giovedì 25 dicembre 2014

Le 12 Lezioni di Canto di Rubini

Cari lettori e amici, Belcanto Italiano ® vi offre per queste festività natalizie, il fascicolo musicale di Giovanni Battista Rubini: le "12 lezioni di canto moderno per tenore o soprano"  (1839).
Il fascicolo può essere scaricato direttamente da questo link: http://www.belcantoitaliano.com/BELCANTO_LIBRARY_FILES/Rubini_Lezioni_di_Canto.htm
Il Tenore Giovanni Battista Rubini
L'8 aprile 1839 usciva, come riportato su "Teatri, arti e letteratura", Tomo 31 pubblicato a Bologna in quell'anno, questo AVVISO MUSICALE che si apriva con queste parole:

<<Annunziamo agli amatori del bel canto italiano che si pubblicheranno per associazione il giorno 20 giugno pross. vent. "Dodici lezioni di canto moderno per voce di tenore e soprano" composte dall'insigne artista GIO. BATT. RUBINI.
Questo nome è il più sicuro garante del merito di tale opera e ci esime dal cercar parole per raccomandarla.>> E poi prosegue: <<RUBINI, avendo, a quel che dicono, fiso nell'animo di lasciar il Teatro prima che il Teatro lo abbandoni, pensa di provvedere stabilmente alla propria fama lasciando un monumento della profonda sua scienza.>>

Teatri, arti e letteratura, tomo 31 - Avviso musicale Rubini 1839

Rubini fu uno dei più famosi tenori della prima metà dell’800. Bellini scrisse per lui la parte di Gualtiero nel ‘Pirata’ e Donizetti quella del re nell’ ‘Anna Bolena’, conosciuto come ‘il re de tenori’ raggiunse il culmine della fama a Parigi con ‘I Puritani’. Tenore di grande raffinatezza fu particolarmente ammirato per le sue note acute (sino al sol sovracuto). La sua carriera durò ben 30 anni, dal 1815 al 1845!!!

Rubini é Gualtiero ne "IL PIRATA" di Bellini (ottobre 1827)

Il tenore Rubini e la moglie nell'Opera "Il Pirata" di Bellini, data a Bologna nel 1830

Nel 1871 Enrico Panofka, che aveva udito la voce di Rubini dal vivo, così la descriveva: 
"La voce di Rubini era, ad una volta, d’una maschia possanza, meno per l’intensità del suono, che pel suo metallo vibrato, della più nobile lega, e d’una rara flessibilità, al pari d’un soprano leggiero: cosicché egli arrivava alle più alte note del soprano sfogato con una sicurezza ed una purezza d’intonazione così meravigliose, che si sarebbe tentato di crederlo un castrato. Rubini teneva, ad un tempo, del tenore di forza e del tenore leggiero: e cantava in modo impareggiabile ed ugualmente bene, la parte di Otello e la parte d’Almaviva, di Pollione e d’Arturo, d’Elvino e Don Ottavio.

Il tenore Giovanni Battista Rubini nella parte di Arturo nei ''Puritani'' di Bellini,
disegno di Chalon del 1836

Così l’opera ebbe con Rubini una nuova era per tenori; e poiché egli apparteneva agli uomini di genio, così, non solamente egli non formò scuola, ma ispirò per giunta il suo compositore di predilezione a scrivere particolarmente di lui; dond’è venuto che le ultime Opere di Bellini son quasi scomparse dal repertorio. L’aria che dà la più giusta idea dell’immensa esecuzione di Rubini, era l’aria della Niobe di Pacini.
Uno de rari meriti di questo cantante consisteva nel potere cantare pianissimo, e far già così un grande effetto; di servirsi del primo registro ( volgarmente e falsamente chiamato di petto ) fino al sol solamente, e d’avere unito il primo al secondo registro in modo, da potere, senz’ombra di sforzo, emettere collo stesso vigore il si b, il si e il do. Così il suo do non è mai stato chiamato do di petto; ma era più bello, più luminoso, più potente che la nota forzata dei tenori del do. I quali non si possono abbastanza biasimare, perché hanno ucciso l’arte del canto e un buono numero di poveri giovani, i quali avrebbero potuto essere utili ai teatri; senza la mania di cercare, prima di tutto, il do per ispaccarsi il petto." (E. Panofka, Voci e cantanti, Firenze, 1871, pag. 97-98)

Ecco alcune note tecnico-stilistiche, sulla voce del celeberrimo tenore Rubini:

<< Giovanni Battista Rubini  [Romano di Lombardia (Bergamo) 7 Aprile 1794 – 3 Marzo 1854]

Rubini va considerato come il più grande tenore dell'800 e forse dell'intera storia dell'opera. Su Rubini ci sono rimaste molte indicazioni e notizie di cronisti e musicografi del tempo. Come ormai d'abitudine cercheremo di mettere in evidenza le capacità vocali e interpretative del cantante, visto che poi è quello che a noi deve interessare maggiormente.
Il timbro è descritto unanimemente come eccezionalmente puro, soave e toccante.

