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domenica 9 ottobre 2022

La tecnica vocale spiegata dal tenore Giacomo Lauri-Volpi

Lauri-Volpi sulla tecnica vocale

LAURI-VOLPI SUL FUNZIONAMENTO PRATICO DELLA RESPIRAZIONE DIAFRAMMATICO-COSTALE

Il corpo vitale della voce è l'aria. Senz'aria non si respira; senza respiro non si canta. E non si vive. (...) Saper respirare è saper cantare.
Va notato che vari trattati di fonetica e di pedagogia vocale non s'accordano "sul metodo di respirazione". (...) Tutti si diffondono sui particolari fisici e fisiologici e sulle nomenclature tecniche degli organi della respirazione, della fonazione e delle risonanze. Ma non v'è chi dia all'artista l'idea sintetica e costruttiva della tecnica vocale. (pag. 73)
Nella "respirazione artistica", il soffio è regolato dalla volontà ed è basato sopra il movimento diaframmatico-costale inferiore della respirazione automatica, allo stato di quiete, con la differenza che la "cintura" formata dai vari muscoli dell'addome deve mantenere la sua funzione per la durata del duplice atto respiratorio in virtù del freno inspiratorio nell'allontanamento volitivo e nel riavvicinamento cosciente della parete addominale, dalla colonna e verso la colonna vertebrale.
Nell'inspirazione il diaframma si contrae e, abbassandosi, comprime i visceri addominali, mentre la cavità toracica aumenta di ampiezza; nell'espirazione, il diaframma si rilascia e i visceri addominali, compressi dalla parete addominale, lo sospingono verso l'alto, mentre diminuisce la capacità toracica. (pag. 76)
Il "freno espiratorio costale" è di gran lunga più efficiente ed efficace del "freno inspiratorio diaframmatico", anch'esso fondamentale. Tra freno diaframmatico e freno della cintura muscolare toracico-addominale si stabilisce il "conflitto dei contrari". (...) Dunque, diaframma e cintura muscolare, in lotta fra loro e insieme associati dall'armonia delle facoltà superiori dell'anima, determinano il flusso aereo, parte del quale sarà tramutato in voce laringea e in risonanza di voce melodica.
E qui sorge un altro contrasto: quello delle opinioni, tra loro avverse, degli scienziati della voce. Ma il cantore deve prescindere da elucubrazioni analitiche e applicare l'opinione che nasce dall'esperienza viva del canto e dalle urgenze di problemi che talvolta si presentano improvvisi alla ribalta, nel pieno svolgimento dell'azione scenica e del canto. (pagg. 77-78)

[da: Giacomo Lauri-Volpi - "Misteri della voce umana", 1957]

Quantità giusta d'aria necessariamente maggiore per il canto lirico rispetto al parlato (I) :

L' "aria" respirabile ordinaria per respiro automatico, nello stato di quiete, è valutata dai fisiologi a "cinquecento cmc.". La capacità massima di inspirazione, nell'atto volitivo, è misurata da un'inspirazione di "tremilacinquecento cmc." d'aria. La differenza tra le due cifre stabilisce la quantità d'aria "complementare" e di "riserva" che si può inspirare. È noto che tra respiro e respiro, nello stato di riposo, v'è una "pausa" ristoratrice che risponde al ritmo respiratorio. L'aria di riserva, così importante nel canto, non viene espulsa nella respirazione automatica. Nella respirazione cantata la pausa di riposo è minima e l'espirazione è composta d'aria "complementare", "ordinaria" e di "riserva", a differenza della respirazione parlata che è di solito formata da poca aria "ordinaria" e di "riserva". Quest'ultima, nella respirazione cantata, deve sostenere, in certi casi, quasi tutto il peso respiratorio. Talché, ancor più che nel parlare, va utilizzato nel canto il massimo d'aria di riserva, a condizione, però, che alla fine della frase musicale e al termine dell'espirazione rimanga tesaurizzata nel mantice tanta riserva di quell'aria quanta sarebbe necessaria per trattenere il respiro ancora per un certo tempo. (pag. 78)

[da: Giacomo Lauri-Volpi - "Misteri della voce umana", 1957]


Quantità giusta d'aria necessariamente maggiore per il canto lirico rispetto al parlato (II) :

Confermato che la respirazione deve rimanere del tipo "diaframmatico-costale", l'immissione dell'aria, nel canto, avverrà superficialmente in base ad un'inspirazione d'aria "ordinaria". In altre parole, l'artista cosciente e sicuro di sé canterà respirando naturalmente, regolandosi secondo le esigenze vitali dell'ossigenarsi e quelle artistiche della frase cantata e da cantarsi dopo la pausa. (...) In séguito, esperienza e maturità insegneranno la respirazione spontanea e rapida, divenuta un riflesso automatico condizionato, acquisito nella ginnastica abituale. È lo stesso fenomeno che si riscontra nell'automatica digitazione del pianista.
Riepilogando, si può stabilire che, trovato il punto d'appoggio, il suono melodico s'alimenta della corrente d'aria che risulta, abitualmente, da "millecinquecento a duemila cmc." d'aria durante la inspirazione cantata. (pag. 79)
Nel canto tutto è un "gioco" d'aria nella pressione infraglottica verso le corde vocali in tensione e nella penetrazione verso le cavità cervicali. (pag. 89)
Quanto all'apertura della cavità orale nel canto, va ricordato ch'essa è l'effetto, non la causa, di una giusta emissione, quando il diaframma proietta in direzione delle cavità superiori la colonna d'aria necessaria e sufficiente. È intuitivo che la sola aria ordinaria del respiro vitale, in stato di quiete e di silenzio, non basterebbe a un atto respiratorio di una certa energia. Per la quale ragione, tanto nel respirare parlando che nel respirare cantando, s'immette quella certa quantità d'aria di compenso o di supplemento a sostegno della parola e del suono. Flusso aereo, altezza e densità del suono non debbono nuocere alla libera articolazione e pronuncia della parola. Suono e parola restano paralleli, servendo ciascuno l'espressione dell'idea, in quanto il canto è "fenomeno psichico", intenzionale, oltre che essere "fenomeno fisico". (pag. 80)

[da: Giacomo Lauri-Volpi - "Misteri della voce umana", 1957]


"...io ho pensato sempre che la respirazione è diaframmatico-costale, perché noi abbiamo due casse armoniche, questa e questa, ma se noi ci limitiamo solamente alla cassa toracica e dimentichiamo la cassa cranica non troviamo gli armonici, è come un pianoforte, se non si mette il pedale quel cassone lì a che serve..." 

(da un'intervista di Rodolfo Celletti e Giorgio Gualerzi al tenore Giacomo Lauri-Volpi nell'estate del 1976 presso il Teatro di Busseto)


Il tenore Giacomo Lauri Volpi indica l’esatto punto dove “appoggiare” la voce :

<<Osservo me stesso e contemplo il mistero di questa voce divenuta così spontanea e sicura, laddove, giovine, trovava difficoltà e commetteva errori di colore d’intonazione e di emissione. (…) la voce ha trovato riposo, risparmio e sicurezza nella volta “palatina”. La nota, spinta dal soffio, si adagia, per così dire, nella cavità orale superiore, dietro gli incisivi e, con l’aiuto delle labbra, si estroflette nello spazio, modulando, con l’articolazione libera, le vocali. In tal modo ingolamento e intasamento del suono vengono evitati, e lo sforzo, bandito. Similmente, la respirazione non soffre fatica e l’intonazione alcuna offesa, per dar modo al canto di spiegarsi in ampiezza solenne e sonorità genuina. Grazie all’acquisita certezza, la voce è divenuta più lucente e robusta, nonostante il trascorrere del tempo (…) Il mio pensiero ha lavorato, e finalmente, ha trovato il punto di percussione giusto, indefettibile, che non altera il timbro né ingrossa il suono. Or, dico, comprendo praticamente l’assioma rossiniano: “Diffondere il suono con l’aiuto del palato, trasmettitore per antonomasia delle belle sonorità”. (…) Col tempo, la voce tende alla gravità (…) Ma il volume, come l’obesità corporea, è la morte prematura dei suoni. Detestando, per principio, il volume, ho salvato il timbro e il fiato. Il volume guasta il mantice.>>

(da: G. Lauri Volpi - “A viso aperto”, Corbaccio, dall’Oglio editore, 1953, pagina 333 : Diario, 11 aprile 1950)


LAURI-VOLPI SULLA "MASCHERA" E I SUONI PURI

«La "mascherazione", con la conquista degli armonici nei seni frontali, non fa gravare la colonna d'aria sul petto e sull'addome, ma la proietta contro le cavità cervicali, facendo risparmiare preziosa energia vocale, difficilmente recuperabile se non con il metodo razionale, integrato dal metodo intuitivo.»

