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venerdì 6 settembre 2024

Opera italiana e francese a confronto, secondo Ch. de Brosses (1739-40): voce di testa e di petto, filati, sfumature e chiaroscuro


L'OPERA ITALIANA, A CONFRONTO CON QUELLA FRANCESE, NEL 1739-40:

L'opera italiana è molto differente da quella francese, sia per la scelta dei soggetti, sia per la costruzione della favola, sia per il numero e la specie degli attori, come pure il modo di metterli insieme. Non è, come da noi [in Francia], una serie di ruoli fissi, scritturati per opere analoghe che vengano rinnovati quando sia il caso. Qui [in Italia] l'impresario che vuol mettere su un'opera per un inverno, ottiene il permesso del governatore, prende in affitto un teatro, scrittura da diverse parti voci e strumenti, contratta con gli operai e lo scenografo, e finisce spesso per far bancarotta come i nostri direttori di compagnie di provincia. Per maggiore sicurezza, gli operai si fanno assegnare in pagamento dei palchi, che poi affittano per conto loro.
In ciascun teatro si eseguono due opere ogni inverno, a volte tre; sicché facciamo il conto di vederne circa otto nel corso del nostro soggiorno [in Italia]. Ogni anno sono opere nuove e nuovi cantanti. Non si vuol rivedere né un'opera, né un balletto, né una scena, né un attore che sia stato visto già l'anno prima, a meno che non si tratti di qualche eccellente opera di Vinci, o qualche voce famosissima. Quando il celebre Senesino apparve a Napoli l'autunno scorso, tutti gridarono: "Che è questo? È un attore che abbiamo già visto, canterà al vecchio modo". Egli ha la voce un po' fievole, ma a mio giudizio è quanto ho udito di meglio per lo stile del canto. (...)

Vi ho detto che in Italia ignorano cosa significhi riprodurre o stampare qualunque musica, sia vocale sia strumentale. Ne avrebbero da fare troppe; i concerti, le sinfonie per grande coro piovono da ogni parte. Per quanto riguarda le voci, il loro numero è limitato; l'opera italiana si compone, di regola, soltanto di una mezza dozzina di personaggi, senza tutto quell'apparato di cori, di feste cantate e di danze che si incontra nelle nostre [in Francia].
Qui invece [in Italia] è più numerosa e variata l'orchestra; ma gli strumenti non sono né vari né preziosi, mentre le belle voci si pagano un prezzo esorbitante, oltre quello che bisogna sborsare per farle venire anche da molto lontano. I signori castrati sono zerbinotti graziosissimi, pieni di albagia, i quali i loro affari non li hanno dati via per nulla.
In un'opera [in Italia] ci sono tre o quattro voci di "soprano" e un "contralto", maschi o femmine, oltre ad un "tenore" per le parti di re. Le voci di basso non si usano; sono rare e poco apprezzate. Se ne servono solo nelle farse; dove il ruolo del comico è di regola sostenuto da un basso.
I tre generi di voce citati sono più alti di una terza o di una quarta di quelli che si trovano tra noi [in Francia]. I contralto [in Italia] sono rari e molto apprezzati; arrivano fino al 'si-mi' e sono di un genere diverso dai nostri [in Francia]. Non vi è genere di voce nota in Francia, che potrebbe riprodurre il loro modo di cantare. Sono voci di donna, in tono da mezzosoprano, però più basso di qualunque dei nostri [in Francia]; essi cantano, non già nell'ottava superiore propria delle donne, ma all'unisono con gli uomini.

A volte la voce dei castrati subisce la muta, ossia si abbassa nell'invecchiare, e da soprano che era diventa contralto. Non è raro che, nella muta, la perdano addirittura del tutto; sicché non rimane loro più nulla del baratto fatto, e l'affare si dimostra assai svantaggioso. Subiscono l'operazione verso i sette o otto anni; deve essere il bambino stesso a chiederla: la polizia ha messo questa condizione, perché la sua tolleranza apparisse un po' meno intollerabile. Diventano quasi tutti grandi e grassi come capponi, coi fianchi, il sedere, le braccia, il petto, il collo tondi e paffutelli come donne. Quando si incontrano in un gruppo di persone si rimane sbalorditi, quando parlano, a sentire uscire da questi colossi una vocetta da bambini. Alcuni sono molto graziosi; si fanno corteggiare e ricercare dalle donne, le quali, secondo quanto sostengono le cronache della maldicenza se li disputano per i loro talenti, che sono innumerevoli; e ne hanno, di talenti. Raccontano persino che uno di questi "semiviri" presentò al papa Innocenzo XI una supplica per ottenere il permesso di ammogliarsi, adducendo che l'operazione era stata fatta male; il papa scrisse in margine alla domanda: "Che si castri meglio".
Bisogna essere abituati a queste voci di castrato per gustarle. Hanno un timbro chiaro e penetrante come quello dei chierichetti, e molto più forte; mi pare che cantino un'ottava più su della voce naturale delle donne. Queste voci hanno quasi sempre qualcosa di secco e di aspro, molto distante dalla dolcezza giovanile e pastosa delle voci di donna; ma sono brillanti, leggere, piene di splendore, assai forti ed estese. Le voci di donna in Italia sono di un genere analogo, estremamente lievi e flessibili; insomma, hanno lo stesso carattere della loro musica. Rotondità, non chiedetegliene, non sanno che cosa sia. Non parlate loro di quei mirabili suoni, che ci sono nella nostra musica francese, filati, continui, turgidi, e decrescenti sopra una stessa nota. Non vi capirebbero neppure, e tantomeno saprebbero eseguire tali suoni.


I DUE TIPI DI VOCE - 'DI TESTA' e 'DI PETTO' - DEGLI ITALIANI, E L'ARTE DELLE SFUMATURE E DEL "CHIAROSCURO", NEL 1739-40:

Gli italiani distinguono tuttavia due tipi di voce, e li chiamano: "voce di testa", fatta tutta di lievità ed adatta agli svolazzi che essi sanno dare alle loro variazioni musicali; "voce di petto", con suoni più schietti, più naturali e pieni. Per dirla in una parola, le voci sono in questo paese [l'Italia] gradevoli, modulate, seducenti al massimo; ma se si mettessero tutte dentro un alambicco, da tutto il miscuglio non si tirerebbe fuori una voce che possa neanche lontanamente paragonarsi a quella della [Catherine-Nicole] Lemaure. Benché sia partigiano zelante della musica italiana, son d'accordo con voi quando sostenete che quel genere di voce così rotondo, pieno, turgido, sonoro debba essere preferito a qualunque altro.
Le migliori che io abbia udito sono la Faustina, la Tesi, la Baratti; dei castrati, Senesino, Lorenzino, Marianini, Appianino, eccellente contralto, Egizietto, Molticelli, Salimbeni, Porporino, un giovane scolaro di Porpora, grazioso quanto la più graziosa delle fanciulle; dei tenori, Rabbi, il migliore tenore che esista, che riesce ad arrivare in su quanto [Pierre de] Jellyot*, e ottimo attore.
Nell'opera i sessi si scambiano facilmente; a Napoli, la Baratti faceva la parte di un uomo; qui invece sulla scena non tollerano donne; il buon costume non lo permette, e vuole soltanto graziosi fanciulli vestiti da donna; e, Dio mi perdoni, considerata l'inclinazione che in tutto il mondo si dimostra verso le femmine di teatro, ho un gran timore che a volte anche qui non si metta di mezzo la fornicazione. Talvolta queste bellezze sotto mentite spoglie non sono neppure tanto piccole. Marianini, che ha sei piedi di altezza, recita in una parte di donna al teatro Argentina; è la principessa più lunga che incontrerò in vita mia.

Quanto all'arte del canto, nessuno può meglio darvene un'idea dell'affascinante Vanloo [= Cristina Somis] se l'avete udita a Parigi. Non ha una voce molto estesa, in Italia se ne trovano molte più belle; ma nessuno la supera nell'arte di modularla con delicatezza e con gusto squisito.
Potete vedere che quasi tutti i ruoli, sia che il personaggio sia uomo o donna, sono per voci acute; esse sono registrate sempre in chiave di 'do' sotto il primo rigo; la chiave di 'sol', sul secondo rigo, serve soltanto per gli strumenti. Qui non adoperano mai la chiave di 'sol' sul primo rigo, praticata da noi. (...)
Essi [gli italiani] usano un metodo di accompagnamento che noi [francesi] non comprendiamo; ma che potremmo facilmente introdurre nella nostra esecuzione perché mette in rilievo tutto il valore della musica; esso consiste nell'arte del suono aumentato o diminuito, che vorrei chiamare arte delle sfumature e del chiaroscuro. Ciò si pratica sia insensibilmente, a gradi, sia d'un colpo. Oltre al forte e al piano, al fortissimo e al pianissimo, essi impiegano anche un "mezzo piano" ed un "mezzo forte", più o meno appoggiato. Ne vengono fuori dei riflessi, delle 'mezze tinte', che dànno un'incredibile grazia al colore del suono. (...)
Quasi tutte le loro arie sono per voce singola; in tutta un'opera vi saranno sì e no due o tre duetti, e quasi mai un terzetto. I duetti sono dedicati ai temi affettuosi e commoventi, alle situazioni più patetiche dell'opera; sono di una bellezza meravigliosa, e producono estrema commozione. Soprattutto in essi le voci ed i violini adoperano quel chiaroscuro, quell'insensibile rigonfiamento del suono, che sale di forza da una nota all'altra, fino al grado più alto, e poi torna ad una sfumatura estremamente dolce e commovente. Sono ammirate qui le cadenze, o punto d'organo, collocate nel finale di ogni aria per gli "assolo".
(...) io rimango della mia opinione, che cioè meno solenne è il genere, e tanto meglio la musica italiana riesce. Effettivamente, si sente che essa respira la gaiezza, e che in essa si trova come nel suo elemento. Mi piacciono anche le loro commedie, dove si mescolano il serio ed il comico. Ne è stata rappresentata una graziosissima, di Rinaldo da Capua, al teatro Valle, ed a Napoli ne ho vista una affascinante, di Leoardo Leo. Ritengo che noi [francesi] non riusciremmo a fare della musica allegra, per quanto possediamo ottime commedie di un genere un po' più elevato, prova ne siano le "Feste veneziane", che hanno veramente un tono da commedia; e Dio volesse che ce ne facessero spesso di simili!
Le migliori scuole di musica, o, per servirmi della loro terminologia, i migliori seminari per maestri di cappella, sono a Napoli. Di là, sono usciti Scarlatti, Porpora, Domenico Sarri, Porta, Leo, Vinci, Pergolesi, Gaetano Latilla, Rinaldo da Capua, e parecchi altri celebri compositori. Per le voci, la buona scuola si trova a Bologna; la Lombardia eccelle nella musica strumentale. Ho l'impressione che la musica italiana avesse raggiunto il suo apogeo sei o sette anni fa; qui il gusto cambia continuamente.

(Charles de Brosses - "VIAGGIO IN ITALIA, lettere familiari" [1] - Presentazione di Carlo Levi e Glauco Natoli - Parenti, 1957; ed. it. del testo originale in francese: Charles de Brosses - "Lettres familières écrites d'Italie en 1739 et 1740", Tome II - Librarie Académique, Paris 1869)

* cfr. Arthur Pougin - Un ténor de l'Opéra au XVIIIe siècle. Pierre Jélyotte et les chanteurs de son temps (Paris, Fischbacher 1905)

[1] N.B. Fra le lettere una s'impone all'attenzione dello storico della musica: quella lunghissima che reca il n.51 e che de Brosses ha indirizzato ad un certo "monsieur de Maleteste", nella quale perlappunto espone le differenze tra l'opera italiana e quella francese.

mercoledì 3 agosto 2022

Il ruolo "baritenorile" del Conte d'Almaviva rossiniano

 

Il ruolo del Conte d'Almaviva 'rossiniano' è stato pensato per essere interpretato da tenori lirico-leggeri, come comunemente accade in epoca modena?  La realtà storica mostra il contrario: il primo interprete Manuel Garcia padre (che creò il Conte d'Almaviva nel 1816) era un tenore del genere del "baritenore", così come Nicola Tacchinardi (padre del celebre soprano Fanny Tacchinardi-Persiani, creatrice del ruolo di Lucia di Lammermoor nel 1835) e nel Novecento i famosi ed eccellenti grandissimi tenori dal 'timbro baritonale' Fernando De Lucia ed Hermann Jadlowker!

