venerdì 19 ottobre 2018

Belcanto Italiano ® National Academy - Academic Year 2018 / 2019




Belcanto Italiano ® National Academy
Academic Year 2018 / 2019
Alessandria, (ITALY), Teatro Parvum

Advanced Training course for Singers
Advanced Training for Singing Teachers

Application deadlines: 10 November 2018

Auditions: 21 November 2018

Teachers/Professors:
Astrea Amaduzzi
Soprano & Expert in Vocal Technique

M° Ugo Benelli, world-class Tenor

M° Mattia Peli, Pianist and Conductor

Artistic Director: M° Stefano Velluti


Info & Contacts Secretariat:
e-mail: segreteria.belcantoitaliano@gmail.com

Tel/WhatsApp: +39 347 5853253





venerdì 12 ottobre 2018

Belcanto Italiano ® - L'autentico Bel canto italiano si basa sulla tecnica, non sulla natura (Parte 2)

Luciano Pavarotti e Mirella Freni nei panni di Fritz Kobus e Suzel ne "L'amico Fritz" di Mascagni

1 - NON BASTA LA NATURA (l'ha ammesso con grande coscienza Pavarotti) :

Pavarotti: "Mi diceva la figlia di Pinza che suo padre quando ha cominciato a cantare aveva pochissime note, ne aveva tre o quattro belle nel centro e su queste tre o quattro note il suo maestro per degli anni, per due o tre anni, ha costruito quella che è una delle più belle voci da basso di tutti i tempi"

- da tutte le cose che abbiamo detto viene fuori, credo, una conclusione: che praticamente c'è veramente molto poco da parte della natura e molto di più da parte dello studio!

Pavarotti: "Se fosse vero il contrario ci sarebbero centomila cantanti, perché almeno sono centomila le voci bellissime esistenti nel mondo..."


2 - NON BASTA LA NATURA (lo ripeteva la Caballé, che studiò canto per 12 anni) :

"Sono nata con una voce. Ma questo non è sufficiente a fare di me una cantante, figuriamoci una musicista", così ha dichiarato Montserrat Caballé (...) "...se non avessi avuto una buona tecnica sarei stata fuori gioco nell'arco di un decennio. Credo che sia essenziale conoscere tutto ciò che v'è da sapere sull'emissione e la proiezione del suono. E l'unica via è quella d'acquisire una sicura e solida tecnica di respirazione."
"Nell'arco di un anno, [Napoleone Annovazzi] mi aveva insegnato come non forzare mai la voce bensì produrre un flusso costante di suono apparentemente naturale".

(in: Helena Matheopoulos - "DIVA, Great Sopranos and Mezzos discuss their Art" - Northeastern University Press, 1991)

3 - NON BASTA LA NATURA (lo affermava anche Pertile)

(...) nessuna voce è impostata naturalmente, e che tutti coloro che sono riusciti veramente squisiti cantanti hanno studiato anni e anni. Vorrei aggiungere che non si è mai studiato abbastanza, e che sempre vi è qualcosa da imparare. Di coloro, che prima di studiare avevano voce, e cantavano romanze su romanze, e poi dopo due o tre anni di studio sono rimasti senza voce, molti dicono: «quando cantavano naturalmente, cantavano bene; poi i maestri e lo studio li hanno rovinati». Ciò, a mio avviso, non è esatto. Essi cantavano con la gioventù e con la forza (...) »

Intervistato da Arnaldo Fraccaroli (giornalista del "Corriere della Sera", amico di Giacomo Puccini e autore di quattro volumi dedicati al compositore lucchese), il celebre tenore Aureliano Pertile, a quell'epoca ormai passato all'insegnamento, ammoniva i giovani studenti di canto così:

«Si dice che il canto è natura. Non basta. Adesso i giovani sono impazienti: si studia poco, e non sempre bene. Si vuol arrivare troppo presto, e così non si arriva affatto. A molti manca l'arte di accentuare la parola, la frase: manca cioè il colore. Molti gridano credendo di cantare forte. Bisogna convincere i giovani che occorre studiare con pazienza, con costanza.»

(da: Domenico Silvestrini - "Aureliano Pertile e il suo metodo di canto" - Bologna, Aldina Editrice, 1932)



4 - NON BASTA LA NATURA (ne è un esempio Gigli voce baciata da Dio che non s'aggrappò alla natura, chi dice che Gigli e Caruso non avrebbero potuto neanche volendo non avendo collo cantare di gola dice una falsità, infatti Gigli qui testimonia l'esatto contrario, il collo corto o non aver collo potrà essere un vantaggio ma non esclude fisiologicamente che si possa ingolare, Gigli di gola non cantò mai nel tronco base della carriera durata 41 anni, problemi e difetti li ebbe durante la giovinezza quando studiava canto nonostante avesse una voce naturalmente predisposta al canto e poco collo) :

<<L'impostazione delle mie esercitazioni vocali, a quell'epoca, era naturalmente ormai cosa fatta, ma il mio modo di cantare aveva ancora un certo numero di difetti, e Rosati aveva deciso di liberarmene. Per esempio mi ero abituato a cantare con quanto fiato avevo, con tutta la forza dei miei polmoni; ed il risultato era che le note alte mi mettevano in qualche difficoltà. Rosati mi aiutò a coltivare certe modulazioni di tono, mi insegnò un maggior senso delle proporzioni. Mi fece abbandonare, per qualche tempo, l'opera, inducendomi a concentrarmi su motivi delicati del diciassettesimo e del diciottesimo secolo; ricordo, in modo particolare, le "Viole" di Mozart. Dopo sei mesi di duro lavoro, tanto nella sua classe a Santa Cecilia, quanto in lezioni private a casa sua, fui finalmente in grado di cantare l'estremamente difficile "Ingemisco" della Messa da Requiem di Verdi, con piena soddisfazione del maestro. (...)>> 


Dopo aver vinto un concorso di canto a Parma [dopo quasi dieci anni di canto nei Pueri Cantores e sei anni di studio con vari maestri], Gigli fece il suo debutto al Teatro Sociale di Rovigo la sera del 14 ottobre 1914 nella Gioconda di Amilcare Ponchielli.
Alla prova generale, non sentendosi sicuro di cantare il si bemolle aggiunto per usanza tradizionale dei tenori, il debuttante Gigli preferì optare di cantare la nota finale della celebre aria "Cielo e mar" eseguendo solo un sol, come scritto dal compositore (anche su suggerimento del direttore d'orchestra Sturani). Ma, avendo percepito la freddezza del pubblico e sentito alcune critiche dei musicisti dell'orchestra e del coro, dalla terza sera di replica dell'opera egli decise di lanciarsi con coraggio ad eseguire il si bemolle "di tradizione", riuscendovi senza capire però esattamente come.
Così continua il racconto di Gigli:

<<Nelle altre undici rappresentazioni date a Rovigo mi aggrappai, alquanto precariamente, al pinnacolo che avevo conquistato con il si bemolle di "Cielo e mar". Alla fine di ottobre, dieci giorni di tregua prima di trasferirmi a Ferrara. Mi precipitai a Roma.
"Non posso andare avanti così" dissi al maestro Rosati. "Sono sempre terrorizzato da quel si bemolle. Qualche volta ci riesco, e qualche volta sento che ne sono capace. Il pubblico di Rovigo è stato dalla mia parte dopo la terza serata, ma adesso bisogna ricominciare a Ferrara."
"A Ferrara andrà benissimo" mi rassicurò. "Intensificheremo la preparazione."
E così si fece.

"Bene" disse il maestro una settimana dopo. "Come si sente adesso con quel si bemolle?"
"Mi pare di avere davvero fiducia, finalmente, grazie a lei."
Egli sorrise.
"Certo. D'ora in avanti, son convinto che può avere fiducia, non soltanto per quel si bemolle ma anche per il si naturale e tutto il resto."
"Che intende dire?"
"Una settimana fa, quando ha incominciato ad esercitarsi, ho fatto accordare il piano su un tono più alto, un intero tono" mi spiegò ammiccando. "Così, ogni volta che lei credeva di cantare il si bemolle, in realtà era un bellissimo do. Tutte le mie congratulazioni!">>


[da: Beniamino Gigli - "MEMORIE" - Arnoldo Mondadori Editore, 1957]



5 - NON BASTA LA NATURA (lo capì Corelli, che da Lauri-Volpi e Maria Ros apprese la giusta tecnica) :

<<Quando cantavo agli inizi, non pensavo a dove collocare una nota; aprivo la bocca e cantavo. Quello non è cantare con la tecnica, è un canto naturale. Cantare con la tecnica è quando si pensa a dove mettere la voce. Tutte le note devono andare verso lo stesso punto...
[Cantò "I, E, A, O, U", poi ripeté questa sequenza in modo errato con ciascuna delle cinque vocali eseguita con differenti aperture e chiusure, e con diversi tipi di posizionamento, alcuni chiari ed altri scuri.] Tutte le vocali devono essere dirette verso lo stesso punto.>>

(da una intervista al tenore Franco Corelli condotta dal basso Jerome Hines, riportata in: J.Hines - "Great Singers on Great Singing", Doubleday, 1982)



6 - NON BASTA LA NATURA (lo aveva già chiarito il grandissimo ed inarrivabile Lauri-Volpi, "maestro" di Corelli) - qui il tenore di Lanuvio testimonia quanto sia importante non basarsi sulla mera natura, facendo l'errore di abusare di suoni aperti e di spalancare le note di passaggio, e di avere idee generali chiare sul canto lirico :