(in: Giacomo Lauri Volpi - "VOCI PARALLELE")

(...) il corpo sonoro è l'ARIA RESPIRATA. Suono è VIBRAZIONE; risonanza è TIMBRO. Vibrazione e timbro si fanno sensibili e visibili grazie alla propagazione delle onde in virtù del soffio. Un suono laringeo abbandonato a se stesso non ha fisionomia propria. Diventa voce e figura e individualità per opera delle risonanze, soprattutto cervicali. Infatti la MASCHERA facciale corrisponde al timbro e il timbro alla maschera. Un timbro chiaro, schietto, armonioso è proprio di chi sa ben respirare e modulare gli armonici (pag. 95)
Il rapporto immediato di pressione della colonna aerea, stabilito tra diaframma e cavità cervicali, è condizione assoluta della virtuosità della precisione e del nitore dei suoni attaccati. Le note rimbalzano sulla maschera a simiglianza dei chicchi di grandine sopra una vetrata. Se le pareti della faringe si contraessero con rigidezza o in modo disordinato, le note perderebbero coerenza, intonazione e grazia. Per MASCHERA non è da intendersi la cavità nasale soltanto. E la risonanza nasale non va identificata col suono nasale. Il quale è suono difettoso, come il suono ingolato e boccale. (...) Tutti rispondono a flessioni errate della colonna sonora e difettano di purezza, di regolarità periodica, di libertà, di varietà, di nobiltà. Queste emissioni rifuggono da una logica armonia dei suoni e dalle giuste e pure risonanze degli armonici.
Chi canta è al centro delle onde sonore. Precipuo suo scopo è di conquistare e superare lo spazio che lo separa dall'uditorio. Egli lotta per vincere con la minor fatica possibile questa distanza, sviluppando i suoni secondo un punto d'appoggio conveniente. (...) Più il suono è giusto e nitido, più la parola risplende in esso come in una custodia di cristallo. (pag. 108-109)

[da: Giacomo Lauri-Volpi - "Misteri della voce umana", 1957]


RICERCA DEL PUNTO D'APPOGGIO: IL PUNTO GIUSTO DI RISONANZA,                       spiegato da Lauri-Volpi

<<S'è detto che il "suono", cantando, si genera nella laringe; ma la "voce", ch'è il risultato delle varie parti dello strumento musicale vivente, acquista netta fisionomia timbrica in virtù delle cavità superiori del tubo risonatore.

Corpo "vibratore" e "risonatore" si estendono dal collo alla base cranica. Producendosi la parola cantata o parlata, risuonano "per simpatia" le cavità inferiori. (...) Ed è ormai acquisito che il cantore, ove si crei l'impressione che l'organo della voce sia situato tra la fronte e le labbra e che, articolando la bocca, sperimenti la facoltà di plasmare la forma sonora col solo flusso aereo che mette in movimento il complesso delle vibrazioni entro le cavità cervicali di risonanza, sviluppa facilità e naturalezza di sonorità nel suo canto.

"Il suono dunque è movimento d'aria nel tubo pneumatico e nel tubo risonatore." Senonché, fra il tubo respiratorio e il tubo risonatore, sta la glottide con le sue corde vocali, o muscoli vocali (tiro-aritenoidei). Il movimento d'aria della corrente espiratoria polmonare non raggiunge il tubo superiore risonatore senza un vero e proprio urto che provoca, in ragione della sua forza, una maggiore o minore intensità di suono: la quale è in rapporto alla forza di avvicinamento (O adduzione. Le note acute determinano massima adduzione e tensione.) delle corde. Il flusso aereo penetra nella sottilissima apertura formata dalla glottide per forza d'adduzione delle corde in tensione. La tensione dà l'altezza di un suono: la forza d'adduzione dà l'intensità del suono. L'acutezza e la forza di vibrazioni sonore si generano dunque nella laringe per l'urto dell'aria contro le corde vocali. Ma, se un simile suono laringeo non potesse propagarsi ai cavi cervicali di risonanza, sarebbe impossibile la conquista degli armonici, la produzione del timbro vocale, del colore che differenzia una voce dall'altra. Ne consegue che il tubo risonatore va innestato, per così dire, su quello pneumatico, affinché il flusso aereo non soffra soluzioni di continuità. lo strumento vocale risulta, insomma, di un "tubo pneumatico", di una "sorgente sonora" e di un sovrapposto "tubo risonatore".
Pare lecito allora concludere che la "voce fisiologica", in sé, si genera dalla glottide e la "voce melodica" o timbrica derivi dalle risonanze cervicali, in special modo. (...) Giacché la cavità inferiore di risonanza, il torace, partecipa in minor misura allo sviluppo dell'eco sonora della voce e precisamente a quello delle quattro o cinque note della regione bassa dei suoni: la regione dell'ombra e dell'oscurità. (...) Nel settore medio della voce le risonanze sono miste, pur prevalendo le risonanze luminose della regione superiore.

 La massima attenzione va rivolta, nello studio della voce melodica, alla ricerca del "punto d'appoggio": il "punto giusto di risonanza". Tutta l'arte del canto deriva dalla ricerca del punto d'appoggio e delle risonanze; (...) essa consiste nell'abilità della distribuzione dei colori. (...) L'uso magistrale di questi fa il grande pittore, e similmente l'uso sagace delle risonanze fa il grande cantore, IL SEGRETO DEL CANTO E' TUTTO NELLA SCOPERTA DEL PUNTO GIUSTO DI RISONANZA.
(...) Il "punto d'appoggio", in genere, è la stessa cosa che il "punto d'attacco". (...) approssimativamente, si può asserire ch'esso corrisponda a un punto situato tra la radice della fronte, ove s'inserisce il setto nasale, e il margine delle fosse nasali. In tale regione vanno proiettati i raggi sonori provenienti dalla glottide, a patto che non se ne generi un suono "nasale", sempre sgradevole quanto il suono gutturale e ventriloquo. Un esperimento semplice può rassicurare l'allievo. Basta stringere con due dita le pinne nasali durante la produzione del suono. Se questo si interrompe, il suono è nasale; se, invece, non v'è soluzione di continuità nell'emissione fonetica, il suono resta tipicamente cervicale, ampio e timbrato, dovuto all'aiuto e alla pastosità delle risonanze superiori e all'appoggio diaframmatico della colonna d'aria. Nell'attacco si deve provare la sensazione di un "colpo facciale interno", in corrispondenza della radice della fronte, all'inizio dell'atto volitivo espiratorio. Il <<picchiettato>> del soprano leggero dà un'idea di questo picchiare della prima nota emessa sulla campana della cavità palatina, che fonde la voce laringea e la voce melodica, associando in modo simultaneo le vibrazioni cordali ed aeree. Se non si conquista la massima libertà di propagazione delle onde, il suono si spezza. Il suono "a campana" provoca, appunto, l'armoniosa risonanza che richiama alla mente quella prodotta da un martello sulle pareti di una campana. Quelle pareti non presenteranno incrinature né contatti, e l'aria interposta, fra martello e parete, occuperà uno spazio libero. Il colpo, di sotto in su, è dato dall'aria, nell'atto espiratorio, dalla contrazione del diaframma. Tra diaframma e volta palatina si determina così una elastica pressione aerea che dà il senso del mutuo appoggio fra gli estremi. L'elasticità di pressione, stabilito "l'appoggio" o "contatto", determina l'adeguata uniformità e periodicità delle vibrazioni laringee e la graduale intensità dell'espirazione. Se quell'appoggio, quel colpo, quel contatto non avviene, il diaframma scatta a vuoto - come un pugile che, invece di colpire il bersaglio, assesti pugni all'aria, rischiando di slogarsi il braccio - e la voce laringea non trova la diritta via delle risonanze. La voce, a lungo andare, si smarrisce, falseggia e si perde. (...) Ma il punto giusto di risonanza è oggetto individualissimo...

La causa materiale è l'aria; il fine è il suono, che si moltiplica in risonanza per tonali influenze. Trovato il centro delle risonanze, ch'è il "foco" di risonanza, si solleva un mondo d'armonia, il quale entra in accordo col centro melodico universale. (...) Assicurato il punto d'attacco e di contatto, la voce sonora è in grado di superare il "passaggio" fra le note medie e superiori: passaggio ch'è il terrore di tutte le voci e che, scovato, costituisce la "saldatura" della compagine vocale. Ed è chiara l'idea del superamento dell'estrema zona intermedia, poiché, in vista di quel passaggio, la voce è preparata al salto fin dall'attacco delle note inferiori che vengono collocate, "intenzionalmente", oltre la volta palatina dentro le cavità facciali. Talché la saldatura avviene automaticamente ed il flusso dell'aria, per qualunque nota, è fatto passare per quella cavità. A misura che si sale nella tessitura, salgono le risonanze superiori fino a far vibrare il complesso dei cavi cervicali nella estrema regione acuta della voce cantata. In sostanza - e ciò è fondamentale - qualunque nota, a qualunque regione appartenga, va collocata in corrispondenza dei seni frontali in modo che, per "simpatia", partecipino alle risonanze anche le cavità etmoidali sfenoidali mascellari nasali. Collocata la prima nota le altre seguiranno sul filo del soffio che produce le meraviglie del "cantar legato" e del "legar cantando". Una sola nota che devii da quel "curriculum" sbanda le ulteriori. E la frase musicale apparirà come un tessuto scucito.>>

[da: Giacomo Lauri-Volpi - "Misteri della voce umana", 1957]


 

DIFFERENZE TRA VOCE PARLATA E VOCE CANTATA,
secondo il grande tenore Giacomo Lauri-Volpi :