L'Ottocento:

GARCIA
Una delle grandi innovazioni di Rossini fu di comporre la parte del Conte d'Almaviva del "Barbiere" per uno dei più valenti tenori baritonali dell'epoca, Manuel Garcia, con una scrittura eccezionalmente ardua nel rondò "Cessà di più resistere" dell'ultimo atto. (R.Celletti - VOCE DI TENORE, 1989)

(...) per le contrade della Spagna (...) il primo nome è già mitico, il tenore e compositore Manuel Garcia, padre del baritono Manuel Patricio, di Maria Malibran e di Pauline Viardot. La sua scheda vocale contemplava un timbro e una corposità baritonaleggianti, squillo, smalto lucente, fraseggio vigoroso, temperamento irruente, focoso. Un tale splendore non veniva meno nel canto fiorito, con un mordente e una 'verve' pieni di accensione, saldamente sorretti da una sicurezza cristallina che giungeva all'infallibilità. Basti ricordare l'aria finale del "Barbiere", "Cessa di più resistere", un monumento elevato alla difficoltà (la seconda parte diventa il rondò della "Cenerentola"): i tenori hanno sempre cercato di evitarla, salvo che in questi ultimi anni, ma di rado, mentre Garcia ne aveva fatto uno dei punti dove appoggiare la leva di un'abilità spericolata. (G.Marchesi - CANTO E CANTANTI, a Rodolfo Celletti - cap. II, L'Ottocento - 1996)

Nel "Barbiere" abbiamo, con il conte Almaviva, il ritorno a tessiture centrali. (...) Almaviva fu composto per Manuel Garcia padre, che era un baritenore, sia pure molto esteso nel suo genere. (...)
Anche il baritenore rossiniano sale a volte al do4 e perfino al re4, avvalendosi dell'emissione in falsettone. Generalmente il baritenore canta a voce piena fino al sol3 o la3 bemolle (sono le note più acute del baritono moderno) e quindi entra in registro di testa puro, producendo suoni bianchi, ma non privi di vibrazioni e di forza di penetrazione. (...) Il baritenore è anch'egli chiamato, come il tenore contraltino, a una vocalità ricca di fiorettature e di ornamenti (trillo incluso) (...)
Comunque, anche dai princìpi esposti da Garcia [figlio], si deduce che una legge fondamentale del canto nel periodo rossiniano (ma si trattava, in realtà, d'una regola nata con il belcantismo) era la varietà dei forti e dei piani, nonché un assiduo uso di tutte le tinte intermedie. Altrettanto fondamentale era la regola che bisognava variare un motivo tutte le volte che esso si ripeteva (...)
Quanto al trillo, tutte le voci femminili al tempo di Rossini, ne erano dotate e l'eseguivano sotto varie forme; le voci maschili, ci avverte Gilbert Louis Duprez, l'eseguivano generalmente a mezzavoce. Soltanto pochi cantanti erano capaci di eseguire un trillo a piena voce. Duprez attribuisce questa capacità al tenore Rubini, al baritono Barroilhet e al basso Lavasseur. Era comunque dotato d'un trillo a voce piena, sonorissimo, anche il tenore Manuel Garcia padre. (R.Celletti - STORIA DEL BELCANTO - Rossini. Tipi vocali rossiniani - 1983)

-->  http://belcantoitaliano.blogspot.com/2014/09/il-manuale-di-canto-di-manuel-garcia.html

TACCHINARDI                                                                                                                                   Dopo Manuel Garcia padre, nel 1816 al Teatro Argentina di Roma, ecco un'altro "tenore baritonale" che faceva benissimo anche le agilità, come giustamente ricordato dal Celletti: Nicola Tacchinardi, il quale affrontava nell'autunno del 1820, pochi anni dopo la prima assoluta del Barbiere rossiniano, il ruolo del Conte d'Almaviva alla Scala di Milano!

In "Rossini e la Musica, ossia Amena Biografia Musicale, Almanacco per l'anno 1827. Anno I.°" così vengono sintetizzante le sue qualità vocali: <<I meriti principali che vengono attribuiti al canto del Sig. Tacchinardi sono robustezza sonora, nitidezza infinita, agilità della voce che lo tramanda, e intelligenza di adattarlo alla scena. Le sue primarie arene di gloria furono Parigi, Roma, Venezia ove destò entusiasmo inenarrabile nell' "Otello", e il R. Teatro di Torino, d'onde, sostenendo la parte di Jarba nella "Didone", le fioriture del suo canto ebbero palma su quelle del soprano Velluti.>>

Tacchinardi fu anch'egli un tenore baritonale, ma in grado di sostenere tessiture molto acute grazie a un uso abilissimo del falsettone, al quale saliva riuscendo a mantenere il suono omogeneo con quello del registro di petto. Il timbro era molto bello (non però come quello di Crivelli) e alla potenza s'univa una provetta agilità. Aveva gusto nell'ornamentazione e nelle variazioni, il fraseggio era dolce o vibrante a seconda delle situazioni, accentava con eloquenza e senza eccedere in enfasi. In Italia fu ritenuto un grande attore, specie nel gioco della fisionomia. (R.Celletti - VOCE DI TENORE, 1989) 

--> https://belcantoitaliano.blogspot.com/2017/03/il-tenore-nicola-tacchinardi-sulla.html

--> http://belcantoitaliano.blogspot.com/2017/07/il-tenore-nicola-tacchinardi-sulla.html

Come indicato sempre da Celletti:
Il tenore baritonale nelle opere serie italiane di Rossini trova largo spazio, ad esempio impiega il baritenore nel "Tancredi" (Argirio). (...) Nozzari, il più tipico baritenore rossiniano - dopo "Elisabetta regina d'Inghilterra" (Leicester) - sarà Otello nell' "Otello", Rinaldo nell' "Armida", Osiride nel "Mosè". (...)
E' soprattutto nell' "Armida", comunque, che Rossini affronta con decisione il problema di far cantare d'amore il baritenore; e lo risolve nei duetti Rinaldo-Armida ("Amor possente nome" del primo atto, "Dove son io" del secondo, "Soavi catene" del terzo) indirizzandosi verso una sensualità espressa da melodie ricche di ornamenti (in specie gruppetti) o fittamente fiorettate. 

Di solito, però, Rossini è troppo "belcantista" perché il baritenore possa ispirargli spunti davvero amorosi e melodie soavi e languide, oppure sognanti. Anche quando il baritenore è padre o antagonista, l'accoramento, la pateticità vengono a mancare. Il personaggio è in genere indirizzato verso il canto di forza, che trova le formule più tipiche in salti ascendenti, spesso accentuati, all'avvio, dal ritmo puntato, come in questa frase di Aureliano ("A pugnar m'accinsi o Roma", atto I). Nella vocalità di forza, comunque, è Otello che fa testo, sia nel Vivace marziale d'entrata ("Ah! sì per voi già sento"), sia nel veemente duetto con Iago ("L'ira d'avverso fato", atto II), sia nella scena conclusiva dell'opera. (...)


Il baritenore in veste di amoroso come alternativa al contralto <in travesti> era una soluzione che, ancor prima di Rossini, era stata adottata da altri operisti, ma che poneva sul tappeto il problema di chi avrebbe dovuto sostituire il tenore baritonale nei ruoli di padre, di antagonista, di tiranno, di traditore e simili. Il rimedio iniziale fu di continuare a servirsi, per questi ruoli, di un baritenore, ovviando all'uniformità timbrica che ne derivava scrivendo o per l'amoroso o per l'antagonista una parte dalla tessitura relativamente più alta dell'altra. Nell' "Achille" di Paer, ad esempio, sono baritenori sia il protagonista che Agamennone, ma la tessitura del primo è più elevata. Nell' "Elisabetta" di Rossini si ha la situazione opposta: Norfolk, che fu impersonato da Manuel Garcia padre, è un baritenore più acuto di Leicester (Nozzari).
L'impiego plurimo del baritenore provocò, in talune opere di Rossini, una situazione timbricamente assai confusa e senza dubbio monocorde. Nell' "Armida", caso limite, agirono simultaneamente, tra amoroso (Nozzari), antagonista, condottiero di eserciti, mago e caratteristi, ben sette tenori baritonali. La via d'uscita fu però suggerita a Rossini dal tenore d'opera comica o di mezzo carattere. (...)
Il baritenore (...) è più incline ai grandi intervalli che portano repentinamente la voce da un suono grave a uno acuto o viceversa (canto detto di sbalzo).

N.B. Con Lindoro dell' "Italiana in Algeri", scritto per Serafino Gentili, e con don Narciso, scritto per Giovanni David, si ha la comparsa di tenori piuttosto chiari, dal timbro brillante e dalla gamma molto estesa, che all'epoca venivano definiti <tenorini>.
Anche Garcia padre aveva in repertorio l' "Italiana in Algeri", ma di fronte all'acutissima tessitura e alla scrittura prevalentemente sillabica di "Languir per una bella", abbassava l'aria di un tono e mezzo, eseguendola in do maggiore anziché in mi bemolle!!! (R.Celletti - STORIA DEL BELCANTO - Rossini. Tipi vocali rossiniani - 1983)

Altro esempio, la cavatina di Gernando "Non soffrirò l'offesa" scritta per il tenore baritonale Claudio Bonoldi.
Fresco del debutto l'anno prima alla Scala (nell' "Annibale in Capua" di Farinelli), era già un divo:
"Bonoldi, oh, Bonoldi è un tenore per il Teatro alla Scala, piace e piacerà e scommetterei che per la sua voce forte e ben distesa sarà il tenore alla moda"; "piuttosto baritono che tenore ha una voce rotonda ed intuonata e canta bene"; "ha gran voce, ed arte di ben usarne; lo vorremmo un po’ meglio ordinato nel portamento e nel gesto"  ("Il Redattore del Reno", 8 gennaio 1811)
Tenore con timbro e volume di baritono, il B. fu "artista di potenti mezzi vocali e grande arte" (Schmidl).
Di lui si scriveva, sotto al suo ritratto: "Questo lodatissimo Tenore corre con somma lode la difficile carriera musicale, ed ottenne sempre meritati applausi non meno per la sua voce che per il bel metodo di Canto."



