono estrema commozione. Soprattutto in essi le voci ed i violini adoperano quel chiaroscuro, quell'insensibile rigonfiamento del suono, che sale di forza da una nota all'altra, fino al grado più alto, e poi torna ad una sfumatura estremamente dolce e commovente. Sono ammirate qui le cadenze, o punto d'organo, collocate nel finale di ogni aria per gli "assolo". (...) io rimango della mia opinione, che cioè meno solenne è il genere, e tanto meglio la musica italiana riesce. Effettivamente, si sente che essa respira la gaiezza, e che in essa si trova come nel suo elemento. Mi piacciono anche le loro commedie, dove si mescolano il serio ed il comico. Ne è stata rappresentata una graziosissima, di Rinaldo da Capua, al teatro Valle, ed a Napoli ne ho vista una affascinante, di Leoardo Leo. Ritengo che noi [francesi] non riusciremmo a fare della musica allegra, per quanto possediamo ottime commedie di un genere un po' più elevato, prova ne siano le "Feste veneziane", che hanno veramente un tono da commedia; e Dio volesse che ce ne facessero spesso di simili! Le migliori scuole di musica, o, per servirmi della loro terminologia, i migliori seminari per maestri di cappella, sono a Napoli. Di là, sono usciti Scarlatti, Porpora, Domenico Sarri, Porta, Leo, Vinci, Pergolesi, Gaetano Latilla, Rinaldo da Capua, e parecchi altri celebri compositori. Per le voci, la buona scuola si trova a Bologna; la Lombardia eccelle nella musica strumentale. Ho l'impressione che la musica italiana avesse raggiunto il suo apogeo sei o sette anni fa; qui il gusto cambia continuamente.
(Charles de Brosses - "VIAGGIO IN ITALIA, lettere familiari" [1] - Presentazione di Carlo Levi e Glauco Natoli - Parenti, 1957; ed. it. del testo originale in francese: Charles de Brosses - "Lettres familières écrites d'Italie en 1739 et 1740", Tome II - Librarie Académique, Paris 1869)
* cfr. Arthur Pougin - Un ténor de l'Opéra au XVIIIe siècle. Pierre Jélyotte et les chanteurs de son temps (Paris, Fischbacher 1905)
[1] N.B. Fra le lettere una s'impone all'attenzione dello storico della musica: quella lunghissima che reca il n.51 e che de Brosses ha indirizzato ad un certo "monsieur de Maleteste", nella quale perlappunto espone le differenze tra l'opera italiana e quella francese.
Il ruolo del Conte d'Almaviva 'rossiniano' è stato pensato per essere interpretato da tenori lirico-leggeri, come comunemente accade in epoca modena? La realtà storica mostra il contrario: il primo interprete Manuel Garcia padre (che creò il Conte d'Almaviva nel 1816) era un tenore del genere del "baritenore", così come Nicola Tacchinardi (padre del celebre soprano Fanny Tacchinardi-Persiani, creatrice del ruolo di Lucia di Lammermoor nel 1835) e nel Novecento i famosi ed eccellenti grandissimi tenori dal 'timbro baritonale' Fernando De Lucia ed Hermann Jadlowker!
L'Ottocento:
GARCIA Una delle grandi innovazioni di Rossini fu di comporre la parte del Conte d'Almaviva del "Barbiere" per uno dei più valenti tenori baritonali dell'epoca, Manuel Garcia, con una scrittura eccezionalmente ardua nel rondò "Cessà di più resistere" dell'ultimo atto. (R.Celletti - VOCE DI TENORE, 1989)
(...) per le contrade della Spagna (...) il primo nome è già mitico, il tenore e compositore Manuel Garcia, padre del baritono Manuel Patricio, di Maria Malibran e di Pauline Viardot. La sua scheda vocale contemplava un timbro e una corposità baritonaleggianti, squillo, smalto lucente, fraseggio vigoroso, temperamento irruente, focoso. Un tale splendore non veniva meno nel canto fiorito, con un mordente e una 'verve' pieni di accensione, saldamente sorretti da una sicurezza cristallina che giungeva all'infallibilità. Basti ricordare l'aria finale del "Barbiere", "Cessa di più resistere", un monumento elevato alla difficoltà (la seconda parte diventa il rondò della "Cenerentola"): i tenori hanno sempre cercato di evitarla, salvo che in questi ultimi anni, ma di rado, mentre Garcia ne aveva fatto uno dei punti dove appoggiare la leva di un'abilità spericolata. (G.Marchesi - CANTO E CANTANTI, a Rodolfo Celletti - cap. II, L'Ottocento - 1996)
Nel "Barbiere" abbiamo, con il conte Almaviva, il ritorno a tessiture centrali. (...) Almaviva fu composto per Manuel Garcia padre, che era un baritenore, sia pure molto esteso nel suo genere. (...) Anche il baritenore rossiniano sale a volte al do4 e perfino al re4, avvalendosi dell'emissione in falsettone. Generalmente il baritenore canta a voce piena fino al sol3 o la3 bemolle (sono le note più acute del baritono moderno) e quindi entra in registro di testa puro, producendo suoni bianchi, ma non privi di vibrazioni e di forza di penetrazione. (...) Il baritenore è anch'egli chiamato, come il tenore contraltino, a una vocalità ricca di fiorettature e di ornamenti (trillo incluso) (...) Comunque, anche dai princìpi esposti da Garcia [figlio], si deduce che una legge fondamentale del canto nel periodo rossiniano (ma si trattava, in realtà, d'una regola nata con il belcantismo) era la varietà dei forti e dei piani, nonché un assiduo uso di tutte le tinte intermedie. Altrettanto fondamentale era la regola che bisognava variare un motivo tutte le volte che esso si ripeteva (...) Quanto al trillo, tutte le voci femminili al tempo di Rossini, ne erano dotate e l'eseguivano sotto varie forme; le voci maschili, ci avverte Gilbert Louis Duprez, l'eseguivano generalmente a mezzavoce. Soltanto pochi cantanti erano capaci di eseguire un trillo a piena voce. Duprez attribuisce questa capacità al tenore Rubini, al baritono Barroilhet e al basso Lavasseur. Era comunque dotato d'un trillo a voce piena, sonorissimo, anche il tenore Manuel Garcia padre. (R.Celletti - STORIA DEL BELCANTO - Rossini. Tipi vocali rossiniani - 1983)
TACCHINARDI Dopo Manuel Garcia padre, nel 1816 al Teatro Argentina di Roma, ecco un'altro "tenore baritonale" che faceva benissimo anche le agilità, come giustamente ricordato dal Celletti: Nicola Tacchinardi, il quale affrontava nell'autunno del 1820, pochi anni dopo la prima assoluta del Barbiere rossiniano, il ruolo del Conte d'Almaviva alla Scala di Milano!
In "Rossini e la Musica, ossia Amena Biografia Musicale, Almanacco per l'anno 1827. Anno I.°" così vengono sintetizzante le sue qualità vocali: <<I meriti principali che vengono attribuiti al canto del Sig. Tacchinardi sono robustezza sonora, nitidezza infinita, agilità della voce che lo tramanda, e intelligenza di adattarlo alla scena. Le sue primarie arene di gloria furono Parigi, Roma, Venezia ove destò entusiasmo inenarrabile nell' "Otello", e il R. Teatro di Torino, d'onde, sostenendo la parte di Jarba nella "Didone", le fioriture del suo canto ebbero palma su quelle del soprano Velluti.>>
Tacchinardi fu anch'egli un tenore baritonale, ma in grado di sostenere tessiture molto acute grazie a un uso abilissimo del falsettone, al quale saliva riuscendo a mantenere il suono omogeneo con quello del registro di petto. Il timbro era molto bello (non però come quello di Crivelli) e alla potenza s'univa una provetta agilità. Aveva gusto nell'ornamentazione e nelle variazioni, il fraseggio era dolce o vibrante a seconda delle situazioni, accentava con eloquenza e senza eccedere in enfasi. In Italia fu ritenuto un grande attore, specie nel gioco della fisionomia. (R.Celletti - VOCE DI TENORE, 1989)
Come indicato sempre da Celletti: Il tenore baritonale nelle opere serie italiane di Rossini trova largo spazio, ad esempio impiega il baritenore nel "Tancredi" (Argirio). (...) Nozzari, il più tipico baritenore rossiniano - dopo "Elisabetta regina d'Inghilterra" (Leicester) - sarà Otello nell' "Otello", Rinaldo nell' "Armida", Osiride nel "Mosè". (...) E' soprattutto nell' "Armida", comunque, che Rossini affronta con decisione il problema di far cantare d'amore il baritenore; e lo risolve nei duetti Rinaldo-Armida ("Amor possente nome" del primo atto, "Dove son io" del secondo, "Soavi catene" del terzo) indirizzandosi verso una sensualità espressa da melodie ricche di ornamenti (in specie gruppetti) o fittamente fiorettate.
Di solito, però, Rossini è troppo "belcantista" perché il baritenore possa ispirargli spunti davvero amorosi e melodie soavi e languide, oppure sognanti. Anche quando il baritenore è padre o antagonista, l'accoramento, la pateticità vengono a mancare. Il personaggio è in genere indirizzato verso il canto di forza, che trova le formule più tipiche in salti ascendenti, spesso accentuati, all'avvio, dal ritmo puntato, come in questa frase di Aureliano ("A pugnar m'accinsi o Roma", atto I). Nella vocalità di forza, comunque, è Otello che fa testo, sia nel Vivace marziale d'entrata ("Ah! sì per voi già sento"), sia nel veemente duetto con Iago ("L'ira d'avverso fato", atto II), sia nella scena conclusiva dell'opera. (...)
