martedì 5 marzo 2019

La scuola romana di canto lirico di Antonio Cotogni - Elementi di tecnica vocale

Cari amici del bel canto,
questo articolo è interamente dedicato ad un baritono ed insegnante di canto lirico tra i più importanti nella storia del canto della seconda metà dell'Ottocento e degli inizi del Novecento: Antonio Cotogni.
Lo ricorderemo in questa sede soprattutto dal punto di vista didattico, per quello che ci ha lasciato a livello di metodo canoro, in particolare considerando le testimonianze di Gigli, Herbert-Caesari e Lauri-Volpi (alcuni tra i suoi numerosi allievi) di Rosati (suo collega insegnante di canto a Santa Cecilia) e di Ricci, che fu pianista nella classe di canto di Cotogni per alcuni anni.

Antonio Cotogni
 
Nel 1860 ci fu il debutto alla Scala, quindi l’incontro con Verdi, che gli affidò la prima del Don Carlos. In Francia, a Passy, Rossini lo volle ascoltare nella cavatina di Figaro. Cotogni concluse il pezzo senza l’antipatica cadenza finale che molti artisti gli davano per ottenere facili applausi. “Così l’ho scritta io”, disse Rossini, improvvisando uno strambotto: “Non siete tra i baritoni / Di tal razza asinina / Che la cadenza storpiano / Nella mia cavatina".

1867 - I principali interpreti del "Don Carlo" a Bologna
 
NON BISOGNA MAI FORZARE, NE' SPINGERE, COME CI INSEGNA L'ETERNO SOMMO ESEMPIO DEL GRANDE BARITONO (scelto da Verdi per interpretare Rodrigo marchese di Posa nella prima rappresentazione italiana del Don Carlos, avvenuta al Comunale di Bologna il 27 ottobre 1867), E RINOMATO INSEGNANTE DI CANTO, ANTONIO COTOGNI (Roma 1831 - Roma 1918) che ebbe in repertorio ben 157 ruoli!!! :

« Egli cantò bene e rappresentò il suo personaggio con tale brio e con tale disinvoltura, da renderlo più interessante e più simpatico di quello che il poeta non lo avesse fatto. » (Gazzetta Musicale di Milano, maggio 1861).
E questa tendenza ad ingentilire sempre un personaggio, nel dramma troppo rude od antipatico, gli fu riconosciuta da moltissimi critici, nel "Trovatore", nel "Ruy Blas", nella "Carmen", nell' "Otello".



- "Che vuoi?" - soggiungeva egli stesso, parlando in proposito - "è stata sempre la mia natura che ha agito quasi indipendentemente dalla mia volontà; a me certi effetti troppo vivi, certe immagini troppo truci, non sono mai piaciuti".
E dicendo questo il Cotogni mi fece tornare in mente il Credo Artistico di Mozart, compendiato nelle poche parole: « Le passioni violenti o no, non debbono essere mai rese fino al disgusto, e la musica, anche nell'esprimere la situazione più orribile, non deve mai ferire l'orecchio, cioè deve piacere sempre, restar sempre musica. »

Ecco perchè l'11 ottobre 1889, a proposito della "Carmen", rappresentata la sera innanzi al Costanzi di Roma, il critico del "Don Chisciotte" scriveva :
« E non dico che un'altra cosa sia diventata, in più d'una volta, ieri sera la musica della "Carmen" : soltanto qualche cambiamento vi è stato introdotto da un artista vero, di razza, da Toto Cotogni.
« Avendo egli un po' allargati i tempi, egli ha tolto forse alla canzone del "toreador" quell'impeto giocondo di espansione della forza brutale, che ne costituisce il colorito; ma vi ha messo tanta squisitezza di sentimento e di canto, tanta soavità d'amore e tanta furberia, che ne ha fatto una cosa mirabilmente artistica e al finale del terz'atto, quel pezzo, cantato così da un maestro, ha avuto ieri sera un successo che non ebbe mai, per quanto io ricordi : far cioè domandare il "bis" da tutto il teatro.
« E il "Capitan Fracassa" dello stesso giorno, diceva scherzando : « Nella ballata del "toreador", la sua voce trovò inflessioni insidiosamente dolci e soavi, quasi volesse pigliar con le buone, anzichè con le cattive, il toro inferocito e canzonarlo! »

(da: Nino Angelucci - RICORDI DI UN ARTISTA, ANTONIO COTOGNI - Tipografia Editrice "Roma", 1907)




Classe all'Accademia di Santa Cecilia, circa 1911. Antonio Cotogni ed Enrico Rosati, al centro. Beniamino Gigli in cappello di paglia a destra.
 
«Rimane adunque l'unico "Registro" vero assoluto fattore del Bel Canto Italiano, che è il "Registro a corda lunga", (come lo definisce il Mackenzie), il "Registro" del canto rotondo, del canto coperto, il "Registro" della
"Gola larga e cantate sul fiato".»
«[con Antonio Cotogni] Ci troviamo di fronte al detto antico:
"Gola aperta e cantate sul fiato".»

«Propongo il ritorno allo studio dei nostri classici, veri detentori della "Scuola del bel canto" basata sulla "Linea" e sul sentimento, in antitesi all'attuale epoca nevrastenica della "Declamazione abbaiata".»

 da : "Registri?!" del maestro Enrico Rosati del 1908...



Il celebre baritono Titta Ruffo sull'importanza di formare i colori e i chiaroscuri della voce

"Qualche lettore troverà strano che io ritorni a parlare dei colori della voce, ma per me è la cosa più naturale (...) credo che uno studente di canto, dopo aver ben piantata la voce nelle fondamenta – cioè dai suoni più gravi fino alle estreme note alte, sempre composta, libera, appoggiata, riunita tutta al disopra del palato, senza contrazioni muscolari, sostenuta soltanto dalla respirazione naturale – credo, dico, che ogni studente di canto, se sia dotato di sentimento e immaginazione o, insomma, di talento, possa con l'esercizio riuscir a formare tutti i colori di una tavolozza sonora, ed esprimere così tutti quanti i moti dell'anima in tutte le loro tinte e i chiaroscuri. Certo non è cosa né facile né breve. A perfezionare la voce umana, diceva giustamente uno de' più geniali e dotti artisti, Antonio Cotogni, occorrerebbero due vite: una per studiare, l'altra per cantare."