« La Stagione al Metropolitan terminò con la conferma per le venture e mi ottenne la scrittura per quella estiva a Ravinia Park, presso Chicago. M'impegnai a cantare in questo Teatro l' "Elisir d'amore", "Fra Diavolo" e "Aida", opere che avrei studiate durante i tre mesi precedenti l'inizio di stagione.
Era necessario ch'io ampliassi il repertorio ad ogni costo e mi rendessi utile con la versatilità. I criteri di Gatti-Casazza mi eran noti. Sottoposi la gola a una fatica sovrumana e la mente a una tortura spietata. Al trentesimo giorno non avevo più né voce, né memoria. La voce non resisteva alla tessitura grave del ruolo di Radames. Maria mi fece comprendere amabilmente ch'io abusavo del dono naturale. "La tua stanchezza - mi diceva - non deriva dalla fatica del cantare, ma dall'errata emissione dei suoni. L'esercizio metodico, sostenuto dalla disciplina di una tecnica esatta, non potrebbe provocare l'afonia che ti affligge. La voce naturale anche la più dotata, non sarebbe sufficiente a superare neanche le difficoltà dell'atto del Nilo".
Dovetti convenire che la voce non è privilegio, che si possa abbandonare a se stesso. Mi affidai all'insegnamento della dolce consorte, con l'umiltà e il pentimento di chi troppo presto si credette sicuro delle proprie forze e rischiò di perderle per sempre. Soprattutto io avevo bisogno di idee chiare. Studiando con lei mi accorsi che le note basse del soprano corrispondono, per colore ed emissione, alle medie del tenore: quelle che nella mia voce presentavano lacune proccupanti. Provando, riprovando ed imitando, con leggerezza, parsimonia ed equilibrio, i suoni iniziarono una lenta trasformazione. 


Maria divenne la mia collaboratrice assidua, la mia guida, la mia consigliera. Senza di lei le disavventure future nel "Re di Lahore", nel "Guglielmo Tell" e nel "Trovatore", di cui farò menzione a suo tempo, si sarebbero mutate in catastrofe definitiva e della mia voce non rimarrebbe, ora, neppure il ricordo. Quando ripenso alla fine immatura di gloriose voci, che la natura e Dio offrirono in dono a creature privilegiate, comprendo in tutto il significato la fortuna di possedere l'anima della mia Donna, che salvò l'inesperta, mutevole, variabile, stravagante laringe, affidatami dal capriccio della sorte. L'insegnamento di Maria impedì ch'io perdessi la fiducia nei miei mezzi e lasciassi a metà la carriera (...)
A Ravinia Park, oltre il consueto repertorio, cantai le opere da poco studiate. Nemorino, Fra Diavolo e Radames dimostrarono i risultati tangibili della disciplina vocale, che mi ero imposta. Mi stupivo come avessi potuto cantare, per quattro anni, senza pensare al suono prima di emetterlo, senza distribuire i fiati, senza coltivare le risonanze, senza legare le frasi, senza uniformarmi al complesso delle armoniosità orchestrali. Naturalmente l'attenzione molteplice e simultanea mi costava gran fatica. Non potevo in così breve tempo rimediare a tutte le deficienze, naturali o acquisite per falsi supposti, che avevano messo in serio pericolo la salute della mia voce.

Nell'inverno seguente tornai al Metropolitan e vi cantai "Andrea Chénier", "Manon" di Massenet in francese, "Carmen" in francese e "Re di Lahore" in francese, opere alternate con le altre del repertorio abituale. Io non conoscevo l'importanza e l'asprezza del "Re di Lahore". Quest'opera esige nel tenore una voce drammatica, ampia, oscura e centrale, come l' "Otello". Perché la direzione artistica del Metropolitan l'affidò a un tenore di voce estesissima, brillante, limpida non ho mai capito. Né mi so persuadere della legittimità dei motivi che l'indussero a impiegarmi, a brevi intervalli di tempo, nella stessa settimana, in un repertorio che comprendeva "Barbiere" e "Rigoletto", "Re di Lahore" e "Aida", "Traviata" e "Cavalleria", senza riguardo alla diversità dei generi e alla fragilità della voce. Con che cuore potevano esigere la critica dei giornali e la malevolenza dell'ambiente una perfetta intonazione, soavità di "legato", nobiltà di stile da un malcapitato artista, al quale senza scrupolo s'imponeva di smaniare follemente nell' "Io son disonorato" di Aida e di sospirare ventiquattro ore dopo: "Bella figlia dell'amore"? Per resistere alla fatica ed evitare il rischio dovetti giocare di astuzia e inventare trucchi, stillando note dal cervello più che dalla gola esausta. Divenni sospettoso, irrequieto, violento. Sentivo che presto avrei perduto la voce per sempre e dovevo fare economie strettissime per ritirarmi dal Teatro, almeno coi vantaggi di una discreta fortuna. La "claque", non pagata, mi zittiva ferocemente. La stampa criticava aspramente la mia povera voce martoriata. Io soffrivo dell'offesa che si recava alla giustizia. Pensavo che si sarebbe dovuto invece censurare un'Istituzione, la quale subordinava l'attività degli artisti alle esigenze del programma settimanale, e non teneva conto di quelle derivanti dai diritti naturali e tecnici dell'organo più delicato e cagionevole: la voce del tenore. Vissi allora in clausura. Divenni selvatico a forza. (...) Maria mi custodì con le sue cure di madre, di sorella e di sposa e non permise che il male prevalesse e i nemici potessero più della sua bontà serena e fidente.
Compii la stagione con onore. Seppi temporeggiare e vincere, poiché la mia collaborazione risultò di grande utilità alla Direzione del Metropolitan, per lo sviluppo e l'equilibrio del complesso programma. Mi rassegnai all'ineluttabile forza, che costituiva l'essenza di una Istituzione mirante al complesso artistico, non all'incolumità vocale dei singoli. (...)

Amante dell'indagine, mi son fatto lecito di esaminare le caratteristiche di cantori rappresentativi coll'unico scopo di prevenire i giovani e metterli in guardia dagli smarrimenti, di cui sono stato vittima io stesso per oltre un decennio della mia carriera. Esordendo credetti alla continuità di un dono naturale perenne; alle prime schermaglie colle difficoltà credetti nel verbo rivelato di cantanti illustri, di cui non compresi i reali, intimi pregi e imitai i difetti esteriori: quindi l'equivoco di considerare ideali le inflessioni gutturali di Tizio, le nasalità di Caio, le emissioni mistificate di Sempronio. Incertezze, disuguaglianze, false intonazioni, dubbiosi attacchi, suoni ibridi furono il risultato del tremendo malinteso, che portò a varie riprese la mia voce sul limitare della fine. Fra le molte vie, che mi vidi innanzi aperte, frequentai tutte fuorchè la dritta, e già avevo perduto ogni speranza quando apparve la mia Diletta, "maestra e donna", che pazientemente superò le prevenzioni dell'orgoglio fondato su di una occasionale, improvvisa celebrità. Anch'io scambiai il falsetto per la mezzavoce ed il misto, abusai di suoni aperti, spalancai note di passaggio, camuffai le deficienze colle sonorità nasali, sostenni con spasimi e contrazioni gutturali i suoni vacillanti e vidi ogni giorno di più diminuire la resistenza della respirazione e aumentare lo sfaldamento dell'organismo vocale come per lo sviluppo di un morbo, che non perdona. La salvezza mi venne dalla devota Compagna, che mi guidò con intelletto d'amore e non si fece abbagliare dalla luce equivoca di una gloria effimera. Nei più recenti anni acquistai la certezza di idee chiare, e compresi i miei difetti e gli altrui che oggi addito, perchè se ne guardino, ai devoti del canto, tratti per inesperienza all'imitazione d'esteriorità. (...) L'esperienza di me medesimo, che pubblicamente confesso, valga ad insegnare che la professione del canto è la più ardua ed espone alle più torturanti delusioni i faciloni e gli ingenui. Fra i direttori d'orchestra, versati nello studio critico della voce, il maestro Gino Marinuzzi, sotto la cui bacchetta cantai varie stagioni, mi parve il più attento e scrupoloso. Egli accompagna l'artista, incline al panico ed esposto alle insidie della partitura e della fama, coll'esperienza psicologica e l'acume tecnico di chi allo strumento della voce umana ha dedicato le attenzioni che i direttori sogliono concedere solo agli strumenti della loro orchestra. »

(da: G. Lauri Volpi - "L'equivoco", 1938)



7 - E infine la "voce della coscienza" di uno degli ultimi esempi di tenore "di grazia" belcantista del Novecento, Ugo Benelli che nel suo libro scriveva e testimoniava che NON BASTA LA NATURA :