Il Novecento:

DE LUCIA
Dal 1840 in poi, il nuovo repertorio - in specie quello di Verdi - condusse spesso al San Carlo cantanti di scuola meridionale e scoppiò una delle tante polemiche Nord-Sud. A Milano s'urlava, a Napoli si cantava. Tesi eccessiva, ma non del tutto destituita di fondamento, stando a qualche testimonianza. Anche dopo la conversione a Verdi - e poi alle opere veriste e naturaliste - il pubblico del San Carlo rimase il più belcantista e severo d'Italia. Nel 1878 andò in estasi per la Patti, ma nel 1879 la presenza della diva non evitò fischi al di lei amante, il tenore Nicolini. Imparzialmente i melomani napoletani amarono tanto il tenore Roberto Stagno, siciliano, che il tenore Gayarre, spagnolo. Bruciarono poi incensi per il re dei baritoni, Battistini, che era romano, e per il soprano Bellincioni, che era lombarda, e non si stancarono mai d'ascoltare l'ultimo "rosignolo di Napoli", il tenore Fernando De Lucia, che tra il 1835 e il 1917 cantò spessissimo al San Carlo. La disputa del 1902 se nell'Elisir d'amore fosse migliore De Lucia o il giovane Caruso (entrambi erano napoletani) fu forse l'ultimo bagliore del culto dei napoletani per il canto cesellato. De Lucia "cesellava", Caruso no. Poi, gradatamente, anche il pubblico del San Carlo si rassegnò alla sorte degli altri pubblici, che fu quella di perdere la propria identità a misura che la perdevano i teatri di tutto il mondo. (R.Celletti - La grana della voce, 2000)

De Lucia ha lasciato molti dischi, diversi dei quali registrati tra il 1903 e il 1908 (...) il colorito, per essere quello d'un tenore di grazia, era piuttosto scuro, non aveva nulla a che vedere con le inflessioni bianche dei tenorini. Quanto agli acuti, sono pieni e squillanti fino al La naturale. (...) De Lucia dimostra spesso, nei dischi, d'avere una spiccata personalità (...) che possedesse una mezzavoce quanto mai suggestiva e pianissimi insinuanti, che eseguisse impeccabilmente agilità e fioriture, è certo. Era uno dei cosiddetti "cesellatori", che amava procedere per contrasti, facendo seguire alla piena voce suoni esili e dolci (...) (R.Celletti - VOCE DI TENORE, 1989)

De Lucia nel ruolo del Conte d'Almaviva, nel "Barbiere di Siviglia" di Rossini - Monte Carlo, 1907

Patria (Gazzetta dei Teatri), 12 novembre 1885
His voice, of "baritonal" timbre, is inherently most agreeable and inspiring and, without being overpowering, is sufficiently robust and extensive. [He] sings with much art and can execute delicate and very refined inflections and "smorzature". He sings with expression...

Nación, 12 ottobre 1895 [Il barbiere di Siviglia, Teatro Nacional di Buenos Aires]
Sr. De Lucia showed not his mastery of singing in general, which there was no need to demonstrate, but sufficient of the Rossinian style and the decorated form for him to figure as one of the best interpreters of the part of Almaviva. To recognise him as such it would have sufficed to hear how he outlined, shaded in and then decorated the 'Ecco ridente in cielo', which brought him thunderous applause. In many places he sang passages, in "mezza voce" and "a fior di labbro", truly delicately and with similarly correct execution...

Pungolo, 28 febbraio/1 marzo 1902 [Il barbiere di Siviglia, San Carlo di Napoli]
Procida wrote:
De Lucia showed the greatness of his fascination in the first "serenata", 'Ecco ridente'. The penetrating sweetness of a voice that touches the innermost chords and exquisitely strikes the innate sentimentality of our audience immediately acted like a philtre; De Lucia modulated the sweet melody with a stimulating quality and a sentiment which are in the nature of the distinguished tenor; flexible, smooth, and caressing, his voice seduces by the beauty of its timbre. ...it is astonishing that a singer who is so knowing, and of such a sentimental nature, sustained a role in such a playful and strongly rhythmic music, which requires so much technical agility, without ever jumping a note, using a voice that is not usually exercised in such technical requirements, but [it] is dedicated to "Carmen", and which has become heavier as a result of his performance of Loris.

(citazioni in inglese riportate in: Michael E. Henstock - "Fernando De Lucia, Son of Naples 1860-1925" - Duckworth, 1990)


Jadlowker nel ruolo del Conte d'Almaviva, nel "Barbiere di Siviglia" rossiniano

JADLOWKER
Singolarissimo tenore, Hermann Jadlowker (...) aveva una voce molto ampia, il cui colorito baritonaleggiante presentava qualche analogia con quello di Caruso (...) non poteva competere con il fraseggio passionale e perentorio di Caruso, ma si rivaleva con una fonazione che consentiva un'eccezionale duttilità nell'uso delle mezzevoci e delle agilità. (...) Chi ascolta i suoi dischi ha la sensazione, in talune pagine del "Don Giovanni", dell' "Idomeneo", del "Barbiere di Siviglia", di udire uno dei leggendari baritenori preromantici, tanto esatta, veloce, impetuosa è la vocalizzazione e lucenti e cristallini sono i trilli. Sotto questo aspetto egli resta a tutt'oggi ineguagliato. (R.Celletti - VOCE DI TENORE, 1989)

La voce di Jadlowker aveva timbro stranamente scuro e sensuale (...) Le sue interpretazioni brillavano sempre per musicalità e buon gusto, ma soprattutto straordinaria era la tecnica: tra l'altro Jadlowker, che sembrava a volte, nella vocalizzazione, emulare i soprani d'agilità, possedeva un trillo stupendo, come documentano anche i suoi dischi (...) Eccelleva perciò in opere come il "Barbiere": l'incisione della cavatina pone in risalto la nitidezza delle fiorettature, così come l'aria dell' "Idomeneo" rispecchia la straordinaria fluidità dei suoi vocalizzi. Nonostante queste doti tipiche del tenore di grazia, la sua voce era ampia e voluminosa (...) (L.Riemens in: LE GRANDI VOCI, dir. R.Celletti - 1964)

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Ascolti:

Il Conte d'Almaviva rossiniano BARITENORE - 1904-1912

Rossini - "Ecco ridente in cielo" - Fernando De Lucia (1904)
Rossini - "Se il mio nome saper voi bramate" - Fernando De Lucia (1908)
Rossini - "All'idea di quel metallo" - Fernando De Lucia, Antonio Pini-Corsi (1906)
Rossini - "Ah! Qual colpo inaspettato" - Fernando De Lucia, Josefina Huguet ed Antonio Pini-Corsi (1906)
Rossini - "Ecco ridente in cielo" - Hermann Jadlowker (1912) 


sabato 16 luglio 2022

Il palato molle, indispensabile creatore di forza a duttilità nel canto lirico

Il palato molle, indispensabile creatore di forza a duttilità nel canto lirico

Ho avuto 3 Maestri, meravigliosi, di uguale scuola. Una grande fortuna. Il primo era rinomato per essere bravissimo nel saper impostare le voci.

Lo conobbi quando avevo 12 anni, si chiamava Ennio Vetuschi. Era gentile e garbato, muoveva le mani con gesti eleganti e raffinati, sorridava anche con gli occhi dietro le lenti più spesse che io avessi mai visto e parlava a voce bassa. Ero stata invitata a farmi ascoltare da lui, che cercava nuove voci per il suo coro, attraverso il mio docente di musica delle scuole Medie, il Prof. Messina, che aveva notato la mia spiccata intonazione.

Vidi dunque Vetuschi nella sede della Corale Verdi sita nell'omonima piazza, a Teramo.
Sento ancora l'odore della carta di spartiti di ogni genere impilati in ogni angolo e divisi in decine di cartelle, e vedo ancora in quella sede storica il pianoforte a coda, il clavicembalo, l'organo e la scalinata che accoglieva le prove del coro sulla quale non vedevo l'ora di salire per cantare assieme agli altri.

Ennio Vetuschi, questo il nome del grande Maestro e geniale musicista, seduto al pianoforte, mi invitò a mettermi in piedi vicino a lui e a cantare qualche nota, riproducendo i toni suonati da lui. La prova di intonazione andò benissimo e mi invitò a tornare qualche giorno dopo.

Fu lui che mi impartì la prima lezione di canto della mia vita. Con gioia e semplicità mi invitò a cantare le 5 vocali su una nota sola, e poi mi disse a voce bassa:" Brava. Lo senti che la vocale "U" ti spedisce la voce più in alto? Qui!"  e si posò l'indice disteso sul naso, indicando il punto esatto in mezzo agli occhi. Ma il suo gesto fu molto chiaro. Non voleva indicare SOLO quel punto in mezzo agli occhi, voleva indicare TUTTO il naso fino alla parte che sta in mezzo agli occhi.


Poi Vetuschi iniziò a parlarmi con un linguaggio che non conoscevo, che aveva qualcosa di magico.

"Devi mettere la voce in maschera, dobbiamo impostare la tua voce, devi portare il suono QUI" (di nuovo ripetè il gesto indicando tutta la lunghezza del naso) "E poi devi imparare a respirare, perché nel canto lirico non puoi respirare normalmente, devi usare una respirazione molto più bassa, adesso te la insegno" ... E in un attimo mi fece mettere una mia mano sulla sua pancia e l'altra sul suo fianco. Sentii esattamente quello che faceva e capii esattamente come lo faceva. Lui mi disse "Imparerai piano piano, basta fare così". Poi aggiunse una cosa che rese immediatamente tutto ancora più facile e mi disse: "Respira con la pancia e gonfiala tanto".

La mia prima lezione di canto andò avanti con un suo interrogativo posto con un certo tono vagamente canzonatorio: "E il suono?... Come fai a portarlo in alto?" Io non potevo che rispondere "Non lo so". Mi invitò nuovamente a cantare le vocali AEIOU di fila su un solo suono e mi disse stavolta con una certa dose di maggiore passione "Ecco, senti la U come squilla! Devi alzare il palato molle!" ... Poi accadde la cosa che mi ha portato a passare quasi tutta la mia vita a studiare la voce nel canto lirico: fece un respiro profondo e con una facilità incredibile mi fece sentire la 5 vocali cantate da lui forti, chiare, vibranti e squillanti come non avevo mai sentito prima, con una voce che mi lasciò totalmente basita, perché finora da Vetuschi non avevo che sentito una voce calma e quasi sussurrata. In quei suoni vocalici c'era la forza impressionante di un tenore spinto usata con una facilità che forse mi impressionò più della forza stessa del suono.

Di nuovo mi disse:"Respira bene con la pancia e metti il suono nel naso. Per mettere il suono in maschera devi sollevare il palato molle".

Il resto fu un susseguirsi di suoi esempi e mie ripetizioni; penso che lui rimase davvero molto contento perché mi disse "Sei un usignolo!" e mi invitò a tornare a lezione ancora. Purtroppo le sue lezioni durarono poco perché non appena fui pronta per essere inserita nel coro pronta per partire in tournée anche all'estero mio padre si oppose e volle che io smettessi di frequentare le lezioni con il Maestro Vetuschi.

Ma quello che Vetuschi mi aveva trasmesso era già una base eccezionale e indispensabile, un solido fondamento per iniziare a costruire una voce sicura e per imparare a distinguere un sistema giusto da uno sbagliato.

Credo di aver pensato a questa storia della respirazione bassa e del suono alto per mesi, ma la cosa più bella era che io, SENTENDO quello che aveva fatto il Maestro avevo esattamente capito COSA CERCARE e COME, anche se non potevo vederlo più.

Dei miei tre eccelsi e unici insegnanti, gli ultimi due insistettero non poco sull'uso del fiato che non bastava mai, ma tutto sarebbe stato assolutamente vano se io non avessi saputo COME portare il suono in alto, e cioé molto semplicemente, alzando il palato molle.

La questione del palato molle per portare il suono in alto, nello squillo "di testa", è fondamentale.

A distanza di anni ho compreso che nel lavoro di prima impostazione di una voce vergine, comprendere la connessione tra l'uso del palato molle e della qualità eccelsa del suono, è perfino più importante della conduzione del fiato. Perché per cercare i primi suoni non serve una gran massa di fiato, anzi, è tutto il contrario. Serve poco fiato che, ben messo, ben indirizzato appunto dal palato molle, formi un suono alto e squillante, e sia condotto a regola d'arte dall'orecchio. E allora la richiesta di un grande fiato, pe la conduzione di lunghi suoni e belle frasi, sarà una conseguenza diretta nell'avanzare dello studio. E allora, formato un bel suono vibrante e squillante nel piano o nella mezzavoce, un bravo insegnante deve insistere molto anche nello studio della respirazione.