La prima ottava (mi2 b mi3 b) era meno sonora e brillante del resto della voce e presentava una lievissima velatura, ciò che però accentuava la dolcezza dell'impasto. Agli inizi fu esclusivamente un tenore di grazia molto agile e dalla voce chiara e leggera. Questo fino all'anno 1825. Dagli anni immediatamente successivi, timbro, colore e intensità cominciarono ad acquistare rotondità e vibrazioni tali che in taluni momenti, potevano far pensare ad un tenore di forza. Il tratto mi3-si3 era poi brillantissimo e di squillo eccezionale.

Dopo il si3 Rubini adottava la tecnica detta di falsettone o "di testa" emettendo suoni penetranti e luminosissimi che, secondo l'autorevole opinione del Panofka, rendevano il suo do4 altrettanto sonoro di quello emesso "di petto" da altri tenori. In falsettone Rubini arrivava al fa4, nota di eccezionale altezza anche per quel tipo di fonazione, e in alcune occasioni toccò addirittura il sol4 (Sonnambula a Parigi nel 1825). Sotto questo profilo R. fu un classico tenore contraltino, in grado di sostenere le tessiture acutissime di Rossini, di Donizetti (Percy nella Bolena, parte scritta per lui) e di Bellini (primo interprete di Bianca e Fernando, Pirata, Sonnambula e Puritani) che lo spinse ad altezze veramente astrali.

La grande tecnica e il portentoso controllo dei fiati gli assicurarono un 'intonazione impeccabile e la capacità di non forzare mai il suono in nessuna zona della gamma. Altre sue spiccatissime doti furono la flessibilità e la capacità virtuosistica.

Nel repertorio rossiniano fu, sotto questo punto di vista l'erede di Giovanni David. La vocalizzazione era rapida, precisa e scintillante, e le variazioni e le ornamentazioni erano eseguite impeccabilmente. Vantò inoltre un trillo granitico e sonoro ed a livello di improvvisazione fu meno estroso ma più misurato di David.

La flessibilità del suono lo portò a effetti di piani e pianissimi e repentini contrasti dinamici dei quali a volte abusava, ma il pubblico se ne deliziava. In ogni caso, l'effetto complessivo del canto rubiniano era di una dolcezza nuova, perché da nessun tenore prima di lui si era udito nulla di simile, né come emissione che come espressione. C'è da sottolineare che nel primo ventennio dell'ottocento erano vivissimi il ricordo e la nostalgia dei castrati, fino a poco prima ritenuti insostituibili nelle parti di amoroso, sia per il virtuosismo, sia per le capacità espressive nel genere elegiaco, sia per l'unicità timbrica e lo stile. Rubini ricordava per la purezza del canto, specie nelle acutissime tessiture questo tipo di vocalità, associandole però alle vibrazioni intense della voce maschile.

Fu dunque il fascino di questo inedito tipo di cantante a far sì che il tenore divenisse la voce amorosa per definizione e l'incarnazione dell'eroe romantico. Rubini fu dunque un innovatore nel senso più ampio del termine ed il vero iniziatore di una dinastia vocale alla quale dopo di lui appartennero Mario, Moriani, Angelo Masini, per arrivare a Bonci e per alcuni aspetti fino a Kraus. Tenori il cui canto estatico e malinconico, alternato a slanci squillanti, simboleggiò gli aspetti più caratteristici della sensibilità romantica, l'amore casto e idealizzato ed i valori morali della giovinezza. >>

Rubini - 12 lezioni di canto (prima pagina) - ediz. Schirmer, 1906

Analizziamo ora brevemente, come visione panoramica introduttiva, l'impostazione di queste 12 "lezioni" di canto del Rubini, originalmente pubblicate a Milano dall'editore F. Lucca nel 1839 e in seguito da Ricordi nel 1840 ed altri ancora, accompagnate dall'indicazione "composte dall'esimio virtuoso di canto G. B. Rubini":