<<Le mie difficoltà di intonazione, nella prima parte della carriera, erano dovute ad una voce facilissima che praticamente mancava della prima ottava. Ricordo l' "Anch'io vorrei" dell'Arlesiana, e la fatica di realizzare il mi bemolle prima della terzina. Era lì che s'annidava quel certo smarrimento nell'intonazione delle note successive.
Continuando a cantare con una voce naturale e con una tecnica non consolidata, ti trovi che, a un certo punto, la voce finisce e sei costretto a smettere. Ne ho visti tanti, di giovani colleghi che sul momento mi hanno superato, per poi sparire.
Il mio orgoglio maggiore è essere ancora sul palcoscenico, dopo mezzo secolo di questo strano mestiere, di questo gioco serio e difficile che è il canto.>>
<<Il "Falstaff" di Zeffirelli (1960) mi aprì la carriera e mi diede anche sicurezza economica. (...)
Da questo "Falstaff" raccolsi critiche stupende... Ma non furono tutte rose e fiori, anzi. La mia era una voce naturale, avevo studiato (poco tempo) con Magenta, ed alla Scala più che altro si trattava di un perfezionamento interpretativo, di uno studio di spartiti. Perché davano per scontato che, tecnicamente, tu fossi a posto.
Interpretando il ruolo di Fenton mi accorgevo di essere sempre leggermente calante. Al direttore d'orchestra piaceva talmente la qualità della voce, che sopportava questo mio problema. Ma al punto dove il personaggio canta "Al suo fonte rivola..." rischiavo sempre di perdere qualche comma. Rivoli mi voleva bene, in seguito lavorai con lui anche all'Opera di Parigi in occasione di un "Barbiere di Siviglia". Lo ricordo come un vero amico, come Confalonieri e Mannino. Alla fine delle recite del "Falstaff" mi prese da parte e mi disse, con affetto: "Ugo stai attento, sei leggermente calante. Io ci passo sopra, per le tue qualità, ma ci può essere qualche direttore d'orchestra al quale questo fatto può dare fastidio... Devi studiare ancora".
Tutte le soddisfazioni che già potevo avere al tempo, venivano offuscate quando mi accorgevo di calare, ascoltandomi nelle registrazioni. Il dramma è che credevo di cantare intonato. E in sala prove, col pianoforte, non sgarravo mai. Ma in teatro, con l'orchestra, le cose cambiavano. Probabilmente era questione di mancanza di armonici... Dovevo mettere più timbro nella voce. E mi arrovellavo.
Fu lo studiare attentamente la vocalità di Alfredo Kraus, e soprattutto il cantare accanto all'amico, al grandissimo "fratello" Sesto Bruscantini, che mi aiutò a risolvere il problema. (...) 
[n.b. Benelli incontrò per la prima volta Bruscantini nel '62 e prese lezioni da lui, in particolare sui recitativi, qualche anno più tardi, nel '65] 
Di lì a poco venne la celebrità, l'epoca delle opere e delle operette in televisione, della gente che mi riconosceva per strada. Ma i problemi vocali non erano finiti. (...) Il 1962 fu l'anno di una crisi importante, determinante per il mio futuro. Venne un momento in cui non credei più in me stesso: quando un artista canta molto di natura e poco di tecnica, una caduta - psicologica o vocale - può essere fatale. Di solito non ci si rialza più e si chiude una carriera. io ce l'ho fatta anche grazie ad Angela.
La miccia fu l'operetta "Eva" di Lehar, una produzione che venne trasmessa in televisione. (...)
Con Angela che mi faceva gli accordi al pianoforte, e col registratore acceso, iniziai a studiare. Mia moglie fu di grande aiuto, anche perché dotata di un forte senso critico. Ho avuto la fortuna di avere accanto una grande donna... Registravamo un vocalizzo e lo ascoltavamo insieme, commentando, riprovando, e ascoltando ancora.
Terminato questo periodo di lavoro autonomo, decisi di fissare quanto avevo raggiunto bussando alla porta della persona - forse l'unica - verso la quale nutrivo una cieca fiducia. E rintracciai il Maestro Campogalliani. Bastarono poche lezioni: non più alla Scala ma al Conservatorio di Milano. Terminava il lavoro con gli allievi a mezzogiorno e poi mi ascoltava. Fu lui a dirmi "Non venire più, non ne hai più bisogno... Stai giusto attento alla vocale A, nient'altro".>>

(da: Giorgio De Martino - "Cantanti, vil razza dannata" - Una dichiarazione d'amore contraddittoria attraverso la vita e gli incontri di Ugo Benelli - Zecchini Editore, 2002) 

In conclusione, chi tra i cantanti famosi del passato non ha seguìto questa strada ha finito prima del tempo la carriera a motivo della carenza di tecnica, perché si era basato meramente sulla natura.  Un esempio è quello di Di Stefano secondo le parole di testimonianza della stessa Rina Gigli :
«secondo me la voce più bella dopo quella di mio padre l'ha avuta Di Stefano. Io ho cantato con lui la "Bohème" all'Arena di Verona e ne ho riportato un'impressione straordinaria (...) però mio padre glielo aveva predetto. Quando Pippo venne a Roma a cantare l'Iris di Mascagni, gli disse: - "Figlio mio, perché ti vuoi rovinare? Guarda che io l'Iris la prendo con le molle, perché è un'opera che spacca la gola."
Di Stefano aveva una voce meravigliosa ma gli mancava lo studio; era una voce spontanea, non consolidata da una tecnica perfetta. Alla fine, a forza di aprire i suoni, si è rovinato.» 
(da: Intervista al soprano Rina Gigli, tratta da Bruno Baudissone - "Un nido di memorie", 1983)
E chi didatticamente vi illude del contrario vi sta portando fuori strada, lasciate immediatamente maestri del genere, prima che sia troppo tardi, per la salute del vostro strumento VOCE !
Prima che si debba arrivare a correggere una grave ed errata "memoria muscolare" acquisita, con un intervento di ricostruzione vocale da parte di un valido docente di canto - meglio prevenire che curare!! - e prima di arrivare, nei casi più gravi, a dover intervenire a livello foniatrico (dopo l'insorgere di edemi, polipi e noduli) !!!


(continua)


martedì 9 ottobre 2018

意大利美声学院 - ACCADEMIA NAZIONALE DI BELCANTO ITALIANO




意大利美声学院
2018/2019学年

意大利亚力山德里亚帕凡剧院
美声歌唱表演者高等教育课程
美声教师高等师范课程


教师:
Astrea Amaduzzi
女高音及声乐技巧专家



Ugo Benelli
国际知名男高音



Mattia Peli
钢琴家及乐团指挥



艺术总监
Stefano Velluti 



试听:
2018年11月21日

电话:+39 347 58 53 253

报名截止日期:
2018年11月10日

domenica 7 ottobre 2018

Belcanto Italiano ® - L'autentico Bel canto italiano, sua definizione e legittimazione (parte 1)


Qualcuno da tempo afferma, senza portare nessuna prova concreta a sostegno di ciò, che Tosi e Mancini, seguiti da Lamperti, sarebbero la Bibbia del bel canto, una specie di trinità salvifica, mentre si punta ingiustamente ed illegittimamente il dito, senza per altro avere alcuna autorità in merito, contro Garcia figlio.

C'è chi sostiene inoltre che Garcia figlio abbia stravolto il bel canto nel corso dell'Ottocento e si dice che, in ambiente didattico, si andrebbe citando solo Garcia e che si darebbe poca o nessuna importanza a Tosi e Mancini.

Infine che sarebbe inutile chiamarlo "italiano", il bel canto, ed illegittimo l'uso del nome laddove non combaciasse con i venerati Tosi e Mancini.

In realtà la verità è ben diversa.

Garcia figlio non ha stravolto il bel canto con il suo trattato, ma ha dato il suo contributo che va inscritto all'interno della storia secolare del canto lirico.
Tosi e Mancini hanno portato il loro contributo, tanto quanto l'hanno portato molti altri prima e dopo di loro.

Quanto al discorso delle citazioni storiche, nel corso degli anni Garcia figlio è quello che meno abbiamo citato. Abbiamo invece citato pubblicamente e pubblicato anche e soprattutto una cernita nutrita di citazioni, brevi come molto lunghe, di :

Ieronimus de Moravia, Francesco Patrizi, G.C. Brancaccio, Ercole Bottrigari, Pietro della Valle, Nicola Vicentino, Giovanni Luca Conforti, Claudio Monteverdi, Girolamo Frescobaldi, Biagio Rossetti, Lodovico Zacconi, Giovanni Camillo Maffei, G.B. Bovicelli, Vincenzo Giustiniani, Severo Bonini, Emilio Del Cavaliere, Francesco Rognoni, Marco Da Gagliano, Ottavio Durante, Domenico Mazzocchi, Giulio Caccini, Girolamo Diruta, Michael Praetorius, Christoph Bernhard, Silverio Picerli, Bartolomeo Bismantova, Jean-Antoine Bérard, J. J. Quantz, Jean Philippe Rameau, Giovanni Battista Doni, Vincenzo Manfredini, Salvatore Bertezen, Giuseppe Aprile (Sciroletto), W. A. Mozart, J. P. E. Martini, Mengozzi, G. G. Ferrari, A. M. Pellegrini Celoni, Marcello Perrino, Manuel García padre, Domenico Crivelli, Domenico Corri, F. Bennati, Nicola Vaccaj, Isaac Nathan, F. J. Fétis, H. F. Mannstein, Antonio Calegari/Gaspare Pacchiarotti, Maria Anfossi, Francesco Florimo, Antonio Benelli, Louis Lablache, G. L. Duprez, H. Panofka, Robert Schumann, A. de Garaudé, Luigi Celentano, Giuseppe Verdi, Alessandro Busti, Gaetano Nava, Charles Delprat, Enrico Delle Sedie, Sir Morell Mackenzie, Beniamino Carelli, Vincenzo Cirillo, Francesco Lamperti, G. B. Lamperti, J. M. Mayan, Jules Audubert, Leone Giraldoni, Alessandro Guagni-Benvenuti, Leo Kofler, Mathilde Marchesi, Eugène Wolff, Luigi Parisotti, H. Klein, Giulio Silva, Vittorio Ricci, Luisa Siotto Pintor, E. Herbert-Caesari, etc. 


[Questa la pagina FB principale dove abbiamo da tempo riunito questo complesso materiale utile alla riflessione di chi già studia canto, canta o insegna : 
che trova la sua estensione web qui: https://tecnicavocaleneisecoli.blogspot.com/]

Tosi e Mancini non sono automaticamente equivalenti al Bel Canto, né storicamente né nei contenuti dei loro trattati (non sapremo comunque mai se cantavano bene! tra l'altro non furono nemmeno dei cantanti famosi come Farinelli, Caffarelli etc. ma più che altro solo dei maestri di canto). Abbiamo citato anche loro, ma solo nei punti dei loro trattati che condividiamo, stessa cosa vale per Garcia figlio.