La ricerca del suono attraverso l'uso del palato molle e dello sgancio mandibolare che si aggiunge per il passaggio di registro e per le note più alte, disdegnato da tantissima parte degli studenti, è forse la cosa più alta e bella che io mi sia mai proposta di imparare; e il desiderio di un uso sapiente del fiato, lo ripeto ancora, è la diretta conseguenza di un suono che, messo bene, alto di posizione e squillante, vuole diventare frase musicale bella, timbrata, legata ed importante.  E se il fiato ne è il sostegno e la base, le labbra formano le vocali; ma la freccia acuminata che scaglia il suono in forma lirica, con potente chiarezza, per oltre i 3/4 dell'estensione di una voce umana è il palato molle. Chi non ne parla non ha mai imparato a cantare come nel periodo d'oro di Caruso, e non potrà mai trasmettere con esattezza tecnica quanto importante, indispensabile, e bello sia l'uso del palato molle nella formazione del suono nel canto lirico

Astrea Amaduzzi, Ravenna, 15 luglio 2022


--> Precedenti articoli sull'argomento:  

http://belcantoitaliano.blogspot.com/2015/08/come-si-usa-il-palato-molle-nella.html

http://astrea-amaduzzi-singing-teacher.blogspot.com/2015/12/la-voce-in-maschera-nel-belcanto.html

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Per chi volesse approfondire il tema, qui di seguito troverete 20 citazioni sul "palato molle" di grandi cantanti lirici e maestri di canto del Novecento di cui si possiedono numerose registrazioni,  ed un breve corollario con altre citazioni sul palato molle, di trattatisti, compositori, cantanti lirici e maestri di canto, sia dell'Ottocento che del Novecento, tra cui anche il grande Gioachino Rossini!

1. - Luisa Tetrazzini -

«Potete vedere facilmente lavorare la parte posteriore del vostro palato spalancando la bocca e dando a voi stessi la sensazione di chi sta per starnutire. Noterete molto di dietro nella gola, molto indietro al naso, una zona molle che si alzerà da sola nel momento in cui lo starnuto diventerà più imminente. Quel piccolo punto è il palato molle. Esso va alzato per le note acute per ottenere la risonanza di testa.
Nel momento in cui una cantante progredisce nella propria arte può far questo a suo piacimento.
La regolazione di gola, lingua e palato, tutti funzionanti assieme, risponderà giornalmente più facilmente alle sue esigenze. Comunque, ella dovrebbe essere in grado di controllare consapevolmente ogni parte in automatico.
La cosciente direzione della voce e padronanza della gola sono necessari. Di frequente nell'Opera la cantante, seduta o sdraiata in qualche posizione scomoda che non è naturalmente adatta per la produzione della voce, dirigerà coscientemente le proprie note nelle cavità della testa aprendo la gola e sollevando il palato molle. Per esempio, nel ruolo di Violetta la musica dell'ultimo atto viene cantata stando distesi. Per ottenere la giusta risonanza per alcune delle note acute io devo iniziare queste nella cavità di testa per mezzo, naturalmente, dell' "appoggio", o sostegno del fiato, senza il quale la nota sarebbe scarna e non avrebbe corpo.
La sensazione che io ho è di una lieve pressione di fiato che batte pressoché in una linea diretta nella cavità dietro la fronte al di sopra degli occhi senza assolutamente alcun ostacolo o sensazione in gola.
Questo è il corretto attacco per il suono di testa, o un suono preso nel registro superiore.»

(tratto da: "Caruso and Tetrazzini on the Art of Singing" - Metropolitan Company, Publishers, New York, 1909 - trad.it. di Mattia Peli)


2. - Enrico Caruso -

LA VOCE E LA PRODUZIONE DEL SUONO
(...) Sarebbe bene parlare ora di un aspetto molto importante nel canto lirico—quel che viene chiamato l' "attacco" del suono. In generale esso può essere descritto come la posizione della gola e della lingua e la qualità di voce relative nel momento in cui è iniziato il suono. Il vizio più serio commesso da molti cantanti è quello di attaccare il suono o dal petto o dalla gola. Pur avendo una salute di ferro la migliore delle voci non può resistervi. (...)
E' una buona idea esercitarsi ad aprire la gola davanti a uno specchio e cercare di vedere il palato, come quando si mostra la gola a un dottore. (...)

Per evitar ciò [vale a dire questa voce ingolata e sforzata che è così sgradevole] si dovrebbe cercare di mantenere in basso la quantità di fiato incamerato, il più possibile verso l'addome, mantenendo così i passaggi superiori verso la testa piuttosto liberi per l'emissione della voce.

ERRORI DA CORREGGERE
(...) Quanto alla voce nasale, questo è il difetto, come ho detto, più difficile del quale liberarsi. (...) L'unico rimedio è ciò che ho precedentemente indicato—attaccare dall'addome, con la gola aperta, e portare la voce al palato molle (...)

(tratto da: "Caruso and Tetrazzini on the Art of Singing" - Metropolitan Company, Publishers, New York, 1909 - trad.it. di Mattia Peli)


3. - Rosa Ponselle -

- "Rosa," iniziai, "da dove cominciamo con la tecnica vocale?"
"...me lo insegnò Caruso," disse Rosa. "Egli teneva un piccolo spazio ampio nel retro della gola per mantenerla aperta...aperta nel retro e rilassata. È come la sensazione di un quadrato, ma solo negli acuti. (...) Il palato è alto e la parte posteriore della lingua distesa," disse Rosa.

(tratto da una intervista al soprano Rosa Ponselle condotta dal basso Jerome Hines, riportata in: J.Hines - "Great Singers on Great Singing", Doubleday, 1982 - trad.it. di Mattia Peli)


4. - Lilli Lehmann -

"Possiamo sentire il posizionamento della punta della lingua contro o dietro l'arcata anteriore dei denti."
"La corretta posizione della lingua, preparatoria al canto, è quella della vocale mista AOU, come per accingersi a sbadigliare."
"La lingua non deve salire con la punta verso l'alto. Non appena la punta è impiegata per la pronuncia delle consonanti l, n, s, t, z e dopo aver completato quest'attività molto veloce e netta, deve tornare nella sua posizione abituale e mantenerla."

SENSAZIONE DEL PALATO
"Possiamo percepire chiaramente questa sensazione sollevando dietro al naso il palato molle. Quest'ultimo si trova molto indietro, si può anche sentire toccandolo con accortezza. Questa parte così piccola riveste una grandissima importanza per il cantante. Dal fatto che si sollevi, dipende l'intera risonanza delle cavità della testa, quindi della voce di testa."

(Lilli Lehmann - "Meine Gesangskunst" - 1922; trad. it. "Il Canto: Arte & Tecnica", Analogon 2013)


5. - Nellie Melba -

«Si cantino le cinque vocali semplici (le vocali italiane "u, o, a, e, i") su una medesima nota e con un unico fiato. Si cominci sul SOL sopra al DO centrale e si ripeta l'esercizio su ogni nota, salendo fino al DO sul terzo spazio. Si lasci muovere comodamente la bocca per formare le diverse vocali, ma senza creare cambiamenti improvvisi che spezzino i diversi suoni vocalici. Si mantengano le vocali tutte della stessa qualità, con la stessa quantità di risonanza. In un primo momento, con buona probabilità, risulterà difficile mantenere la "a" della stessa qualità della "o", e la "e" e la "i" verranno probabilmente ancor più dissimili.
Non si irrigidisca la gola e si cerchi di renderle tutte uguali. Dev'esserci facilità e una formazione pura e naturale di ciascuna vocale.
Si imparerà a cantare correttamente questo esercizio solo se si utilizzerà l'orecchio e si manterrà il palato molle nella stessa posizione alta per tutte e cinque le vocali, posizione che esso assume molto naturalmente con la "u".
Quando si riuscirà a percepire uditivamente la propria voce in questo esercizio, risulterà molto più facile sentirla mentre si cantano le arie, e si rileveranno più sollecitamente i cambiamenti di qualità che così spesso rovinano una frase.»

(tratto da: "Melba Method" by Dame Nellie Melba - Chappell & Co., 1926 - trad. it. di Mattia Peli)


6. - Jean De Reszke -

IL SEGRETO DEL PALATO MOLLE ALZATO NELL'INSEGNAMENTO DEL CELEBRE TENORE JEAN DE RESZKE:
«Mi avevano mandato a Vichy, a fare un'audizione da Jean de Reszke (...) E sono stata estremamente fortunata non solo che mi abbia accettato - "une ravissante petite voix" è stato il suo verdetto - ma che io abbia potuto avere la sua guida illuminata per ben due anni; egli è scomparso nel 1925, ed infatti io sono stata tra gli ultimi suoi allievi. Mi sono stabilita a Nizza per due anni e ho preso lezioni di canto da lui tutti i giorni.
E' difficile descrivere oggi l'ammirazione e il rispetto che circondava la sua persona. Egli era stato uno dei più grandi tenori di tutti i tempi, suo fratello Edouard un magnifico basso, e sua sorella Josephine un eccezionale soprano. Con quale maestria egli mi faceva affrontare delle cadenze che hanno sviluppato e stabilizzato le note più alte del settore acuto della mia voce! Non potrò mai dimenticare alcuni sui esercizi. Ce n'era uno in particolare che mi faceva ripetere più e più volte per eliminare la 'frattura' data dal cambiamento di registro tra petto e testa: una sequenza di quattro note costituite da Fa, Fa diesis, Sol e Sol diesis. Mi aveva insegnato ad ottenere un palato alto attraverso la sensazione della sorpresa e non contraendo i muscoli della gola. Solo il palato molle dev'essere alzato.»

(da un'intervista al soprano Bidú Sayão, realizzata nel 1979 - in: Lanfranco Rasponi - "THE LAST PRIMA DONNAS" - London, Gollancz 1984 - trad. it. di Mattia Peli)

Da notare che oltre ad usarlo per aiutare a congiungere i registri, egli usava il palato molle anche per piani e pianissimi. Infatti il celebre tenore del Metropolitan di New York Jean De Reszke, allievo di Antonio Cotogni e Giovanni Sbriglia, insegnava tre differenti emissioni a "mezza voce": la più comune ed usata era quella di produrre un suono "con il palato alto e un certo sostegno del fiato" come viene spiegato e testimoniato nel capitolo "Jean De Reszke's Principles of Singing" di Walter Johnstone-Douglas, tratto dal libro: Clara Leiser - "Jean De Reszke and the great days of opera" - New York - Minton, Balch & Company, 1934.


7. - Titta Ruffo -

(...) credo che uno studente di canto, dopo aver ben piantata la voce nelle fondamenta – cioè dai suoni più gravi fino alle estreme note alte, sempre composta, libera, appoggiata, riunita tutta al disopra del palato, senza contrazioni muscolari, sostenuta soltanto dalla respirazione naturale – credo, dico, che ogni studente di canto, se sia dotato di sentimento e immaginazione o, insomma, di talento, possa con l'esercizio riuscir a formare tutti i colori di una tavolozza sonora, ed esprimere così tutti quanti i moti dell'anima in tutte le loro tinte e i chiaroscuri. Certo non è cosa né facile né breve. A perfezionare la voce umana, diceva giustamente uno de' più geniali e dotti artisti, Antonio Cotogni, occorrerebbero due vite: una per studiare, l'altra per cantare."

(da: Titta Ruffo - "La mia parabola" - Fratelli Treves Editori, 1937)


8. - Beniamino Gigli -

<<Aprire certi suoni è dannoso per gli studi successivi che l'esordiente dovrà affrontare. Non colpi di glottide, ma legature, così... appoggiarsi.>> (E ripete il passaggio vocale d'ottava, in FA, scivolando sul FA DIESIS con una facilità stupefacente, unica, la sua.)
<<Per questo basta tenere la gola aperta. A Santa Cecilia, Cotogni mi diceva di far prendere alla gola la posizione dello sbadiglio, e, a settantadue anni, me lo insegnava come faccio io adesso.>> (E l' "appoggio coperto" di Gigli risuona ancora, ineguagliabile, nella sala.)