(da: Titta Ruffo - "La mia parabola" - Fratelli Treves Editori, 1937)



La forma e il colore del suono vocale nel Bel Canto italiano - "COPRIRE, SCURIRE, COLORIRE, ARROTONDARE" il suono vocalico:

«Few singers today shape their vowels "mentally" with deliberation. That was the basis of the singer's art as the old Italian School taught it. It was the first thing told to the author in 1907 in Rome by Antonio Cotogni, admittedly the greatest baritone of all time, product of the old School and exponent "in excelsis" of the true Bel Canto. We cannot conceive of a painter not pre-selecting shape and colour before committing them to paper or canvas. Most singers seem nonchalantly to ignore tonal shape and colour, and genuinely expect to express poetical and musical thought through a mis-shapen and often colourless medium; and this is one of the main reasons why the average singer fails to "put over" his song. (...)
The Italians have always used, and still use, the phrases: "scurire la voce" (to darken the voice), or "colorire il suono" (to colour the tone). But by voice and tone they invariably mean vowel. You darken or colour the tone by rounding off (arrotondare) the vowel.
Now the mere 'thought' of modifying or rounding off the vowel reacts on the mouth-pharynx cavity that immediately and automatically assumes a rounder shape.»

(in: E. Herbert-Caesari [Diplomé, La Regia Accademia di Santa Cecilia, Rome] - THE VOICE OF THE MIND - Chapter V, 'That "covering" business' & Chapter XXI, 'Occasional jottings and addenda' - Robert Hale, London, 1951)



Breve testimonianza su Beniamino Gigli, studente per pochi mesi nel 1911 nella classe di canto di Antonio Cotogni a Santa Cecilia in Roma, tratta dal discorso inedito intitolato "RICORDANDO BENIAMINO GIGLI E IL SUO TEMPO" dato il 14 novembre 1977 a Roma, in occasione del 20° anniversario della scomparsa di Gigli, da Luigi Ricci, direttore d'orchestra, pianista accompagnatore, preparatore vocale di tanti cantanti tra i quali Bruscantini, Moffo, Olivero, curatore e compilatore dei volumi di variazioni, tradizioni e cadenze per tutti i registri vocali femminili e maschili, e scrittore di libri su Puccini, Mascagni e sui maestri di canto e sul canto lirico.

"Io accompagnavo già da vari anni la scuola di canto di Cotogni sia privatamente che nel Liceo di Santa Cecilia durante il periodo dei miei studi, e avevo conosciuto molti suoi allievi tra cui Gigli, il quale studiava al Liceo di Santa Cecilia e dava, per la bellezza della sua voce, ottima speranza di quello ch'è stato poi il suo avvenire luminoso. Questi entrò nella scuola di Cotogni, ma per esigenze di distribuzione di allievi, in seguito, venne affidato al Professore Enrico Rosati, venuto dal Conservatorio di Parma. Quei pochi mesi di studio, ma profondo studio accompagnati dal sottoscritto, bastarono al Cotogni per insegnare al suo allievo, quello che egli seppe sfoggiare nella sua lunga carriera: la mezza voce e il canto a fior di labbro, che doveva poi, nell'ugola di Gigli, commuovere gli uditori di tutto il mondo."


IL SEGRETO DI ANTONIO COTOGNI DEL "FORMARE MENTALMENTE" OGNI SUONO VOCALICO :

«Antonio Cotogni, admittedly Italy's greatest baritone of all time, and brilliant exponent of the old School, gave the author the following advice in 1907 when a student in Rome - advice which is correlated to and confirms Gigli's own statements, and practice, on this very subject: "Remember that always you must MENTALLY SHAPE EACH VOWEL and impart to it the right colour, timbre, and expression BEFORE actually producing it". And when, somewhat astounded and very much impressed (not having heard of such a thing before) I almost demurred: "What, always, and every vowels sound?" Cotogni answered: "Yes, every vowel and always, for as long as you are a singer and sing; the habit is soon acquired, and such thinking before doing becomes really quite an easy matter".»


[«Antonio Cotogni, certamente il più grande baritono italiano di tutti i tempi, e brillante esponente dell'antica Scuola, diede all'autore il seguente consiglio nel 1907 allora studente a Roma - che conferma le affermazioni e la pratica di Gigli su questo tema: "Ricorda che devi sempre FORMARE MENTALMENTE OGNI VOCALE e darle il giusto colore, timbro ed espressione PRIMA di produrla realmente". E quando alquanto stupefatto e molto impressionato (non avendo sentito parlare di una cosa del genere in precedenza) quasi esitavo: "Che cosa, sempre e ogni suono vocalico?" Cotogni rispondeva: "Sì, ogni vocale e sempre fin quando tu sei un cantante e canti; l'abitudine si acquisisce presto e questo pensare prima di fare diviene una cosa del tutto facile".»]

(da: Edgar Herbert-Caesari - "The Voice of the Mind", 1951)


Gigli : «Now as regards the formation of these vowels in relation to singing I must bring into sharp focus a highly important factor, viz: the absolute necessity for "mentally" conceiving beforehand the vowel sound and its colour or timbre, whether in pure or modified form, that one wishes, or is about, to produce. In other words, "every vowel sound must be mentally shaped and mentally given the requisite colour", according to circumstances, "before" being physically produced on a natural and spontaneous basis, fluid and untrammelled. Certain methods aim at a heavily emphasized vowel production solely on a physical basis and without any "mental" shaping and colouring beforehand. Which can only lead to grossly exaggerated forms with consequent stiffening, in degree, of the parts engaged in such production; the tonal product suffers accordingly. Any exaggeratedly emphasized vowel sound constricts the throat; and assuredly no tone issuing from a clamped adjustment and setting, however slight the
constriction, can ever be spontaneous, harmonious, and expressive, let alone beautiful.
Inversely, the very fact of "mentally" conceiving, and "mentally shaping" and colouring "each vowel sound" to be sung (in pure or modified form according to what one has to express) "before" producing it, induces simple and spontaneous (natural) movements of the parts concerned. "This is what I have always done myself, and this is what I advise every singer to do". And if he or she is not used to this mental work of preparation, not having been taught it, I would sincerely advise him to start right away to cultivate this vitally important habit. It merely demands concentrated vigilance over a certain period of time. With patient and persevering practice the thinking and doing merge as one, a flash split-second action.»