Il baritenore in veste di amoroso come alternativa al contralto <in travesti> era una soluzione che, ancor prima di Rossini, era stata adottata da altri operisti, ma che poneva sul tappeto il problema di chi avrebbe dovuto sostituire il tenore baritonale nei ruoli di padre, di antagonista, di tiranno, di traditore e simili. Il rimedio iniziale fu di continuare a servirsi, per questi ruoli, di un baritenore, ovviando all'uniformità timbrica che ne derivava scrivendo o per l'amoroso o per l'antagonista una parte dalla tessitura relativamente più alta dell'altra. Nell' "Achille" di Paer, ad esempio, sono baritenori sia il protagonista che Agamennone, ma la tessitura del primo è più elevata. Nell' "Elisabetta" di Rossini si ha la situazione opposta: Norfolk, che fu impersonato da Manuel Garcia padre, è un baritenore più acuto di Leicester (Nozzari). L'impiego plurimo del baritenore provocò, in talune opere di Rossini, una situazione timbricamente assai confusa e senza dubbio monocorde. Nell' "Armida", caso limite, agirono simultaneamente, tra amoroso (Nozzari), antagonista, condottiero di eserciti, mago e caratteristi, ben sette tenori baritonali. La via d'uscita fu però suggerita a Rossini dal tenore d'opera comica o di mezzo carattere. (...) Il baritenore (...) è più incline ai grandi intervalli che portano repentinamente la voce da un suono grave a uno acuto o viceversa (canto detto di sbalzo).
N.B. Con Lindoro dell' "Italiana in Algeri", scritto per Serafino Gentili, e con don Narciso, scritto per Giovanni David, si ha la comparsa di tenori piuttosto chiari, dal timbro brillante e dalla gamma molto estesa, che all'epoca venivano definiti <tenorini>. Anche Garcia padre aveva in repertorio l' "Italiana in Algeri", ma di fronte all'acutissima tessitura e alla scrittura prevalentemente sillabica di "Languir per una bella", abbassava l'aria di un tono e mezzo, eseguendola in do maggiore anziché in mi bemolle!!! (R.Celletti - STORIA DEL BELCANTO - Rossini. Tipi vocali rossiniani - 1983)
Altro esempio, la cavatina di Gernando "Non soffrirò l'offesa" scritta per il tenore baritonale Claudio Bonoldi. Fresco del debutto l'anno prima alla Scala (nell' "Annibale in Capua" di Farinelli), era già un divo: "Bonoldi, oh, Bonoldi è un tenore per il Teatro alla Scala, piace e piacerà e scommetterei che per la sua voce forte e ben distesa sarà il tenore alla moda"; "piuttosto baritono che tenore ha una voce rotonda ed intuonata e canta bene"; "ha gran voce, ed arte di ben usarne; lo vorremmo un po’ meglio ordinato nel portamento e nel gesto" ("Il Redattore del Reno", 8 gennaio 1811) Tenore con timbro e volume di baritono, il B. fu "artista di potenti mezzi vocali e grande arte" (Schmidl). Di lui si scriveva, sotto al suo ritratto: "Questo lodatissimo Tenore corre con somma lode la difficile carriera musicale, ed ottenne sempre meritati applausi non meno per la sua voce che per il bel metodo di Canto."
Il Novecento:
DE LUCIA Dal 1840 in poi, il nuovo repertorio - in specie quello di Verdi - condusse spesso al San Carlo cantanti di scuola meridionale e scoppiò una delle tante polemiche Nord-Sud. A Milano s'urlava, a Napoli si cantava. Tesi eccessiva, ma non del tutto destituita di fondamento, stando a qualche testimonianza. Anche dopo la conversione a Verdi - e poi alle opere veriste e naturaliste - il pubblico del San Carlo rimase il più belcantista e severo d'Italia. Nel 1878 andò in estasi per la Patti, ma nel 1879 la presenza della diva non evitò fischi al di lei amante, il tenore Nicolini. Imparzialmente i melomani napoletani amarono tanto il tenore Roberto Stagno, siciliano, che il tenore Gayarre, spagnolo. Bruciarono poi incensi per il re dei baritoni, Battistini, che era romano, e per il soprano Bellincioni, che era lombarda, e non si stancarono mai d'ascoltare l'ultimo "rosignolo di Napoli", il tenore Fernando De Lucia, che tra il 1835 e il 1917 cantò spessissimo al San Carlo. La disputa del 1902 se nell'Elisir d'amore fosse migliore De Lucia o il giovane Caruso (entrambi erano napoletani) fu forse l'ultimo bagliore del culto dei napoletani per il canto cesellato. De Lucia "cesellava", Caruso no. Poi, gradatamente, anche il pubblico del San Carlo si rassegnò alla sorte degli altri pubblici, che fu quella di perdere la propria identità a misura che la perdevano i teatri di tutto il mondo. (R.Celletti - La grana della voce, 2000)
De Lucia ha lasciato molti dischi, diversi dei quali registrati tra il 1903 e il 1908 (...) il colorito, per essere quello d'un tenore di grazia, era piuttosto scuro, non aveva nulla a che vedere con le inflessioni bianche dei tenorini. Quanto agli acuti, sono pieni e squillanti fino al La naturale. (...) De Lucia dimostra spesso, nei dischi, d'avere una spiccata personalità (...) che possedesse una mezzavoce quanto mai suggestiva e pianissimi insinuanti, che eseguisse impeccabilmente agilità e fioriture, è certo. Era uno dei cosiddetti "cesellatori", che amava procedere per contrasti, facendo seguire alla piena voce suoni esili e dolci (...) (R.Celletti - VOCE DI TENORE, 1989)
De Lucia nel ruolo del Conte d'Almaviva, nel "Barbiere di Siviglia" di Rossini - Monte Carlo, 1907
Patria (Gazzetta dei Teatri), 12 novembre 1885 His voice, of "baritonal" timbre, is inherently most agreeable and inspiring and, without being overpowering, is sufficiently robust and extensive. [He] sings with much art and can execute delicate and very refined inflections and "smorzature". He sings with expression...
Nación, 12 ottobre 1895 [Il barbiere di Siviglia, Teatro Nacional di Buenos Aires] Sr. De Lucia showed not his mastery of singing in general, which there was no need to demonstrate, but sufficient of the Rossinian style and the decorated form for him to figure as one of the best interpreters of the part of Almaviva. To recognise him as such it would have sufficed to hear how he outlined, shaded in and then decorated the 'Ecco ridente in cielo', which brought him thunderous applause. In many places he sang passages, in "mezza voce" and "a fior di labbro", truly delicately and with similarly correct execution...
Pungolo, 28 febbraio/1 marzo 1902 [Il barbiere di Siviglia, San Carlo di Napoli] Procida wrote: De Lucia showed the greatness of his fascination in the first "serenata", 'Ecco ridente'. The penetrating sweetness of a voice that touches the innermost chords and exquisitely strikes the innate sentimentality of our audience immediately acted like a philtre; De Lucia modulated the sweet melody with a stimulating quality and a sentiment which are in the nature of the distinguished tenor; flexible, smooth, and caressing, his voice seduces by the beauty of its timbre. ...it is astonishing that a singer who is so knowing, and of such a sentimental nature, sustained a role in such a playful and strongly rhythmic music, which requires so much technical agility, without ever jumping a note, using a voice that is not usually exercised in such technical requirements, but [it] is dedicated to "Carmen", and which has become heavier as a result of his performance of Loris.
(citazioni in inglese riportate in: Michael E. Henstock - "Fernando De Lucia, Son of Naples 1860-1925" - Duckworth, 1990)
Jadlowker nel ruolo del Conte d'Almaviva, nel "Barbiere di Siviglia" rossiniano
JADLOWKER Singolarissimo tenore, Hermann Jadlowker (...) aveva una voce molto ampia, il cui colorito baritonaleggiante presentava qualche analogia con quello di Caruso (...) non poteva competere con il fraseggio passionale e perentorio di Caruso, ma si rivaleva con una fonazione che consentiva un'eccezionale duttilità nell'uso delle mezzevoci e delle agilità. (...) Chi ascolta i suoi dischi ha la sensazione, in talune pagine del "Don Giovanni", dell' "Idomeneo", del "Barbiere di Siviglia", di udire uno dei leggendari baritenori preromantici, tanto esatta, veloce, impetuosa è la vocalizzazione e lucenti e cristallini sono i trilli. Sotto questo aspetto egli resta a tutt'oggi ineguagliato. (R.Celletti - VOCE DI TENORE, 1989)
La voce di Jadlowker aveva timbro stranamente scuro e sensuale (...) Le sue interpretazioni brillavano sempre per musicalità e buon gusto, ma soprattutto straordinaria era la tecnica: tra l'altro Jadlowker, che sembrava a volte, nella vocalizzazione, emulare i soprani d'agilità, possedeva un trillo stupendo, come documentano anche i suoi dischi (...) Eccelleva perciò in opere come il "Barbiere": l'incisione della cavatina pone in risalto la nitidezza delle fiorettature, così come l'aria dell' "Idomeneo" rispecchia la straordinaria fluidità dei suoi vocalizzi. Nonostante queste doti tipiche del tenore di grazia, la sua voce era ampia e voluminosa (...) (L.Riemens in: LE GRANDI VOCI, dir. R.Celletti - 1964)
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Ascolti:
Il Conte d'Almaviva rossiniano BARITENORE - 1904-1912
Rossini - "Ecco ridente in cielo" - Fernando De Lucia (1904) Rossini - "Se il mio nome saper voi bramate" - Fernando De Lucia (1908) Rossini - "All'idea di quel metallo" - Fernando De Lucia, Antonio Pini-Corsi (1906) Rossini - "Ah! Qual colpo inaspettato" - Fernando De Lucia, Josefina Huguet ed Antonio Pini-Corsi (1906) Rossini - "Ecco ridente in cielo" - Hermann Jadlowker (1912)
Vi aspettiamo a Roma, il 14 e 15 maggio 2022, per il seminario 'La grande tecnica vocale dell'antica scuola italiana'.