D'altronde, il grande tenore di Lanuvio Lauri-Volpi scrisse correttamente sotto la voce “Belcanto” inserita nella “Enciclopedia della musica”, ed. Ricordi, Milano 1963, che il creatore fu semmai il compositore e tenore Caccini : 
"Creatore della scuola del Belcanto fu il romano Giulio Caccini, che da Roma si trasferì a Firenze, ove fondò la scuola di canto in cui fiorirono le voci delle figlie Francesca e Settimia. Nel suo insegnamento, il Caccini fu un rinnovatore della ortofonia vocale e uno dei primissimi compositori di melodrammi; egli lasciò scritte interessanti norme del Belcanto." --> https://lauri-volpi-tecnicavocale.blogspot.com/2016/10/che-cose-il-belcanto-di-giacomo-lauri.html

Infine per quanto riguarda il termine belcanto italiano è storico e assolutamente legittimo, ma c'è da dire che è stato chiamato nei secoli buon canto o bel canto. Ma questo non significa niente, non vuol dire che un termine corrisponda sempre automaticamente al contenuto: se ad esempio in un dato periodo non era termine usato non significa che a livello concreto non componessero e cantassero facendo bel canto, e non è che quando entrò il termine nell'uso comune sia diventato automaticamente più bel canto di prima!
Perché è il contenuto che conta, non solo e soltanto la terminologia, questo vale anche per tutto il resto: la "maschera", le "vocali miste", ecc.


La "maschera" (chi sostiene ultimamente che non esisterebbe, affermando che la scienza recentemente avrebbe scoperto che il suono non risuonerebbe nelle cavità di risonanza cervicali, non cita mai a quale "scienza" si riferirebbe! quali scienziati? in quale occasione l'avrebbero detto? secondo quale pubblicazione sarebbe stato detto ciò? e quali prove avrebbero mostrato?) non ha mai significato l'atto volontario di spingere (con presunta rigidità) un suono in testa, ma semmai, come sempre è stato il suo significato, costituisce il risultato sonoro derivato indirettamente da una serie di altre caratteristiche tecnico-vocali combinate nel medesimo momento: modo di impiegare il fiato, palato molle alzato nel modo giusto, posizione vocale d'emissione scelta, etc. Anzi quando il suono è in maschera è proprio l'opposto, la gola è libera e il suono e totalmente libero, rigidità con la "maschera" non ce ne sono.


Suono vocalico A raccolto e coperto da Beniamino Gigli, adattando la vocale pura, nell'incisione gigliana del 1921 dell'aria "Apri la tua finestra", dall'Iris di Mascagni

E la medesima cosa vale per le "vocali miste" che non hanno nulla a che fare con le vocali delle lingue straniere, bensì sono adattamenti (accomodamenti) più o meno evidenti delle vocali italiane, necessari nel canto lirico, a differenza del parlato comune, a seconda del tipo di emissione in pianissimo, a mezza voce a piena voce e dell'altezza della nota specifica in un dato momento del brano vocale che si sta affrontando, unitamente all'uso creativo delle risonanze ricercate ed ottenute più brillanti o più ambrate (chiaro-scuro); la dizione viene preservata in tal modo anche con l'aiuto delle consonanti che scolpiscono di più la parola, specialmente dove possibile: nella parte centrale della voce, il registro del parlato. Di meno, più si sale alla zona acuta. 


Quando Gigli a Londra nel 1946 teneva la sua lezione introduttiva e diceva che le vocali italiane sono 5, pure o con le loro MODIFICAZIONI, non intendeva assolutamente dire che con queste modificazioni  si facesse riferimento alle vocali straniere come sostiene qualcuno che ha letto l'affermazione fuori dal contesto. Se si prende nel contesto della lezione integrale si capisce benissimo che non si sta affatto riferendo a vocali straniere, bensì ad una necessità del canto lirico, ammesso che si stia parlando di canto prodotto da cantanti di alto livello!
--> https://belcantogigli.blogspot.com/2015/07/beniamino-gigli-spiega-la-tecnica.html

In ogni caso, per i puristi "letterati", facciamo presente che il termine BEL CANTO ITALIANO veniva usato già ad es. nell'Ottocento in relazione al grande tenore Rubini e da Rossini stesso.

L'8 aprile 1839 usciva, come riportato su "Teatri, arti e letteratura", Tomo 31 pubblicato a Bologna in quell'anno, questo AVVISO MUSICALE che si apriva con queste parole:

<<Annunziamo agli amatori del bel canto italiano che si pubblicheranno per associazione il giorno 20 giugno pross. vent. "Dodici lezioni di canto moderno per voce di tenore e soprano" composte dall'insigne artista GIO. BATT. RUBINI.
Questo nome è il più sicuro garante del merito di tale opera e ci esime dal cercar parole per raccomandarla.>> E poi prosegue: <<RUBINI, avendo, a quel che dicono, fiso nell'animo di lasciar il Teatro prima che il Teatro lo abbandoni, pensa di provvedere stabilmente alla propria fama lasciando un monumento della profonda sua scienza.>> 


Rubini fu uno dei più famosi tenori della prima metà dell’800. Bellini scrisse per lui la parte di Gualtiero nel ‘Pirata’ e Donizetti quella del re nell’ ‘Anna Bolena’, conosciuto come ‘il re de tenori’ raggiunse il culmine della fama a Parigi con ‘I Puritani’. Tenore di grande raffinatezza fu particolarmente ammirato per le sue note acute (sino al sol sovracuto). La sua carriera durò ben 30 anni, dal 1815 al 1845 !!!

Perfezionamento del meccanismo della voce - 24 vocalizzi per mezzo-soprano, composti, e dedicati a Rossini, da Mathilde Marchesi - 1863

Rossini elogiando i 24 Vocalizzi [L'Art du chant, 24 vocalises pour contralto ou mezzosoprano op. 29] della signora Marchesi, allieva di Garcia figlio, ebbe ad esprimersi in questi termini :

« Ho percorsi col massimo interesse (quei esercizj), sono composti con somma conoscenza della voce umana, con chiarezza ed eleganza, essi contengono quanto fa d’uopo allo sviluppo d’un’arte che da troppo tempo io assimilo alle "Barricate vocali"! Possa il di lei interessante lavoro profittare alla gioventù odierna, che trovasi un tantino fuori della buona via. Insista pure ad insegnare il "bel canto italiano", esso non esclude l’espressione e la parte drammatica, che va riducendosi ad una semplice questione di polmoni, e senza studio (c’est bien commode ! ) » [G. Rossini, alla signora Matilde de Marchesi, Passy de Paris, 3 luglio 1863.]

(riportato in: "Storia Universale del Canto" di Gabriele Fantoni, vol. II, Milano 1873)


Notare, in particolare, quanto alla fonazione, ciò che ella scriveva nella Prefazione alla Seconda edizione del suo "L'Arte del Canto" Op. 21, nel gennaio 1890:

"The pupil should open the mouth quite naturally, lowering the chin, as though to pronounce the vowel A (ah) slightly darkened (...)
Now, the type of vowel preferable for the formation and development of the voice is the Italian A (ah), slightly darkened (...)"

[Lo studente dovrebbe aprire la bocca piuttosto naturalmente, abbassando il mento, come se stesse pronunciando la vocale A (ah) leggermente inscurita (...) Ora, il tipo di vocale preferibile per la formazione e lo sviluppo della voce è la A italiana (ah), leggermente inscurita (...)]



Ma BEL CANTO ITALIANO si ritrova anche, usato dai famosi compositori veristi come Cilea e Giordano, nella prima metà del Novecento, in relazione al canto di Beniamino Gigli.


<<Al sommo Gigli,
che la potenza della voce sa piegare alla soavità del bel canto italiano, tutta la mia ammirazione e tutta la mia gratitudine per aver dato a "Gloria" fulgente vita.>>
Francesco Cilea - Roma, 15 gennaio 1938


<<Al maggiore interprete delle mie opere:
a Beniamino Gigli maestro del bel canto italiano. Con affetto e ammirazione.
Umberto Giordano. Roma, 21 dicembre 1942>>

[dall'Archivo di John Fenech (RIP), Malta, pubblicato in 'Gigli' di Leonardo Ciampa (2015)]


Nella Masterclass di Gigli a Vienna del 1955, ecco altri suoi illuminanti insegnamenti e dimostrazioni pratiche del Bel Canto:

"Loro hanno sette vocali...voi, tedeschi, o inglesi o americani non avete le 5 vocali per il canto come ce l'ha l'Italia: "A", "E", "I", "O", "U". Noi facciamo...sulla STESSA POSIZIONE, noi dobbiamo fare le 5 vocali; e vi do un esempio pratico: (canta, vocalizzando "a-e-i-o-u"). Come avete visto e sentito io non ho mosso né gola...non ho mosso nulla. E' nella POSIZIONE che io ho fatto le 5 vocali. (...) Se voi dovete studiare il canto, e potrei dire anche, lasciatemelo dire...il BEL CANTO ITALIANO, bisogna che vi portate necessariamente a imparare le 5 vocali e metterle, le 5 vocali, sulla stessa posizione." 


Su "La Domenica del Corriere" del 15 dicembre 1957, a sole due settimane dalla scomparsa, Gigli viene definito "L'AMBASCIATORE DEL BEL CANTO ITALIANO NEL MONDO" !!!