[«Ora per quanto riguarda la formazione di queste vocali in relazione al canto devo mettere in luce  un fattore estremamente importante, cioè: l'assoluta necessità di concepire "mentalmente" in anticipo il suono vocalico e il suo colore o timbro, in forma pura o modificata, che si voglia o si stia per produrre. In altre parole, "ogni suono vocalico dev'essere formato mentalmente e dotato mentalmente del colore richiesto", a seconda delle circostanze, "prima" d'essere fisicamente prodotto su base spontanea e naturale, e in maniera fluida e sciolta. Certi metodi mirano ad una produzione vocalica molto enfatizzata unicamente su base fisica e senza nessuna forma e colorazione "mentale" data anticipatamente. Cosa che può solamente condurre a forme grossolanamente esagerate con conseguente irrigidimento, nel grado, delle parti utilizzate in tale produzione; il prodotto tonale ne soffre di conseguenza. Qualsiasi suono vocalico esageratamente enfatizzato stringe la gola; e sicuramente un tono che scaturisce da una regolazione e impostazione bloccate, per quanto minima possa essere la costrizione, non potrà mai essere spontaneo, armonioso ed espressivo, figuriamoci se bello.
Al contrario, il fatto stesso di concepire "mentalmente", e "formare mentalmente" e colorare "ogni suono vocalico" da cantarsi (in forma pura o modificata a seconda di ciò che si deve esprimere) "prima" di produrlo, provoca movimenti semplici e spontanei (naturali) delle parti coinvolte. "Questo è ciò che io stesso ho sempre fatto e ciò che consiglio ad ogni cantante di fare". E se il cantante o la cantante non sono abituati a questo lavoro mentale di preparazione, non avendo ricevuto un tal insegnamento, vorrei sinceramente consigliargli di iniziare subito a coltivare questa abitudine di importanza vitale. Questa esige soltanto un'intensa attenzione vigile per un certo periodo di tempo. Con paziente e perseverante pratica, il pensiero e l'azione si fondono assieme, un atto istantaneo che avviene in una frazione di secondo.»]

(da : Introductory Lesson by Beniamino Gigli, London December 1946)

 
IL SEGRETO DI ANTONIO COTOGNI DEL "CHIARO-SCURO" NEL TONO VOCALE :

«The great Antonio Cotogni explained to me, in 1907, the subtle significance of "chiaro-scuro" (light-dark) in vocal tone. It conveys the idea of a clean, bright tone with a darkish rim round it, and vice versa, a darkish tone with a bright rim. It means a beautifully balanced tonal colouring of light and shade. The good singer is able to produce at will nuances of either type.»


[«Il grande Antonio Cotogni mi spiegò, nel 1907, il sottile significato del "chiaro-scuro" nel tono vocale. Dà l'idea di un tono pulito e chiaro con un contorno piuttosto scuro intorno a questo, e vice versa, un tono scuro con un contorno chiaro. Ciò significa una colorazione tonale di luce ed ombra meravigliosamente bilanciata. Il buon cantante è capace di produrre, a suo piacimento, sfumature di entrambi i tipi.»]

(da: Edgar Herbert-Caesari - "The Voice of the Mind", 1951)


Gigli : «For my part, I would not teach or recommend all tenors to produce certain of these openish tones. Every singer, whatever his category of voice, male or female, is in a sense a law unto himself in this respect because, in view of individual variations in structure and in the actual quality and degree of pliability and adaptability of the mobile parts concerned in the internal shaping, not all voices, indeed few do, lend themselves so readily to certain tonal nuances. Consequently, every singer must experiment on his own voice, preferably with the aid of a really knowledgeable teacher (alas, so few today), as to how much, or how little, he can "open" an AH, or OH, or EH vowel on an upper medium pitch, or on certain head notes, without degenerating into tonal blatancy, in which vulgarity is just round the corner.
This is absolutely an individual matter and can only be solved individually. There must be no slavish imitation of anybody at any time. Then again, the employment of these openish tones must be governed by and depend on the psychological moment, what emotion has to be expressed, and what the singer has to portray with may be only just one note. Here again the vowel and its colouring (modification) is the basis of and KEY to the situation, as in fact it is to every vocal situation. Let the student bear this highly important factor constantly in mind. A correctly balanced vocal mechanism teaches the singer himself to a fine point how much the tone may or may not be "opened", and just how much it should be "gathered up" (raccolto), or closed (rounded) to avoid blatancy.»

[«Da parte mia, non insegnerei o raccomanderei a tutti i tenori di produrre alcuni di questi toni aperti. Ogni cantante, a qualsiasi categoria egli appartenga, maschio o femmina, è in un certo senso una legge a sé stesso da questo punto di vista perché, considerando le variazioni individuali nella struttura e nella vera e propria qualità e grado di flessibilità ed adattabilità delle parti mobili coinvolte nella forma interna, non tutte le voci, anzi in poche vi riescono, si prestano così prontamente a certe sfumature di tono. Di conseguenza, ogni cantante deve sperimentare sulla propria voce, preferibilmente con l'aiuto di un insegnante veramente preparato (ahimè, così pochi oggigiorno), quanto o quanto poco egli possa "aprire" una vocale A, od O, od E su un'altezza di tono medio alta, o su talune note acute, senza degenerare nell'appariscenza sfacciata del tono, nel quale la volgarità è proprio dietro l'angolo.
Questa è una questione assolutamente personale e può essere risolta solo individualmente. Non ci dev'essere mai nessuna imitazione servile di nessuno. Poi ancora, l'impiego di questi toni aperti deve essere guidato e dipendere dal momento psicologico, quale emozione deve venire espressa, e che cosa deve rappresentare il cantante anche con una sola nota. Qui, la vocale e la sua colorazione (modificazione) è la base e la CHIAVE della situazione, come infatti lo è per tutte le situazioni vocali. Lo studente tenga costantemente a mente questo fattore estremamente importante. Un meccanismo vocale correttamente bilanciato insegna al cantante stesso fino a un buon punto, quanto il tono può o non può essere "aperto", e giusto quanto questo dovrebbe essere "concentrato" (raccolto), o chiuso (arrotondato) per evitare l'appariscenza sfacciata d'esso.»]