1. Nel primo esercizio vocale, o vocalizzo, Rubini inizia intelligentemente, in tempo Andante, con i semitoni a note lunghe con "messa di voce" per continuare poi con intervalli anche più ampi, in "legato", che servano a imparare a collegare l'area media della voce con il registro di testa. [L'ambito dell'esercizio, di un'ottava e mezzo, va dal RE sopra al Do centrale sino al LA acuto]

2. Nel secondo vocalizzo egli comincia subito a introdurre lo studio di brillanti agilità di terzine, giocando sempre molto sull'ammorbidimento vocale dei semitoni, alternando "piano" a "forte", agilità di terzine in certi punti ancora più difficili di quelle rossiniane!
[L'ambito dell'esercizio, di circa un'ottava e mezzo, va dal RE sopra al Do centrale sino al SI bemolle acuto]

3. Nel terzo esercizio vocale, in tempo Andantino, vengono prese in considerazione, alternandole, le appoggiature e le acciaccature, sempre prediligendo il "legato" e l'attacco del suono con "messa di voce", immettendo ogni tanto fra le crome delle colorature di semicrome. Viene richiesto al cantante di cantare alternando il "forte" al "piano" e "pianissimo" e alcune riduzioni vocali. Notare inoltre la fondamentale indicazione iniziale, segnata per questo vocalizzo: "Portando la voce"!
[L'ambito dell'esercizio, di oltre un'ottava e mezzo, va dal SI sotto al Do centrale sino al SOL acuto]

4. Il quarto vocalizzo, in tempo Allegro agitato, serve a studiare la realizzazione di note accentate in ritmo sincopato, sempre nella morbidezza vocale del canto "legato", sia in sequenze di gradi congiunti che di arpeggi ed arpeggi spezzati procedenti dalla zona bassa sino all'acuta, modulando la voce dal "pianissimo" al "forte".
[L'ambito dell'esercizio, di più di un'ottava e mezzo, va dal DO centrale sino al LA acuto]

5. Il quinto vocalizzo, in tempo Adagio, si incentra sull'esercizio pratico del gruppetto (di tre-quattro note) e del mordente (di due note) con esecuzione leggera ed elegante, dalla dinamica di "pianissimo" a quella di "fortissimo".
[L'ambito dell'esercizio, di circa un'ottava e mezzo, va dal RE diesis sopra al Do centrale sino al LA acuto]

6. La sesta "lezione", in tempo Allegro giusto, è una preparazione alla Roulade [1] da eseguirsi con vigore e decisione, alternando volatine di quartine di semicrome semi-staccate ad altre legate, in "pianissimo", "piano", "fp", sino al "forte".
[L'ambito dell'esercizio, di quasi due ottave, va dal DO centrale sino al SI bemolle acuto]

7. Nel settimo vocalizzo egli trova un'intelligente soluzione progressiva per studiare il trillo. L'esercizio, in tempo Moderato, da eseguirsi con leggerezza e grazia, va ripetuto, accelerandone gradualmente l'andamento, e passa dal "pianissimo" al "forte", sia lavorando all'affinamento del trillo nella zona media della voce che in quella acuta.
[L'ambito dell'esercizio, di circa un'ottava e mezzo, va dal FA sopra al Do centrale sino al SI bemolle acuto]

8. Nell'ottavo vocalizzo, in tempo Allegro maestoso, da eseguirsi "forte e ben accentato", egli unisce la "messa di voce", su nota lunga, alle "roulades", volatine di quartine veloci, diatoniche e cromatiche, legate o leggermente staccate, su una stessa sillaba. [1]
[L'ambito dell'esercizio, di quasi due ottave, va dal DO diesis sopra al Do centrale sino al SI acuto]

9. Nella nona "lezione" egli affronta l'importante tema della gestione delle CADENZE, offrendo una serie di esempi di cadenze finali con le colorature, ben sette tipologie-modello diverse (semplice, doppia o tripla), alcune da cantarsi "con forza" ed altre invece "con grazia" e "leggerezza". Nelle indicazioni esecutive viene ricordato che è di fondamentale importanza che la cadenza e gli abbellimenti scelti in essa siano in accordo con il carattere del pezzo, e che il cantante economizzi il fiato il più possibile, in modo che la cadenza sia fatta con tutta la necessaria solidità ed intensità.
[L'ambito complessivo di questi sette modelli cadenzali, che è di più di due ottave, va dal DO centrale sino al RE sovracuto]