Due giornate di corso intensivo con i fondatori di Belcanto Italiano: Astrea Amaduzzi, soprano ed esperta di tecnica vocale e il M° Mattia Peli, Maestro preparatore e vocal coach
Info e prenotazioni (Tel./WhatsApp) (+39) 3475853253
Calendario di studio dell'Accademia Nazionale di Belcanto Italiano - anno accademico 2021/22
Presentato il programma di studi dell'Accademia Nazionale di Belcanto Italiano! Da novembre 2021 a luglio 2022 un entusiasmante viaggio alla scoperta della voce nel canto lirico, con organizzazione di concerti e opere in costume.
Ecco il Calendario di studio dell'Accademia Nazionale di Belcanto Italiano - anno accademico 2021/22
Novembre 2021 - "La respirazione" e "La messa di voce" Dicembre 2021 - "La voce di petto, il misto e la voce di testa" Gennaio 2022 - "I passaggi di registro" Febbraio 2022 - "Le agilità vocali" Marzo 2022 - "La mezza voce" Aprile 2022 - "L'arte scenica" e "I filati" Maggio 2022 - "Gli acuti e i sopracuti" Giugno 2022 - "Il trillo" e "La messa in scena" Luglio 2022 - "La relazione tra musica, movimento e scena"
raccogliamo in questo articolo alcune citazioni del celebre soprano Rosa Ponselle sull'arte del canto. Buona lettura e buona riflessione a tutti!
1. IL METODO DEL CANTANTE, secondo il grande soprano Rosa Ponselle:
«Ah, there is nothing like the "Bel Canto" method of singing. It is the only safe foundation for a singing career. The "Bel Canto" is not only the esiest way of using the voice, thus saving it for a lifetime, but it is also the most natural way of producing tones. In almost any other method, the beautiful line of the singing is lost, because of the declamatory style of tone production which gives results not at all melodious. People often ask by what means I preserve the freshness and spontaneity of my voice. In the first place, I have to thank the Creator and a fine musical parentage for a reliable throat and vocal organs. The only secret I have for the preservation of what has been given me is that I have been taught a proper method of singing and then practice a proper method of living. The voice is so sensitive, reflecting every variation of our physical and emotional condition, that not to keep the body, the mind, and the soul or emotional instincts all in a normal, healthful condition, is simply suicidal to the singer's ambitions. After a singing technique is once thoroughly developed, but little exercise of the voice, other than that necessary at rehearsals and in actual public use, is necessary. Just a few "warming up" exercises occasionally to keep the tones flowing smoothly. (...) The one thing that the singer must never sacrifice is that velvety edge on the tone which charms the senses of the hearer. No matter how dramatic the situation, the tone must never become strident. No matter what the depth of emotion or how violent the passions of the situation, always the tone must remain spontaneous, pure, and responsive, that it may be a medium for the transmission of the emotions of the soul of the singer. Just as soon as strain enters into the tone, just that soon it loses to a large degree its usefulness as a means of moving the one who hears it. (...) Always one should feel that there is more to give if it were but necessary. There is such inspiration in the feeling that there is still more in reserve. Strangely enough, this feeling goes right out over the footlights and takes hold of the audience, creating a wonderful confidence in the artist because that there is always a possibility of more to come, that the singer has not reached the limits of her ability to give.»
[Ah, non v'è nulla che sia paragonabile al metodo canoro del "Bel Canto". È l'unico fondamento sicuro per una carriera lirica. Il "Bel Canto" non è solo il modo più semplice di usare la voce, conservandola così per tutta la vita, ma è anche la via più naturale per produrre dei suoni. In quasi tutti gli altri metodi si perde la bella linea del canto, a causa dello stile declamatorio della produzione del suono che dà risultati per nulla melodiosi. La gente spesso mi chiede in che modo riesca a preservare la freschezza e la spontaneità della mia voce. In primo luogo, devo ringraziare il Creatore ed una buona parentela musicale per una gola e degli organi vocali affidabili. L'unico segreto che ho per preservare ciò che ho ricevuto in dono è che mi è stato insegnato un metodo di canto corretto e poi è quello di praticare un metodo di vita corretto. La voce è così sensibile, da riflettere ogni variazione della nostra condizione fisica ed emotiva, che non mantenere il corpo, la mente e l'anima o gli istinti emotivi in condizioni normali e sane, è semplicemente un suicidio per le ambizioni del cantante. Dopo essere stata sviluppata a fondo una tecnica di canto, occorre poco esercizio della voce, oltre a quello necessario durante le prove e nelle esecuzioni pubbliche vere e proprie. Solo qualche esercizio di "riscaldamento" di tanto in tanto per mantenere i suoni fluidi. (...) L'unica cosa che il cantante non deve mai sacrificare è quel contorno vellutato sul suono che incanta i sensi dell'ascoltatore. Non importa quanto drammatica sia la situazione, il suono non deve mai diventare stridente. Non importa quale sia la profondità dell'emozione o quanto violente siano le passioni del momento scenico, il suono deve rimanere sempre spontaneo, puro e reattivo, affinché possa essere un mezzo per la trasmissione delle emozioni dell'anima del cantante. Non appena lo sforzo entra nel suono, subito perde in larga misura la sua utilità come mezzo per commuovere colui che l'ascolta. (...) Si dovrebbe sempre percepire che vi sia di più da dare se solo fosse necessario. Vi è una tale ispirazione nella sensazione che vi sia tanto di riserva da offrire. Strano a dirsi, questa sensazione va oltre le luci della ribalta e si impadronisce del pubblico, creando una meravigliosa fiducia nell'artista perché c'è sempre la possibilità che non sia finita lì, che il cantante non abbia raggiunto i limiti della sua capacità di dare.]
(da: The American Girl's Chance in Opera, an Interview with the distinguished Soprano and Artist ROSA PONSELLE - THE ETUDE, November 1929)
2. Consigli di Rosa Ponselle ai giovani soprani drammatici:
«When you begin to study singing, let your first thought be to learn how to sing. And then, if later you feel drawn toward opera, make sure that you possess the requisite qualifications for an operatic career. (...) William Thorner was my teacher, and all that I may have gained in the way of voice production and flexibility, singing poise and tone development, I owe to him. There seems little advantage to the student in recommending this, that or the other set of "vocalises" or exercises for study use. After all, if you get down to the gist of the matter, it is altogether a question of the proper use of the exercises selected; "how" to study what you study and not "what" you study. I spent less than a year preparing for opera, but when you ask me how I managed to accomplish so much in a time so comparatively short, the answer is simple. I was studios—working with my mind as well as with my throat—and I had had correct teaching from the "very beginning", and therefore no faulty teaching to undo. One thing in which I am a great believer is the avoidance of vocal overexertion. During the opera or concert season I use daily vocal exercises to keep my voice flexible; but I practice them only a "few minutes" each day—and during my vacation I give myself a complete rest. Even while I was preparing to sing in opera, I did not practice more than fifteen or twenty minutes a day; unless, of course, I was studying a new role. The pronouncedly coloratura roles, as I see it, do not properly lie within the range of the dramatic soprano voice; but there is no earthly reason why the dramatic soprano cannot sing purely lyric roles, and sing them well. (...) I would not attempt to draw comparisons, as regards difficulty, between one and another operatic role of the dramatic soprano repertory. (...) I could not say that Leonora, for instance, is a role more difficult to sing than that of Elvira. My own experience is that ALL ROLES REQUIRE THE SAME MENTAL EXERTION IN ORDER TO RENDER THE MOTIF IN ITS BEST LIGHT! (...) As regards the studying of soprano roles or songs which the singer, for some one reason or other, may be doubtful of carrying to success, there is a very simple and logical rule, one which I follow myself: I HAVE NEVER STUDIED ANY ROLE TO WHICH I DID NOT BELIEVE I COULD DO JUSTICE.»