(da : Introductory Lesson by Beniamino Gigli, London December 1946 -->
https://belcantogigli.blogspot.com/2015/07/beniamino-gigli-spiega-la-tecnica.html )

18 giugno 1914, gita a Frascati - COTOGNI e GIGLI
 
La memoria tattile-visiva delle sensazioni sonore della Tetrazzini :

«Gigli potè usufruire dell'istruzione vocale impartitagli da Antonio Cotogni nel suo primo anno vitale di studio. Cotogni, riconosciuto come il più grande baritono italiano prima e dopo la sua epoca, fu anche un insegnante famoso e di successo–come lo sono ben pochi cantanti celebri. Questo eccellente prodotto della vecchia Scuola (...) riconobbe i suoni di Gigli per ciò che erano–semplicemente giusti.
Naturalmente Cotogni gli inculcò la somma importanza di "riconoscere" e "memorizzare" le sensazioni di questi suoni corretti che stava producendo, riconoscendoli per il loro valore, al fine di "poterli riprodurre quando e dove necessario".
N.B. Con ciò si intende, come parte importante dell'insegnamento nella vecchia Scuola, che il cantante debba "concentrarsi" sui propri suoni, le proprie sensazioni sonore, in particolare sulle altezze di suono medie e acute, e fare un vero e proprio sforzo mentale per ricordare la PERCEZIONE del focus del suono, in altre parole il SENSO TATTILE dell'APICE della colonna o fascio. E con questa concentrazione quotidiana, più in particolare sulle note medio-alte ed acute, lo scopo del cantante dev'essere quello di "memorizzare": (1) il punto d'impatto, (2) l'altezza, (3) la dimensione o larghezza, (4) l'esatto angolo o direzione, (5) la compattezza, (6) la luminosità, del fascio sonoro all'interno delle cavità risonanti sopra l'arco del palato.
Se il cantante nella pratica quotidiana focalizza la propria attenzione assoluta su questi sei fattori, che devono derivare dalla formazione corretta delle vocali, certamente scoprirà, col tempo, d'aver in effetti sviluppato (a) una "memoria tattile", e, successivamente, (b) una "memoria visiva". Con una lunga pratica assidua ciò diventa un automatismo mentale-fisico. Dopodiché è sufficiente che il cantante anticipi e "veda" con l'occhio interiore i suddetti sei fattori portati ad un punto focalizzato su una determinata nota e il macchinario vocale reagirà al pensiero multiplo e assemblerà ad una velocità fulminea le parti interessate alla produzione della nota "esattamente come concepita".
Tutti i grandi cantanti del passato, attraverso l'addestramento della vecchia Scuola, avevano sviluppato questa "memoria tattile-visiva" delle proprie sensazioni sonore e così, oltre ad altre considerazioni, erano in grado di mantenere le loro voci sempre sulla "retta via". (...)
A questo proposito, è interessante indicare, come test di prova, che la Tetrazzini cantò cento Do acuti in successione, e ogni volta le forme d'onda registrate graficamente si rivelarono identiche, il modello delle curve era assolutamente invariato. Da grande cantante quale era, la Tetrazzini aveva coltivato a lungo una memoria tattile-visiva di tutte le proprie sensazioni sonore ed era perciò in grado di riprodurre, a suo piacimento, esattamente la stessa qualità di suono quando e dove necessario. C'è forse da meravigliarsi del fatto che la sua voce fosse perfetta dopo cinquant'anni di canto?»

The tactile and visual memory of Tetrazzini's tonal sensations :

«Gigli had the advantage of vocal tuition under Antonio Cotogni for the first vital year. Cotogni, acknowledged to be the greatest of Italian baritones before and after his time, was also a famed and successful teacher–as very few celebrated singers are. This grand product of the old School (...) recognized the Gigli tones for what they were–just right.
Of course Cotogni impressed on him the utmost importance of "recognizing" and "memorizing" the sensations of these right tones he was producing, knowing them for what they were worth, in order "to be able to reproduce them when and where necessary".
N.B. By this is meant, as an important part of the teaching in the old School, that the singer must "concentrate" on his tones, his tonal sensations, particularly on the medium and high pitches, and make a real mental effort to remember the FEEL of the tonal focus, in other words the TOUCH of the TOP of the column or beam. And with this daily concentration, more particularly on the upper medium and high notes, his aim must be to "memorize": (1) the point of impingement, (2) the height, (3) size or width, (4) exact angle or direction, (5) compactness, (6) brightness, of the sound beam within the resonating cavities above the arc of the palate. If the singer in his daily practice focuses his undivided attention on these six factors, which must accrue from correct vowel formation, he will assuredly find, in time, that he has actually developed (a) "tactile memory", and, later, (b) "visual memory". With long assiduous practice it becomes a mental-physical automatism. Whereupon it is sufficient for the singer to anticipate and "see" with the inner eye the above six factors brought to a focused point on a given note, and the vocal machinery reacts to the multiple thought and assembles at lightning speed the parts concerned to produce the note "exactly as conceived".
All the great singers of the past had, through old School training, developed this "tactile-visual memory" of their own tonal sensations, and so, apart from other considerations, were able to keep their voices always on "the straight and narrow path". (...)
In this connection, it is interesting to relate that, as a test, Tetrazzini sang one hundred high C's in succession, and each time the graphically recorded wave-forms proved to be identical, the pattern of the curves being absolutely unvaried. Like the great singer she was, Tetrazzini had long cultivated tactile and visual memory of all her tonal sensations, and was thus able to reproduce at will exactly the same tonal quality when and where needed. Is it any wonder that her voice was unimpaired after fifty years of singing?»

[da: E. Herbert-Caesari (Diplomé, La Regia Accademia di Santa Cecilia, Rome), "Tradition and Gigli, 1600-1955, A Panegyric" - Robert Hale, 1958]



"I could lecture on singing non-stop for twenty-four hours and say nothing" − Dinh Gilly, the French baritone, who studied singing in Rome with Antonio Cotogni for four years.

(from: "Tradition and Gigli" by E. Herbert-Caesari - Robert Hale, 1958)



«Aprire certi suoni è dannoso per gli studi successivi che l'esordiente dovrà affrontare. Non colpi di glottide, ma legature, così... appoggiarsi.» (E ripete il passaggio vocale d'ottava, in FA, scivolando sul FA DIESIS con una facilità stupefacente, unica, la sua.)
«Per questo basta tenere la gola aperta. A Santa Cecilia, Cotogni mi diceva di far prendere alla gola la posizione dello sbadiglio, e, a settantadue anni, me lo insegnava come faccio io adesso.»
(E l' "appoggio coperto" di Gigli risuona ancora, ineguagliabile, nella sala.)