10. Nella decima "lezione" rubiniana, accompagnata dall'indicazione "Sostenuto", che si apre sulle parole "Ella riposa... Alcuni istanti almeno", abbiamo lo studio del Recitativo (accompagnato), da eseguirsi in modo "marcato e ben accentato".
[L'ambito vocale, di circa un'ottava e mezzo, va dal RE sopra al Do centrale sino al LA bemolle acuto]

11. L'undicesima "lezione", in tempo Andante basato sul ritmo di Barcarola in 6/8, che s'avvia sulle parole "Forse, ah forse in suo pensier", è un espressivo Cantabile da cantarsi "a mezza voce"; qui prevalgono, nel dolce "legato" infarcito da qualche momento di coloratura in semicrome, le sonorità di "piano" e verso la fine di "pianissimo"!
[L'ambito vocale, di oltre un'ottava e mezzo, va dal FA sopra al Do centrale sino al RE bemolle sovracuto]

12. La dodicesima ed ultima "lezione" di Rubini, in tempo Allegro giusto, che esordisce con le parole "Moriamo, e amanti spiriti", è un'animata Cabaletta (con sporadici passaggi di coloratura e serie di trilli) da cantarsi "a piena voce" su un baldo ritmo francese di marcia, accompagnata dall'indicazione: "Deciso". Qui per il tipo di carattere conclusivo quasi trionfale prevale, senza dimenticare alcuni momenti in "piano", la sonorità di "forte" e anche di "fortissimo". La cabaletta, com'era consuetudine, viene ripetuta due volte, inframmezzato da un breve momento marcato "Più mosso", perciò chiaramente si dà per scontato che la seconda volta, nel "da capo" (Tempo I), venisse eseguita dal Rubini con l'aggiunta estemporanea di personali ornamentazioni e variazioni.
[L'ambito vocale, di oltre due ottave, è il più esteso di queste dodici lezioni rubiniane e va dal MI bemolle sopra al Do centrale sino a raggiungere il FA sovracuto!!!]

G.B. Rubini - Figurino di Giacomo Pregliasco per il ruolo di Licida nell'opera "Niobe" di Giovanni Pacini - San Carlo - Napoli, 19 novembre 1826

Le ultime tre "lezioni" rubiniane, quindi, come si può notare, corrispondono di fatto ad un'intera scena lirica su parole del grande librettista Felice Romani, nelle classiche sezioni, tipicamente usate nelle opere belcantistiche, della forma multipartita, nota come "solita forma", termine più tardi codificato dal Basevi nel 1859: Recitativo (in Mi bemolle maggiore, concludendo su un accordo coronato sospeso di mi bemolle con la settima che fa da dominante del successivo La bemolle maggiore) - Adagio, o Cantabile (in La bemolle maggiore) - Cabaletta (sempre in La bemolle maggiore). Il testo è tratto dall'Opera "Il Romito della Provenza" (Scena VII - Atto II) data alla Scala di Milano nel 1831.

G.B. Rubini - Figurino di Felice Cerrone per il ruolo di Gianni nell'opera "Gianni di Calais" di Gaetano Donizetti - San Carlo - Napoli, 30 novembre 1828

[1] "Roulade" (gorgheggio) descritto così dal musicologo Arnaldo Bonaventura nell'Enciclopedia Italiana Treccani del 1933:
Rapido passaggio di suoni eseguito dalla voce sopra una stessa sillaba. Richiede grande flessibilità delle corde vocali e una sicura agilità. I compositori se ne sono valsi, sia per abbellire la melodia, sia per evitare che i cantanti ne introducessero ad arbitrio, allo scopo di far valere la propria voce e di mostrare la propria abilità.

Può essere in certi casi un efficace ornamento del canto, purché usato a tempo e luogo e con parsimonia; purché, soprattutto, non nuoccia al testo poetico e non sia in contrasto col significato e col sentimento delle parole. Onde potrà meglio applicarsi quando le parole esprimano brio o gioia che non quando esprimano passione, angoscia, furore. Tuttavia anche il gorgheggio poté talvolta assurgere a potenza drammatica, come nel passo "Ah non tremare, o perfido" della NORMA di Vincenzo Bellini.