Anche Mascagni usò il termine BEL CANTO ITALIANO in relazione al grande collega antagonista di Gigli, Giacomo Lauri-Volpi :

"A Giacomo Lauri-Volpi,
con ammirazione e con gratitudine
per la sua superba interpretazione
di "Turiddu", con la quale ha
riaffermato la supremazia del
bel canto italiano,
P. Mascagni
S. Paulo,
20, X, 1922"

In linea generale, citiamo spesso e più volentieri affermazioni di cantanti del Novecento poiché ci hanno lasciato PROVE sonore della loro arte, dei cantanti dei secoli precedenti non abbiamo alcuna registrazione e quindi non possiamo sapere davvero come cantassero realmente. Affidarsi ad un trattato "muto" e ad una cronaca dell'epoca che descriveva qualità e difetti delle voci dei cantanti famosi (Rubini - solo qualità, difetti quali? / Duprez qualità ma anche difetti) è cosa insufficiente a qualificare la validità di una tecnica da loro impiegata.
Inoltre in particolare nei secoli '600 e '700, ma in parte anche nell' '800, i castrati erano i divi principali delle scene operistiche, tuttavia non si può dire che la tecnica di chi usava la propria voce artisticamente come castrato e di chi cantava vivendo e cantando coi limitanti bustini possa andare automaticamente bene per chi non usa i bustini, non è castrato (i castrati dopo Moreschi non esistono più da un secolo) e deve cantare il repertorio barocco quanto quello classico, romantico, verista e moderno con il diapason più alto e una scrittura orchestrale più massiccia nel periodo compreso tra la seconda metà dell'Ottocento e l'epoca attuale.



Ma quali sono le caratteristiche di base del "bel canto italiano" che attraversano i secoli, gli stili, le mode teatrali? Ecco in sintesi le principali CARATTERISTICHE VOCALI-INTERPRETATIVE ESSENZIALI PER UN ARTISTA DEL "BEL CANTO" :

Secondo Rodolfo Celletti ("Storia del Belcanto" - Discanto, 1983), 5 sono gli elementi essenziali per l'esecuzione della musica del XIX secolo fino al 1840, come indicato nei metodi di Manuel Garcia figlio, Duprez e Lablache.
L'esecutore doveva essere capace (e gli interpreti di oggi devono essere capaci):

1. di eseguire la "messa di voce" e cioè di passare gradualmente da un pianissimo a un fortissimo e viceversa;
2. di "legare" e "portare", dove per legare s'intende passare morbidamente, ma con nettezza, da una nota all'altra della frase musicale, mentre per portare deve intendersi condurre la voce, con grazia e levità, da un intervallo all'altro, senza strascicare il suono e cioè senza far sentire le note intermedie;
3. di "fraseggiare" e cioè di presentare i "disegni" di ogni frase musicale in modo da dare un diverso risalto a ciascuno di essi - nel paragrafo "fraseggio" rientrava anche la capacità di calcolare con esattezza i fiati in relazione alla durata d'ogni disegno e di saper inserire le pause là dove il compositore le aveva omesse;
4. di "sfumare" e cioè di alternare i piani e i forti e le intensità intermedie, a seconda del senso della frase e delle parole;
5. di eseguire impeccabilmente gli ornamenti. 


Anche Hermann Klein (" The 'Bel canto' ", 1924), un allievo di Garcia figlio, afferma che le qualità del bel canto possono essere sintetizzate in 5 categorie:

1. Voce (comprendente orecchio e fisico);
2. Sostenuto (comprendente la respirazione, formazione delle vocali e risonanza);
3. Legato (comprendente la scala, il chiaro-scuro, il colore);
4. Flessibilità (comprendente tutto il canto d'agilità);
5. Fraseggio (comprendente dizione, espressione, e tutta l'interpretazione).

La Boccabadati e la Ronzi de Begnis ne "I Capuleti e Montecchi" di Vincenzo Bellini

Caratteristiche fondamentali del "bel canto" sono il suono sempre "sul fiato" (e la "messa di voce" ne è la prova del nove), il chiaro-scuro, la perfetta gestione dell'emissione della voce "di petto", in "misto" e "di testa, la fusione dei registri (che si ottiene preparando il passaggio raccogliendo il suono, ed alleggerendo e non aprendo il suono nel passaggio), il legato costituito dall'appoggio e dal "portare" i suoni, il sapiente uso della mezza voce specialmente nei centri da alternare all'uopo alla piena voce da una parte ed ai "filati" dall'altra (in tutte le dinamiche i suoni devono rimanere perfettamente proiettati!), la voce sempre libera e flessibile che dai cantabili non può che condurre al canto fiorito, ornato, d'agilità delle "colorature", il dominio assoluto della voce lirica che permette di realizzare qualunque sfumatura, colore, effetto musicale richiesto dai compositori e/o voluto a livello personale dall'interprete.
Suoni non a fuoco, ingolati, affondati, troppo aperti, allargati, ingrossati, spinti, forzati e urlati sono banditi da questa tecnica e da questo stile di canto! 

Il grande tenore "di grazia" Ugo Benelli con il soprano "voce del belcanto" Astrea Amaduzzi a Genova nel maggio 2018




Infine, c'è chi in relazione alla nascente Accademia Nazionale di Belcanto Italiano dice che mancherebbe un "nome" della lirica, come la Callas, la Tebaldi ecc. nel corpo docenti della scuola: omette però, in modo scorretto, di dire che abbiamo con noi nell'Accademia il tenore "di grazia" Ugo Benelli che curerà l'interpretazione, l'arte scenica e la regia, dalle lezioni individuali all'opera-studio ed ai concerti e rappresentazioni pubbliche organizzate dall'Accademia. 

Sarà anche presente, in occasione degli esami accademici di fine anno, il soprano Carmen Lavani, nella commissione d'esame.

giovedì 20 settembre 2018

Belcanto Italiano ® a Praga. Dal 26 al 30 ottobre 2018 una masterclass mitteleuropea

«Mitteleuropeo»:  l'adattamento del tedesco "mitteleuropäisch", a sua volta derivato dal termine "mittel" «medio, di mezzo», non potrebbe indicare meglio lo spirito che animerà questa nuova masterclass dei fondatori di Belcanto Italiano ® chiamati a Praga dal 26 al 30 Ottobre 2018.

Parola d'ordine: "Italianità". Il valore inestimabile della tecnica e dello stile italiano, una qualità eccelsa, se si parla di opera lirica italiana, proprio nel cuore dell'Europa.

I fondatori di Belcanto Italiano ®, Astrea Amaduzzi, raffinata belcantista e rinomata docente di canto, assieme al M° Mattia Peli, pianista e direttore d'orchestra, sono stati invitati a questo primo appuntamento dal respiro veramente internazionale: arriveranno infatti allievi non solo dalla Repubblica Ceca ma anche dall'Austria e dall'Italia.


Gli studenti si sono dati appuntamento per imparare l'arte del vero Belcanto Italiano di cui il M° Amaduzzi è un'autentica rappresentante nel senso più alto del termine.

A partire dalla formazione della bellezza di ogni singolo suono, fino ad arrivare alla totale libertà nel canto lirico, studiando la tecnica del passaggio dal registro grave a quello più acuto della voce, Astrea Amaduzzi seguirà ogni Allievo in un percorso mirato a svilupparne le migliori capacità tecniche ed espressive.

Prenderanno così vita i personaggi più noti creati dal genio di Verdi, Puccini, Mascagni, Rossini, Mozart e molti altri ancora, perché l'insegnamento del canto lirico si tramanda solo da Maestro ad Allievo e attraverso l'indispensabile esempio pratico.

A condurre invece la parte interpretativa, cesellando anche la prassi esecutiva sarà il M° Mattia Peli, raffinatissimo pianista che farà leggere a ciascun Allievo gli spartiti anche dal punto di vista più ampiamente direttoriale.

I partner di questa importantissima operazione culturale sono, oltre che il marchio Belcanto Italiano ®, ormai sinonimo di grande eccellenza, anche l'Accademia Nazionale di Belcanto Italiano ® di Alessandria, e l'Associazione Run OpeRun di Praga, già molto attiva in allestimenti operistici dall'ampio respiro registico.

http://www.accademiabelcanto.com/

http://www.runoperun.cz

Per informazioni e prenotazioni di turni di studio all'interno della masterclass che si svolgerà a Praga con i fondatori di Belcanto Italiano ® dal 26 al 30 ottobre 2018, rivolgersi ai seguenti numeri (Tel/WhatsApp)

Per l'Italia: (+39) 347.58.53.253
Per la Repubblica Ceca: (+420) 606.033.773  

 

mercoledì 29 agosto 2018

Intervista ad Ugo Benelli sull'amico e collega Sesto Bruscantini

Il tenore Ugo Benelli con il baritono Sesto Bruscantini durante la registrazione della Cenerentola di Rossini

Intervista ad Ugo Benelli sull'amico e collega Sesto Bruscantini - Belcanto Italiano 2018 (a cura di Mattia Peli)

- In che anno e in che occasione hai incontrato per la prima volta Sesto Bruscantini?

Ho assistito ad una rappresentazione del "Don Pasquale" al Massimo di Palermo con Sesto Bruscantini nel 1962 e pensavo che sarebbe stato lui a venire col teatro in tournée a Wiesbaden e a Parigi. Per quelle recite avevo già il contratto in tasca, quindi mi feci coraggio e bussai al suo camerino a fine rappresentazione per complimentarmi e presentarmi. Mi disse che per altri impegni presi in precedenza non avrebbe partecipato agli spettacoli. Avevo un certo timore reverenziale ma lui fu garbatamente gentile; avevo l'impressione di trovarmi davanti ad un "monumento" del teatro. Tutto finì lì perché dopo pochi giorni saremmo stati assieme per le prove del Campiello che segnò il mio debutto a Palermo. Stranamente fra noi non scoccò nulla né in quella occasione, né a Firenze per la registrazione della "Cenerentola" per la Decca e neppure per "Le nozze di Figaro" a Madrid. Ma a Milano quando incidemmo alla RAI il Barbiere del 1965, nel momento che iniziammo i recitativi...che evidentemente non gli garbavano come io li interpretavo...con una certa autorità mi disse: "Senti, caro, quando sei solo sulla scena fai pure quello che vuoi, ma se ci sono io i recitativi vanno fatti come Dio comanda". 