(dall'articolo di giornale, "Milano. Gigli, insegnaci a cantare" - Il Popolo d'Italia, 1 marzo 1938)



«Cotogni mi diceva: Allerta, eh! non caricate i centri (...) il tenore deve cantare nel centro, ma non può gonfiare il centro (...) innanzitutto il canto è alito vibrante, se questo alito, se questo fiato noi non lo mandiamo alla cassa armonica, non lo mandiamo agli armonici, e si canta di petto o si canta con l'addome, che succede? che la voce non trova la via d'uscita, mentre la voce deve essere tutta passata fin dal registro basso (...) Cotogni diceva: Attaccate gli acuti e poi scendete giù, con la stessa emissione dell'acuto scendete giù all'ottava bassa e voi troverete il punto d'appoggio»

(da: Intervista di Rodolfo Celletti a Giacomo Lauri-Volpi nel 1974 a Burjasot)



« il mio maestro Cotogni diceva: Figlio mio, canta nei centri, ma risolvi negli acuti, perché il centro è proprio dei baritoni, il registro basso è dei bassi, ma non indugiate, non ingrossate i centri perché aumentate il volume; IL VOLUME NELLE VOCI E' COME IL GRASSO NEI CORPI, NON E' MUSCOLO. E questo dogma cotognano io l'ho avuto sempre presente, e infatti non m'ha nociuto...e infatti forse sono una delle poche gole che non ha avuto noduli alle corde vocali »

Da un'intervista a Lauri-Volpi effettuata nel 1974 da Rodolfo Celletti, trasmessa dalla RAI nella trasmissione "Una vita per la musica"



Antonio Cotogni sull'importanza fondamentale del controllo del fiato nel canto lirico :

«Il mio ultimo insegnante fu il Maestro Ricci, Luigi Ricci. E da lui ho imparato le piccole, grandi cose. Sembra impossibile che una piccola cosa possa essere grande, ma era così. Egli rimase con Cotogni sino al momento della sua scomparsa, ed apprese così tanto da lui. Cotogni diceva sempre ai suoi studenti: "RAGAZZI, SAPER RESPIRARE E SAPER SOSTENERE, SI SA CANTARE"» !!!

«My last teacher was Maestro Ricci, Luigi Ricci. And from him I learned le piccole, grandi cose [the “little, big things”]. It seems impossible that a little thing could be big, but that's how it was. He was with Cotogni until the latter's death, and he took away much from him. Cotogni always said to his students, “RAGAZZI, SAPER RESPIRARE E SAPER SOSTENERE, SI SA CANTARE.”» [“Ragazzi, if you know how to breath and you know how to sustain, you know how to sing.”] !!!

(da un'intervista a Magda Olivero di Leonardo Ciampa, aprile 2006, riportata in: Leonardo Ciampa - "GIGLI" - Natick, MA, Arts Metrowest, 2014)


Magda Olivero su Cotogni e l'importanza di saper respirare e di sostenere con i muscoli addominali nel canto lirico

MAGDA OLIVERO : «Cotogni faceva scuola e Ricci era al pianoforte, quindi poi Ricci ha preso anche l'eredità proprio dal maestro, quindi ha assimilato tutte le lezioni di questo grande maestro e diceva Ragazzi, ricordatevi: "Saper respirare e saper sostenere, si sa cantare!". Sembra facile, eh!?! Però, quando si riesce, a farlo, si capisce appunto la bellezza anche di questa cosa, perché allora si canta senza il pensiero di dire: 'Uh, che fatica!' No, non è una fatica, perché i muscoli addominali sostengono il diaframma e il diaframma sostiene questa colonna di fiato che va e cammina, cammina, cammina, tranquillamente e non si fa fatica. Di Ricci io ho sempre un ricordo colmo di gratitudine, perché quello che ho imparato da Ricci non si dimentica.(...) Tanti dicono: 'Saper respirare e sostenere non è mica una cosa così difficile'. E invece è così difficile.»

da : Marcello Giordani and Magda Olivero: A Conversation About Opera (Part Two) Milano, Italy - June 2010


IL PALATO MOLLE NELL'EMISSIONE DELLE VOCALI "A" ED "O":
 
(...) quando per la prima volta [Luigi Ricci] mi ascoltò in "A te l'estremo addio", mi fece subito dopo fare dei vocalizzi sulle lettere "A" ed "O", chiedendomi di stare "più su". Era una richiesta (...) della quale non riuscivo a capire il senso. (...) Il (...) "tirare su" di cui Ricci mi parlava era infatti inconsapevolmente riferito proprio al palato molle. (...) la A e la O sfruttano (...) appieno la risonanza del cavo orale rimanendo in basso, cioè in bocca. E' necessario quindi sforzarsi di "sollevare" anche questi suoni a livello alto (...)
 
(da: Andrea Foresi - UNA VITA PER L'OPERA, Conversazioni con Sesto Bruscantini - Akademos, 1997)

Beniamino Gigli in concerto, accompagnato al pianoforte dal M° Luigi Ricci


La scuola vocale romana, da Cotogni a Lauri-Volpi !


Antonio Cotogni e Romano Nannetti, i più celebri esponenti della scuola romana di fine '800
 