[Quando s'incomincia a studiare canto, per prima cosa si pensi ad imparare a cantare. E poi, se più tardi si percepisce un'attrazione verso l'opera lirica, ci si accerti di possedere i requisiti necessari per una carriera operistica. (...) William Thorner è stato il mio insegnante, e tutto ciò che posso aver raggiunto dal punto di vista della produzione e flessibilità della voce, della padronanza canora e dello sviluppo del suono, lo devo a lui. Mi sembra vi sia poca convenienza nel raccomandare allo studente questa, quella o quell'altra serie di "vocalizzi" od esercizi ad uso di studio. Dopo tutto, se si va davvero al nocciolo della faccenda, è tutta una questione che ha a che fare con l'uso appropriato degli esercizi selezionati; "come" si studia ciò che si studia e non "cosa" si studia. Ho impiegato meno di un anno nel prepararmi all'opera lirica, ma se mi chiedete come sia riuscita a realizzare così tanto in un tempo relativamente così breve, la risposta è semplice. Ero diligente nello studio—lavorando tanto con la mente quanto con la gola—ed ho avuto l'insegnamento giusto fin dal "primo momento", e perciò nessun insegnamento scorretto da eliminare. Una cosa della quale sono una grande sostenitrice è quella di evitare l'iperaffaticamento vocale. Durante la stagione operistica o concertistica impiego degli esercizi vocali giornalieri per mantenere flessibile la mia voce; ma mi ci esercito solamente per "pochi minuti" al giorno—e durante le vacanze mi concedo un periodo di completo riposo. Anche quando mi stavo preparando per cantare in un'opera, non mi sono mai esercitata per più di quindici o venti minuti al giorno; a meno che, naturalmente, non stessi studiando un nuovo ruolo. I ruoli marcatamente di coloratura, per come la vedo io, non rientrano propriamente nell'ambito della voce del soprano drammatico; ma non v'è ragione alcuna per cui il soprano drammatico non possa cantare ruoli da lirico puro, e cantarli bene. (...) Non cercherei di fare confronti, quanto alla difficoltà, tra taluno e talaltro ruolo operistico del repertorio del soprano drammatico. (...) Non potrei dire che Leonora, ad esempio, sia un ruolo più difficile da cantare di quello di Elvira. La mia personale esperienza mi dice che TUTTI I RUOLI RICHIEDONO IL MEDESIMO IMPEGNO MENTALE PER POTER RESTITUIRE IL MOTIVO DOMINANTE NELLA SUA LUCE MIGLIORE! (...) Quanto allo studio dei ruoli o delle arie per soprano che la cantante, per una ragione o per un'altra, possa essere in dubbio di portare al successo, v'è una regola molto semplice e logica, una regola che io stessa seguo: NON HO MAI STUDIATO NESSUN RUOLO AL QUALE NON CREDESSI DI POTER RENDERE GIUSTIZIA.>>]
(Rosa Ponselle da: Frederick Martens - "The Art of the Prima Donna and Concert Singer", 1923)
3. Rosa Ponselle: 'LA GRANDE VOCE NON FA AUTOMATICAMENTE DEL CANTANTE UN ARTISTA'!!!
«My phonograph records, whether good or bad, convey something of my voice and a little of my artistry. I was said to have had a great voice; my recordings, especially the ones taken from radio broadcasts, captured what I had rather faithfully. But voice and artistry are separate matters. Having a great voice in no way guarantees being an artist; it guarantees only that the voice will probably appeal to an audience. Artistry is something beyond that. Caruso had the formula for it. He gave it to anyone who asked him what it took to become an artist. "Work, work, and again, work", he used to say. Part of what artistry involves is probably inborn. The rest is an alchemy of self-confidence, willpower, proper guidance, and, as Caruso said, hard work. For nineteen seasons at the Metropolitan, from "Forza del destino" through "Carmen", I tried to achieve that alchemy. Whether I succeeded, only history, not I, can judge.»
[I miei dischi fonografici, buoni o cattivi che siano, trasmettono qualcosa della mia voce e un po' della mia abilità artistica. Si diceva che avessi una grande voce; le mie registrazioni, specialmente quelle tratte dalle trasmissioni radiofoniche, hanno catturato piuttosto fedelmente ciò che avevo. Ma voce e abilità artistica sono due questioni distinte. Avere una grande voce non garantisce in alcun modo di essere un artista; garantisce solo che la voce probabilmente piacerà a un pubblico. L'arte è qualcosa di più. Caruso di questo aveva la formula. La dava a chiunque gli chiedeva cosa ci volesse per diventare un artista. "Studio, studio e ancora studio", diceva. Parte di ciò che comporta l'arte è probabilmente innato. Il resto è un'alchimia di fiducia in se stessi, forza di volontà, una guida adeguata e, come ha detto Caruso, duro lavoro. Per diciannove stagioni al Metropolitan, da "Forza del destino" a "Carmen", ho cercato di raggiungere quell'alchimia. Se ci sono riuscita, solo la storia, non io, può giudicarlo.]
(da: Rosa Ponselle & James A. Drake - "PONSELLE, A SINGER'S LIFE", foreword by Luciano Pavarotti - Doubleday & Company, Inc. - Garden City, New York, 1982)
4. Rosa Ponselle sulla voce proiettata in maschera:
- "How about placement?" I asked. «You use the MASK... FORWARD,» she said. «You get the feeling your face is going to come off.» - "From the vibrations?" «Yes!» - "Did you use chest voice?" «Only when necessary, but always IN THE MASK.»
[- "Cosa ne pensa del posizionamento?" domandai. «Si usa la MASCHERA... AVANTI,» ella rispose. «Si ha la sensazione che la faccia stia per staccarsi.» - "Per le vibrazioni?" «Sì!» - "Lei usava la voce di petto?" «Solo quando necessario, ma sempre IN MASCHERA.»]
(tratto da una intervista al soprano Rosa Ponselle condotta dal basso Jerome Hines, riportata in: J.Hines - "Great Singers on Great Singing", Doubleday, 1982)
5. - PIANISSIMO: la "prova del nove" della proiezione vocale -
ROSA PONSELLE: «Tullio Serafin finally persuaded me, in 1927, to sing Norma in London at Covent Garden. (...) I had been told that Covent Garden's acoustics ranked with the best in the world. I found out for myself a week or so after I arrived. I tried a verse from "Annie Laurie" as I walked from one part of the stage to another; I sang with only nominal volume, but heard my voice resounding through every part of the auditorium. Even the most delicately spun PIANISSIMO made its way to every row, giving me the range of sensations every singer needs to gauge how well the voice is projecting. I felt perfectly at home at Covent Garden.»
(from: Rosa Ponselle & James A. Drake - "PONSELLE, A SINGER'S LIFE", foreword by Luciano Pavarotti - Doubleday & Company, Inc. - Garden City, New York, 1982)
6. THE IMPORTANCE OF SINGING "MEZZA VOCE" & "PIANISSIMO", according to Rosa Ponselle:
- Watching and listening to him [Caruso] rehearse the magical tenor
moments in "Forza del destino", especially the highly dramatic "O tu che
in seno agli angeli", made me want to kneel at his feet. Here was a
voice that "loved" you. His singing was purely and simply unbelievable,
both in its dramatic and soft "legato" moments, as well as the intuitive
musicianship behind it. (...)
Caruso was an interesting study at rehearsals. He was always punctual, and only did a few vocalises to warm up his voice. To conserve his resources, unless it was a dress rehearsal, he would sing in "HALF VOICE", occasionally showing off his full volume if he felt disposed to. During most of the rehearsals he would sing high notes in a cantor-like falsetto, an eerie sound compared to what his voice sounded like at full volume. (...) - Titta Ruffo, who joined the Metropolitan that same season, was also without rivals among baritones. I sang with him frequently, and his singing was as unique as Caruso's. Sadly, the sheer volume of his voice often overshadowed its intrinsic beauty and the exquisite "MEZZA VOCE" possibilities it afforded. One of his long-standing complaints was that the public never accepted his "MEZZA VOCE" singing; they expected him to sing at full volume, especially in the familiar arias. It was an unreasonable expectation, since a singer contours his tones and phrases by these contrasts in volume, and helps take the drama to a proper climax. Although in Titta Ruffo's case the splendor of his voice lay more in his middle and top tones than the lower ones, his basic technique and, of course, the quality and size of his voice, made his singing a once-in-a-lifetime rarity. I was fortunate to have sung with him nineteen times, in "Aida", "Andrea Chénier", "Ernani", and "La Gioconda". (...) While Titta Ruffo boasted the most singular baritone voice I ever heard (Giuseppe de Luca appropriately called it "a miracle, not a voice"), Stracciari's was an easy candidate for the most beautiful (along with Pasquale Amato's, which many thought Stracciari's superior), and certainly one of the most durable. Long after Ruffo's voice had lost its core, and after the richness of Amato's had left him, Stracciari was still wowing the Italian critics with his Figaros and Rigolettos—roles that he sang, it is estimated, nine hundred and eleven hundred times, respectively. Happily, Columbia saw to it that he and I were recorded together, in the "Mira d'acerbe lagrime" and "Vivrà! contende il giubilo" sections from "Il Trovatore". (...) - So much has been written about the power of Chaliapin's voice and acting as Boris that I hardly need to say more. Sheer volume, however, has never been a feature I particularly value in a singer. With Chaliapin, in fact, what I loved most was the way he used his "MEZZA VOCE" and "PIANISSIMI" to make some of his most telling effects; they were poignantly colored and were so soft they could barely be heard, though they carried to the back walls of the old Met or Covent Garden. (...) - I admired Franco Corelli, a protégé of Lauri-Volpi, for the singular quality of his voice, his command of "MEZZA VOCE", and sun-like brightness and warmth of his tone. (...)