Ogni "nota cantata", nelle voci bene emesse ed addestrate, si distingue per la capacità di conservare il suono semplice, o parziale, proprio della vocale alfabetica. Avviene allora che le note più acute conservano il colore aderente ad ogni singola vocale alfabetica e quindi percepibile anche nel fragore dell'orchestra moderna. La vocale cantata assume naturalmente, per ragioni acustiche e tecniche, forma sferica, e dà l'immagine della bolla liquida di sapone spinta dal soffio proveniente dalla cannula. È acquisito che la sonorità della vocale parlata differisce da quella della voce cantata nella pronuncia delle consonanti e nella formazione delle sillabe. Comunemente la vocale parlata, mancando di risonanze, risulta piatta e secca. (pagg. 91-92)
La fonazione è trasformazione dell'aria aspirata in vibrazione. Il soffio, energia vitale del corpo umano è, similmente, la forza, o corpo etereo, della voce parlata e cantata. La differenza tra voce parlata comune e voce cantata sta nel diverso impiego quantitativo dell'aria che si respira. Come il suono è movimento, così il respiro è movimento: cantando, il ritmo respiratorio si fa più ampio e profondo. L'aria "ordinaria" non basta. Si aggiunge l'aria "complementare" e in caso di necessità si impiega la riserva d'aria. (pag. 55)
(...) il timbro, il vero volto che distingue una voce dall'altra, è dato dal "tubo di risonanza", sovrapposto al "tubo pneumatico". Ambedue costituiscono lo strumento vocale propriamente detto. (...) Il suono laringeo ha bisogno di ECO, a immagine delle corde metalliche del piano che al colpo dei martelli, mossi dal tocco delle dita sui tasti, si valgono della cassa di risonanza per propagare e sviluppare le vibrazioni prodotte. (pag. 56)
Il pensiero nasce nella mente e la voce nasce dal cervello, in quanto inizio di trasmissione nervosa; e ritorna al cervello, alla base cranica, per proiezione volontaria della colonna sonora nelle cavità frontali e facciali. E' questo un circuito che nella voce parlata presenta minori difficoltà di soluzione che nella voce cantata, la quale esige un più complesso metodo respiratorio e un'estensione di sonorità e un raggio d'azione molto più vasti. (pag. 304)

[da: Giacomo Lauri-Volpi - "Misteri della voce umana", 1957]

 

Lauri-Volpi sulla vocale "A" nel canto lirico:

Liberato il suono, fissatolo, arricchitolo di risonanze, il tubo vocale si pone in movimento, articola le sue diverse parti e forma le vocali, incominciando dalla regine tra esse: la A, in cui partecipa la massima espansione di risonanze e d'apertura tubale, quindi la maggior quantità della colonna d'aria, nella proiezione del suono e nella plastica del colore. Come la A è la regina delle vocali, così la lingua in cui essa prevale, è la regina delle lingue. Quanti colori, quante intenzioni nella A italiana... (pag. 229)

Si prenda, poniamo, la vocale A pronunciata naturalmente, immune da intenzioni tecniche. Questa vocale risuona aperta, talvolta sfacciata, con un colore di bocca. Non importa. Questo suono, a patto che non sia gutturale o nasale, potrà sempre raddrizzarsi dal piano orizzontale di natura. Per ottenere l'A estetica, tecnica, artistica, sarà sufficiente illuminare la mente con l'idea della "verticalità" del suono. L'A naturale diventerà un'A sonora, musicale, rotonda con il solo dirigere la colonna d'aria vibrante contro le cavità cervicali, anziché abbassare, flettere i raggi sonori sul "piano radente" della cavità orale. L'arte è natura con l'aggiunta dell'intenzione, cioè della mente intuitiva che ha visione diretta della realtà. Arte e natura si integrano nella Grazia.
L'arte non fa che correggere, raddrizzare la natura perfezionandola. Non è "anti-natura", ma "con-natura": integrazione della natura. Ed è la prova più evidente dell'esistenza dello spirito nelle cose. L'arte dell'uomo non fa che rivelarlo. (pag. 309)

[da: Giacomo Lauri-Volpi - "Misteri della voce umana", 1957]

(...) il suono è movimento e prodotto di movimento. Il movimento, applicato alla parola, si complica con i moti della lingua che si estende e restringe, ingrossa e accorcia, dilata e assottiglia nella pronuncia. "Provasi" – dice Leonardo – "come tutte le vocali sono pronunziate con la parte ultima del palato molle, il quale copre l'epiglottide, e tal pronunziazione viene dalla situazione delle labbra con le quali si dà il transito al vento che spira, che con seco porta il creato sòno della voce. Il quale sòno, ancor che le labbra sieno chiuse, spira per gli anari del naso, ma non sarà mai, per tale transito, dimostratore d'alcune d'esse lettere" (vocali) "e per tale esperienza si può con certezza concludere, non la trachea" (la laringe) "creare alcun suono di lettera, ma il suo ufizio sol s'astende alla creazione della predetta voce, e massime nel a, o, u."
Dunque il suono laringeo è la materia sonora, la quale acquista valore verbale soltanto per mezzo della lingua, della bocca e delle labbra.

(da: Lauri-Volpi - "Misteri della voce umana", 1957)


DALLA "VOCE ORDINARIA" ALLA "VOCE TECNICA" : IL CANTORE MAESTRO !

La vocalità cantata risiede esclusivamente nelle vocali, essendo le consonanti null'altro che "con-suoni" e "con-sonanze", ovvero entità fonetiche che acquistano espressione musicale per associazione. (...) La nota vibrante intorno la vocale, aspirando allo spazio libero per desiderio d'armonia nell'orgia molecolare atmosferica, crea la sua "sfericità", situandosi sul vertice del soffio, a sommo della sostanza biologica ed espressiva del cantore. (...)
La 'A sferica' contiene in sé tutte le vocali, a immagine della luce bianca, contenente tutti i colori.

Il diaframma è (...) alla base del fenomeno canoro, premendo esso gradatamente sul soffio e stabilendo con i seni frontali quel rapporto di elastica e continua pressione – esente da contrazioni faringee – agli estremi delle colonna d'aria. (...)
Nell'espirazione, attaccando il suono sulle cavità facciali, il deflusso dell'aria sonora batte sulla cavità nasali. Il ritmo dei due atti completerà il ciclo, in modo che l'aria inspirata sarà proporzionale all'aria espirata. La quale solo in piccola parte si trasforma in suono, mentre gran parte di essa propagherà le onde sonore nelle cavità risonanti e, rafforzata dall'aria in queste contenuta, si diffonderà nello spazio vibrante per raggiungere con la massima efficacia il senso uditivo degli ascoltatori. Dal respiro ritmico e regolare e dalle risonanze provocate con arte si genera la voce sana, ferma sicura e schietta, e di lunga gittata: la voce sferica alla sommità del soffio (...)
La voce laringea, dunque, non avrebbe forza di proiettarsi ed espandersi all'esterno, senza il concorso delle cavità di risonanza. Il che è come dire che la voce resterebbe in gran parte schiacciata e repressa nello spazio sottostante alla cavità faringea e perderebbe la forza della parola parlata e cantata. La risonanza libera il suono dalla glottide e lo trasporta nella vastità del mondo circostante per affermare la sua individualità e comunicare con gli esseri e le cose.

Esiste una "logica" dei suoni. Emesso il primo suono di una frase musicale, si è costituita la base per cui i consecutivi si associano, si succedono, si collegano sul tessuto dell'aria che li alimenta. La prima nota, in virtù di un'emissione leggera e di lunga portata, dà l'andamento alle altre e la respirazione non perde energia. Ogni suono produce il successivo, lo implica, lo suppone, come il seme la futura pianta, nella forma e nel contenuto iniziale. (...)
Il rapporto immediato di pressione della colonna aerea, stabilito tra diaframma e cavità cervicali, è condizione assoluta della virtuosità della precisione del nitore dei suoni attaccati. Le note rimbalzano sulla maschera a simiglianza dei chicchi di grandine sopra una vetrata. Se le pareti della faringe si contraessero con rigidezza o in modo disordinato, le note perderebbero coerenza, intonazione e grazia. Per maschera non è da intendersi la cavità nasale soltanto. E la risonanza nasale non va identificata col suono nasale. Il quale è suono difettoso, come il suono ingolato o boccale. Il "suono nasale" è salmodiante, monotono, caprino; il "suono ingolato" è legnoso, opaco, stretto; il "suono di bocca" è sguaiato, schiacciato, volgare. Tutti rispondono a flessioni errate della colonna sonora e difettano di purezza, di regolarità periodica, di libertà, di varietà, di nobiltà. Queste emissioni rifuggono da una logica armonia dei suoni e dalle giuste e pure risonanze degli armonici.

Il suono della "voce ordinaria" appartiene al corpo fisico dell'uomo, al suo subcosciente, ed è semplice vibrazione automatica. La "voce tecnica", che nasce dall'analisi per processo basato sulla natura razionale, forma lo strumento vocale. (...)
E' il cantore maestro che, per la irradiazione del suo essere nel suono, scopre l'incanto dell'ora furtiva, privilegiata.

(da: G. Lauri-Volpi - "Misteri della voce umana", 1957)

Lauri-Volpi indica come fare la vocale I senza stringere la gola

- E mi dica un po', quegli "I" che sono tremendi come fa a farli uscire fuori così limpidi?