«Il vero capostipite della Scuola Romana è senza dubbio Antonio Cotogni, nato a Roma l'1 agosto 1831, che fu artista di rara nobiltà e cantante forse mai più eguagliato. Baritono di stampo schiettamente romantico, seppe dare un'impronta romantica anche alla sua vita privata: dall'ardente partecipazione garibaldina alla difesa di Roma nel 1849 (e se ne ricorderà l'Eroe dei Due Mondi quando, qualche anno più tardi, andrà ad abbracciarlo nel suo camerino nel corso di alcune recite trionfali a Nizza) alla dedizione assoluta cui impronterà la sua estrema attività didattica.
Fu proprio Cotogni, con la dolcezza e levità di suono di cui lui solo era capace, a dare slancio all'emissione a fior di labbra. Il suo timbro vocale, nobile e vellutato, sapeva piegarsi alle inflessioni più dolci come agli impeti eroici ed agli accenti imperiosamente drammatici. Fu insomma il più compiuto tra i baritoni e fra le circa 160 opere da lui eseguite - record forse mai più eguagliato - emerse certamente la sua interpretazione del Marchese di Posa nel "Don Carlo" verdiano che entusiasmò e commosse lo stesso incontentabile Giuseppe Verdi.
Ospite assiduo dei teatri spagnoli, presente per ben ventitre stagioni a Londra e per ventisei a Mosca e Pietroburgo, Antonio Cotogni conobbe successi davvero leggendari. La sua voce, che si estendeva dal "la" grave fino al "si" acuto, affascinava e commuoveva per la capacità, che l'artista possedeva in somma misura, di nobilitare anche i personaggi più biechi e cupi. Era famoso per i suoni "a campana" "per cui la sua maschera vibrava simile a custodia di bronzo" (cfr. G.Lauri-Volpi - "Incontri e scontri" - Roma, 1971).
Personaggio assai popolare nella Roma della fine dell'Ottocento, "zi' Toto", come familiarmente tutti lo chiamavano, accettò la cattedra di canto al Liceo Musicale di Santa Cecilia nel 1902, dopo aver insegnato per ben quattro anni al Conservatorio di S. Pietroburgo. La sua scuola, fiorentissima, diede fama e gloria ad artisti illustri, tra i quali vanno ricordati Augusto Beuf, Enrico Nani, Luigi Rossi-Morelli, Umberto Di Lelio, Salvatore Persichetti, Mario Basiola, Mariano Stabile, Giacomo Lauri-Volpi. E baritoni di grande prestigio, come Carlo Galeffi e Benvenuto Franci, si valsero ampiamente dei suoi consigli e degli insegnamenti di questo grande cantante. Il quale come annota Lauri-Volpi "ha creato, inconsciamente, la dottrina metafisica del canto, studiato come ascoltazione e intenzione (...) se si vuole che il suono non cada nel gorgo delle mucosità tracheali e faringee, o s'arresti tra il collo e il palato, o si introduca in seni dove la risonanza esclude armonici fondamentali" (cfr. G.Lauri-Volpi - "Voci parallele" - terza ed. Bologna, 1977).
Ebbene, questa grande gloria del teatro musicale italiano e internazionale, che a settantatre anni, in un pubblico concerto, aveva esibito una vocalità ancora integra e salda, morì povero e dimenticato il 15 ottobre 1918. Una affrettata colletta tra i pochi amici ed ex-allievi dell'artista permise di dare degna sepoltura ad Antonio Cotogni, dato che per lui, che aveva portato la gloria del canto italiano nel mondo, non si mossero né lo stato italiano, né il Comune di Roma, né l'Accademia di Santa Cecilia, di cui egli era membro.
Ma Cotogni aveva gettato un seme che non poteva non dare i suoi frutti, primo fra tutti quel Mattia Battistini che, nato a Contigliano, in provincia di Rieti, il 27 febbraio 1857, fu, dopo il Maestro, il massimo baritono dell'Ottocento. (...)

Lauri-Volpi col suo maestro Cotogni
 
Giacomo Lauri-Volpi è nato a Lanuvio, sui Colli Albani, l'11 dicembre 1892. Avendo perduto assai presto entrambi i genitori, fu dapprima ospite di alcuni parenti di Ariccia - altro paese posto sui Colli presso Roma - e quindi, al compimento del decimo anno di età, fu fatto entrare al Seminario di Albano. Compiuti gli studi classici si iscrisse all'Università di Roma, nella Facoltà di Giurisprudenza, ove ebbe a docenti illustri personalità quali Enrico Ferri e Vittorio Emanuele Orlando. Nel frattempo, vinto dalla passione per l'arte lirica, frequentava la scuola di Antonio Cotogni presso il Liceo Musicale di Santa Cecilia.
La guerra interruppe gli studi del giovane Giacomo che si ritrovò così in prima linea, avendo modo di mettersi in luce e di meritare autorevoli riconoscimenti. La dura vita di trincea si concludeva ai primi dell'agosto 1918 con l'ingresso delle truppe italiane in Gorizia liberata. Per curiosa coincidenza, in tale occasione, Lauri-Volpi si trovò accanto il giovane Giuseppe Conca che diverrà poi per lunghi anni l'autorevole guida del coro del Teatro dell'Opera di Roma, del teatro cioè che ha visto, più di ogni altro, la costante presenza del tenore lanuvino.
Il 24 maggio 1919, ancora in divisa grigio-verde, Lauri-Volpi poté far conoscere per la prima volta i suoi mezzi vocali ad un personaggio di prima grandezza: infatti proprio in quel giorno ebbe luogo la sua audizione al Teatro Costanzi alla presenza di Emma Carelli. Nel settembre successivo l'artista esordiva al Teatro dell'unione di Viterbo nei "Puritani" di Bellini con l'augurale pseudonimo di Giacomo Rubini. Sùbito dopo si presentava sullo stesso palcoscenico nel "Rigoletto" assumendo per la prima volta il suo nome di battaglia, Lauri-Volpi, che diventerà leggendario. (...)
Interessa soprattutto sottolineare come egli abbia saputo impadronirsi della tradizione vocale romana e proiettarla, in maniera nuova ed originale, in una prospettiva strettamente legata al gusto ed alle esigenze estetiche del nostro tempo.
E' stato già rilevato in maniera esauriente il fatto, davvero sorprendente, che Lauri-Volpi, in un momento in cui il canto carusiano si espandeva con irresistibile invadenza, abbia sbarrato ogni concessione allo stile ed alla tecnica vocale verista. Quindi, il primo dato essenziale che caratterizza la vocalità volpiana è costituito da questa riproposta del più autentico stile romantico:
- CANTO SUL FIATO;
- RICORSO ALLE RISONANZE IN MASCHERA IN MODO DA RENDERE LEGGERI I CENTRI E SVETTANTI E SICURI GLI ACUTI;
- MORBIDEZZA DI EMISSIONE;
- DUTTILITA' DI FRASEGGIO;
- USO DELLA MEZZAVOCE.
Insomma, quello stile aulico, peraltro in lui non compassato né accademico, che proveniva al cantore romano dalla sua consuetudine con la gloriosa scuola di Antonio Cotogni. Si aggiungevano a ciò alcune doti naturali di assoluta eccezione: un timbro penetrante e di rara nobiltà; una sbalorditiva estensione di oltre tre ottave; una dizione nitidissima ed incisiva; un sapiente uso dei coloriti.
E' stato lo stesso Lauri-Volpi ad affermare: "...la spontaneità non è improvvisazione, il falsetto non è mezzavoce, l'acuto non è fine a sé stesso, la facilità non è sciattezza, lo scatto non è violenza, il patetico non è sentimentalismo, (...) la parola, non legata all'idea e al suono, si riduce a sillabazione scialba e insipida" (cfr. G.Lauri-Volpi - "Voci parallele" - terza ed. Bologna, 1977).
Proprio da questa precisa convinzione estetica e stilistica, così tenacemente e coerentemente perseguita per tutta la sua carriera ed oltre, nasce la singolare originalità del suo canto, del suo plastico fraseggio, di quelle sue solari accensioni, di quelle improvvise mezzevoci di un'intensità e di una carica poetica che, a mio parere, non ha possibilità di raffronto.»