- In 1949 a visit from Ida and Louise Cook made me think about getting my voice in shape again. Ida and Louise had renewed our acquaintance just after I was released from the hospital in the winter of 1947. When they visited me again two years later they brought with them a young physician, Dr. Dick Alexander, and his wife, who were fans of mine. At Ida's and Louise's urging, Dr. Alexander brought with him an early model wire recorder. Ida Cook, though a writer by profession, was, like her sister Louise, a great devotee of the opera. At Villa Pace she got me to sing one of my favorite songs, "Fa la nana bambin", into Dick Alexander's machine. It's a song that requires controlled "MEZZA VOCE" singing, and since the "MEZZA VOCE" is the immediate indicator of whether or not I'm in voice, I chose it instead of something more musically complex.
- Martinelli Gala. Metropolitan Opera House: 20 November 1963. (50th Anniversary of Giovanni Martinelli's debut.) Raina Kabaivanska came to me through Ida Cook, who had known her in London. As part of a tribute to Giovanni Martinelli, the Metropolitan's management had asked her to sing the "Suicidio" from "Gioconda", and she came to me for guidance. (...) Initially, we had only a weekend to work together, owing to her busy schedule. From Friday through Sunday we worked into the wee hours of the morning, and I'm pleased that she has since credited much of her vocal transformation to that weekend. Our immediate goal was, as I say, to enable her to sing a laudable "Suicidio" for the Martinelli tribute. I had to admit that I was surprised that she had been given the aria to sing. Zinka Milanov was the reigning Gioconda of the day, but had been asked to sing one of the last-act arias from "Otello", probably to allow her to display her famous "MEZZA VOCE". So Raina was given the "Suicidio"—admittedly a poor choice for her voice, because she didn't have the power and weight for Ponchielli's music. But, being new to the Metropolitan, and thus being a bit insecure about her position, she agreed to do it. My first task was to analyze her voice and decide what would be technically safe, artistically successful, and dramatically exciting, given the parameters of her basic voice and technique. To my surprise I found that she had never sung a genuine "PIANISSIMO"—and she knew it. She didn't know how to produce one. By Monday morning, when she left, she could execute a seamless "DIMINUENDO" at will, and could sustain a "PIANISSIMO" line wherever the music called for it.
Working on the "Suicidio", which was a great advantage because I had sung the aria so often, I explained that there were at least three tendencies she would have to overcome: 1. one would be to force the voice because of the demands of volume and range. 2. Being carried away by the emotion of the drama was another potential problem. 3. So was the possibility of being enveloped by the sweep of the music itself. Raina has great musical intelligence, which made all this so much the easier to work around. We outlined a pattern for her to call upon when singing "Suicidio", a pattern featuring contrasts in colors as well as dynamics. We worked especially hard on precise attacks, sweeping phrasing, diction, and mood changes in the aria. After that weekend, she worked with me on several other roles, whenever she could. Later I learned that the difference in her singing was immediately noticed in New York. When she was asked what accounted for her improvement, she attributed it to our weekend's work. Later, the Met management phoned to congratulate and thank me for what I had done. Recognition of this kind is a great lift for any teacher.
(Rosa Ponselle & James A. Drake - "PONSELLE, A SINGER'S LIFE", foreword by Luciano Pavarotti - Doubleday & Company, Inc. - Garden City, New York, 1982)
7. Il saggio uso della voce di petto, secondo il soprano Rosa Ponselle:
«Although there is some disagreement about the number and kinds of registers in the singing voice, I have always found it accurate, as I've said elsewhere here, to dissect the voice into "chest" and "head" compenents. In various segments of a voice's overall range, either the head or chest sound can be emphasized, for any number of reasons. But use of the chest voice should be somewhat cautious, especially as regards how high it is carried into the middle and upper parts of the range. Although it is often used to effect color contrasts and can be employed as a way of resting the voice in low passages that demand power, the chest voice should not be carried too high into the range, as it will eventually cause a break in the vocal "column" that cannot be disguised. (...) The temptation stems from wanting to enlarge the volume, or else change the coloration, of the lower middle voice. There are certain passages in a number of opera scores where this use of the chest voice can be especially tempting [for instance in "Carmen" and "Andrea Chénier"]. (...) As I think my recordings tend to show, my singing was free of problems with chest tones. If one isn't careful, these tones can become focused in the throat rather than the head. When that happens the column-like equalization of the voice can be lost. At first the loss can be momentary, but over a period of time real damage can be done. I was able to avoid these problems because I knew how to keep my chest tones focused in the head.»
Sebbene vi sia un certo disaccordo a proposito del numero e delle tipologie dei registri nella voce cantata, ho sempre trovato accurato, come ho detto altrove in questa sede, dividere la voce nelle componenti del "petto" e della "testa". In varie parti dell'estensione complessiva di una voce, è possibile enfatizzare il suono di testa o di petto, per moltissime ragioni. Ma l'utilizzo della voce di petto dovrebbe essere fatto in modo alquanto prudente, specialmente per quanto riguarda la scelta di quanto in alto venga portata la voce di petto nelle parti centrali ed acute dell'estensione. Sebbene sia spesso usata per creare contrasti di colore e possa essere impiegata come un mezzo per far riposare la voce nei passaggi gravi che richiedono robustezza, la voce di petto non dovrebbe essere portata troppo in alto nell'estensione, poiché causerà col tempo una rottura nella "colonna" vocale che non può essere mascherata. (...) La tentazione nasce dal voler aumentare il volume, oppure cambiare la colorazione, della voce medio-bassa. Ci sono alcuni passaggi in una serie di partiture d'opera in cui quest'uso della voce di petto può essere particolarmente allettante [per esempio in "Carmen" e "Andrea Chénier"]. (...) Come credo le mie registrazioni tendano a mostrare, il mio modo di cantare era privo di problemi quanto ai suoni di petto. Se non si sta attenti, questi suoni possono andarsi a focalizzare in gola piuttosto che in testa. Quando ciò accade, l'eguagliamento della voce simile a una colonna può venir meno. All'inizio tale danneggiamento può essere momentaneo, ma con il passare del tempo si può creare un danno reale. Io sono stata in grado di evitare questi problemi perché sapevo come mantenere i miei suoni di petto concentrati in testa.
(Rosa Ponselle & James A. Drake - "PONSELLE, A SINGER'S LIFE", foreword by Luciano Pavarotti - Doubleday & Company, Inc. - Garden City, New York, 1982)
8. L'IMPORTANZA DI NON "APRIRE" I SUONI CANTANDO LE NOTE ACUTE, NELLA TESTIMONIANZA DI ROSA PONZILLO (PONSELLE):
All I know is that from about age fourteen I had a fully rounded, opera-like dramatic voice. As far back as I can remember, I never had what I would call a "girl's voice"—the light, breathy-sounding, high-pitched voice we normally associate with young children. My singing voice was always big and round, and even as a teenager I could sing almost three octaves. I never recall the slightest trouble swelling or diminishing a tone anywhere in those octaves. But I wasn't a "perfect" singer—and this is where I learned a great deal from Nino Romani. Even though I was what you might call a "natural", I had a tendency to sing very high notes (say, the B natural, the high C, and the high D flat) incorrectly. Because I was essentially untrained (I had never had an actual voice lesson in my life), I tended to sing high tones a bit too brightly, not knowing how to "cover" them.[*] Nino, who had worked in Europe with Riccardo Stracciari and Titta Ruffo, and who understood voice thoroughly, devised a simple set of exercises that helped me "cover" my high tones. He would ask me to sing a note in the middle of my voice, and then would have me sing the nonsense-syllables "ma-me-mi-mo-mu" while I held the note. These vowel sounds, he explained, were the ones that helped "focus" the voice. Then he would have me sing phrases like "deh vieni", or maybe single words like "amore", in progressive tonal steps, ultimately taking me all over the scale. Nino, great teacher that he was, never made much of these exercises. Often I did them in the shower, sometimes on the golf course, or even while swimming at the beach. By the end of the summer of 1918, the top of my voice sounded exactly like the middle and bottom, and I was ready for the challenges of my first roles.
[*] The distinction between "covered" and "open tones" is predicated upon the complex physiology of the singing voice, and is one of those distinctions that are more easily heard than explained. One widely circulated reference book defines "covered tone" as follows: "The tone-quality produced when the singer's voice is pitched in the soft palate. It is gentler, more veiled in timbre, than [an] open tone." ("The Concise Oxford Dictionary of Opera", 1978 edition, page 88). Voice teachers often substitute the expression "singing in the mask" for the phrase "pitched in the soft palate", referring to the sensation of a tone's emanating from the area between the roof of the mouth and the cheekbones—an area likened to "wearing a mask" by many voice teachers. As to the exercises Ponselle describes as having learned from Romani, these varied slightly over the years, although she adhered to the same basic vocalises. In warming up, she would always proceed from what might be called a "head-tone hum"—a hummed tone because the "m" sound would help "place" the tone "in a point"—and would then proceed to an actual vowel form. Hence, the "ma-me-mi-mo-mu" beginning exercises. - J.A.D.