(dall'articolo di giornale, "Milano. Gigli, insegnaci a cantare" - Il Popolo d'Italia, 1 marzo 1938)


9. - Luigi Ricci -

IL PALATO MOLLE NELL'EMISSIONE DELLE VOCALI "A" ED "O":
(...) quando per la prima volta [Luigi Ricci] mi ascoltò in "A te l'estremo addio", mi fece subito dopo fare dei vocalizzi sulle lettere "A" ed "O", chiedendomi di stare "più su". Era una richiesta (...) della quale non riuscivo a capire il senso. (...) Il (...) "tirare su" di cui Ricci mi parlava era infatti inconsapevolmente riferito proprio al palato molle. (...) la A e la O sfruttano (...) appieno la risonanza del cavo orale rimanendo in basso, cioè in bocca. E' necessario quindi sforzarsi di "sollevare" anche questi suoni a livello alto (...)

(da: Andrea Foresi - UNA VITA PER L'OPERA, Conversazioni con Sesto Bruscantini - Akademos, 1997)


10. - Giacomo Lauri-Volpi -

<<Osservo me stesso e contemplo il mistero di questa voce divenuta così spontanea e sicura, laddove, giovine, trovava difficoltà e commetteva errori di colore d’intonazione e di emissione. (…) la voce ha trovato riposo, risparmio e sicurezza nella volta “palatina”. La nota, spinta dal soffio, si adagia, per così dire, nella cavità orale superiore, dietro gli incisivi e, con l’aiuto delle labbra, si estroflette nello spazio, modulando, con l’articolazione libera, le vocali. In tal modo ingolamento e intasamento del suono vengono evitati, e lo sforzo, bandito. Similmente, la respirazione non soffre fatica e l’intonazione alcuna offesa, per dar modo al canto di spiegarsi in ampiezza solenne e sonorità genuina. Grazie all’acquisita certezza, la voce è divenuta più lucente e robusta, nonostante il trascorrere del tempo (…) Il mio pensiero ha lavorato, e finalmente, ha trovato il punto di percussione giusto, indefettibile, che non altera il timbro né ingrossa il suono. Or, dico, comprendo praticamente l’assioma rossiniano: “Diffondere il suono con l’aiuto del palato, trasmettitore per antonomasia delle belle sonorità”. (…) Col tempo, la voce tende alla gravità (…) Ma il volume, come l’obesità corporea, è la morte prematura dei suoni. Detestando, per principio, il volume, ho salvato il timbro e il fiato. Il volume guasta il mantice.>>

(da: G. Lauri Volpi - “A viso aperto”, Corbaccio, dall’Oglio editore, 1953, pagina 333 : Diario, 11 aprile 1950)


11. - Giovanni Manurita -

L'APPARATO RESPIRATORIO
(...) Dopo che l'aria è arrivata al palato, diventa più sonora per mezzo dell'organo risonatore. Quest'organo è composto dal 'torace', dalla 'faringe', dal 'palato molle e duro', dai 'seni frontali' (che si trovano immediatamente al di sopra del palato), dalle 'narici' e dagli 'incisivi superiori'. Le corde vocali, tese dalla glottide, emettendo suoni semplici, hanno quindi bisogno di queste cavità di risonanza e per questi risonatori, raggiungono spesso la potenzialità 'voluta': da qui l' 'appoggio della voce' che consiste perciò nel servirsi sapientemente di questi risonatori. Il nostro apparato vocale è perciò un meraviglioso strumento a fiato. Una rassomiglianza ce la dà l'organo, nel quale i suoni vengono emessi da apposite laminette, disposte alla base dei tubi o canne verticali; queste laminette, sotto la spinta dell'aria in pressione, espulsa dai mantici, vibrano emettendo suoni semplici che i rispettivi tubi rendono potenti ed armonici. Le nostre corde vocali, laminette muscolari che son anch'esse disposte nel tubo laringeo in senso orizzontale, sotto la pressione del fiato e della volontà, si avvicinano, si allontanano, si accorciano e si distendono, diventano più sottili o più spesse, per dare sotto la spinta stessa del fiato, emesso dai poloni, il numero di vibrazioni necessarie a produrre i suoni, che si propagano nell'aria, a mezzo delle 'onde sonore'. I suoni semplici e deboli, emessi dalle corde vocali, sono, ripetiamo, resi forti ed armonici dalla cavità di risonanza o risonatori su menzionati. La trachea e i bronchi sono 'risonatori sottoglottici'; la 'faringe', la 'bocca' ed il 'naso', sono 'risonatori sopraglottici'. (...)
La 'respirazione diaframmatica' per gli uomini e quella 'diaframmatica-intercostale' per le donne, costituisce l'ideale per il canto; essa avviene naturalmente quando siamo distesi e supini e di essa ci accorgiamo per l'alzarsi e l'abbassarsi del ventre. In posizione dritta o in piedi, possiamo respirare con la fascia diaframmatica polmonare, ma per il canto è indispensabile respirare con il diaframma. Se nella posizione in piedi, cantando solleviamo le spalle, la respirazione è polmonare e quindi dannosa agli effetti del perfetto appoggio della voce.

TECNICA ED ARTE VOCALE
(...) dalla prima lezione, è cosa indispensabile, abituarlo [l'allievo] a respirare bene: questo esercizio può anche essere effettuato in posizione di coricato supino (...)

ATTACCO DEL SUONO
Dopo questi esercizi, eseguiti in posizione dritta o in piedi, si deve passare all'attacco del suono (...) abbassare gradualmente la mascella inferiore (nei suoni bassi, la mascella inferiore ha il minimo di apertura; nei suoni alti, il massimo). In tal modo, il velo palatino si innalzerà, scomparendo quasi completamente, per formare un 'piano di sonorità' con il palato duro.
(...) l'aria emessa liberamente, divenuta suono, andrà lontana, con migliore rendimento e minore sforzo di chi la emetterà. Quanto meno forza ci sarà nell'emissione, tanto più lontana andrà la voce 'liberamente' senza affaticare l'apparato vocale e potrà esercitarsi per molte ore, senza tema di diventar rauca.

VOCE LIBERA
(...) se penseremo di appoggiare il suono sostenuto dal diaframma nella fossa formata dal velo palatino, immediatamente soprastante (seni frontali), avendo cura di non irrigidire il collo, di non ritirare o indurire la lingua, avremo la 'voce libera' che avrà migliore timbro, maggiore volume.

(da: Giovanni Manurita - "Canto naturale, canto libero" - Di Biase Editore, Roma 1948)


12. - Elisabeth Schumann -

"Il fiato e il sostegno sono di primaria importanza. Essi aprono la gola, aiutano ad acquisire rilassatezza. Il fiato dev'essere pieno e profondo. Il sostegno deve venire da forti muscoli addominali. (...) Il palato molle deve sempre essere sollevato nel canto. (...) Il fiato solleva il palato nella misura giusta. Non lo si deve mai fare da soli, si abbia fiducia nel fiato e non si interrompa il suo naturale flusso. Sapete, il fiato è tutto nel canto. Non potrei cantare una scala, non potrei cantare una frase se non avessi il mio profondo, profondo fiato e non avessi fiducia nel fiato. Il fiato vuole fare ciò che è giusto se glielo si permette, e il fiato solleva il palato, come vi ho detto, nel modo giusto."

(da una registrazione audio intitolata: Elisabeth Schumann - "The Groundwork of Vocal Art", An interview, 1941 - trad. it. di Mattia Peli)


13. - Toti Dal Monte -

(...) il totale rilassamento dei muscoli del collo è condizione indispensabile per agevolare un'emissione fluida, scorrevole, senza sforzo, della voce, specialmente nei passaggi verso l'acuto: in modo tale, cioè, che la gola e il palato assumano una posizione molto simile a quella dello sbadiglio. (...)
In linea generale la vocale da adottare è il dittongo EO che consente al mento e alla mascella di restare "abbandonati" (...) e consente inoltre un'emissione "rotonda" in quanto evita di aprire troppo e nel contempo troppo raccogliere il suono. Qualora però l'allievo possieda una voce molto aperta o molto "indietro" – come si suol dire nel nostro gergo professionale – è consigliabile per i primi esercizi usare la vocale francese U. (...)
Negli acuti si raccomanda di avviare il fiato verso la testa (...)

(da: Toti Dal Monte - Presentazione dei "Vocalizzi", Ricordi 1970)


14. - Licia Albanese -

- "Cosa mi può dire della tecnica che impiega?"
- "(...) Alzo il palato e apro la gola... specialmente per gli acuti. Quando si cantano gli acuti, si deve aprire la bocca e la gola e anche aprire di più la mandibola." (...)

(tratto da una intervista al soprano Licia Albanese condotta dal basso Jerome Hines, riportata in: J.Hines - "Great Singers on Great Singing", Doubleday, 1982 - trad.it. di Mattia Peli)


15. - Régine Crespin -

(...) senza dimenticare che il palato molle sia alzato; mai basso. Se si tiene il palato molle abbassato, si perde la connessione con il suono 'di testa'.

(tratto da una intervista al soprano Régine Crespin condotta dal basso Jerome Hines, riportata in: J.Hines - "Great Singers on Great Singing", Doubleday, 1982 - trad.it. di Mattia Peli)


16. - Beverly Sills -

Prendendo i suoni di testa, opto per il palato molle. Quando ero solita cantare Zerbinetta puntavo al palato molle. Mi sono guardata allo specchio mentre cantavo, giusto per vedere cosa avveniva. Nel raggiungere i suoni molto acuti ho notato che il mio palato molle si alzava maggiormente... (...) Se voglio entrare nella gamma dei suoni di testa esso [il suono della vocale] diventa una AO, con un suono quasi di U in esso presente che lo spinge in testa.

(tratto da una intervista al soprano Beverly Sills condotta dal basso Jerome Hines, riportata in: J.Hines - "Great Singers on Great Singing", Doubleday, 1982 - trad.it. di Mattia Peli)

17. - Franco Corelli -

- "Pensi ad alzare il palato molle?"
- "Credo che sia lo sbadiglio a sollevarlo"

(tratto da una intervista al tenore Franco Corelli condotta dal basso Jerome Hines, riportata in: J.Hines - "Great Singers on Great Singing", Doubleday, 1982 - trad.it. di Mattia Peli)


18. - Carlo Bergonzi -

L'importanza della copertura e dell'uso del palato molle nel passaggio di registro verso la zona acuta, secondo Carlo Bergonzi:
« (...) c'è anche il cantante capace di adattarsi [al diapason più alto usato oggi] ricorrendo alla tecnica, cioè alzando il cosiddetto palato molle che fa passare il suono. (...)
Ho sempre passato sul Fa-Fa diesis. C'è però un'altra cosa, anch'essa, penso, dovuta all'innalzamento del diapason. Alcuni maestri confondono molte cose: parlano di "chiuso" e di "aperto", ma confondono il "coperto" con il "chiuso". Coperto, il suono va coperto. Deve essere appoggiato ma coperto. (...) Il maestro deve dare anche l'impostazione del suono. Se la voce si chiude non lavora più né il diaframma né il resto. (...)
Il suono, coprendolo, passa. E una volta che arrivati al Fa diesis, Sol, La bemolle, si può andare dovunque, non ci sono limiti (...) Ma se si incomincia a chiudere sul Fa o sul Fa diesis come si fa ad arrivare al La, al Si bemolle? Se canto “un trono vicino al sol, un trono vicino al sol" chiudendo la voce, come faccio? E' già sul Fa che io so che faccio il Si bemolle. »

(da "Nuova Solidarietà" - "Le voci italiane ci sono ancora" - Intervista a Carlo Bergonzi - Il famoso tenore, sulla breccia ancora a 63 anni, spiega perché l’accordatura alta e la scelta di ruoli inadatti impediscono la formazione delle grandi voci
di: Liliana Celani e Giuseppe Matteucci, 12 marzo 1988 [http://www.carlobergonzi.it])


19. - Pablo Elvira -

La cosa più semplice, che è la più difficile da insegnare, è come 'sollevare' il 'palato'... sentire che il palato molle è un po' tirato su, vale a dire che si possa avere lo spazio necessario quando si canta. (...) Ora, c'è un segreto che sto per rivelare. C'era un tenore drammatico portoricano al tempo di Caruso chiamato Don Antonio Paoli. Cantò per gli zar. Tornò a Puerto Rico per morirvi, e là insegnò canto ad alcuni studenti.
Egli vocalizzava sempre con la vocale U. Ed anch'io ho usato questo sistema, ed ho sviluppato più [estensione] di quanto mi servisse. (...) Tutti questi vocalizzi di cui ho parlato, egli li avrebbe vocalizzati sulla vocale U, cercando di tenere la U con lo "squillo". E questo spiega perché io riesca a far ciò che voglio. Non ho mai studiato con lui, ma ho osservato i suoi allievi mentre insegnavano ad altri. Egli diceva che la vocale più difficile da cantare era la U. Quando si domina la più difficile le altre vocali diventano facili. Nell'emettere la U, si alza il palato molle. Se si canta A, si deve pensare a quando si sta sbadigliando per sollevare il palato...