Bisogna pronunciare la "I" tenendo aperta la gola, se no istintivamente si chiude la gola, se invece Lei la "I" l'appoggia come si deve al punto di risonanza giusto cervicale allora il flusso d'aria, e il flusso sonoro, è indipendente dalla vocale, ma se la vocale s'impiglia nella emissione allora la vocale stringe la gola, bisogna che la gola sia indipendente dall'articolazione e allora viene la "I" sonora e rotonda, sempre mantenendo la fisionomia della "I". Tutte bisogna dirle le vocali, tutte le parole; se uno domina la gola, vale a dire che la colonna sonora è sempre quella intatta, i raggi sonori si proiettano sulla cassa cranica e allora sono indipendenti dalla articolazione. La vocale "A", diceva Rossini, è la regina delle vocali. I francesi non hanno un' "A" sonora come la nostra, nessuna lingua; la vocale A italiana ben messa è di per sé stessa una musica, diceva Rossini. Infatti se Lei dice la "I" pensando alla "A" Lei vedrà che la "I" viene ampia e sonora, bisogna pensare alla "A" nel dire la "I", perché la "A" tiene tutto il condotto aperto.

(da una intervista di Sergio Saraceni al tenore Giacomo Lauri-Volpi avvenuta a Roma nel 1962)

 

La leggerezza e il "passaggio" alla zona acuta, secondo Lauri-Volpi !

<<Ogni voce ha un centro di gravità in una nota della sua gamma che corrisponde alla cosidetta nota di "passaggio" - di "nesso" - di "sutura" - di "coesione" - di "concordanza" e di "aderenza" fra registri - di "saldatura", senza la quale si sfila e gualcisce il tessuto vocale.>>

 (da: G. Lauri-Volpi - "MISTERI DELLA VOCE UMANA", 1957)


<<Lo "spirito lieve", o aspirazione del soffio etereo, base della pedagogia vocale, non si trova senza ricerca assidua. La nota di passaggio, il punto d'appoggio ch'è punto vitale della voce, è propiziato dallo "spiritus levis", per cui il suono si redime d'ogni pastoia e vola alla regione eterea, di cui partecipa nello splendore e nella penetrazione del timbro. (...) La "chiusura", l' "apertura", la "copertura", il "chiaro" e l' "oscuro" sono parole che l'empirismo adopera per insegnare il raccoglimento del suono via via che dalle risonanze gravi e medie si passa alle acute. (...) La voce si raccoglie da sé, attaccando di testa ad ogni fonazione di suono e lasciando libero giuoco all'aria che percorre il tubo pneumatico. (...) Il suono musicale è il mezzo onde l'idea scintilla s'espande e penetra, e la voce germina là donde si manifesta il pensiero. Il canto non è spasimo e contrazione di muscoli, ma risultato di tutta un'armonia preordinata e spontanea dell'essere umano nella sua triplice attività. La levità e la spontaneità del suono danno soavità e leggiadria, potenza e forza, a seconda della necessità espressiva, senza diminuire la resistenza e la persistenza dello strumento vocale. (...)
Le voci che non seppero filtrarsi, distillarsi ottengono il risultato negativo che si palesa clamorosamente nel canto indocile e irrazionale quando s'infrange il cristallo dei suoni per emissioni false (rottura detta, volgarmente, "stecca"). Tali voci toccherebbero il pinnacolo della stele aerea e sonora in tutta l'estensione omogenea e colorita, se nella fonazione avessero superato lo stato fisico di energia irrazionale e proscritta la forza bruta, per penetrare fino alle zone superiori, in cui solo dominano le leggi del pensiero. Le voci razionali, superata la nota di saldatura che nella soprano e nel tenore corrisponde al "Fa" e al "Fa diesis", non trovano difficoltà di ascendere sulla corrente fluida della forma aerea dei suoni ed avranno la sensazione di sentirsi leggiere e brillanti come se respirassero un'atmosfera superiore in alta montagna, e stessero a contatto dell'anima più assai che del corpo.>>

(da: Giacomo Lauri-Volpi - "Cristalli viventi" - Atlantica, Roma 1948)


 L'importanza della "mezza voce", del tenere leggeri i centri per svettare in acuto!

 <<Per me il canto è stato esclusivamente una realizzazione dell'ideale del BEL CANTO, il BEL CANTO dell'Ottocento. Oggi cantano col "verismo", tutti strillano, tutti urlano! Non hanno una "mezza voce", la voce dev'essere completa! La voce dev'essere l'espressione dell'anima, altrimenti è espressione di un corpo.>>  (queste le parole del grande tenore Giacomo Lauri-Volpi, intervistato nel 1978, ad ottantacinque anni)

 

 <<Cotogni mi diceva: Allerta, eh! non caricate i centri (...) il tenore deve cantare nel centro, ma non può gonfiare il centro (...) innanzitutto il canto è alito vibrante, se questo alito, se questo fiato noi non lo mandiamo alla cassa armonica, non lo mandiamo agli armonici, e si canta di petto o si canta con l'addome, che succede? che la voce non trova la via d'uscita, mentre la voce deve essere tutta passata fin dal registro basso (...) Cotogni diceva: Attaccate gli acuti e poi scendete giù, con la stessa emissione dell'acuto scendete giù all'ottava bassa e voi troverete il punto d'appoggio>>
 

 <<il mio maestro Cotogni diceva: Figlio mio, canta nei centri, ma risolvi negli acuti, perché il centro è proprio dei baritoni, il registro basso è dei bassi, ma non indugiate, non ingrossate i centri perché aumentate il volume; IL VOLUME NELLE VOCI E' COME IL GRASSO NEI CORPI, NON E' MUSCOLO. E questo dogma cotognano io l'ho avuto sempre presente, e infatti non m'ha nociuto...e infatti forse sono una delle poche gole che non ha avuto noduli alle corde vocali>>

(Da un'intervista a Lauri-Volpi effettuata nel 1974 da Rodolfo Celletti, trasmessa dalla RAI nel programma "Una vita per la musica")
 
 


<<Andai a trovare Lauri Volpi a casa sua a Burjasot, vicino a Valencia, per chiedergli dei consigli sul mio canto. Riteneva che la mia voce fosse troppo pesante e che, cantando nel centro troppo forte, io mi pregiudicassi la possibilità di raggiungere un autentico apice negli acuti. Voleva che la mia voce galleggiasse maggiormente. (...) Ogni anno, per tredici anni, ho passato un mese di tempo, a Valencia, studiando con lui. (...)
Egli mi diceva, “Corelli, ricorda, un'aria dura tre o quattro minuti. Nel novantacinque per cento dei casi l'acuto è alla fine. Più spingi nella voce media più difficoltà avrai sull'acuto. Quando fai bene l'acuto il pubblico applaude. Quando non lo fai bene non applaude.”>>

(da un'intervista audio a Franco Corelli, nel programma radio newyorkese "Opera Fanatic", condotto da Stefan Zucker, del 9 giugno 1990)

Ecco alcuni spezzoni 'video' di performance "live" dello straordinario tenore Lauri-Volpi:



venerdì 20 marzo 2020

Il metodo di canto del tenore Piero Menescaldi, artista della Scala di Milano ("Lyrica", 1936)

 

Piero Menescaldi studiò canto a Milano con il tenore Giuseppe Russitano. Debuttò al Sociale di Conselice (Ravenna) nel settembre 1921 come Duca in "Rigoletto" e cantò sino al 1939. 
Nel 1924 fu ingaggiato dal Teatro alla Scala di Milano, presso il quale si esibì fino al 1933. Cantò nelle prime delle opere "Il Diavolo nel campanile" di Adriano Lualdi (Scala di Milano, 22 aprile 1925) e "La Bella e il Mostro" di Luigi Ferrari-Trecate (Scala di Milano, 20 marzo 1926). 
Cantò soprattutto nei teatri italiani (oltre alla Scala, anche nei teatri Bellini di Catania, Comunale di Bologna, Grande di Brescia, Petruzzelli di Bari, Massimo di Palermo, Argentina di Roma, Carlo Felice di Genova, Regio di Torino) e all'estero (nei Paesi Bassi, al Gebouw Voor Kunsten en Wetenschappenin a L'Aia nel 1935 come Des Grieux in "Manon Lescaut", e in Inghilterra, al Covent Garden di Londra nel 1936, sempre come Des Grieux, sotto la direzione di Constant Lambert). 



Nel 1936, sulla rivista LYRICA (il numero di aprile-maggio-giugno-luglio), apparve un interessante articolo di Achille Gambetta intitolato: "La méthode de chant du ténor Piero MENESCALDI de la Scala de Milan".


L'articolo comincia così, con qualche sintetica informazione artistica di carattere biografico:

«Il tenore Piero Menenscaldi ha cantato alla Scala di Milano sotto la direzione del maestro Toscanini, "La Traviata", con il soprano Gilda Dalla Rizza ed il baritono Benvenuto Franci, e nella ripresa della "Madama Butterfly" con Rosetta Pampanini. Toscanini volle Pietro Menescaldi come interprete di Pinkerton; in seguito Toscanini diede al tenore Menescaldi il temibile ruolo del « Cavaliere Des Grieux »  della "Manon Lescaut" di Puccini e, sempre sotto la direzione del Maestro, fu un perfetto « Julien » nella "Louise", con Gilda Dalla Rizza e il grande Marcel Journet. Un tale servizio alla Scala di Milano, sotto l'egida di Toscanini, e tutti i successi ottenuti dal tenore Menescaldi nei più grandi teatri italiani mostrano l'indiscusso valore artistico di questo buon cantante. Queste parole sono un semplice omaggio alla verità, e bisogna interpretarle in questo modo, perché la pubblicità più o meno personale non trova posto in Lyrica, dove si lavora per l'Arte del canto (con la A maiuscola), con un vero culto sacro. Quando ho comunicato al mio amico di vecchia data Menescaldi l'intenzione di consacrare al suo metodo di canto un articolo su Lyrica, si è mostrato davvero felicissimo di poter manifestare la sua ammirazione per l'Académie du Chant, e di sottoporle il suo metodo di emissione e di lavoro.»