Rubini con Giuditta Pasta ne "La Sonnambula" di Bellini

Ecco infine alcuni esempi di vocalità dai ruoli belliniani cantati da Rubini, magistralmente interpretati da 3 Tenori storici del Novecento: Gigli, Lauri-Volpi e Kraus!

Un cordiale saluto a tutti i nostri lettori Belcantisti! - Mattia Peli







Vi aspettiamo dal 6 al 21 marzo 2016 per un fantastico appuntamento dedicato all'Opera Italiana nelle terre di Beniamino Gigli.

Si selezionano:
- 10 Cantanti e 2 Pianisti (partecipanti effettivi)
- 5 Uditori (Cantanti o Pianisti)
per un laboratorio tecnico, stilistico e interpretativo su Lucia di Lammermoor, La Traviata, La Bohème.

Il corso, della durata di 16 giorni, si articolerà nello studio approfondito di Arie e Scene d'insieme, sia dal punto di vista tecnico e interpretativo che della prassi esecutiva e scenica.


Il laboratorio si svolgerà a Recanati nei locali del Centro Internazionale di Studi per il Belcanto Italiano "Beniamino e Rina Gigli", al Teatro Persiani, nell'Aula Magna del Comune con il Pianoforte di Beniamino Gigli e al Teatro "La Rondinella di Montefano.

E' possibile scaricare il bando di partecipazione da questo link: 

Gli Allievi saranno sempre in costantemente guidati dai Docenti del Corso, il M° Astrea Amaduzzi, Soprano Lirico di Coloratura, Docente di Tecnica Vocale ed esperta nella prassi esecutiva Belcantistica, e dal Maestro Mattia Peli, Direttore d'orchestra, Pianista e Compositore.
Pierluca Trucchia, Presidente dell'Associazione "Beniamino Gigli" di Recanati guiderà invece i partecipanti alla scoperta dei luoghi gigliani e curerà una visita al Museo Gigli di Recanati.

  
 A insindacabile giudizio dei Docenti, a fine corso, gli Allievi ritenuti idonei parteciperanno all'allestimento dell'Opera "La Traviata" di Giuseppe Verdi e i migliori saranno scritturati per un grande Concerto Internazionale estivo retribuito dedicato al Belcanto Italiano.

A ciascun Allievo effettivo sarà chiesta un contributo di partecipazione di 22 Euro giornalieri.


L'intero ricavato sarà devoluto all'Associazione Gigli per l'organizzazione delle numerose iniziative Culturali in collaborazione con il CISBI, Centro internazionale di Studi per il Belcanto Italiano. 



tel. (+39) 347 58 53 253

(+39) 3475853253
Contatto WhatsApp di Belcanto Italiano:
(+39) 347 58 53 253

martedì 16 dicembre 2014

L'insegnamento del Canto Lirico da Maestro ad Allievo

Cari lettori, il nostro appassionante viaggio nel mondo del Belcanto prosegue  oggi mettendo un attimo in disparte le seppur utili "scienze esatte" della foniatria e dei libri, (i trattati nascono per tentare di frenare la progressiva e lenta decadenza del Canto) prendendo in considerazione autorevoli testimonianze dirette di grandi Cantanti che ci hanno preceduto.

Analizziamo quanto dicono il Falsettista Domenico Mancini e il Tenore Franco Corelli, e cioè che il Canto si impara ESCLUSIVAMENTE per trasmissione orale da Maestro ad Allievo.
L'Allievo canta una frase vocale, l'insegnante la ripete correggendola e l'Allievo nuovamente la esegue finché non è esatta.

1 - DOMENICO MANCINI: "IL CANTO SI FA PER IMITAZIONE" - Testimonianza del falsettista Domenico Mancini (Civita Castellana, 1891 - Roma, 1984), rilasciata in una intervista registrata negli anni '50:


Ecco il punto chiave di quanto dice il Falsettista Domenico Mancini nell'intervista:  "Moreschi… mi ascoltò e mi cominciò a dare delle lezioni, ma erano delle lezioni superlative, era sempre lui che cantava, io dovevo imitarlo, perché il canto come tutte le cose, come tutti i mestieri, si fa per imitazione. Era una cosa meravigliosa, io ero incantato dalla sua bellissima voce, e cercavo di imitarlo come ragazzo, avendo una gran passione per il canto." (...) ... "La tecnica...la tecnica è la stessa perché io dovevo imitare Moreschi, lo dovevo imitare, in tutto, come lui faceva, la sua scuola era quella."