Premetto che non ho mai avuto paura di nessuno (sono esperto di boxe, e mi chiedo ancora perché non lo mandai al diavolo. In me alberga rispetto profondo, ma "...se mi toccano...dov'è il mio debole...") Sopportai quindi e mi presi quelle lezioni di interpretazione sui recitativi. Pensai che, in fondo in fondo...aveva ragione, ma quando, finita la prova, potei parlare con mia moglie per sfogarmi, e che aveva assistito a tutto, mi disse : "Sai quanto dovresti pagare per lezioni simili??? Vai a ringraziarlo e pregalo anzi di fermarti per ogni cosa che a lui non sembri fatta bene". Così feci...lui cominciò a sorridermi ed iniziò non un'amicizia, ma un 'amore'...nel senso giusto...intendiamoci!

 

Benelli e Bruscantini nel Barbiere rossiniano registrato nel 1965
- In quante e quali opere, hai cantato assieme a Bruscantini? Mi risulta che abbiate fatto assieme "Il barbiere di Siviglia" nel 1965, "Cenerentola" nel 1963 e 1975, "L'italiana in Algeri" nel 1978 di Rossini e successivamente "Il Giorno di regno" di Verdi, oppure avete fatto assieme anche altre opere?

Eh, molte di più, con Sesto abbiamo cantato assieme in modo abbastanza continuativo dal 1962 al 1981 nelle seguenti opere:
                                                                                                                                                                    - Teatro Massimo di Palermo - IL CAMPIELLO Marzo 1962 
- Incisione CENERENTOLA  DECCA1963
- Teatro de la Zarzuela - LE NOZZE DI FIGARO Giugno 1964
- RAI Milano Registrazione IL BARBIERE DI SIVIGLIA  Luglio 1965
- Teatro Regio, Torino - GIANNI SCHICCHI 1966
- Teatro San Carlos, Lisbona - IL BARBIERE DI SIVIGLIA Marzo 1966
- Teatro Verdi, Trieste - IL BARBIERE DI SIVIGLIA Marzo 1969
- Performing Arts Foundation Kanasas City - LA CAMBIALE DI MATRIMONIO Maggio 1969
- Dallas Civic Opera - DON GIOVANNI Novembre 1969
- Teatro Comunale Bologna COSI' FAN TUTTE Aprile 1970
- Wiesbaden Festival - IL BARBIERE DI SIVIGLIA Maggio 1971
- Mai de Versailles Opera Royal du Chateau - CENERENTOLA Giugno 1972
- Incisione CENERENTOLA ACANTA 1972
- Teatro Regio, Torino - CENERENTOLA Dicembre 1972
- Covent Garden - DON PASQUALE Gennaio 1974
- Teatro Regio, Torino - I TRE PINTO 1974
- Teatro Petruzzelli - LA CENERENTOLA 1974
- Incisione - ITALIANA IN ALGERI ACANTA 1976
- Sferisterio, Macerata FALSTAFF Luglio 1976
- Teatro Regio, Torino - L'ITALIANA IN ALGERI 1979
- Rossini Opera Festival - L'ITALIANA IN ALGERI 1981
- Wexford Opera Festival - UN GIORNO DI REGNO 1981


- C'era differenza, e che tipo di differenze c'erano, tra l'esecuzione discografica audio e/o audio video e la rappresentazione della medesima opera fatta assieme dal vivo in teatro?

Quando si registra si pensa soltanto a se stessi; si è come in un corridoio immaginario che ha davanti un microfono che si cerca di far fruttare al meglio. Importante è non voler a tutti i costi timbrare al massimo la voce, ma cantare morbido perché la rotondità del suono fa acquistare nella registrazione anche "corpo" e, così facendo, si ottiene qualità. Bruscantini era un mago in questa specialità...aveva fatto tante di quelle opere alla radio che, imitandolo, avevo spesso ottenuto il meglio dalla mia voce. L'incisione - ai miei tempi - era interessante, perché le case discografiche importanti tutte assieme potevano in un anno mettere sul mercato una diecina di opere e realizzare grandi guadagni...di modo che, dopo qualche prova al pianoforte col direttore, si aveva una quindicina di giorni per registrare l'opera e si poteva anche scegliere il giorno e l'ora per fissare su nastro le cose alle quali si teneva di più e le più importanti. Ricordo personalmente che, quando feci il duetto della Cenerentola con la Simionato, non ci fu poi, risentendomi, quella cosa che sa di 'amore a prima vista', perché il celebre mezzosoprano non l'avevo mai incontrato prima e non avevo la stessa confidenza che avevano con lei gli altri colleghi. Nessuno si è veramente accorto di questo, ma facendoci attenzione (adesso che l'ho svelato) è più facile avvertire quanto ho affermato. Insomma, le registrazioni discografiche non sono il "vero teatro". Tutt'altra cosa è quando facevamo i Rossini sul palcoscenico. Era puro divertimento e, conoscendoci bene, giocavamo improvvisando sul modo di recitare o di cambiare posizioni in scena. Praticamente, per le riprese filmate era tutta farina del nostro sacco. Ci dicevano solo le zone in cui agire. Nel duetto della Cenerentola ad esempio (filmato in una scalinata dei giardini della Reggia di Dresda) a un certo punto Sesto si accuccia improvvisamente e mi pulisce gli stivali sorprendendomi...era un modo per ristabilire il giusto rapporto tra Principe e Valletto, sebbene lui fosse vestito in modo regale. Bastava una sua occhiata e il suo "Falchetto" era pronto ad assecondarlo. Mi faceva sentire importante ad averlo vicino.


- Senti, parlavate mai di questioni inerenti a come usare la voce, vale a dire a questioni di tecnica vocale pura, come ad es. il fiato, la voce in maschera, le vocali, il passaggio di registro, o come salire agli acuti?

Per il fiato Bruscantini diveva che non ci si deve mai distrarre per quanto concerne l'appoggio della voce.  A tale scopo mi aveva consigliato (e per certe opere l'ho usato...vedi Sonnambula, Pescatori di Perle, Linda di Chamounix, Un giorno di regno) di mettere un cinturone  di cuoio sotto la pancia (a sostegno del diaframma) che si innalza però quando raggiunge la schiena; dove c'è una fibbia per chiuderlo e stringere nel modo giusto... io ho preferito una banda forte elestica atta allo stesso scopo. Questo strumento, respirando bene e -quando si può-... con calma, serve da richiamo costante alla giusta  respirazione e  posizione. 
Per impostare la voce diceva che era come scavare una galleria...allora non c'erano le "talpe".  Prima bisogna cominciare a incidere per  trovare un piccolo varco ...magari mettendo anche qualche suono nel naso...ma intendeva di più in "maschera"...poi bisognava lavorare per ampliare quel condotto e piano, piano avere la sensazione di qualcosa che si allarga ma non che si apre e così dopo aver cercato di rendere il suono teatrale e penetrante....per quanto si possa ricavare dalla propria voce...arrotondare quel suono per renderlo bello e avere come negli apparecchi radio di una volta timbro e tono che dia la sensazione che tutto è fuori, libero e il tutto  piacevole ad eseguirsi...insomma IL PIACERE DI CANTARE  !!!  


Di passaggio di registro non ho mai parlato con Sesto perchè, per fortuna, il mio maestro Piero Magenta (forse perchè sentiva che non avevo problemi) non me ne ha mai parlato..... e degli acuti  Sesto diceva che, se era possibile, di rispettare le vocali scritte. Ad esempio nella mia prima incisione della Cenerentola ricordo che per la frase "Dentro al mio co-re stanno a pugnar" io per avere un suono più rotondo feci "Dentro al mio cor -ah! stanno a pugnar. Nella seconda incisione, quando con Bruscantini il ghiaccio era completamente sciolto, mi disse "Fai la "e" non la "a" che ti verrà benissimo...anzi il suono su quella vocale sarà più  penetrante...e così feci... perchè se il Brusca diceva qualcosa,  purtroppo....aveva sempre ragione!    E' vero che lui usava molto la "maschera" ma bisogna considerare che aveva iniziato da "bassetto" cantabile a baritono dell'opera buffa....sino a poter cantare in modo più che professionale  possibile qualunque opera del repertorio più tradizionale. La cosa più curiosa è che un "cervello" come Bruscantini abbia voluto consigli anche da gente (a torto) poco considerata. Di qualcuno ascoltava le posizioni, da altri il fraseggio, da un baritono non famoso ma con grande voce...che ricordo bene chi  è...come aumentare il suono, insomma tanta umiltà per raggiungere grandissimi traguardi.


- Che idee musicali aveva Bruscantini? e quanto considerava importante l'interpretazione e la resa anche scenica di un personaggio? Quest'ultima poteva in taluni casi, se si riusciva ad inquadrare cioè teatralmente nel modo giusto il personaggio, migliorare per così dire anche la resa tecnico-canora?

Innanzitutto Bruscantini rispettava scrupolosamente quanto voluto dall’autore, non teneva conto di come veniva eseguita prima di lui da altri. Iniziava uno studio al “microscopio” con intelligenza e così approdava a certi risultati che non erano nella norma. Ricordo il suo "Don Giovanni" a Roma. La critica lo “punse” sul suo modo di vedere il personaggio. Ricordo che disse: “Fra qualche anno capiranno che Don Giovanni è un personaggio decadente come ha visto Casanova Fellini”. Il tempo ha dimostrato che aveva perfettamente ragione! Vidi ad Aix en Provence il famoso baritono francese Baquier riproporre il "Don Giovanni" proprio come concepito da Sesto! Lui pensava e si impersonificava in IAGO, FALSTAFF, DANDINI, FIGARO, GERMON ecc. Anche nel trucco ha inventato un modo nuovo di concepire i personaggi: via tanti parrucconi e orpelli inutili per concentrarsi sull’essenziale. Se lo studio sviscerando lo spartito, il personaggio, il trucco e l’epoca, concorrono ad una sola concezione, viene fuori la ricetta perfetta che era di Sesto Bruscantini. Logicamente, comprendendo appieno che sei in scena, anche la voce assume la caratteristica del personaggio…scanzonata, severa, cattiva, subdola ecc., la resa tecnica canora è perfetta!