Poi si addentra sul metodo di canto e d'insegnamento del canto di Menescaldi, nel quale si possono evidenziare alcuni punti nevralgici:


1. UN METODO SOLO PER CANTAR BENE, che va adattato saggiamente, con alcune dovute differenze nei dettagli, ad ogni allievo che è diverso da un altro:

«In primo luogo Menescaldi afferma questo: esiste un buon metodo di canto "e non ne possono esistere altri"; come esiste un solo modo di emettere correttamente la voce, e di ben impostare i suoni. Questo come base.
In una parola esiste un solo modo per cantare bene; ma, aggiunge, se tutto ciò è esatto, è anche vero che ogni allievo possiede una personalità vocale, una diversa conformazione degli organi vocali, e per arrivare al risultato desiderato (quello di emettere bene la voce e di cantare bene) è impossibile seguire pertanto uno stesso sistema per tutti. Lo scopo è uno solo ma il cammino per arrivarci non può essere lo stesso per tutti. "Bisogna adattare il sistema di emissione alle possibilità vocali dell'allievo ed al carattere della sua voce";  bisogna conformare la disciplina e le difficoltà dell'emissione tipo all'organo personale dell'allievo


2. IMPORTANZA DI TROVARE LA MASCHERA (colore, bellezza, risonanza, proiezione, squillo della voce) per poter cantare senza bisogno alcuno di microfono sfruttando le risonanze naturali della voce:

«Per questo motivo, nell'insegnamento del canto (...) un buon professore (...) deve (...) cercare "la più bella qualità" dei suoni attraverso la ricerca del "migliore colore" della voce. La posizione della maschera durante l'emissione deve essere naturale, ma in ogni caso "piuttosto seria che sorridente" e "soprattutto occuparsi della bellezza dei suoni" (...) Perché la buona posizione della maschera, della bocca e delle labbra è semplicemente quella con cui è possibile produrre nell'emissione della voce i suoni più belli.»

3. DAI VOCALIZZI AGLI SPARTITI:

«Come base di lavoro Menescaldi approva i vocalizzi senza però farne un dogma, perché dopo 6 mesi di lavoro con soli vocalizzi (8 mesi in casi eccezionali), l'allievo può, e deve, cominciare a cantare delle frasi, delle arie, dei recitativi per arrivare in seguito allo studio degli spartiti. Tutto ciò naturalmente sotto l'egida del professore come guida. Dunque se il metodo del professore è buono e se si adatta ai mezzi, e alla costituzione vocale dell'allievo e se quest'ultimo è intelligente e dotato di buoni mezzi vocali, dopo 6 mesi di lavoro  deve essere arrivato al punto di dedicare un quarto d'ora ai vocalizzi e il resto del tempo prima al lavoro su delle frasi, e in seguito al lavoro su delle opere liriche. Perché secondo il parere del tenore Menescaldi, l'epoca attuale non può più intendersi coi vetusti metodi di lavoro, ossia tre lunghi anni di soli vocalizzi nel passato più recente, e otto o dieci anni nella notte dei tempi! Il lavoro deve essere fatto con le parole ossia lavorando dapprima con le frasi più adatte e in seguito sugli spartiti, e quando l'allievo riesce ad emettere i più bei suoni sulle parole ch'egli pronuncia e questo su tutta la gamma, avrà fatto un lavoro utile perché sarà pronto per cantare. (...)»

4. VOCALI (adattamento vocalico) nel canto lirico:

«Tuttavia, per cominciare a lavorare con una voce si deve "vocalizzare" e con le vocali "A", "O", ed "Ou" (l' »U » pronunciata all'italiana). Come vocalizzi ci si può fermare agli arpeggi, scale, intervalli di quinta e d'ottava con un po' di "agilità" e soprattutto dei suoni ben legati. Insistere soprattutto sulle vocali sopracitate. Usare anche le vocali "I" (pronunciata come la "U" francese ) e la "E" (pronunciata col colore della "E" muta)

5. PASSAGGIO DI REGISTRO ALLA ZONA ACUTA, preparato dal mi bemolle e arrotondato verso "O" sul fa-fa diesis:

«Per quanto riguarda il passaggio, Menescaldi comincia ad arrotondare i suoni nei vocalizzi a partire "dal mi bemolle"; in questo modo la vocale "A" diventa, essa stessa, quasi una "O" molto larga. Dunque il "fa" e il "fa diesis" possono e devono avere lo stesso colore della quinta acuta.  Cantando gli spartiti arrotondare su queste note la vocale "A" nella stessa maniera, e dare a tutte le vocali una sonorità più rotonda, "più scura" come si dice in italiano. In questo modo le note di passaggio "passano da sole" (...)»

6. POSIZIONE ROTONDA (NON A SORRISO):

«E soprattutto cantare sempre con una "voce rotonda e sonora" senza "mai" cercare un'emissione "sul sorriso" che produce una voce chiara, aperta, con dei suoni piatti, sbiancati e tutti indietro. Perché per essere ben in avanti e ben in maschera (per usare questi due termini familiari) la voce dev'essere molto rotonda "e sostenuta col massimo della forza [dei risuonatori]", la qual cosa produrrà "il massimo della proiezione in testa, grazie al fiato".»

7. IMPORTANZA DELLA RESPIRAZIONE E DEL SOSTEGNO DEL FIATO:

«Naturalmente la respirazione deve essere ampia (...) e questa è la cosa più importante per una buona emissione della voce. Respirazione diaframmatica ed appoggiata naturalmente sul diaframma, ma anche tutte le cavità del torace devono collaborare alla forza del fiato che deve sostenere i suoni verso la parte alta della maschera, perché tutti i risuonatori nasali, insieme a tutti i risuonatori della maschera senza distinzione alcuna, devono prendere parte alla formazione del suono nella corretta emissione (...)»

(trad. it. di Carolina Barone)


Una lettura interessante di un metodo tradizionale per l'epoca, in gran parte condivisibile, che sembra ricalcare quello esposto nel 1932 dal grande tenore Aureliano Pertile (quattro anni prima), come si può vedere leggendo i seguenti articoli apparsi sui nostri blog che riportano e spiegano il metodo del tenore di Montagnana (Padova):



In entrambi i casi si parla dell'importanza dei suoni ben proiettati "in maschera", belli e rotondi (non a sorriso), della necessità di un equilibrato adattamento vocalico nel canto lirico (che si differenzia rispetto al meccanismo del parlato comune) senza perdere la chiarezza dell'ottima dizione e intellegibilità del testo cantato, della necessità di "inscurire" coprendo la voce nella seconda ottava salendo verso la zona acuta (per soprani e tenori, cominciando a preparare il passaggio dal mi bemolle e arrotondando ad "O" anche sul fa-fa diesis), tutto questo senza dimenticare mai la respirazione che (a differenza di quella usata nel parlato puro) dovrà essere più ampia nell'inspirazione e più lentamente dosata e ben sostenuta nell'espirazione.

Solo in questo modo si potrà cantare liricamente per decenni senza alcuna fatica, preservando il proprio prezioso strumento vocale, un ampio repertorio lirico comprendente le più impervie aria d'opera e impersonificare i ruoli operistici maggiori pieni di difficoltà tecniche ed interpretative da superare sul palcoscenico, senza rischiare di non arrivare in fondo a una recita o di perdere la voce dopo qualche anno di attività. 
E solo così si potrà mantenere la voce in salute fino ad età matura: esempi modello sono stati, tanto per citarne solo alcuni, i tenori Beniamino Gigli, Giacomo Lauri-Volpi, Carlo Bergonzi, Ugo Benelli, ma anche il soprano Magda Olivero, il mezzosoprano Fedora Barbieri, i baritoni Mattia Battistini, Giuseppe De Luca, Carlo Tagliabue, il basso Cesare Siepi, che hanno cantato per un arco di tempo compreso tra i 40 e i 50 anni di carriera!


mercoledì 18 marzo 2020

La strategia di studio tecnico-vocale e del repertorio lirico nella Scuola di Canto del grande Cotogni

Cotogni su "La Musica Popolare" - 12 luglio 1883

Antonio Cotogni fu un baritono che divenne figura leggendaria tra i migliori cantanti del mondo come pure nel campo dell'insegnamento. Tra i suoi numerosi allievi e cantanti che accorrevano a lui per consigli: Giacomo Lauri-Volpi, Jan De Reszke, Julian Biel, Aristodemo Giorgini, Enrico Nani, Dinh Gilly, E. Herbert-Caesari, Beniamino Gigli, Mattia Battistini, Titta Ruffo, Riccardo Stracciari, Giuseppe De Luca, Carlo Galeffi, Mariano Stabile. La sua fu una lunga carriera internazionale, durata oltre 40 anni, nella quale interpretò ben 157 ruoli operistici.