Mancini, che intervistato diceva ci volesse l'espansivo ambiente acustico di San Pietro per conoscere bene la voce del castrato e l'effetto che faceva, descrive la voce del suo maestro così: 

"Quella del Moreschi era una voce di soprano, di vero soprano, che si differenzia da tutte le altre in quanto voce naturale che canta tutto di petto, poi quando va in acuto prende la voce di testa, e allora si sente il cambiamento della voce dal petto a quella della testa, è come se fosse un tenore che dal mi bemolle passa alla testa. La tecnica era quella dei cantanti dell’epoca d’oro."

Il Coro della Cappella Sistina nel 1904, diretto dal Castrato Domenico Mustafà (ultima fila, 5° da destra) e Alessandro Moreschi (fila centrale, 4° da destra)

2 - FRANCO CORELLI: "Si iniziava così, io facevo una frase o un vocalizzo, lui immediatamente la riprendeva, e mi diceva: "guarda, noi non ci fermiamo mai, cioè, fino a che io non mi fermerò tu la dovrai rifare, perché solo allora in questa maniera tu capirai che la nota, il vocalizzo o la frase va bene"; e allora era un vocalizzo dietro l'altro, una frase dietro l'altra..."




BREVE BIOGRAFIA DEL FALSETTISTA DOMENICO MANCINI:

Domenico Mancini fu allievo del celebre castrato romano Alessandro Moreschi (1858-1922), soprannominato "l'angelo del Vaticano", fu poi falsettista della Sistina (1939-1959) ed anche professore d'orchestra (come contrabbassista) nelle orchestre romane del teatro dell'Opera di Roma, del Teatro Augusteo e dell'Orchestra di Santa Cecilia.

La preparazione con Moreschi, iniziata nel novembre del 1904, gli permette l'ammissione alla Schola Cantorum di San Salvatore in Lauro a Roma, scuola dove hanno avuto la prima formazione musicale tanti celebri cantanti e maestri, fra i quali si annoverano il baritono Giuseppe De Luca, il basso Nazzareno de Angelis, il basso buffo Salvatore Baccaloni, il compositore Goffredo Petrassi, il compositore e direttore d'orchestra Bonaventura Somma, con il quale fu legato da una lunga amicizia.

Nel 1907 viene ammesso al Liceo Musicale dell'Accademia di Santa Cecilia, dove si diploma nel 1913 in contrabbasso.
Nel 1919 prende parte, insieme al coro delle Basiliche Romane, diretto dal Maestro Mons. Raffaele Casimiri ad una tournee negli Stati Uniti e in Canada. Sempre con lo stesso maestro partecipa a concerti in Francia, Belgio, Olanda e Svizzera. Con il Maestro Mons. Lorenzo Perosi partecipa nei primi anni Venti a diversi concerti tenuti in tutta Italia.

Nel 1922 è nel coro della Cappella Giulia in Vaticano chiamato dal Maestro Boezi che lo sceglie per rimpiazzare il posto di Moreschi come solista soprano - falsettista. Nel 1935 quando Mons. Lorenzo Perosi ottiene il ripristino del Coro della Cappella Sistina, il suo nome è il primo nella lista dei cantori presentata per l'approvazione della Santa sede.
Per un cinquantennio, prende parte come solista a tutte le più importanti cerimonie liturgiche della capitale, con i maestri Boezi, Renzi, Perosi, Cometi, Casimiri, Refice, Antonelli e Somma. Ha legami con quasi tutto il mondo musicale romano dell'epoca!

Ritornando al suo maestro di canto, chiamare come è stato fatto Moreschi "l'ultimo castrato" non è esatto. L'ultimo castrato solista della Sistina, sì, ma nel coro di quell'epoca c'erano altri sei castrati, molti di cui cantavano durante le sedute di 1902 e 1904: Giovanni Cesari (1843-1904), Gustavo Pesci (1833-1913), Giuseppe Ritarossi (1841-1902), Domenico Salvatori (1859-1909), Vincenzo Sebastianelli (1851-1919), e Giosafat Vissani (1841-1904). Dopo il "motu proprio" di Pio X del novembre 1903, quelli che c'erano ancora nel coro erano tenuti ad esaurimento e maturazione della pensione ma cantavano sempre meno.





Fotografia di Mascagni firmata "Al carissimo Prof. Alessandro Moreschi con stima e affetto, Roma 1898"
Il Tenore Franco Corelli (a sinistra) con il Tenore Giacomo Lauri-Volpi al pianoforte