(da: Pietro Caputo - Cotogni, Lauri Volpi e... Breve Storia della Scuola vocale romana, Bongiovanni, 1980)

Ecco l'emozionante ricordo di Lauri-Volpi, che cantò con Battistini nel 1920 (due allievi dello stesso maestro, ma di due generazioni diverse), nel quale viene sottolineata l'importanza del "cantare a fior di labbra":

<< A Trieste, nell'autunno 1920 - avevo un anno solo di carriera - dovevo presentarmi nel Rigoletto al pubblico del "Politeama Triestino", misurarmi col gigante, che riempiva del suo nome il continente, e del quale, fino da ragazzo avevo sentito dire mirabilia anche dai profani. (...) Battistini era là con la sua bella persona, chiusa in quel soprabito, con l'aria di un pastore protestante, e cantava: "Deh! non parlare al misero del suo perduto bene!", con voce piana, sorretta da continua, dosata pressione di fiato, che gli consentiva di modulare "a fior di labbra" le lievi tenere parole del rimpianto. Ecco - pensai - la scuola di Cotogni. Infatti, Battistini fu discepolo del Grande, e lo sostituì nel Don Pasquale, al teatro di Mosca, quando il maestro non potè più resistere all'inclemenza del clima e alla lunghezza di quella stagione lirica, dopo 25 anni di ritorni.
"Cantare a fior di labbra" è giudicato un'eresia dai vociferatori. Soltanto i canterini ne hanno capito il valore e si sono fatte statue d'oro, suscitando isterismi nel bel Paese telecanzonato. Ma il loro "fior di labbra" è solo apparente, non comporta la tensione interiore, la densità e intensità di suono, che consente alla voce di arrivare ad ogni orecchio. E', piuttosto, un "soffiare" che dà mirabili risultati per grazia e virtù di congegni trasmittenti. Tagliate il filo e vedrete boccheggiare l'infortunato, come un ranocchio fuori d'acqua.
Battistini cantava e mi rapiva. Toccava a me d'intervenire nel successivo duetto del "Duca" con "Gilda". E fu tale il mio stordimento che quel ""T'amo, ripetilo", detto a bruciapelo, poco mancò non si spezzasse in gola. Battistini mi sogguardò, curioso. Ma, al finale, si avvicinò lui al Duchino che si appartava, confuso e rosso in viso come un papavero, per rincuorarlo. "Siamo ambedue allievi dello stesso maestro, disse affabilmente, domani sera dobbiamo trionfare in nome di lui". >>
(da: G.Lauri-Volpi - "Incontri e scontri", 1971)

Dedica di Cotogni a Volpi - Roma, 1918
 
Lauri-Volpi: <<Cotogni ha creato, inconsciamente, la dottrina della "metafisica" del canto... "Figlio mio," supplicava, "l'Intenzione! Mi raccomando, l'Intenzione!>>

<<Quand'era vivo, si andava a Santa Cecilia ad ammirare quell'uomo che cantava brani famosi a piena voce, senza ripieghi e lenocini. A quell'età, ciò sembrava un miracolo di Dio, da lui glorificato con l'esempio di una longevità iperbolica, che altrove, fuori d'Italia, sarebbe stata magnificata come un fenomeno d'insigne vitalità, per l'onore della razza (...) Ma la sua voce non è morta, qualcosa in noi vibra che non può, né deve morire. Il suo canto scaturiva da una sorgente morale nella quale le nostre giovani anime non potevano non bagnarsi senza mondarsi. Dalle sue lezioni uscivamo tutti più ricchi di cognizioni e più nobili nei sentimenti. Allora c'era il culto degli uomini saggi (...). Lui non si stancava di ripeterci che l'arte è "sacerdozio", che "la messa si dice sull'altare e non in mezzo alla strada", che il canto esige rinunce sacrifici lavoro e studio indefessi. Molti gli credettero, in quei tempi. Ma oggi, chi gli darebbe retta? (...) Vedo ancora "Zi Toto" inseguire, con quegli occhi celesti aperti a dismisura, le immagini della sua mente quando una cosa non gli piaceva, una nota non gli "suonava", un'azione non corrispondeva alle sue convinzioni. Con il sorriso buono cercava d'inoculare il suo pensiero, modificare uno stato d'animo (...) Non era soltanto un artista. Si sentiva padre per vocazione ed elezione, lui che non aveva figli, lui nato in povertà e condannato in povertà a finire i suoi giorni (...) Non fu vittima del gioco e del vizio, ma in gran parte della sua estrema generosità verso i consanguinei, caduti in dissesto, che lo trassero alla tribolazione (...). L'improvvisa scomparsa del maestro mise in trambusto i miei sentimenti. Mi aveva aspettato per studiare - lo aveva scritto - "con tutta l'anima". E invece ero rimasto solo, senza guida, senza futuro. Avevo perduto l'unica persona al mondo che durante la guerra mi aveva sorretto con l'assiduità dei suoi scritti affettuosi e della sua fede. Mi sentivo doppiamente orfano. E tentai la sorte. La sera dell'esordio, la sua anima, non c'è dubbio, era accanto a me" - Aveva "posto a fondamento del suo metodo il principio della "intenzionalità": lo sforzo cioè di realizzare con la voce il suono ideale, tesa la mente verso l'oggetto da raggiungere. Cotogni ha creato, inconsciamente, la dottrina "metafisica" del canto, studiato come ascoltazione e intenzione, ossia come metodo per raggiungere l'oggetto. "Figlio mio," supplicava, "l'Intenzione! Mi raccomando l'Intenzione!", e così dicendo gli occhi cerulei si colmavano di tenerezza e balenavano di luce, quasi volessero illuminare il cervello dell'alunno che mostrava di non capire (...). Dire "a te, o cara, amor, talora, mi guidò, furtivo e in pianto", articolando parole e suoni, senza accompagnarli col vibrante moto dell'anima, era cosa, per lui, incomprensibile (...) Nel 1902, egli cantò a Santa Cecilia il duetto del "Don Giovanni" di Mozart: "Là ci darem la mano, là mi dirai di sì", insieme ad Adelina Patti, da poco divenuta moglie del terzo marito, uno svedese meno anziano di lei. Ambedue gli artisti erano prossimi alla settantina. Ma, mentre la Patti pargoleggiava, "Zi Toto" suonava a distesa la sua campana d'oro e di bronzo. Il tempo non aveva incrinato e neppur scalfito, la campana armoniosa. E l'autore di queste pagine, che lo ebbe maestro, lo ricorda, ottantenne, cantare la cavatina del "Barbiere di Siviglia", La figlia mia, quell'angelo" della "Linda", e "Ne andrem raminghi e poveri" della "Luisa Miller", in modo tale da sbalordire e commuovere i giovani discepoli. A quale altra potrebbe paragonarsi l'eletta voce di Antonio Cotogni? Essa resta isolata come una preghiera dell'anima ascetica in mezzo al deserto, in una notte colma di stelle>>