"Questo cantante dalla voce potente e soave è veramente qualche cosa di straordinario; egli canta come pochi sanno cantare, e sia pure la sua parte irta di difficoltà, egli tutto abbatte e vince con una facilità, con un possesso che sbalordisce: in lui non travedi né sforzo né la più lieve fatica: sia pure il suo canto vibrato e potente, la voce ne esce tranquilla e sicura. I suoi modi sono elettissimi e sovente, non contento delle difficoltà inerenti allo spartito, egli ve ne aggiunge di nuove sempre di ottimo gusto e pare si diverta a sfidarle. La voce di questo cantante sovrano ti lascia una impressione perenne ... una volta udito il Cotogni non si dimentica più mai... la sua voce... ha le vibrazioni dell'arpa che cessò di esser tocca, vibrazioni che perdurano eterne" 
(in Gazzetta musicale di Milano, XXVI [1871], p. 8).

<<La sua voce, che si estendeva dal "la" grave fino al "si" acuto, affascinava e commuoveva per la capacità, che l'artista possedeva in somma misura, di nobilitare anche i personaggi più biechi e cupi. Era famoso per i suoni "a campana" "per cui la sua maschera vibrava simile a custodia di bronzo">> (cfr. G.Lauri-Volpi - "Incontri e scontri" - Roma, 1971).
(Per maggiori approfondimenti su questo baritono e la sua scuola di canto --> http://belcantoitaliano.blogspot.com/2019/03/la-scuola-romana-di-canto-lirico-di.html)

 
Oltre alle testimonianze riguardanti il suo sistema d'insegnamento del canto da parte di alcuni suoi noti allievi (molti diventati famosi e grandi cantanti lirici), ci è giunta anche un'interessante descrizione sulla sua condizione di studente di canto.

The Gramophone, November 1924

About his training prior to his Italian stage debut, Cotogni told a former student:

«"For the first year I sang nothing but scales.
In the second year, vocal exercises and simple songs.
Third year, training in operatic music, chiefly solos.
Fourth year, ensembles, duets, trios, etc.
Fifth year, training in scenic action, mostly in front of a looking-glass."

This may be to a certain extent too rigid a description, but the fact remains that, as Cotogni said, his master considered him fit for the stage when there was not a single opera in the current repertoire which he did not know backwards, and when, as he reproachfully added every time I tried to find an excuse for missing a top note, he could be awakened at 3 a.m. and made to give an A-flat mezza voce. Cotogni sang on the stage for over forty years.»

— The Gramophone, November 1924, Volume 2
(Edited by Compton Mackenzie - Collaboratori: Compton Mackenzie, Christopher Stone) ["Antonio Cotogni's description of his training"].


[A proposito della formazione precedente al suo debutto italiano in palcoscenico, Cotogni disse a un ex studente:

«"Il primo anno non ho cantato altro che scale.
Il secondo anno, esercizi vocali e canti semplici.
Terzo anno, esercitazione in musica operistica, principalmente assoli.
Quarto anno, ensemble, duetti, trii, etc.
Quinto anno, allenamento nell'azione scenica, soprattutto di fronte ad uno specchio."

Tale descrizione potrebbe sembrare, fino a un certo punto, troppo rigida, ma resta il fatto che, come diceva Cotogni, il suo maestro lo considerò pronto per il palcoscenico solo quando non vi fu una singola opera del repertorio attuale che egli non conoscesse all'incontrario, e quando - come aggiungeva con disappunto ogni volta che, nello sbagliare una nota di testa, cercavo di trovare una scusa - egli fosse stato in grado d'esser svegliato alle 3 del mattino ed offrisse un La bemolle a mezza voce. Cotogni ha cantato in palcoscenico per oltre quarant'anni.»]



  
Cotogni insegnò a Santa Cecilia in Roma, quando anche Rosati insegnava. A tal proposito va ricordato che per alcuni mesi Cotogni fu l'insegnante di Gigli, poi Gigli passò alla classe di Rosati.
Il testo seguente, che riportiamo integralmente, è il documento di presentazione richiesto dal regolamento del concorso di Parma che vide poi Gigli vincitore.


Nel testo si può notare come Gigli - dopo aver cantato/studiato alla Schola Cantorum di Loreto per alcuni anni (con Quirino Lazzarini e Giuseppe Guzzini), e poi canto Lirico per 4 anni con i maestri De Stefani, De Martino ed Agnese Bonucci a Roma, qualche mese con Cotogni, nei successivi due anni con Rosati, quasi del tutto ormai tecnicamente pronto, affinando certi dettagli come la mezza voce e gli acuti - aveva preparato 6 opere complete. La carriera di Gigli durò 41 anni (nella quale interpretò 55 ruoli operistici, oltre a cantare ed incidere innumerevoli arie d'opera, canzoni, canti sacri, romanze da camera, canzoni napoletane ed alcuni lavori sacri completi).

Rosati certifica dunque che Gigli ha pronte in repertorio sei opere liriche, e la lettera di presentazione riporta la data del 10 luglio 1914 :

1. Verdi - Rigoletto
2. Verdi - Traviata
3. Gounod - Faust
4. Mascagni - Amico Fritz
5. Boito - Mefistofele
6. Puccini - Tosca

Ci vuole una strategia per prepararsi ad affrontare la professione del cantante lirico:

1- ci sono troppi studenti che vagano per anni, tra numerosi insegnanti cercando tra tanti metodi "quello giusto", ma non risolvono mai del tutto con la facilità necessaria l'impostazione vocale e la tecnica nel suo complesso e non riescono a costruirsi un repertorio;
2 - vi sono altri studenti di canto che si buttano nell'apprendere arie su arie ed opere su opere e s'improvvisano cantanti lirici salendo sui palcoscenici, portandosi dietro diverse lacune tecniche piccole e grandi.

Nessuno dei due sistemi è quello ideale.

Una volta che si è trovato il maestro giusto (e ci vuole fortuna, non è cosa facile oggigiorno), è necessario partire con una seria impostazione tecnico-vocale senza toccare le arie d'opera; è necessario poi gradualmente iniziare a studiare e cantare arie antiche semplici (barocche e classiche) e musica vocale da camera (il repertorio dell'Ottocento, Bellini e Donizetti ad esempio è perfetto); in seguito si comincerà con arie d'opera semplici (meglio scegliere quelle che non tocchino troppo la parte acuta che converrà trattare con particolare cura nel periodo successivo); poi si inizierà a studiare ed eseguire duetti, terzetti, quartetti e così via. Infine si prepareranno i ruoli interi: tutto questo sempre con l'assistenza di un buon insegnante di canto.

Se questo sistema sembra troppo lungo, si pensi invece che lo studio basilare della tecnica vocale non dovrebbe durare mai troppo. Sentire che un allievo studia da dieci anni ed ha ancora dubbi sulla respirazione e sui passaggi di registro è sinonimo di un errato insegnamento.

Infatti, in genere sono sufficienti pochi mesi, (al massimo un anno) per impostare correttamente una voce, non certo anni ed anni di tecnica senza mai toccare un'aria! Più si diventa bravi tecnicamente, più sarà quasi automatico cantare subito bene i brani nuovi e così sarà possibile più velocemente crearsi un repertorio lirico sufficiente per affrontare i primi concerti e le prime esperienze operistiche sul palco. Con l'acquisizione di una concreta sicurezza tecnica, inoltre, non si dovrà pensare continuamente alla tecnica (che diventerà un bagaglio acquisito "costituzionale", ovvero "automatico") mentre si canta in pubblico; e si potrà pensare anche all'arte scenica e a rendere bene un personaggio, combinando voce e teatro!

Si prenda a modello la strategia di Cotogni, e si riempiano del giusto e progressivo contenuto gli anni di studio prima del debutto: certamente non servono 5 anni per impostare la voce, né va bene fare 5 anni di solo repertorio mai acquisendo una solida tecnica

"Mia sposa sarà la mia bandiera" - canto popolare di A.Rotoli, dedicato ad Antonio Cotogni



Comunque, anche dopo la formazione vocale, durante la propria carriera, non bisogna abbandonare l'esercizio tecnico. Lo dice prima di tutto l'esperienza attuale acquisita dal bravo cantante lirico, ed anche - sempre in merito a Cotogni - Herbert-Caesari in "Tradition and Gigli" del 1958, che scriveva:

«I well remember the famous Antonio ("Toto") Cotogni telling me in 1907: "The voice is a donkey; it wants working 'every' day." He meant rock-bottom exercises, and not songs and arias. We all know how Battistini, a brilliant product of the old School, kept up his daily "vocalizzi" even when advanced in years. Inversely, today the tendency is that "exercises are old-fashioned, and not necessary"

[Ricordo bene il famoso Antonio ("Toto") Cotogni dirmi nel 1907: "La voce è un asino; vuole esercitarsi ogni "giorno". Egli intendeva esercizi di livello più basso, e non canti ed arie. Sappiamo tutti come Battistini, un brillante prodotto della vecchia Scuola, continuasse a fare i suoi "vocalizzi" quotidiani anche in età avanzata. Al contrario, oggi la tendenza è che "gli esercizi sono vecchio stile e non necessari".]

Buono studio a tutti, e ricordatevi sempre:

"In medio stat virtus" («la virtù sta nel mezzo»)!

domenica 7 ottobre 2018

Belcanto Italiano ® - L'autentico Bel canto italiano, sua definizione e legittimazione (parte 1)


Qualcuno da tempo afferma, senza portare nessuna prova concreta a sostegno di ciò, che Tosi e Mancini, seguiti da Lamperti, sarebbero la Bibbia del bel canto, una specie di trinità salvifica, mentre si punta ingiustamente ed illegittimamente il dito, senza per altro avere alcuna autorità in merito, contro Garcia figlio.