(tratto da una intervista al baritono Pablo Elvira condotta dal basso Jerome Hines, riportata in: J.Hines - "Great Singers on Great Singing", Doubleday, 1982 - trad.it. di Mattia Peli)


20. - Sherrill Milnes -

- "Che ne pensi dell'uso del palato molle in una gola aperta?" domandai.

- Intendi il sollevamento del palato molle? E' un fatto fisiologico! Se qualcuno pensa d'esser contrario a ciò, significa che non lo comprende.

- "Più spazio", disse. "Più sollevamento del palato molle quando si sale cantando più in alto nella gamma dei suoni, e, se possibile, più apertura nella gola...la sensazione dello sbadiglio...tuttavia, senza che il suono cada indietro. Va mantenuta quella percezione alta nel naso del seno frontale..."

(tratto da una intervista al baritono Sherrill Milnes condotta dal basso Jerome Hines, riportata in: J.Hines - "Great Singers on Great Singing", Doubleday, 1982 - trad.it. di Mattia Peli)

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Breve corollario

- CRIVELLI:
"La canna de' Polmoni ha un'azione naturale d'elevarsi, e d'abbassarsi, e perciò imparte alla Laringe un movimento o all'ingiù verso l'espansione della Gola, o verso la Cavità della Bocca  - Nel produrre i suoni gravi la Canna de' Polmoni abbassandosi, la Laringe s'inclina verso l'espansione della Gola, e nel passar dai suoni gravi agli acuti la Canna de' Polmoni, elevandosi gradualmente, la Laringe, montando, s'inclina verso la Cavità della Bocca, e questo è la causa di quei suoni che sono chiamati vibrazioni di testa - durante quest'azione i muscoli interiori della Laringe o si dilatano, o si contraggono; nel dilatarsi producono i suoni gravi, nel contrarsi gradualmente gli acuti. (...) La lingua è piattamente distesa. - Il Palato molle, e l'Ugola, tendono verso il passaggio che communica col naso, e così producono uno spazio sufficiente, tra il quale il suono passa perfettamente libero, e con capacità di espansione."

(Domenico Crivelli - "L' Arte del Canto ossia Corso completo d'Insegnamento sulla Coltivazione della Voce" - Londra, 1820)


- ROSSINI:
"Allo studio delle vocali seguiva quello dei dittonghi, delle consonanti, dell'articolazione, della respirazione etc. Si badava soprattutto che il suono si propagasse grazie all'aiuto del palato della bocca. Questo, in effetti, è il trasmettitore per eccellenza di una bella sonorità. E in questo bisogna ammettere che la lingua italiana sembra davvero privilegiata nel promuovere lo sviluppo del "bel canto". "Amâre... bêllo..." Questi "mâ", "bêll", piazzati sul palato e così trasmessi, non son già musica?»"

[dal libricino di Edmond Michotte intitolato "Une soirée chez Rossini à Beau-Séjour (Passy) 1858, Exposé par le Maestro, des principes du 'Bel Canto'", 1895 ca. - trad. it. di Carolina Barone]

--> http://belcantoitaliano.blogspot.com/2020/12/rossini-sul-bel-canto.html


- BOCCABADATI:
"Coll'abbassare la lingua ed alzare il palato si ottiene una piacevole sonorità."

(da: VIRGINIA BOCCABADATI - Maestra di Bel Canto nel Liceo Musicale Rossini di Pesaro - "OSSERVAZIONI PRATICHE PER LO STUDIO DEL CANTO" - Pesaro, 1893)


- ISNARDON:
« [Si] vous avez placé l’appareil vocal dans la forme du "bâillement", votre palais soulevé, votre langue retombant inerte, vous présentez à la voix un "pavillon", comme pour les instruments à vent, où le son va prendre toute sa sonorité, toute son ampleur, toute son élasticité. »

[Jacques Isnardon - "La bouche et le chant" - Musica, novembre 1902, p. 28]


- SHAKESPEARE (tenor):
SOFT PALATE. - If we pass the finger backwards along the roof of the mouth, we discover the soft palate. There has been much discussion as to its influence over the tone of the voice. It is here suggested that its freedom of action depends on the freedom of the throat and tongue. (...)
THE TONGUE. - (...) The use of any muscles which would cause the tongue to be "rigidly drawn back" would destroy the purity of all the vowel sounds. As on ascending the scale the pipes of an organ diminish in length and breadth, there may be for every rising note wc sing a natural and unconscious contraction of the throat space, there certainly is a rising and falling of the soft palate, as the notes ascend mid descend. In placing the voice, then, no muscles must be employed which would interfere with the freedom of the tongue and throat. (...)

(from: "THE ART OF SINGING", by William Shakespeare - Based on the Principles of the Old Italian Singing-Masters - London, 1909)


- FILLEBROWN:
"The true office of the soft palate is to modify the opening into the nose and thus attune the resonant cavities to the pitch and timbre of the note given by the vocal cords and pharynx. (...)
As the voice ascends the scale the tension of the soft palate is increased and it is elevated and the uvula shortened, thus decreasing the opening behind the palate, but never closing it. In fact the larger the opening that can be maintained, the broader and better the tone. The author was himself unable fully to appreciate this until he had become able to sense the position of the soft palate during vocalization."

(from: Thomas Fillebrown - RESONANCE IN SINGING AND SPEAKING - Boston, Oliver Ditson Company 1911)


- SAENGER:
Placing the voice—THE SOFT PALATE.
The soft palate is the back part of the roof of the mouth. Its freedom of action depends much on the freedom of the throat and tongue. It must rise, so that the roof of the mouth, back of the hard palate, may assume an arched shape, which is most favorable to the production of round, sonorous tones, "but" care must be taken not to exaggerate this arch and to keep the soft palate free and flexible.

(Oscar Saenger - "The Oscar Saenger course in vocal training" - A complete course of vocal study for the Tenor Voice, 1916)


- KLEIN, allievo di Garcia:
"Allorché si apre la bocca per emettere un suono, ciò deve avvenire abbassando leggermente la mascella inferiore, senza movimenti incomposti del capo, il quale rimane tranquillo ed eretto. La lingua si appiattisce leggermente quando la mascella inferiore si abbassa, mentre lo spazio faringeo si dilata. Il palato molle si eleva a forma di cupola. La forma così creata dà senz'altro l'avvio per la formazione della vocale madre, l' "a".
La forma di tutte le altre vocali, in qualsiasi lingua, non è che la variazione di questo processo fondamentale (...)"

(da: Gli "otto punti essenziali del sistema del Bel Canto", indicati dal signor Klein come quelli della scuola di E. Garcia, suo Maestro - tratto da: Herman Klein - "THE BEL CANTO" - Oxford University Press, 1923 - in: SANTA CECILIA, Roma, aprile 1960, traduzione a cura di Rachele Maragliano Mori)


- HUEY:
There are two ways of treating the soft palate in writing on "How to Sing". One, quite popular, is to forget it—not mention it at all. The other is to "Raise the soft palate by inhaling deeply" before phonation begins. Our prominent singers defend this latter action (...) "thus insuring an open throat".

(from: "The Soft Palate in Song", by L.O. Huey, in: THE ETUDE, October 1924)


- ARMSTRONG:
(...) let us see just how important its actions are in singing.
Up to about the year 1900, and for as far back as the writer can remember, the best teachers demanded of their pupils that they “arch” the palate. This was stressed also by great singers such as Jean de Reszke, and Enrico Caruso, the latter going so far as to advise the use of a hand mirror to see the action of the palate.
We now shall endeavor to show that an arching or a higher and higher elevation of the palate as the voice ascends, assists in the tensing of the vocal bands (cords) to meet and resist extraordinary breath pressure, and that adequate tension is not possible without the cooperation of an arching, or elevating soft palate.
(...) Then how may an arched position of the palate be developed? Through either a yawning sensation or a sombring of tone (...)
Essential in this is that the tip of the tongue be held in contact with the lower front teeth throughout the exercise, for should the tongue be drawn back, the
dilation will be only half the degree necessary to a full arching of the palate. Also, the vowel must be held focused on the upper front teeth (...)

(from: "The Soft Palate in Singing", by William G. Armstrong, in: THE ETUDE, December 1945)


Belcanto Italiano International Summer Campus, luglio e agosto 2022
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con i fondatori di Belcanto Italiano tra le verdi colline di Alessandria.

Disponibili posti letto e pasti con uno speciale "pacchetto ospitalità"
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martedì 3 maggio 2022

La grande tecnica vocale dell'antica scuola italiana - Roma, 14 e 15 maggio 2022

Vi aspettiamo a Roma, il 14 e 15 maggio 2022, per il seminario 'La grande tecnica vocale dell'antica scuola italiana'.

Due giornate di corso intensivo con i fondatori di Belcanto Italiano: Astrea Amaduzzi, soprano ed esperta di tecnica vocale e il M° Mattia Peli, Maestro preparatore e vocal coach

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domenica 31 ottobre 2021

Calendario di studio dell'Accademia Nazionale di Belcanto Italiano - anno 2021/22: dalla respirazione alla messa in scena delle opere

Calendario di studio dell'Accademia Nazionale di Belcanto Italiano - anno accademico 2021/22

Presentato il programma di studi dell'Accademia Nazionale di Belcanto Italiano!
Da novembre 2021 a luglio 2022 un entusiasmante viaggio alla scoperta della voce nel canto lirico, con organizzazione di concerti e opere in costume.

Ecco il Calendario di studio dell'Accademia Nazionale di Belcanto Italiano - anno accademico 2021/22

Novembre 2021 - "La respirazione" e "La messa di voce"
Dicembre 2021 - "La voce di petto, il misto e la voce di testa"
Gennaio 2022 - "I passaggi di registro"
Febbraio 2022 - "Le agilità vocali"
Marzo 2022 - "La mezza voce"
Aprile 2022 - "L'arte scenica" e "I filati"
Maggio 2022 - "Gli acuti e i sopracuti"
Giugno 2022 - "Il trillo" e "La messa in scena"
Luglio 2022 - "La relazione tra musica, movimento e scena"

www.accademiabelcanto.com

venerdì 15 ottobre 2021

ROSA PONSELLE SULL'ARTE DEL BEL CANTO (maschera, suoni coperti, mezzavoce, voce di petto e di testa, pianissimi ed acuti)

Rosa Ponselle sull'Arte del Bel Canto

Cari lettori di Belcanto Italiano,

raccogliamo in questo articolo alcune citazioni del celebre soprano Rosa Ponselle sull'arte del canto. Buona lettura e buona riflessione a tutti!