(Lauri-Volpi sul celebre baritono ottocentesco e suo maestro Antonio Cotogni, parte seconda - da "Incontri e scontri", ma prima su "Momento Sera", e da "Voci parallele", 1960)



COTOGNI E I SUOI ALLIEVI

(...) Dalla scuola privata e dal Liceo di Santa Cecilia, da questa illustrazione dell'arte, per quasi un ventennio, sono usciti allievi che hanno esercitato con decoro la professione e alcuni hanno raggiunto la celebrità. Dalla Russia venivano a lui diecine e diecine di allievi per lo studio del canto, l'interpretazione e il perfezionamento delle opere. Quando io andai nel 1912 io andai in Russia, nei Teatri Zimina e Imperiale di Mosca e nel Teatro Imperiale di Pietroburgo, la metà degli artisti che prendevano parte all'esecuzione delle opere, erano suoi allievi. Cotogni diceva sovente: " A perfezionare la voce umana occorrono due vite: 'Una per studiare, l'altra per cantare' ".

Parlare di tutti gli allievi di Cotogni? E' una parola! Ci vorrebbero pagine su pagine. Contentiamoci di elencare i più noti.

Jan De Reszke (tenore), Julian Biel (tenore), Luigi Ceccarelli (tenore), Aristodemo Giorgini (tenore), Enrico Nani (baritono);
Giuseppe Quinzi Tapergi, Leone Paci, Amleto Pollastri, Berardo Berardi, Adolfo Pacini.


Durante questi anni che Cotogni dedicò alla scuola di canto, numerosi artisti, e alcuni già ai fastigi della carriera, accorrevano a lui per consigli, e Cotogni con fraterna amicizia, a tutti elargiva gl'insegnamenti dell'arte sua.

Titta Ruffo (baritono), Riccardo Stracciari (baritono), Giuseppe De Luca (baritono), Carlo Galeffi (baritono);
Emilio Casolari, Ettore Bernabei, Guido Ciccolini, Paolo Argentini (basso);
Oddo Galetti, Mariano Stabile (baritono), Sigismondo Zalewski (baritono);
Valentino Giorda, Giacomo Eliseo, Gennaro Maria Curci (Il Curci si stabilì a New York quale maestro di canto. In una rivista musicale dell'anno 1925 si legge: "Curci, fratello della celebre Galli Curci, è l'apostolo del bel canto italiano. La sua fiorente scuola è il cenacolo dei più significativi elementi vocali").


E seguitiamo ancora:
Nicola Bavaro, Francesco Tumminello, Ezio Innocentini, Carmelo Cordone, Armando Gualtieri, Enzo Fusco, Domenico Caporello, Tito Verger, Luigi Pasinati, Ugo Donarelli, Salvatore Persichetti (baritono);
Dante Perrone, Luigi Lucenti, Giuseppe Buzzaccarini, Umberto Di Lelio.
 
 
Beniamino Gigli (tenore) :
Questi entrò nella scuola di Cotogni, ma per esigenze di distribuzione di allievi, in seguito, venne affidato al Professore Enrico Rosati, venuto dal Conservatorio di Parma. Quei pochi mesi di studio, ma profondo studio, bastarono al Cotogni per insegnare al suo allievo, quello che egli seppe sfoggiare nella sua lunga carriera: "La mezza voce e il canto a fior di labbro", che doveva poi, nell'ugola d'oro di Gigli, commuovere gli uditori di tutto il mondo.


Benvenuto Franci (baritono), Giacomo Lauri Volpi (tenore), Mario Basiola (baritono).


(...) Cotogni (...) lasciò in eredità un tesoro inestimabile: un numero stragrande di allievi che hanno tenuto e tengono, sino ai nostri giorni, alto il nome dell'Arte Italiana nel Mondo!

[tratto da: "Una scuola romana di canto", conferenza del maestro Luigi Ricci - Accademia Nazionale di Santa Cecilia - Sala dell'Accademia, 5 aprile 1957]


Targa, in memoria di Antonio Cotogni, posta a Roma (in Via dei Genovesi, 13)
 
Targa in memoria di Antonio Cotogni. Questa targa, situata in Via dei Genovesi, nel Rione Trastevere, ricorda il baritono Antonio Cotogni (Roma 1831-1918) ed è situata presso la casa in cui nacque. La targa, decorata con un bassorilievo, è stata posta da "i concittadini, gli amici, gli ammiratori", come leggiamo dalla lapide, cui si legge anche "auspice l'Unione Costituzionale di Trastevere". Non è però scritto l'anno in cui la lapide è stata posta.

"In questa casa nacque
ANTONIO COTOGNI
artista sublime del canto
e incomparabile maestro
che negli eccelsi splendori della fama
serbò le virtù generose
del popolo donde era uscito"

Antonio Cotogni assieme all'ultimo castrato della Cappella Sistina e della storia Alessandro Moreschi - 1. Alessandro Moreschi. Soprano - 2. Antonio Cotogni. Baritono - 3. Giovanni Cesari. Soprano (acuto) - 4. Maestro Filippo Mattoni. Contralto - 5. Gaetano Capocci. Baritono - 6. Salvatori Domenico. Contralto



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APPENDICE FOTOGRAFICA






Cotogni nel ruolo di Enrico nell'atto I della "Lucia di Lammermoor" a Madrid, 1862


Cotogni come Chevreuse nella "Maria di Rohan" di Donizetti


Conte di Rysoor in la "Patria" di Paladilhe




Antonio Cotogni nel ruolo di Don Carlo - Opera Imperiale Italiana, San Pietroburgo, 1873


All'amico Galvani, 1883

Cotogni nel ruolo di Vindex del "Nerone" di Rubinstein. Pietroburgo, 1883
















(Si ringraziano in particolare Pippo Martelli e Nick Scholl, per l'arricchimento dell'Appendice fotografica)

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