N.B. - LUCIANO PAVAROTTI REMEMBERS HIS ENCOUNTER WITH ROSA PONSELLE: As a boy in Italy, growing up in my hometown, Modena, I can hardly remember a time when the name Rosa Ponselle was unfamiliar to me. (...) One can imagine how I felt, having grown up admiring an artist whom I had known only from a series of prized phonograph records, meeting her in person—and not only meeting her, but actually "singing" with her! (...) It was at Villa Pace, her magnificent home in the Greenspring Valley near Baltimore, that I met and sang with her. My visit to her villa was the culmination of a telephone-and-letter friendship that had begun a few years earlier. (...) After much animated conversation and a splendid meal, we made our way into her expansive music room, where, before she sat down at the piano, she said to me apologetically, "Luciano, I'm not in form today. Every day when I get up in the morning I try out my 'pianissimo'. If it's there, I'm in top form, and I can do anything. Today, it isn't there, but we'll sing together anyway, in full voice." And sing we did! From fragments of arias and snippets of duets to the beloved Tosti songs so dear to us both, we let our voices mate in one long shimmering line of harmony. My only wish was that we could have been transported magically into a modern recording studio, so that the whole world could have shared this once-in-a-lifetime experience.
(Rosa Ponselle & James A. Drake - "PONSELLE, A SINGER'S LIFE", foreword by Luciano Pavarotti - Doubleday & Company, Inc. - Garden City, New York, 1982)
9. Consiglio di tecnica vocale, dato dal grande tenore Enrico Caruso al
celebre soprano Rosa Ponselle, sulla gola aperta negli acuti !!!
- "Rosa," I began, "where do we start on vocal technique?" "Keep a square throat (...) Caruso taught me that," Rosa said. "He kept a little stretch in the back of the throat to keep it open...open in the back and relaxed. It feels like a square, but only on the high notes. (...) The palate is high and the back of the tongue flat," Rosa said. "This is the square."
- "Rosa," iniziai, "da dove cominciamo con la tecnica vocale?" "Bisogna tenere una gola 'quadrata' (...) me lo insegnò Caruso," disse Rosa. "Egli teneva un piccolo spazio ampio nel retro della gola per mantenerla aperta...aperta nel retro e rilassata. È come la sensazione di un quadrato, ma solo negli acuti. (...) Il palato è alto e la parte posteriore della lingua distesa," disse Rosa. "Questo è il quadrato."
(tratto da una intervista al soprano Rosa Ponselle condotta dal basso Jerome Hines, riportata in: J.Hines - "Great Singers on Great Singing", Doubleday, 1982)
10. Il suono vocalico dal registro grave a quello acuto
- "I supposed," I ventured, "that what we're really talking about is what is commonly called an open throat. But you are basically applying this, you said, to high notes. How do you approach the concept of open throat in general?" "Keep the tone dark," Rosa stated positively. - "Her favorite vowel was OO," Igor [Chichagov, the accompanist in Rosa's studio for most of the years she had taught] said. "Her Latin voice tended to be too bright, so her only coach, Romano Romani, insisted on this school of Ruffo and Stracciari: use OO to keep a cover on the tone."
"I used MOO, in the lower register...pure MOO...then gradually to MAH," Rosa said, and it was evident that this was the Italian 'awe', not the brither 'ah' used in French, German, or Russian (...)" (...) "Always round," Rosa added. "And don't let the top get away from you with high 'tessitura'. It's a low, round sensation, the OO, and all vowels are based on it." (...) "Giving the square throat," she added. - "Early in her career," Igor said, "she was having a little problem with some high notes and not with others. She realized one of the good ones was on 'Mia mAdre'. That's the darker 'awe' vowel." "I started with 'm' and a relaxed throat," Rosa said. "When I was not in good voice, and could not get a good 'awe' from OO, I would work on it until I got it."
- "Now," I said, "how about the transition in the throat or jaw as you go up in range from low notes to high notes? Is there any change?" "In the middle register just talk, don't mouth words...don't make too big a spacing," she said. "But as you go up you need more spacing...mouth more open, jaw dropped, relaxed."
(tratto da una intervista al soprano Rosa Ponselle condotta dal basso
Jerome Hines, riportata in: J.Hines - "Great Singers on Great Singing",
Doubleday, 1982)
11. L'EMISSIONE DEI PIANISSIMI
"In pianissimo you almost feel as if you're pulling a thread through your nose...and don't let it ever stop." - I asked Rosa what sort of vocalizing she did during her career. She said she vocalized (...) when she felt like it. At first she tested her pianissimo and did a scale or two to see if the voice was there.
(tratto da una intervista al soprano Rosa Ponselle condotta dal basso
Jerome Hines, riportata in: J.Hines - "Great Singers on Great Singing",
Doubleday, 1982)
12. Rosa Ponselle sullo studio mentale:
"First of all," said Miss Ponselle, "I regard singing purely as a mental operation—that is, the 'art' of singing. For the girl who is a student of opera in the higher sense, mechanical exercises cannot well be advised, because vocal mechanics do not enter into singing as an 'art'. Too many students, I think, definitely fix their ambitions on opera, when they begin to study singing, before they find out whether or no they are fitted for it. When you begin to study singing, let your first thought be to learn how to sing. (...) There seems little advantage to the student in recommending this, that or the other set of 'vocalises' or exercises for study use. After all, if you get down to the gist of the matter, it is altogether a question of the proper use of the exercises selected; 'how' to study what you study and not 'what' you study. I spent less than a year preparing for opera, but when you ask me how I managed to accomplish so much in a time so comparatively short, the answer is simple. I was studious—working with my mind as well as with my throat—and I had had correct teaching from the 'very beginning', and therefore no faulty teaching to undo. One thing in which I am a great believer is the avoidance of vocal overexertion. During the opera or concert season I use daily vocal exercises to keep my voice flexible; but I practice them only a 'few minutes' each day (...) Even while I was preparing to sing in opera, I did not practice more than fifteen or twenty minutes a day; unless, of course, I was studying a new rôle. (...) I would not attempt to draw comparisons, as regards difficulty, between one and another operatic rôle of the dramatic soprano repertory. (...) My own experience is that 'all rôles require the same mental exertion in order to render the motif in its best light'!"
["Prima di tutto ", disse la signorina Ponselle," considero il canto puramente come un'operazione mentale—vale a dire, "l'arte" del canto. Per le ragazze che studiano opera lirica nel senso più alto, gli esercizi meccanici non possono essere consigliati, perché la meccanica vocale non entra nel canto come "arte". Troppi studenti, penso, fissano definitivamente le proprie ambizioni sull'opera lirica, quando iniziano a studiare canto, prima di scoprire se sono o meno adatti a questo compito. Quando iniziate a studiare canto, il vostro primo pensiero sia quello di imparare a cantare. (...) Non sembra di gran vantaggio allo studente il raccomandare questa, quella o quell'altra serie di 'vocalizzi' o esercizi ad uso di studio. Dopotutto, se si arriva all'essenza della questione, è tutta una questione di corretto uso degli esercizi selezionati; 'come' studiare ciò che si studia e non 'cosa' si studia. Io ho trascorso meno di un anno a prepararmi per l'opera lirica, ma quando mi chiedete come sono riuscita a realizzare così tanto in un tempo relativamente breve, la risposta è semplice. Ero studiosa, lavorando con la mente e con la gola, ed ho avuto un insegnamento corretto 'fin dall'inizio', e quindi nessun insegnamento difettoso da eliminare. Una cosa della quale sono una grande sostenitrice è quella di evitare l'iperaffaticamento vocale. Durante la stagione operistica o concertistica impiego degli esercizi vocali giornalieri per mantenere flessibile la mia voce; ma mi ci esercito solamente per "pochi minuti" al giorno (...) Anche quando mi stavo preparando per cantare in un'opera, non mi sono mai esercitata per più di quindici o venti minuti al giorno; a meno che, naturalmente, non stessi studiando un nuovo ruolo. (...) Non tenterei di fare paragoni, quanto a difficoltà, tra un ruolo operistico e l'altro del repertorio del soprano drammatico. (...) La mia esperienza personale è che "tutti i ruoli richiedono lo stesso sforzo mentale per rendere l'idea predominante nella sua luce migliore"!]
(da: "The Art of the Prima Donna and Concert Singer" by Frederick H. Martens - D. Appleton and Company, New York, 1923)
N.B. : ecco la grandissima considerazione che ebbe Giacomo Puccini per l'arte della Ponselle!
L'INCONTRO CON PUCCINI, LUGLIO 1924: It was in a similar room at the composer's villa at Torre del Lago, Nino reminded me, that a very young Enrico Caruso had been introduced to Puccini three decades before. After hearing this ebullient young Neapolitan sing several measures of "Che gelida manina", from "Bohème", Puccini had exclaimed, "Who sent you? God?" Once the usual greetings were exchanged, Puccini asked me to sing, offering to accompany me in anything of his I wished to perform. I chose the "Vissi d'arte" from "Tosca". Minutes later, as my voice throbbed with emotion at Floria Tosca's phrase, "Nell'ora del dolor perché, perché Signor, ah... perché me ne rimuneri così?" (In my hour of misery why, why, O Lord, why do you repay me like this?) Puccini let his hands lay still on the keys, saying nothing. In the moments that passed between the last echoes of the piano chords and the words he finally said to me, "CHE PECCATO... CHE PECCATO CHE NON HO SENTITO PRIMA QUESTA VOCE!" (What a pity that I never heard this voice before!) the words of that final phrase from "Vissi d'arte" must have haunted him. He was at the end of his life, dying by inches from cancer of the throat, having "lived for art and love" just as Floria Tosca had. During the course of the afternoon I sang "Vissi d'arte" several times for him, lingering on certain phrases more than others, trying this or that shading on various notes, all the while asking the great man which way he preferred the aria sung. He paid me a rich compliment when he said, "CARA, I prefer any way YOU interpret my music!" Later in the day, before we were served dinner, we posed with the Maestro for informal photos on his villa's tiled veranda. Edith took them with a Kodak I had bought for the trip. They were among the very last photographs ever taken of Puccini; three months later, a heart attack ended his misery. Several weeks after his funeral, I received a letter from Signora Puccini asking if she and her family might have prints of some of the snapshots. In return, she enclosed an unfinished manuscript bearing the Maestro's familiar notation. It was an art song, untitled as yet. At the top of the manuscript, in his unmistakable longhand, he had written, "DEDICO ALLA BELLISSIMA VOCE DI ROSA PONSELLE" (Dedicated to the beautiful voice of Rosa Ponselle).