1. IL METODO DEL CANTANTE, secondo il grande soprano Rosa Ponselle:

«Ah, there is nothing like the "Bel Canto" method of singing. It is the only safe foundation for a singing career. The "Bel Canto" is not only the esiest way of using the voice, thus saving it for a lifetime, but it is also the most natural way of producing tones. In almost any other method, the beautiful line of the singing is lost, because of the declamatory style of tone production which gives results not at all melodious.
People often ask by what means I preserve the freshness and spontaneity of my voice. In the first place, I have to thank the Creator and a fine musical parentage for a reliable throat and vocal organs. The only secret I have for the preservation of what has been given me is that I have been taught a proper method of singing and then practice a proper method of living. The voice is so sensitive, reflecting every variation of our physical and emotional condition, that not to keep the body, the mind, and the soul or emotional instincts all in a normal, healthful condition, is simply suicidal to the singer's ambitions.
After a singing technique is once thoroughly developed, but little exercise of the voice, other than that necessary at rehearsals and in actual public use, is necessary. Just a few "warming up" exercises occasionally to keep the tones flowing smoothly. (...)
The one thing that the singer must never sacrifice is that velvety edge on the tone which charms the senses of the hearer. No matter how dramatic the situation, the tone must never become strident. No matter what the depth of emotion or how violent the passions of the situation, always the tone must remain spontaneous, pure, and responsive, that it may be a medium for the transmission of the emotions of the soul of the singer. Just as soon as strain enters into the tone, just that soon it loses to a large degree its usefulness as a means of moving the one who hears it. (...) Always one should feel that there is more to give if it were but necessary. There is such inspiration in the feeling that there is still more in reserve.
Strangely enough, this feeling goes right out over the footlights and takes hold of the audience, creating a wonderful confidence in the artist because that there is always a possibility of more to come, that the singer has not reached the limits of her ability to give.»

[Ah, non v'è nulla che sia paragonabile al metodo canoro del "Bel Canto". È l'unico fondamento sicuro per una carriera lirica. Il "Bel Canto" non è solo il modo più semplice di usare la voce, conservandola così per tutta la vita, ma è anche la via più naturale per produrre dei suoni. In quasi tutti gli altri metodi si perde la bella linea del canto, a causa dello stile declamatorio della produzione del suono che dà risultati per nulla melodiosi.
La gente spesso mi chiede in che modo riesca a preservare la freschezza e la spontaneità della mia voce. In primo luogo, devo ringraziare il Creatore ed una buona parentela musicale per una gola e degli organi vocali affidabili. L'unico segreto che ho per preservare ciò che ho ricevuto in dono è che mi è stato insegnato un metodo di canto corretto e poi è quello di praticare un metodo di vita corretto. La voce è così sensibile, da riflettere ogni variazione della nostra condizione fisica ed emotiva, che non mantenere il corpo, la mente e l'anima o gli istinti emotivi in ​​condizioni normali e sane, è semplicemente un suicidio per le ambizioni del cantante.
Dopo essere stata sviluppata a fondo una tecnica di canto, occorre poco esercizio della voce, oltre a quello necessario durante le prove e nelle esecuzioni pubbliche vere e proprie. Solo qualche esercizio di "riscaldamento" di tanto in tanto per mantenere i suoni fluidi. (...)
L'unica cosa che il cantante non deve mai sacrificare è quel contorno vellutato sul suono che incanta i sensi dell'ascoltatore. Non importa quanto drammatica sia la situazione, il suono non deve mai diventare stridente. Non importa quale sia la profondità dell'emozione o quanto violente siano le passioni del momento scenico, il suono deve rimanere sempre spontaneo, puro e reattivo, affinché possa essere un mezzo per la trasmissione delle emozioni dell'anima del cantante. Non appena lo sforzo entra nel suono, subito perde in larga misura la sua utilità come mezzo per commuovere colui che l'ascolta. (...) Si dovrebbe sempre percepire che vi sia di più da dare se solo fosse necessario. Vi è una tale ispirazione nella sensazione che vi sia tanto di riserva da offrire.
Strano a dirsi, questa sensazione va oltre le luci della ribalta e si impadronisce del pubblico, creando una meravigliosa fiducia nell'artista perché c'è sempre la possibilità che non sia finita lì, che il cantante non abbia raggiunto i limiti della sua capacità di dare.]

(da: The American Girl's Chance in Opera, an Interview with the distinguished Soprano and Artist ROSA PONSELLE - THE ETUDE, November 1929)


2. Consigli di Rosa Ponselle ai giovani soprani drammatici:

«When you begin to study singing, let your first thought be to learn how to sing. And then, if later you feel drawn toward opera, make sure that you possess the requisite qualifications for an operatic career. (...) William Thorner was my teacher, and all that I may have gained in the way of voice production and flexibility, singing poise and tone development, I owe to him. There seems little advantage to the student in recommending this, that or the other set of "vocalises" or exercises for study use. After all, if you get down to the gist of the matter, it is altogether a question of the proper use of the exercises selected; "how" to study what you study and not "what" you study.
I spent less than a year preparing for opera, but when you ask me how I managed to accomplish so much in a time so comparatively short, the answer is simple. I was studios—working with my mind as well as with my throat—and I had had correct teaching from the "very beginning", and therefore no faulty teaching to undo. One thing in which I am a great believer is the avoidance of vocal overexertion. During the opera or concert season I use daily vocal exercises to keep my voice flexible; but I practice them only a "few minutes" each day—and during my vacation I give myself a complete rest. Even while I was preparing to sing in opera, I did not practice more than fifteen or twenty minutes a day; unless, of course, I was studying a new role. The pronouncedly coloratura roles, as I see it, do not properly lie within the range of the dramatic soprano voice; but there is no earthly reason why the dramatic soprano cannot sing purely lyric roles, and sing them well.
(...) I would not attempt to draw comparisons, as regards difficulty, between one and another operatic role of the dramatic soprano repertory. (...) I could not say that Leonora, for instance, is a role more difficult to sing than that of Elvira. My own experience is that ALL ROLES REQUIRE THE SAME MENTAL EXERTION IN ORDER TO RENDER THE MOTIF IN ITS BEST LIGHT!
(...) As regards the studying of soprano roles or songs which the singer, for some one reason or other, may be doubtful of carrying to success, there is a very simple and logical rule, one which I follow myself: I HAVE NEVER STUDIED ANY ROLE TO WHICH I DID NOT BELIEVE I COULD DO JUSTICE.»

[Quando s'incomincia a studiare canto, per prima cosa si pensi ad imparare a cantare. E poi, se più tardi si percepisce un'attrazione verso l'opera lirica, ci si accerti di possedere i requisiti necessari per una carriera operistica. (...) William Thorner è stato il mio insegnante, e tutto ciò che posso aver raggiunto dal punto di vista della produzione e flessibilità della voce, della padronanza canora e dello sviluppo del suono, lo devo a lui. Mi sembra vi sia poca convenienza nel raccomandare allo studente questa, quella o quell'altra serie di "vocalizzi" od esercizi ad uso di studio. Dopo tutto, se si va davvero al nocciolo della faccenda, è tutta una questione che ha a che fare con l'uso appropriato degli esercizi selezionati; "come" si studia ciò che si studia e non "cosa" si studia.
Ho impiegato meno di un anno nel prepararmi all'opera lirica, ma se mi chiedete come sia riuscita a realizzare così tanto in un tempo relativamente così breve, la risposta è semplice. Ero diligente nello studio—lavorando tanto con la mente quanto con la gola—ed ho avuto l'insegnamento giusto fin dal "primo momento", e perciò nessun insegnamento scorretto da eliminare. Una cosa della quale sono una grande sostenitrice è quella di evitare l'iperaffaticamento vocale. Durante la stagione operistica o concertistica impiego degli esercizi vocali giornalieri per mantenere flessibile la mia voce; ma mi ci esercito solamente per "pochi minuti" al giorno—e durante le vacanze mi concedo un periodo di completo riposo. Anche quando mi stavo preparando per cantare in un'opera, non mi sono mai esercitata per più di quindici o venti minuti al giorno; a meno che, naturalmente, non stessi studiando un nuovo ruolo. I ruoli marcatamente di coloratura, per come la vedo io, non rientrano propriamente nell'ambito della voce del soprano drammatico; ma non v'è ragione alcuna per cui il soprano drammatico non possa cantare ruoli da lirico puro, e cantarli bene. (...) Non cercherei di fare confronti, quanto alla difficoltà, tra taluno e talaltro ruolo operistico del repertorio del soprano drammatico. (...) Non potrei dire che Leonora, ad esempio, sia un ruolo più difficile da cantare di quello di Elvira. La mia personale esperienza mi dice che TUTTI I RUOLI RICHIEDONO IL MEDESIMO IMPEGNO MENTALE PER POTER RESTITUIRE IL MOTIVO DOMINANTE NELLA SUA LUCE MIGLIORE!
(...) Quanto allo studio dei ruoli o delle arie per soprano che la cantante, per una ragione o per un'altra, possa essere in dubbio di portare al successo, v'è una regola molto semplice e logica, una regola che io stessa seguo: NON HO MAI STUDIATO NESSUN RUOLO AL QUALE NON CREDESSI DI POTER RENDERE GIUSTIZIA.>>]

(Rosa Ponselle da: Frederick Martens - "The Art of the Prima Donna and Concert Singer", 1923)


3. Rosa Ponselle: 'LA GRANDE VOCE NON FA AUTOMATICAMENTE DEL CANTANTE UN ARTISTA'!!!

«My phonograph records, whether good or bad, convey something of my voice and a little of my artistry. I was said to have had a great voice; my recordings, especially the ones taken from radio broadcasts, captured what I had rather faithfully. But voice and artistry are separate matters. Having a great voice in no way guarantees being an artist; it guarantees only that the voice will probably appeal to an audience. Artistry is something beyond that. Caruso had the formula for it. He gave it to anyone who asked him what it took to become an artist.
"Work, work, and again, work", he used to say.
Part of what artistry involves is probably inborn. The rest is an alchemy of self-confidence, willpower, proper guidance, and, as Caruso said, hard work. For nineteen seasons at the Metropolitan, from "Forza del destino" through "Carmen", I tried to achieve that alchemy. Whether I succeeded, only history, not I, can judge.»

[I miei dischi fonografici, buoni o cattivi che siano, trasmettono qualcosa della mia voce e un po' della mia abilità artistica. Si diceva che avessi una grande voce; le mie registrazioni, specialmente quelle tratte dalle trasmissioni radiofoniche, hanno catturato piuttosto fedelmente ciò che avevo. Ma voce e abilità artistica sono due questioni distinte. Avere una grande voce non garantisce in alcun modo di essere un artista; garantisce solo che la voce probabilmente piacerà a un pubblico. L'arte è qualcosa di più. Caruso di questo aveva la formula. La dava a chiunque gli chiedeva cosa ci volesse per diventare un artista.
"Studio, studio e ancora studio", diceva.
Parte di ciò che comporta l'arte è probabilmente innato. Il resto è un'alchimia di fiducia in se stessi, forza di volontà, una guida adeguata e, come ha detto Caruso, duro lavoro. Per diciannove stagioni al Metropolitan, da "Forza del destino" a "Carmen", ho cercato di raggiungere quell'alchimia. Se ci sono riuscita, solo la storia, non io, può giudicarlo.]

(da: Rosa Ponselle & James A. Drake - "PONSELLE, A SINGER'S LIFE", foreword by Luciano Pavarotti - Doubleday & Company, Inc. - Garden City, New York, 1982)


4. Rosa Ponselle sulla voce proiettata in maschera:

- "How about placement?" I asked.
«You use the MASK... FORWARD,» she said. «You get the feeling your face is going to come off.»
- "From the vibrations?"
«Yes!»
- "Did you use chest voice?"
«Only when necessary, but always IN THE MASK.»

[- "Cosa ne pensa del posizionamento?" domandai.
«Si usa la MASCHERA... AVANTI,» ella rispose. «Si ha la sensazione che la faccia stia per staccarsi.»
- "Per le vibrazioni?"
«Sì!»
- "Lei usava la voce di petto?"
«Solo quando necessario, ma sempre IN MASCHERA.»]