- Qual era la sua concezione della vocalità e del teatro buffo rossiniani?

Con la pronuncia nettissima concepiva la vocalità rossiniana “Come un’ape nei giorni d’aprile, va volando leGGiera...”. Cantando Rossini penso che alleggerisse la voce per dare carattere basandosi più sullo squillo che sulla “cavità” e rotondità vocale. Per Sesto il Buffo si distingueva nettamente dal comico (il cui scopo è provocare la risata) nel senso che credendo lui a quello che avveniva sulla scena (ma in una situazione non normale per il pubblico) partecipava umanamente  ad una situazione comica diventando così (suo malgrado) ridicolo e facendo addirittura pena al pubblico. Vedi Mustafà nell’Italiana in Algeri e Don Pasquale ecc.


Infine, condivido qui uno dei tanti suoi insegnamenti, come riportato nel mio spartito canto e piano del "Barbiere" !
Una pagina dello spartito di Ugo Benelli del Barbiere rossiniano con indicazione scenica di Sesto Bruscantini
Sesto scrive SCANDALO addirittura con punti esclamativi.....la ragione? Ma come ti permetti Figaro a me, Conte d'Almaviva prospettare di travestirmi da "soldato".....Il Conte d'Almaviva si aspetta ....come minimo...di travestirsi da Generale di Corpo d'Armata...non da soldato semplice!
Altro SCANDALO per Sesto era terminare "Ecco ridente in cielo" col do naturale acuto. Perchè? Perchè Brusca diceva che "Rosina avrebbe dovuto addirittura BUTTARSI GIU' DALLA FINESTRA E RAGGIUNGERE ALMAVIVA....LASCIAMO FARE QUESTO AGLI AMERICANI CHE IN QUANTO A GUSTO, FATTE DEBITE ECCEZIONI, LASCIANO MOLTO A DESIDERARE".....Non credo che Kraus abbia mai messo il "do" a fine aria. Chi ce l'ha.... il cosiddetto DO non ha bisogno di "dimostrarlo" e andare contro i dettami del compositore.





- Nel 1981, vale a dire ben 30 anni dopo aver inciso quest'opera giovanile verdiana come cantante, Sesto Bruscantini la ricantava affiancandovi l'impegno di fare la regia a Wexford. Tu che hai cantato in questa produzione come Edoardo di Sanval, ci vuoi raccontare come è stato avere come regista un collega-cantante? Come era Bruscantini come regista e come fu quella regia? Quali idee sceniche aveva avuto? e queste rispettavano la musica scritta da Verdi e in che modo?

Penso che Bruscantini cantò….se così si può dire…..meglio a Wexford che nella registrazione precedente. Aveva acquistato più “corpo” e rotondità la sua voce tornando ad un suo diciamo “vecchio” repertorio. Con Sesto se partivi dal punto di vista che….   SE TI DICEVA QUALCOSA….voleva dire che ci aveva molto riflettuto c’era poco da discutere. La sua Regia fu tradizionale nel senso di assoluto rispetto alle intenzioni del librettista e del compositore, ma volle mettere in risalto e sottolineare  i vari personaggi e fare interverire il Coro come degli artisti interessati e non come un branco di pecore. Sono soddisfatto del mio lavoro in questa registrazione avendo trovato il 33 giri vecchio della RAI e avendolo studiato bene dal mio predecessore illustre:  Juan Oncina….che non sono riuscito ad eguagliare, perché per me è una delle arie meglio eseguite da un tenore del mio genere e molte volte, anche in trasmissioni radiofoniche, ho proposto Oncina con quest’aria  come splendido esempio di Belcanto.


Sesto Bruscantini con Ugo Benelli durante la rappresentazione dell'opera verdiana "Un giorno di regno" al Festival di Wexford nel 1981
- Spesso è capitato nel corso della storia, già nell'Ottocento per esempio con il baritono Enrico Delle Sedie, amico di Verdi, o anche poi dopo nel Novecento con Italo Tajo e Bruscantini ed altri, che cantanti appartenenti al registro medio o medio basso si siano dedicati all'arte scenica e alle regie d'opera. Secondo te, c'è un motivo particolare? Forse i tenori sono più agitati e pensano meno e quindi cantanti dalla corda meno acuta sono più portati ad interessarsi all'arte scenica e ad una "mise-en-scène" di un'opera lirica?

Premetto che Bruscantini ha fatto il Regista al Festival di Wexford perché si trovava perfettamente a suo agio. Se si include LA SERVA PADRONA e IL MAESTRO DI CAPPELLA credo che le sue regie siano terminate il perchè (come dice Mimì) "Non sò". Adesso c'è Antoniozzi (baritono allievo di Sesto) che si dà da fare e mi pare con successo....o con successi alterni, ma in lui essendo, una persona molto intelligente, io credo! Dara si era piazzato piuttosto bene in diversi Enti come il Regio di Torino (grande amico di Bruno Campanella), Opera Nazionale Greca e altri Enti importanti. Ma bisogna darsi da fare per ottenere tutto questo e avere le conoscenze giuste e al momento giusto. Da parte mia....non essendo richiesto mi sono accontentato di cantare e ho cercato di farlo al meglio ma.... diciamo....sapendoci fare in scena....mi sarei aspettato qualcosa registicamente parlando...purtroppo....si sa bene cosa domina il teatro!  Mi sono divertito con ottime compagnie di giovani che venivano a fare le masterclass con me e il M° Guaragna a metter su a Luirisia Terme un bellissimo GIANNI SCHICCHI con quartetto d'archi, e Scene e Costumi e tutto l'occorrente. Decisamente la  mia cosa migliore. Ma anche a Montalto Ligure quando ancora viveva il grande violoncellista Caramia (che aveva sposato una di Montalto) si facevano cose, con pochi mezzi, ma di un certo livello nella bella piazzetta del paese e si portavano gli spettacoli a Imperia Ospedaletti, San remo ecc. Produssi BARBIERE (con pianoforte e due chitarre per accompagnare le due arie "Ecco ridente in cielo" e "Se il mio nome". E c'era  con noi una esordiente che oggi è famosa....anzi famosissima: Tara Erraught, mezzo soprano per la quale è stato messo su un  nuovo alllestimento della CENERENTOLA all'Opera di Vienna !!! Tara ha fatto con noi NOZZE DI FIGARO, CENERENTOLA, oltre il già citato BARBIERE. Un'altra mezzo è diventata una super star a New York nei Musicals: il nostro lavoro non è andato perduto ed ha fruttificato. Tutto il mio impegno come Regista termina qui ma .......ricordo che nelle NOZZE i nobili vestivano tutti di bianco i servi in nero (ma Figaro aveva un grembiule bianco simbolo di servitù....così pure Marcellina in nero ma con grembiulino ricamato bianco, insomma alla fine con torce accese un gran finale e un grande successo !!!! Poi, morto il M° Caramia,  volevano fare "le nozze con fichi secchi" e....questo non è possibile. Ci vuole sempre un minimo di "dignità professionale"!

- Quanto conta ed aiuta avere come regista un cantante, piuttosto che una persona che magari non ha mai né cantato né studiato musica?

E' determinante perchè non ti chiederà mai cose che vadano contro l'emissione vocale. Salvaguarderà sempre il tuo canto. Ricordo, al contrario, che certi registi di prosa che vengono imposti al teatro lirico per modernizzarlo....dicono loro ???!!! chiedono l'impossibile. Un esempio lampante fu quando durante le prove di "Lulu" LUIGI SQUARZINA, proprio nel momento che la musica scendeva a livelli di note basse.....mi impose di andare a piccoli passi sempre più indietro sul fondo del palcoscenico....Alla prima prova d'orchestra Bartoletti mi disse in quel punto: "Ma dove va Benelli ??? Non si sente niente, canta su note basse e lei va sul fondo del palcoscenico???"  Gli risposi: "Lo chieda a quella testa del regista al quale avevo anch'io fatto presente il problema". In fondo sugli spartiti delle varie opere ci sono tutti i "desiderata" dell'autore.  Basta leggere e sapere un po' di musica....non occorre altro.  Ricordo che nel DIAVOLO IN GIARDINO scritto e diretto da Luchino Visconti per ben figurare vocalmente mi fece cantare un'aria in piedi sopra alla buca del suggeritore...Ci sono registi.....e registi.....

Da sinistra, Alvaro Malta (Bartolo), Ugo Benelli, il M° Franco Patané, Gianna D'Angelo, Sesto Bruscantini, Agostino Ferrin, Maria Josè Braga Santos (Berta)
Ugo Benelli e Sesto Bruscantini - Il barbiere di Siviglia - aprile 1966 - Teatro S.Carlos di Lisbona
Il Barbiere di Siviglia, Lisbona 1966, con Gianna D'Angelo, A. Ferrin, Ugo Benelli, Alvaro Malta e Sesto Bruscantini

- Hai sempre solo cantato con Sesto? O l'hai anche visto interpretare un ruolo di un'opera nella quale non cantavi anche tu, oppure lui è mai venuto a vederti cantare un ruolo di un'opera nella quale non cantava anche lui nel cast?