C'è chi sostiene inoltre che Garcia figlio abbia stravolto il bel canto nel corso dell'Ottocento e si dice che, in ambiente didattico, si andrebbe citando solo Garcia e che si darebbe poca o nessuna importanza a Tosi e Mancini.

Infine che sarebbe inutile chiamarlo "italiano", il bel canto, ed illegittimo l'uso del nome laddove non combaciasse con i venerati Tosi e Mancini.

In realtà la verità è ben diversa.

Garcia figlio non ha stravolto il bel canto con il suo trattato, ma ha dato il suo contributo che va inscritto all'interno della storia secolare del canto lirico.
Tosi e Mancini hanno portato il loro contributo, tanto quanto l'hanno portato molti altri prima e dopo di loro.

Quanto al discorso delle citazioni storiche, nel corso degli anni Garcia figlio è quello che meno abbiamo citato. Abbiamo invece citato pubblicamente e pubblicato anche e soprattutto una cernita nutrita di citazioni, brevi come molto lunghe, di :

Ieronimus de Moravia, Francesco Patrizi, G.C. Brancaccio, Ercole Bottrigari, Pietro della Valle, Nicola Vicentino, Giovanni Luca Conforti, Claudio Monteverdi, Girolamo Frescobaldi, Biagio Rossetti, Lodovico Zacconi, Giovanni Camillo Maffei, G.B. Bovicelli, Vincenzo Giustiniani, Severo Bonini, Emilio Del Cavaliere, Francesco Rognoni, Marco Da Gagliano, Ottavio Durante, Domenico Mazzocchi, Giulio Caccini, Girolamo Diruta, Michael Praetorius, Christoph Bernhard, Silverio Picerli, Bartolomeo Bismantova, Jean-Antoine Bérard, J. J. Quantz, Jean Philippe Rameau, Giovanni Battista Doni, Vincenzo Manfredini, Salvatore Bertezen, Giuseppe Aprile (Sciroletto), W. A. Mozart, J. P. E. Martini, Mengozzi, G. G. Ferrari, A. M. Pellegrini Celoni, Marcello Perrino, Manuel García padre, Domenico Crivelli, Domenico Corri, F. Bennati, Nicola Vaccaj, Isaac Nathan, F. J. Fétis, H. F. Mannstein, Antonio Calegari/Gaspare Pacchiarotti, Maria Anfossi, Francesco Florimo, Antonio Benelli, Louis Lablache, G. L. Duprez, H. Panofka, Robert Schumann, A. de Garaudé, Luigi Celentano, Giuseppe Verdi, Alessandro Busti, Gaetano Nava, Charles Delprat, Enrico Delle Sedie, Sir Morell Mackenzie, Beniamino Carelli, Vincenzo Cirillo, Francesco Lamperti, G. B. Lamperti, J. M. Mayan, Jules Audubert, Leone Giraldoni, Alessandro Guagni-Benvenuti, Leo Kofler, Mathilde Marchesi, Eugène Wolff, Luigi Parisotti, H. Klein, Giulio Silva, Vittorio Ricci, Luisa Siotto Pintor, E. Herbert-Caesari, etc. 


[Questa la pagina FB principale dove abbiamo da tempo riunito questo complesso materiale utile alla riflessione di chi già studia canto, canta o insegna : 
che trova la sua estensione web qui: https://tecnicavocaleneisecoli.blogspot.com/]

Tosi e Mancini non sono automaticamente equivalenti al Bel Canto, né storicamente né nei contenuti dei loro trattati (non sapremo comunque mai se cantavano bene! tra l'altro non furono nemmeno dei cantanti famosi come Farinelli, Caffarelli etc. ma più che altro solo dei maestri di canto). Abbiamo citato anche loro, ma solo nei punti dei loro trattati che condividiamo, stessa cosa vale per Garcia figlio.

D'altronde, il grande tenore di Lanuvio Lauri-Volpi scrisse correttamente sotto la voce “Belcanto” inserita nella “Enciclopedia della musica”, ed. Ricordi, Milano 1963, che il creatore fu semmai il compositore e tenore Caccini : 
"Creatore della scuola del Belcanto fu il romano Giulio Caccini, che da Roma si trasferì a Firenze, ove fondò la scuola di canto in cui fiorirono le voci delle figlie Francesca e Settimia. Nel suo insegnamento, il Caccini fu un rinnovatore della ortofonia vocale e uno dei primissimi compositori di melodrammi; egli lasciò scritte interessanti norme del Belcanto." --> https://lauri-volpi-tecnicavocale.blogspot.com/2016/10/che-cose-il-belcanto-di-giacomo-lauri.html

Infine per quanto riguarda il termine belcanto italiano è storico e assolutamente legittimo, ma c'è da dire che è stato chiamato nei secoli buon canto o bel canto. Ma questo non significa niente, non vuol dire che un termine corrisponda sempre automaticamente al contenuto: se ad esempio in un dato periodo non era termine usato non significa che a livello concreto non componessero e cantassero facendo bel canto, e non è che quando entrò il termine nell'uso comune sia diventato automaticamente più bel canto di prima!
Perché è il contenuto che conta, non solo e soltanto la terminologia, questo vale anche per tutto il resto: la "maschera", le "vocali miste", ecc.


La "maschera" (chi sostiene ultimamente che non esisterebbe, affermando che la scienza recentemente avrebbe scoperto che il suono non risuonerebbe nelle cavità di risonanza cervicali, non cita mai a quale "scienza" si riferirebbe! quali scienziati? in quale occasione l'avrebbero detto? secondo quale pubblicazione sarebbe stato detto ciò? e quali prove avrebbero mostrato?) non ha mai significato l'atto volontario di spingere (con presunta rigidità) un suono in testa, ma semmai, come sempre è stato il suo significato, costituisce il risultato sonoro derivato indirettamente da una serie di altre caratteristiche tecnico-vocali combinate nel medesimo momento: modo di impiegare il fiato, palato molle alzato nel modo giusto, posizione vocale d'emissione scelta, etc. Anzi quando il suono è in maschera è proprio l'opposto, la gola è libera e il suono e totalmente libero, rigidità con la "maschera" non ce ne sono.


Suono vocalico A raccolto e coperto da Beniamino Gigli, adattando la vocale pura, nell'incisione gigliana del 1921 dell'aria "Apri la tua finestra", dall'Iris di Mascagni

E la medesima cosa vale per le "vocali miste" che non hanno nulla a che fare con le vocali delle lingue straniere, bensì sono adattamenti (accomodamenti) più o meno evidenti delle vocali italiane, necessari nel canto lirico, a differenza del parlato comune, a seconda del tipo di emissione in pianissimo, a mezza voce a piena voce e dell'altezza della nota specifica in un dato momento del brano vocale che si sta affrontando, unitamente all'uso creativo delle risonanze ricercate ed ottenute più brillanti o più ambrate (chiaro-scuro); la dizione viene preservata in tal modo anche con l'aiuto delle consonanti che scolpiscono di più la parola, specialmente dove possibile: nella parte centrale della voce, il registro del parlato. Di meno, più si sale alla zona acuta. 


Quando Gigli a Londra nel 1946 teneva la sua lezione introduttiva e diceva che le vocali italiane sono 5, pure o con le loro MODIFICAZIONI, non intendeva assolutamente dire che con queste modificazioni  si facesse riferimento alle vocali straniere come sostiene qualcuno che ha letto l'affermazione fuori dal contesto. Se si prende nel contesto della lezione integrale si capisce benissimo che non si sta affatto riferendo a vocali straniere, bensì ad una necessità del canto lirico, ammesso che si stia parlando di canto prodotto da cantanti di alto livello!
--> https://belcantogigli.blogspot.com/2015/07/beniamino-gigli-spiega-la-tecnica.html

In ogni caso, per i puristi "letterati", facciamo presente che il termine BEL CANTO ITALIANO veniva usato già ad es. nell'Ottocento in relazione al grande tenore Rubini e da Rossini stesso.

L'8 aprile 1839 usciva, come riportato su "Teatri, arti e letteratura", Tomo 31 pubblicato a Bologna in quell'anno, questo AVVISO MUSICALE che si apriva con queste parole:

<<Annunziamo agli amatori del bel canto italiano che si pubblicheranno per associazione il giorno 20 giugno pross. vent. "Dodici lezioni di canto moderno per voce di tenore e soprano" composte dall'insigne artista GIO. BATT. RUBINI.
Questo nome è il più sicuro garante del merito di tale opera e ci esime dal cercar parole per raccomandarla.>> E poi prosegue: <<RUBINI, avendo, a quel che dicono, fiso nell'animo di lasciar il Teatro prima che il Teatro lo abbandoni, pensa di provvedere stabilmente alla propria fama lasciando un monumento della profonda sua scienza.>> 


Rubini fu uno dei più famosi tenori della prima metà dell’800. Bellini scrisse per lui la parte di Gualtiero nel ‘Pirata’ e Donizetti quella del re nell’ ‘Anna Bolena’, conosciuto come ‘il re de tenori’ raggiunse il culmine della fama a Parigi con ‘I Puritani’. Tenore di grande raffinatezza fu particolarmente ammirato per le sue note acute (sino al sol sovracuto). La sua carriera durò ben 30 anni, dal 1815 al 1845 !!!