(from: Rosa Ponselle & James A. Drake - "PONSELLE, A SINGER'S LIFE", foreword by Luciano Pavarotti - Doubleday & Company, Inc. - Garden City, New York, 1982)
--> cfr. il breve articolo 'La tecnica vocale spiegata da Rosa Ponselle' apparso sul numero 1 de "Il giornale del belcanto italiano":
Siamo nuovamente lieti di offrire alla vostra attenzione, come Belcanto Italiano ®, un prezioso esempio di studio della Tecnica Vocale: il Metodo di Canto di Giuseppe Aprile.
Aprile, detto
SCIROLETTO, (Martina Franca, 1735 – 1813) fu un celebre cantante
"castrato" pugliese, compositore e maestro di canto.
Dopo aver studiato a Napoli con
Gregorio Sciroli (un allievo di Leonardo Leo) dal quale proviene il soprannome Sciroletto
o Scirolino, divenne uno dei migliori cantanti castrati della sua epoca ed il
sopranista più amato da Jommelli del quale cantò diverse opere, tra le quali
"Didone abbandonata" (1763), "Demofoonte" (1764) e
"Fetonte" (1768).
Fu stimato da Burney e da Mozart,
che ammiravano in lui sia la bellezza della voce che il buon gusto nel canto e
la giusta presenza scenica. Charles Burney ebbe occasione di ascoltarlo a
Napoli nel 1770, mentre W.A. Mozart, che lo sentì sia a Milano che a Bologna,
lo descrisse come "un cantante ineguagliato dotato di una bellissima
voce".
"Giuseppe Aprile" , tela di Angelo Crescimbeni, 1777 ca.
Eccellendo per la voce di
straordinaria estensione e la non comune capacità di padroneggiare ambedue i
registri di soprano e contralto, interpretò oltre ottanta ruoli operistici,
oltre a cantate ed oratori, nell'arco di più di vent'anni di carriera, dal 1752
al 1785, essendo attivo tra Italia (Napoli, Torino, Roma, Venezia) e varie corti
europee (Madrid, Stoccarda).
Fu anche un didatta molto
apprezzato, tanto da essere chiamato "Il padre di tutti i cantanti".
Insegnò canto a Napoli, e tra i suoi allievi si annoverano il castrato Girolamo
Crescentini, il tenore Michael Kelly, il tenore baritonale Gaetano Crivelli, il
soprano drammatico Francesca Festa Maffei, il compositore Domenico Cimarosa, il
basso Luigi Lablache, e il giovane baritono Manuel García!
Pedagogo e autore di quasi un
centinaio di brani vocali (tra Arie, Duetti Notturni e Rondeau), più sette
composizioni sacre di non sicura attribuzione e una Cantata a tre voci perduta
dedicata alla Duchessa Anna Amalia di Weimer, Giuseppe Aprile lascia anche un
metodo di canto, pubblicato circa tra il 1791 e il 1795 in Inghilterra
dall'editore londinese Broderip, nel quale adatta ed elabora alcuni insegnamenti
elargiti all’inizio del secolo da Tosi. Molti principi e precetti della sua
didattica, nonché alcuni esempi ed esercizi vocali, furono ripresi dal trattato
di Giusto Ferdinando Tenducci (detto il Senesino), "Instructions […] to
his scholars" (1782-85).
Il metodo di Aprile venne in
seguito ripubblicato in varie edizione in Germania, Francia, Italia ed ancora
Inghilterra ed uscì anche un'edizione stampata forse nel 1806 dal napoletano
Antonio Francesco Pacini come "École moderne de chant: Solfèges d'Aprile
maitre de Crescentini; arrangés avec accompagnement de piano par
Bergangini".
Influenzò poi il celebre tenore e
didatta bergamasco Marco Bordogni che si ispirò ad Aprile sia nel titolo che
nei principi e contenuti dei suoi "Trentasei vocalizzi per la voce di
soprano o tenore" (Bologna, ca. 1840).
La concezione degli esercizi
vocali di Aprile fu anche alla base del metodo in due parti di García del
1840/1847, come rilevato nel volume 3 dell'enciclopedia Treccani del 1961,
nella lunga descrizione biografica, alla voce "Giuseppe Aprile":
"Questi solfeggi hanno il loro valore nell'aristocratica e musicalmente
seria stilizzazione di particolari esercizi per le più importanti specie degli
ornamenti del canto; si fanno sempre appoggiature, gruppetti e trilli, lenti o
rapidi passaggi, tutti con una propria difficoltà, trattati ciascuno in uno o
più solfeggi, principio questo che forma, com'è noto, anche la base del metodo
di García."
Qui è possibile ascoltare uno di questi vocalizzi, il numero XXXIII dei suoi 36 Solfeggi:
Il metodo apriliano, entrato in
uso nel Conservatorio di Napoli, è introdotto da 21 regole "indispensabili
per gli studenti e i dilettanti di musica vocale", che delineano in modo
semplice e sintetico alcuni dei punti essenziali nella gestione della voce:
- corretta e bella emissione del suono vocale (basata in
particolare sulla "MESSA DI VOCE");
- precisione dell'intonazione e della pronuncia (specialmente
quella italiana);
- esercizio quotidiano nei solfeggi e nello scrivere una
piccola musica ogni giorno
- corretto impiego della VOCE DI PETTO e della VOCE DI TESTA;
- morbidezza nel canto, senza tensioni e senza distorsioni
della bocca, da controllare allo specchio
- espressione del volto calma e serena nel cantare
- uso temporale giornaliero misurato della voce e senza mai
forzare i suoni, specie quelli acuti e sovracuti;
- scelta giusta dei punti in cui prendere fiato, senza
spezzare la frase musicale
- predilezione del "legato" (sia a livello vocale
che di pronuncia delle parole) rispetto allo staccato;
- cura del trillo, come degli ornamenti ed abbellimenti sempre in accordo con il carattere dell'Aria,
e cura dei "sentimenti" espressi dal compositore
della musica e dall'autore dei testi vocali.
Seguono quindi 22 esercizi
preparatori e i 36 solfeggi propri, che alternano note tenute, a scale, singoli
intervalli, arpeggi con un’interessante varietà di figurazioni ritmiche,
passando da diverse tonalità maggiori e minori, e da varie indicazioni di
tempo: Andante, Andantino, Larghetto, Largo, Allegro, Adagio.
APPENDICE I: 21 IMPORTANTI REGOLE (in inglese e italiano) del "MODERNO METODO ITALIANO DI CANTO" di Giuseppe Aprile
Giuseppe Aprile - "The Modern Italian Method of Singing"
with a Variety of
Progressive Examples, and Thirty Six Solfeggi - London,
ca. 1791-95
"Il moderno
metodo italiano di canto, con una varietà di esempi progressivi, e 36 solfeggi"
Necessary Rules For
Students and Dilettanti of Vocal Music
Regole indispensabili
per gli studenti e i dilettanti di musica vocale
I. "The first and most necessary Rule in Singing, is to keep the voice steady." La prima e più indispensabile regola nel Canto, è di mantenere la voce ferma.
II. "To form the voice in as pleasing a Tone as is in the Power of the Scholar." Di modellare la voce in un suono tanto piacevole quanto è nella capacità dell'allievo.
III. "To be exactly in Tune, as without a perfect Intonation, it is needless to attempt singing." Di essere esattamente in tono, poiché senza una perfetta intonazione, è inutile cercare di cantare.
IV. "To vocalize correctly, that is, to give as open and clear a sound to the Vowels, as the Nature of the Language in which the Student sings, will admit." Di vocalizzare correttamente, cioè, di dare alle vocali un suono così aperto e chiaro, quanto la natura del linguaggio in cui lo studente canta, lo permetterà. V. "To articulate perfectly each Syllable." Di articolare perfettamente ogni sillaba.
VI. "To sing the Scale, or Gamut frequently, allowing to each sound one BREVE or SEMIBREVE, which must be sung in the same Breath, and this must be done, in both, A MEZZA DI VOCE, that is by swelling the Voice, beginning Pianissimo, and encreasing gradually to Forte, in the first part of the Time, and so diminishing gradually to the end of each Note, which will be expressed in this way. [Pianissimo - encreasing - Forte (Fermata) - diminishing - Piano]"
Di cantare di frequente la scala, o estensione, consentendo ad ogni suono una BREVE o SEMIBREVE, che deve essere cantata nello stesso fiato, e questo va fatto, in entrambi i casi, A MEZZA DI VOCE, cioè aumentando d'intensità la voce, iniziando Pianissimo, e crescendo gradualmente al Forte, nella prima parte del tempo, e quindi diminuendo gradualmente alla fine di ogni nota, che sarà espressa in questo modo. [Pianissimo - cresc. - Forte (Corona) - dim. - Piano]
VII. "To exercise the Voice in SOLFEGGIO every Day, with the Monosyllables DO, RE, MI etc."Di esercitare la voce nel SOLFEGGIO ogni giorno, con i monosillabi DO, RE, MI, ecc.