Sesto era qualcosa di diverso da molti altri cantanti. Aveva l'abilità di stupirti. Mai ti saresti immaginato la sua interpretazione di un certo ruolo. L'ho ammirato nella FAVORITA a Trieste con la Cossotto e Gianni Raimondi, nei RACCONTI DI HOFFMANN al Teatro Margherita (Sede temporanea del Carlo Felice) e veramente impressionante e umano il suo Michonnet nell' ADRIANA LECOUVREUR. Ricordo solo che lui venne a sentirmi - e gli piacqui molto -  in un Recital che tenni al Festival di Wexford nel Royal Theatre.


- Secondo te, in generale, tenendo presente sia le opere nelle quali avete cantato assieme che tutte le altre che ha portato in scena Sesto, quali pensi che restino le cose più belle che ha fatto come baritono?

Essendo un Rossiniano sono influenzabile...... ma le cose più belle di Bruscantini sono IL BARBIERE DI SIVIGLIA, LA CENERENTOLA e il Figaro delle NOZZE DI FIGARO di Mozart. Anche il suo Germon in TRAVIATA è stata una ventata di aria fresca ed ha rigenerato un ruolo stereotipato facendone un autentico e credibile personaggio: una interpretazione ECCEZIONALE ! Di Sesto resta tutto: è sempre una scuola per tutti......specie per i baritoni ed in particolare per quelli che "urlano" sempre senza rispettare i piani e i forti del compositore.


- Prima di fare con lui "Giorno di regno", avevi per caso ascoltato la sua incisione ufficiale di quest'opera verdiana, che guarda un po' ancora a certo Rossini e Donizetti, che fece nel 1951? O magari no, non l'hai ascoltata perché non ne hai avuto occasione o perché non hai proprio voluto così da non avere influenze interpretative nel portare in scena il personaggio di Edoardo di Sanval?

Prima di fare con lui "Un giorno di regno" avevo ascoltato la sua incisione ma "en passant" perchè dovendola cantare al Festival di Wexford mi interessava solo il tenore Juan Oncina che ammiravo molto specie nella parte di Edoardo. Ricordo che, ascoltando il duetto che dovevo studiare,  mi impressionò la voce di Capecchi.  Parlandone con Sesto qualche anno dopo mi disse che a quell'epoca Capecchi era veramente in forma.....ma che poi.....Trascurai tutti: anche la Pagliughi. Il ruolo del tenore era così difficile che dovevo concentrarmi solo lì !

 


- Al di fuori dell'ambiente teatrale, qual era il tuo rapporto amicale con Sesto? Vi siete mai frequentati al di fuori dell'ambiente musicale?

Sono stato a trovarlo due volte nella sua bella villa. La prima volta con mia moglie Angela e con mia figlia Nicoletta. E Nina, la sua adorata moglie, ci preparò la più fantastica PAELLA..... c'era ogni ben di Dio in quella enorme terrinna !! Ricordo che dopo pranzo lui aveva l'abitudine  di sedersi su una bella e comoda poltrona e di coprirsi con un plaid....molto all'inglese ! E voleva lo facessi anch'io.....Controvoglia gli ubbidii per fargli piacere...
La seconda volta invece lo andai a trovare perchè avevo saputo che non stava più bene e ci andai espressamente  per fissarmi bene il suo viso nella mia mente. Sua moglie mi permise persino di filmarlo e di intervistarlo....lo fece per me....non lo avrebbe concesso - credo - a nessun altro, ed io non ho mai mostrato quel nostro incontro a nessuno. Glielo promisi ! Con mia moglie Sesto aveva una intesa particolare e a lei confidava il suo amore per Nina che data la differenza d'età....giustamente....voleva riflettere bene. Un matrimonio sereno! E' stata la MIGLIORE delle mogli ! Lo ha tenuto in vita a lungo con cure attente e meticolose.
Una cosa importante che voglio dire è che Sesto mi aveva introdotto con tutte le sue amicizie come non usa fra colleghi. Era una cosa che mi rendeva molto orgoglioso perchè Sesto era molto riservato e non era tipo da condividere le sue conoscenze. Specie a Torino eravamo spesso ospiti di famiglie importanti e anti "snob"....come lo era lui. Ricordo a Lisbona i suoi amici o appassionati di FADO che ci portavano nelle serate libere ad ascoltare i nuovi talenti promettenti e futuri divi di questa arte tipica portoghese. Di Bruscantini non si diceva né che era generoso né che era avaro. Lui mi spiegava che non gli piaceva fare il Divo e elargire pranzi a destra e a manca a scrocconi che spesso vengono a lodarti solo per  un "pasto caldo". Con lui ero perfettamente a mio agio. Cos'era per me ???  Certamente un Maestro al quale devo moltissimo....a volte ho detto un padre, uno zio, un fratello....No! Era un AMICO SAGGIO.


- Nelle vedute sulla musica o anche sulla vita più in generale, c'è mai stato qualcosa su cui avevate divergenze d'opinione oppure no?

Era difficile....quasi impossibile avere divergenze nelle vedute sulla musica. Io ne riconoscevo la superiorità ed obbidivo ciecamente ....vedendone i risultati. Nella vita avevo una tale ammirazione per l'uomo (figlio della maestrina dalla penna rossa di De Amicis) e una ammirazione che pendevo sempre dalle sue labbra. Da buon tosco-ligure mi piaceva ogno tanto fargli qualche battutina pungente e lui sorridendomi e impostando un po' la voce mi diceva: "Attento aquilotto!" Mi aveva messo questo nome perchè ero uno che reagiva in ritardo alle provocazioni. Mi disse "Quando hai perfettamente ragione puoi reagire anche in maniera forte alla provocazione o all'offesa....ma non accumulare cose che ti disturbano perchè può capitare che tu possa avere una reazione FORTE....all'ultima provocazione PICCOLA ed allora, per chi ti sente e giudica,  passi dalla parte del torto per la tua reazione ESAGERATA!"


- Che carattere aveva Bruscantini e com'era a livello umano come persona, ancor prima che come artista? Quali erano i suoi difetti e quali i suoi pregi o il suo maggior pregio?

Sesto era una persona buona e dolce....questo non vuol dire che all'occasione non si facesse rispettare....Era figlio di una maestra elementare amata dai suoi allievi che dopo tanti anni sempre si recavano da lei per salutarla...quindi ho detto tutto. In quanto alla sua generosità ricordo che durante  il film della Cenerentola nella DDR le comparse e il personale tutto era piuttosto malconcio riguardo gli indumenti. Ebbene Brusca... che per un impegno si recò a Roma tornò indietro con un valigione pieno di vestiti bellissimi che erano appartenuti alla sua compagna di allora....ti puoi immaginare il viso delle donne quando videro tirar fuori abiti di alta sartoria, prontamente distribuiti sotto il loro sguardo stupefatto!

- Come ti piace oggi ricordarlo? C'è qualcosa in particolare che porti sempre con te di Bruscantini o per il quale lo ringrazieresti ancora se fosse vivo qui oggi con noi?

Mi piace ricodarlo come appare nella foto che mi mandò allorquando aveva deciso il ritiro dalle scene:  nel suo giardino, sorridente e abbronzato con il suo gatto fra le braccia. Lo ringrazierei sempre per avermi accordato - come a pochi - il privilegio della sua amicizia.

UGO BENELLI



Verdi - "Tutto nel mondo è burla" (Falstaff) - Sesto Bruscantini, Ugo Benelli, et al. - Macerata, live, 1976

Dedica di Sesto Bruscantini ad Ugo Benelli chiamato simpaticamente "Ughetto"


www.accademiabelcanto.com

l’Accademia Nazionale di Belcanto Italiano ® apre le porte della sua prima sede ad Alessandria; è una scuola di alta formazione intensiva per cantanti lirici, cui si affianca il Corso in Alto Magistero per Docenti di Canto lirico.
 
Il corso per docenti di canto prevede una retribuzione in base all’attività di tirocinio effettuata.

I Docenti, di altissimo livello, sono il M° Astrea Amaduzzi, Soprano ed esperta di tecnica vocale, il M° Ugo Benelli, Tenore di fama internazionale, il M° Mattia Peli, Pianista, Direttore d’orchestra ed esperto di prassi esecutiva e storia dell’opera.

I diplomi rilasciati a fine anno dall’Accademia Nazionale di Belcanto Italiano ® con il patrocinio del Mozarteum di Salisburgo,  Accademia Operamelodica e Associazione Mozart Italia,  saranno validi come punteggio artistico, presso Conservatori, Istituti musicali pareggiati e/o scuole di musica.

Le votazioni all’esame finale di ciascun anno accademico saranno espresse in decimi.
I corsi sono triennali, sebbene a insindacabile giudizio dei docenti, allievi particolarmente dotati e maturi potranno direttamente essere inseriti al secondo anno accademico di alta formazione.

All’Accademia si accede esclusivamente mediante audizione che per l’Anno Accademico 2018/2019 si svolgerà il giorno 21 novembre 2018 a partire dalle ore 10,00 presso il Teatro Parvum di Alessandria.
Il corso si svolge in 8 seminari intensivi di 4/5 giorni ciascuno, distribuiti in 8 mesi.
Il programma di studio prevede materie specifiche per una eccellente preparazione tecnico-vocale, interpretativa e scenica di ciascun Allievo.

Per l’Anno Accademico 2018 / 2019 sono ammessi 8 corsisti per la disciplina del canto lirico e 2 corsisti per la disciplina dell’Alto Magistero per Docenti di Canto lirico.
Per ciascun anno di frequenza sono previsti frequenti saggi/concerto e opera studio alla fine dell’anno accademico.

Termine ultimo per la presentazione delle domande: 10 novembre 2018.
A breve saranno pubblicati il bando e la scheda di iscrizione dell’Accademia su sito ufficiale www.accademiabecanto.com .

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