Perfezionamento del meccanismo della voce - 24 vocalizzi per mezzo-soprano, composti, e dedicati a Rossini, da Mathilde Marchesi - 1863

Rossini elogiando i 24 Vocalizzi [L'Art du chant, 24 vocalises pour contralto ou mezzosoprano op. 29] della signora Marchesi, allieva di Garcia figlio, ebbe ad esprimersi in questi termini :

« Ho percorsi col massimo interesse (quei esercizj), sono composti con somma conoscenza della voce umana, con chiarezza ed eleganza, essi contengono quanto fa d’uopo allo sviluppo d’un’arte che da troppo tempo io assimilo alle "Barricate vocali"! Possa il di lei interessante lavoro profittare alla gioventù odierna, che trovasi un tantino fuori della buona via. Insista pure ad insegnare il "bel canto italiano", esso non esclude l’espressione e la parte drammatica, che va riducendosi ad una semplice questione di polmoni, e senza studio (c’est bien commode ! ) » [G. Rossini, alla signora Matilde de Marchesi, Passy de Paris, 3 luglio 1863.]

(riportato in: "Storia Universale del Canto" di Gabriele Fantoni, vol. II, Milano 1873)


Notare, in particolare, quanto alla fonazione, ciò che ella scriveva nella Prefazione alla Seconda edizione del suo "L'Arte del Canto" Op. 21, nel gennaio 1890:

"The pupil should open the mouth quite naturally, lowering the chin, as though to pronounce the vowel A (ah) slightly darkened (...)
Now, the type of vowel preferable for the formation and development of the voice is the Italian A (ah), slightly darkened (...)"

[Lo studente dovrebbe aprire la bocca piuttosto naturalmente, abbassando il mento, come se stesse pronunciando la vocale A (ah) leggermente inscurita (...) Ora, il tipo di vocale preferibile per la formazione e lo sviluppo della voce è la A italiana (ah), leggermente inscurita (...)]



Ma BEL CANTO ITALIANO si ritrova anche, usato dai famosi compositori veristi come Cilea e Giordano, nella prima metà del Novecento, in relazione al canto di Beniamino Gigli.


<<Al sommo Gigli,
che la potenza della voce sa piegare alla soavità del bel canto italiano, tutta la mia ammirazione e tutta la mia gratitudine per aver dato a "Gloria" fulgente vita.>>
Francesco Cilea - Roma, 15 gennaio 1938


<<Al maggiore interprete delle mie opere:
a Beniamino Gigli maestro del bel canto italiano. Con affetto e ammirazione.
Umberto Giordano. Roma, 21 dicembre 1942>>

[dall'Archivo di John Fenech (RIP), Malta, pubblicato in 'Gigli' di Leonardo Ciampa (2015)]


Nella Masterclass di Gigli a Vienna del 1955, ecco altri suoi illuminanti insegnamenti e dimostrazioni pratiche del Bel Canto:

"Loro hanno sette vocali...voi, tedeschi, o inglesi o americani non avete le 5 vocali per il canto come ce l'ha l'Italia: "A", "E", "I", "O", "U". Noi facciamo...sulla STESSA POSIZIONE, noi dobbiamo fare le 5 vocali; e vi do un esempio pratico: (canta, vocalizzando "a-e-i-o-u"). Come avete visto e sentito io non ho mosso né gola...non ho mosso nulla. E' nella POSIZIONE che io ho fatto le 5 vocali. (...) Se voi dovete studiare il canto, e potrei dire anche, lasciatemelo dire...il BEL CANTO ITALIANO, bisogna che vi portate necessariamente a imparare le 5 vocali e metterle, le 5 vocali, sulla stessa posizione." 


Su "La Domenica del Corriere" del 15 dicembre 1957, a sole due settimane dalla scomparsa, Gigli viene definito "L'AMBASCIATORE DEL BEL CANTO ITALIANO NEL MONDO" !!!


Anche Mascagni usò il termine BEL CANTO ITALIANO in relazione al grande collega antagonista di Gigli, Giacomo Lauri-Volpi :

"A Giacomo Lauri-Volpi,
con ammirazione e con gratitudine
per la sua superba interpretazione
di "Turiddu", con la quale ha
riaffermato la supremazia del
bel canto italiano,
P. Mascagni
S. Paulo,
20, X, 1922"

In linea generale, citiamo spesso e più volentieri affermazioni di cantanti del Novecento poiché ci hanno lasciato PROVE sonore della loro arte, dei cantanti dei secoli precedenti non abbiamo alcuna registrazione e quindi non possiamo sapere davvero come cantassero realmente. Affidarsi ad un trattato "muto" e ad una cronaca dell'epoca che descriveva qualità e difetti delle voci dei cantanti famosi (Rubini - solo qualità, difetti quali? / Duprez qualità ma anche difetti) è cosa insufficiente a qualificare la validità di una tecnica da loro impiegata.
Inoltre in particolare nei secoli '600 e '700, ma in parte anche nell' '800, i castrati erano i divi principali delle scene operistiche, tuttavia non si può dire che la tecnica di chi usava la propria voce artisticamente come castrato e di chi cantava vivendo e cantando coi limitanti bustini possa andare automaticamente bene per chi non usa i bustini, non è castrato (i castrati dopo Moreschi non esistono più da un secolo) e deve cantare il repertorio barocco quanto quello classico, romantico, verista e moderno con il diapason più alto e una scrittura orchestrale più massiccia nel periodo compreso tra la seconda metà dell'Ottocento e l'epoca attuale.



Ma quali sono le caratteristiche di base del "bel canto italiano" che attraversano i secoli, gli stili, le mode teatrali? Ecco in sintesi le principali CARATTERISTICHE VOCALI-INTERPRETATIVE ESSENZIALI PER UN ARTISTA DEL "BEL CANTO" :

Secondo Rodolfo Celletti ("Storia del Belcanto" - Discanto, 1983), 5 sono gli elementi essenziali per l'esecuzione della musica del XIX secolo fino al 1840, come indicato nei metodi di Manuel Garcia figlio, Duprez e Lablache.
L'esecutore doveva essere capace (e gli interpreti di oggi devono essere capaci):

1. di eseguire la "messa di voce" e cioè di passare gradualmente da un pianissimo a un fortissimo e viceversa;
2. di "legare" e "portare", dove per legare s'intende passare morbidamente, ma con nettezza, da una nota all'altra della frase musicale, mentre per portare deve intendersi condurre la voce, con grazia e levità, da un intervallo all'altro, senza strascicare il suono e cioè senza far sentire le note intermedie;
3. di "fraseggiare" e cioè di presentare i "disegni" di ogni frase musicale in modo da dare un diverso risalto a ciascuno di essi - nel paragrafo "fraseggio" rientrava anche la capacità di calcolare con esattezza i fiati in relazione alla durata d'ogni disegno e di saper inserire le pause là dove il compositore le aveva omesse;
4. di "sfumare" e cioè di alternare i piani e i forti e le intensità intermedie, a seconda del senso della frase e delle parole;
5. di eseguire impeccabilmente gli ornamenti. 


Anche Hermann Klein (" The 'Bel canto' ", 1924), un allievo di Garcia figlio, afferma che le qualità del bel canto possono essere sintetizzate in 5 categorie:

1. Voce (comprendente orecchio e fisico);
2. Sostenuto (comprendente la respirazione, formazione delle vocali e risonanza);
3. Legato (comprendente la scala, il chiaro-scuro, il colore);
4. Flessibilità (comprendente tutto il canto d'agilità);
5. Fraseggio (comprendente dizione, espressione, e tutta l'interpretazione).

La Boccabadati e la Ronzi de Begnis ne "I Capuleti e Montecchi" di Vincenzo Bellini

Caratteristiche fondamentali del "bel canto" sono il suono sempre "sul fiato" (e la "messa di voce" ne è la prova del nove), il chiaro-scuro, la perfetta gestione dell'emissione della voce "di petto", in "misto" e "di testa, la fusione dei registri (che si ottiene preparando il passaggio raccogliendo il suono, ed alleggerendo e non aprendo il suono nel passaggio), il legato costituito dall'appoggio e dal "portare" i suoni, il sapiente uso della mezza voce specialmente nei centri da alternare all'uopo alla piena voce da una parte ed ai "filati" dall'altra (in tutte le dinamiche i suoni devono rimanere perfettamente proiettati!), la voce sempre libera e flessibile che dai cantabili non può che condurre al canto fiorito, ornato, d'agilità delle "colorature", il dominio assoluto della voce lirica che permette di realizzare qualunque sfumatura, colore, effetto musicale richiesto dai compositori e/o voluto a livello personale dall'interprete.
Suoni non a fuoco, ingolati, affondati, troppo aperti, allargati, ingrossati, spinti, forzati e urlati sono banditi da questa tecnica e da questo stile di canto! 

Il grande tenore "di grazia" Ugo Benelli con il soprano "voce del belcanto" Astrea Amaduzzi a Genova nel maggio 2018




Infine, c'è chi in relazione alla nascente Accademia Nazionale di Belcanto Italiano dice che mancherebbe un "nome" della lirica, come la Callas, la Tebaldi ecc. nel corpo docenti della scuola: omette però, in modo scorretto, di dire che abbiamo con noi nell'Accademia il tenore "di grazia" Ugo Benelli che curerà l'interpretazione, l'arte scenica e la regia, dalle lezioni individuali all'opera-studio ed ai concerti e rappresentazioni pubbliche organizzate dall'Accademia. 

Sarà anche presente, in occasione degli esami accademici di fine anno, il soprano Carmen Lavani, nella commissione d'esame.