VIII. "To copy a little Music every Day, in order to accustom the Eye to divide the Time into all its Proportions."
Di copiare una piccola musica ogni giorno, così da abituare l'occhio a dividere il tempo in tutte le sue proporzioni.
IX. "Never to force the Voice, in order to extend its Compass in the VOCE DI PETTO upwards, but rather to cultivate the VOCE DI TESTA in what is called FALSETTO, in order to join it well, and imperceptibly to the VOCE DI PETTO, for fear of incurring the disagreeable Habit of singing in Throat or through the Nose; unpardonable Faults in a Singer."
Di non forzare mai la voce, per ampliare la sua estensione nella VOCE DI PETTO verso l'alto, ma piuttosto di coltivare la VOCE DI TESTA, in quel che è chiamato FALSETTO, al fine di unirla bene e impercettibilmente alla VOCE DI PETTO, per timore di incorrere nella spiacevole abitudine di cantare con la gola o attraverso il naso; difetti imperdonabili in un cantante. X. "In the Exercise of Singing, never to discover any Pain or Difficulty by distortion of the Mouth, or Grimace of any kind, which will be best avoided by examining the Countenance in a Looking glass, during the most difficult Passages."
Nell'esercizio del canto, mai scoprire alcun dolore o difficoltà con distorsioni della bocca, o smorfie di alcun tipo, che saranno meglio evitate esaminando l'espressione del volto in uno specchio, durante i passaggi più difficili. XI. "It is recomended to Sing a little at a Time, and often, and, if standing so much the better for the Chest."
Si raccomanda di cantare poco alla volta, e spesso, e, se stando in piedi tanto meglio quanto al torace.
XII. "That Scholars should appear at the Harpsichord and to their Friends with a calm and chearful Countenance."
Che gli allievi debbano apparire al clavicembalo e ai loro amici con un'espressione del volto calma e serena.
XIII. "To rest or take breath, between the Passages, and in proper Time, that is to say, to take it only when the Periods, or members of the Melody, are ended; which Periods or Portions of the Air, generally terminate on the accented parts of a Bar. And this Rule is the more necessary, as by dwelling too long upon the last Note of a musical Period the Singer loses the Opportunity it affords of taking Breath, without breaking the Passages, or even being perceived by the Audience."
Di riposare o prendere fiato, tra un passaggio e l'altro, e nel momento appropriato, cioè, di prenderlo solo quando i periodi, o pezzi della melodia, sono conclusi; i quali periodi o parti dell'Aria, generalmente terminano sulle parti accentate di una battuta. E questa regola è la più necessaria, siccome con il soffermarsi troppo a lungo sulla ultima nota di un periodo musicale il cantante perde l'opportunità che essa offre di prendere fiato, senza spezzare i passaggi, o essere addirittura percepito dal pubblico. XIV. "That without the most urgent necessity, of either a long Passage, or of an affecting Expression, Words must never be broken, or divided."
Che le parole, senza la necessità più urgente o di un lungo passaggio o di un'espressione emozionante, non debbano mai essere spezzate, o divise.
XV. "That a good MEZZA DI VOCE or Swell of the Voice must always precede the AD LIBITUM Pause (Fermata) and CADENZA."
Che una buona MESSA DI VOCE o rigonfiamento della voce (cresc.-dim.) debba sempre precedere la corona AD LIBITUM e la CADENZA.
XVI. "That in pronouncing the Words care must be taken to accord with the sentiment that was intended by the Poet."
Che nel pronunciare le parole si debba avere cura di accordarsi con il sentimento inteso dal poeta.
XVII. "That the acute and super-acute sounds must never be so forced as to render them similar to shrieks."
Che i suoni acuti e sovracuti non debbano mai essere tanto forzati da renderli simili a urli.
XVIII. "That in Singing, the Tones of the Voice must be united, except in the case of Staccato Notes."
Che nel canto, i suoni della voce debbano essere uniti, eccetto nel caso di note staccate.
XIX. "That in pronouncing the words, double Consonants in the Italian Language must be particularly enforced, and Care must be taken not to make those that are single seem double." Che nel pronunciare le parole, nella lingua italiana debbano essere in particolare rispettate le consonanti doppie, e si debba avere cura di non far sembrare doppie quelle che sono singole.
XX. "To practice the Shake with the greatest Care and Attention, which must generally commence with the highest of the two Notes, and finish with the lowest."
Di esercitarsi nel trillo con la più grande cura e attenzione, il quale deve generalmente cominciare con la più alta delle due note, e finire con la più bassa. XXI. "That the Ornaments and Embellishments of Songs should be derived from the Character of the Air, and Passion of the words."
Che gli ornamenti e abbellimenti dei canti debbano derivare dal carattere dell'Aria e passione delle parole.
APPENDICE II: Elenco di alcuni ruoli operistici che interpretò il grande Maestro e Cantante Giuseppe Aprile:
Euribarte in "Ifigenia in
Aulide" di Niccolò Jommelli e Tommaso Traetta (Napoli, 1753);
Timagene in
"Alessandro nell'Indie" di Baldassarre Galuppi (Napoli, 1754);
Ezio
in "Ezio" di Tommaso Traetta (Roma, 1757);
Enea in "Didone
abbandonata" di Tommaso Traetta (Venezia, 1757);
Ciro in "Ciro
riconosciuto" di Niccolò Jommelli (Mantova, 1758);
Timante in "Demofoonte"
di Tommaso Traetta (Mantova, 1758);
Alceste in "Demetrio" di
Baldassare Galuppi (Padova, 1761);
Megacle in "L'Olimpiade" di
Niccolò Jommelli (Stuttgart, 1761);
Enea in "Didone abbadonata" di
Niccolò Jommelli (Stuttgart, 1763);
Megacle in "L'Olimpiade" di
Johann Adolf Hasse (Torino, 1765);
Fetonte in "Fetonte" di Niccolò
Jommelli (Ludwigsburg, 1768);
Aminta in "Il re pastore" di Niccolò
Piccinni (Napoli, 1765);
Euriso in "Creso" di Antonio Sacchini
(Napoli, 1765);
Giulio Cesare in "Cesare in Egitto" di Niccolò
Piccinni (Milano, 1770);
Rinaldo in "Armida abbandonata" di Niccolò
Jommelli (Napoli, 1770; Firenze, 1775);
Timante in "Demofoonte" di
Niccolò Jommelli (Napoli, 1770);
Linceo in "Ipermestra" di Niccolò
Piccinni (Napoli, 1772);
Arsace in "Medonte, re di Edipo" di Giuseppe
Sarti (Perugia, 1778; Firenze, 1779);
Tarsile in "La Calliroe" di
Josef Mysliveček (Pisa, 1779);
Annio
in "Cajo Mario" di Domenico Cimarosa (Roma, 1780)
Vi aspettiamo dal 6 al 21 marzo 2016 per un fantastico appuntamento dedicato all'Opera Italiana nelle terre di Beniamino Gigli.
Si selezionano:
- 10 Cantanti e 2 Pianisti (partecipanti effettivi)
- 5 Uditori (Cantanti o Pianisti)
per un laboratorio tecnico, stilistico e interpretativo su Lucia di Lammermoor, La Traviata, La Bohème.
Il corso, della durata di 16 giorni, si articolerà nello studio approfondito di Arie e Scene d'insieme, sia dal punto di vista tecnico e interpretativo che della prassi esecutiva e scenica.
Il laboratorio si svolgerà a Recanati nei locali del Centro Internazionale di Studi per il Belcanto Italiano "Beniamino e Rina Gigli", al Teatro Persiani, nell'Aula Magna del Comune con il Pianoforte di Beniamino Gigli e al Teatro "La Rondinella di Montefano.
Gli Allievi saranno sempre in costantemente guidati dai Docenti del Corso, il M° Astrea Amaduzzi, Soprano Lirico di Coloratura, Docente di Tecnica Vocale ed esperta nella prassi esecutiva Belcantistica, e dal Maestro Mattia Peli, Direttore d'orchestra, Pianista e Compositore.
Pierluca Trucchia, Presidente dell'Associazione "Beniamino Gigli" di Recanati guiderà invece i partecipanti alla scoperta dei luoghi gigliani e curerà una visita al Museo Gigli di Recanati.
A insindacabile giudizio dei Docenti, a fine corso, gli Allievi ritenuti idonei parteciperanno all'allestimento dell'Opera "La Traviata" di Giuseppe Verdi e i migliori saranno scritturati per un grande Concerto Internazionale estivo retribuito dedicato al Belcanto Italiano.
A ciascun Allievo effettivo sarà chiesta un contributo di partecipazione di 22 Euro giornalieri.
L'intero ricavato sarà devoluto all'Associazione Gigli per l'organizzazione delle numerose iniziative Culturali in collaborazione con il CISBI, Centro internazionale di Studi per il Belcanto Italiano.