(tratto da una intervista al soprano Rosa Ponselle condotta dal basso Jerome Hines, riportata in: J.Hines - "Great Singers on Great Singing", Doubleday, 1982)

 

5. - PIANISSIMO: la "prova del nove" della proiezione vocale -

ROSA PONSELLE: «Tullio Serafin finally persuaded me, in 1927, to sing Norma in London at Covent Garden. (...)
I had been told that Covent Garden's acoustics ranked with the best in the world. I found out for myself a week or so after I arrived. I tried a verse from "Annie Laurie" as I walked from one part of the stage to another; I sang with only nominal volume, but heard my voice resounding through every part of the auditorium. Even the most delicately spun PIANISSIMO made its way to every row, giving me the range of sensations every singer needs to gauge how well the voice is projecting. I felt perfectly at home at Covent Garden.»

(from: Rosa Ponselle & James A. Drake - "PONSELLE, A SINGER'S LIFE", foreword by Luciano Pavarotti - Doubleday & Company, Inc. - Garden City, New York, 1982) 


6. THE IMPORTANCE OF SINGING "MEZZA VOCE" & "PIANISSIMO", according to Rosa Ponselle:

 - Watching and listening to him [Caruso] rehearse the magical tenor moments in "Forza del destino", especially the highly dramatic "O tu che in seno agli angeli", made me want to kneel at his feet. Here was a voice that "loved" you. His singing was purely and simply unbelievable, both in its dramatic and soft "legato" moments, as well as the intuitive musicianship behind it. (...)


Caruso was an interesting study at rehearsals. He was always punctual, and only did a few vocalises to warm up his voice. To conserve his resources, unless it was a dress rehearsal, he would sing in "HALF VOICE", occasionally showing off his full volume if he felt disposed to. During most of the rehearsals he would sing high notes in a cantor-like falsetto, an eerie sound compared to what his voice sounded like at full volume. (...)
- Titta Ruffo, who joined the Metropolitan that same season, was also without rivals among baritones. I sang with him frequently, and his singing was as unique as Caruso's. Sadly, the sheer volume of his voice often overshadowed its intrinsic beauty and the exquisite "MEZZA VOCE" possibilities it afforded. One of his long-standing complaints was that the public never accepted his "MEZZA VOCE" singing; they expected him to sing at full volume, especially in the familiar arias. It was an unreasonable expectation, since a singer contours his tones and phrases by these contrasts in volume, and helps take the drama to a proper climax. Although in Titta Ruffo's case the splendor of his voice lay more in his middle and top tones than the lower ones, his basic technique and, of course, the quality and size of his voice, made his singing a once-in-a-lifetime rarity. I was fortunate to have sung with him nineteen times, in "Aida", "Andrea Chénier", "Ernani", and "La Gioconda". (...)
While Titta Ruffo boasted the most singular baritone voice I ever heard (Giuseppe de Luca appropriately called it "a miracle, not a voice"), Stracciari's was an easy candidate for the most beautiful (along with Pasquale Amato's, which many thought Stracciari's superior), and certainly one of the most durable. Long after Ruffo's voice had lost its core, and after the richness of Amato's had left him, Stracciari was still wowing the Italian critics with his Figaros and Rigolettos—roles that he sang, it is estimated, nine hundred and eleven hundred times, respectively. Happily, Columbia saw to it that he and I were recorded together, in the "Mira d'acerbe lagrime" and "Vivrà! contende il giubilo" sections from "Il Trovatore". (...)
- So much has been written about the power of Chaliapin's voice and acting as Boris that I hardly need to say more. Sheer volume, however, has never been a feature I particularly value in a singer. With Chaliapin, in fact, what I loved most was the way he used his "MEZZA VOCE" and "PIANISSIMI" to make some of his most telling effects; they were poignantly colored and were so soft they could barely be heard, though they carried to the back walls of the old Met or Covent Garden. (...)
- I admired Franco Corelli, a protégé of Lauri-Volpi, for the singular quality of his voice, his command of "MEZZA VOCE", and sun-like brightness and warmth of his tone. (...)

- In 1949 a visit from Ida and Louise Cook made me think about getting my voice in shape again. Ida and Louise had renewed our acquaintance just after I was released from the hospital in the winter of 1947. When they visited me again two years later they brought with them a young physician, Dr. Dick Alexander, and his wife, who were fans of mine. At Ida's and Louise's urging, Dr. Alexander brought with him an early model wire recorder.
Ida Cook, though a writer by profession, was, like her sister Louise, a great devotee of the opera. At Villa Pace she got me to sing one of my favorite songs, "Fa la nana bambin", into Dick Alexander's machine. It's a song that requires controlled "MEZZA VOCE" singing, and since the "MEZZA VOCE" is the immediate indicator of whether or not I'm in voice, I chose it instead of something more musically complex.

- Martinelli Gala. Metropolitan Opera House: 20 November 1963. (50th Anniversary of Giovanni Martinelli's debut.)
Raina Kabaivanska came to me through Ida Cook, who had known her in London. As part of a tribute to Giovanni Martinelli, the Metropolitan's management had asked her to sing the "Suicidio" from "Gioconda", and she came to me for guidance. (...)
Initially, we had only a weekend to work together, owing to her busy schedule. From Friday through Sunday we worked into the wee hours of the morning, and I'm pleased that she has since credited much of her vocal transformation to that weekend. Our immediate goal was, as I say, to enable her to sing a laudable "Suicidio" for the Martinelli tribute. I had to admit that I was surprised that she had been given the aria to sing. Zinka Milanov was the reigning Gioconda of the day, but had been asked to sing one of the last-act arias from "Otello", probably to allow her to display her famous "MEZZA VOCE". So Raina was given the "Suicidio"—admittedly a poor choice for her voice, because she didn't have the power and weight for Ponchielli's music. But, being new to the Metropolitan, and thus being a bit insecure about her position, she agreed to do it.
My first task was to analyze her voice and decide what would be technically safe, artistically successful, and dramatically exciting, given the parameters of her basic voice and technique. To my surprise I found that she had never sung a genuine "PIANISSIMO"—and she knew it. She didn't know how to produce one. By Monday morning, when she left, she could execute a seamless "DIMINUENDO" at will, and could sustain a "PIANISSIMO" line wherever the music called for it. 


Working on the "Suicidio", which was a great advantage because I had sung the aria so often, I explained that there were at least three tendencies she would have to overcome:
1. one would be to force the voice because of the demands of volume and range.
2. Being carried away by the emotion of the drama was another potential problem.
3. So was the possibility of being enveloped by the sweep of the music itself.
Raina has great musical intelligence, which made all this so much the easier to work around. We outlined a pattern for her to call upon when singing "Suicidio", a pattern featuring contrasts in colors as well as dynamics. We worked especially hard on precise attacks, sweeping phrasing, diction, and mood changes in the aria. After that weekend, she worked with me on several other roles, whenever she could.
Later I learned that the difference in her singing was immediately noticed in New York. When she was asked what accounted for her improvement, she attributed it to our weekend's work. Later, the Met management phoned to congratulate and thank me for what I had done. Recognition of this kind is a great lift for any teacher.

(Rosa Ponselle & James A. Drake - "PONSELLE, A SINGER'S LIFE", foreword by Luciano Pavarotti - Doubleday & Company, Inc. - Garden City, New York, 1982)


7. Il saggio uso della voce di petto, secondo il soprano Rosa Ponselle:


«Although there is some disagreement about the number and kinds of registers in the singing voice, I have always found it accurate, as I've said elsewhere here, to dissect the voice into "chest" and "head" compenents. In various segments of a voice's overall range, either the head or chest sound can be emphasized, for any number of reasons. But use of the chest voice should be somewhat cautious, especially as regards how high it is carried into the middle and upper parts of the range. Although it is often used to effect color contrasts and can be employed as a way of resting the voice in low passages that demand power, the chest voice should not be carried too high into the range, as it will eventually cause a break in the vocal "column" that cannot be disguised. (...)
The temptation stems from wanting to enlarge the volume, or else change the coloration, of the lower middle voice. There are certain passages in a number of opera scores where this use of the chest voice can be especially tempting [for instance in "Carmen" and "Andrea Chénier"]. (...)
As I think my recordings tend to show, my singing was free of problems with chest tones. If one isn't careful, these tones can become focused in the throat rather than the head. When that happens the column-like equalization of the voice can be lost. At first the loss can be momentary, but over a period of time real damage can be done. I was able to avoid these problems because I knew how to keep my chest tones focused in the head.»

Sebbene vi sia un certo disaccordo a proposito del numero e delle tipologie dei registri nella voce cantata, ho sempre trovato accurato, come ho detto altrove in questa sede, dividere la voce nelle componenti del "petto" e della "testa". In varie parti dell'estensione complessiva di una voce, è possibile enfatizzare il suono di testa o di petto, per moltissime ragioni. Ma l'utilizzo della voce di petto dovrebbe essere fatto in modo alquanto prudente, specialmente per quanto riguarda la scelta di quanto in alto venga portata la voce di petto nelle parti centrali ed acute dell'estensione. Sebbene sia spesso usata per creare contrasti di colore e possa essere impiegata come un mezzo per far riposare la voce nei passaggi gravi che richiedono robustezza, la voce di petto non dovrebbe essere portata troppo in alto nell'estensione, poiché causerà col tempo una rottura nella "colonna" vocale che non può essere mascherata. (...)
La tentazione nasce dal voler aumentare il volume, oppure cambiare la colorazione, della voce medio-bassa. Ci sono alcuni passaggi in una serie di partiture d'opera in cui quest'uso della voce di petto può essere particolarmente allettante [per esempio in "Carmen" e "Andrea Chénier"]. (...)
Come credo le mie registrazioni tendano a mostrare, il mio modo di cantare era privo di problemi quanto ai suoni di petto. Se non si sta attenti, questi suoni possono andarsi a focalizzare in gola piuttosto che in testa. Quando ciò accade, l'eguagliamento della voce simile a una colonna può venir meno. All'inizio tale danneggiamento può essere momentaneo, ma con il passare del tempo si può creare un danno reale. Io sono stata in grado di evitare questi problemi perché sapevo come mantenere i miei suoni di petto concentrati in testa.  

(Rosa Ponselle & James A. Drake - "PONSELLE, A SINGER'S LIFE", foreword by Luciano Pavarotti - Doubleday & Company, Inc. - Garden City, New York, 1982)


8. L'IMPORTANZA DI NON "APRIRE" I SUONI CANTANDO LE NOTE ACUTE, NELLA TESTIMONIANZA DI ROSA PONZILLO (PONSELLE):

All I know is that from about age fourteen I had a fully rounded, opera-like dramatic voice. As far back as I can remember, I never had what I would call a "girl's voice"—the light, breathy-sounding, high-pitched voice we normally associate with young children. My singing voice was always big and round, and even as a teenager I could sing almost three octaves. I never recall the slightest trouble swelling or diminishing a tone anywhere in those octaves.
But I wasn't a "perfect" singer—and this is where I learned a great deal from Nino Romani. Even though I was what you might call a "natural", I had a tendency to sing very high notes (say, the B natural, the high C, and the high D flat) incorrectly. Because I was essentially untrained (I had never had an actual voice lesson in my life), I tended to sing high tones a bit too brightly, not knowing how to "cover" them.[*]
Nino, who had worked in Europe with Riccardo Stracciari and Titta Ruffo, and who understood voice thoroughly, devised a simple set of exercises that helped me "cover" my high tones. He would ask me to sing a note in the middle of my voice, and then would have me sing the nonsense-syllables "ma-me-mi-mo-mu" while I held the note. These vowel sounds, he explained, were the ones that helped "focus" the voice. Then he would have me sing phrases like "deh vieni", or maybe single words like "amore", in progressive tonal steps, ultimately taking me all over the scale. Nino, great teacher that he was, never made much of these exercises. Often I did them in the shower, sometimes on the golf course, or even while swimming at the beach. By the end of the summer of 1918, the top of my voice sounded exactly like the middle and bottom, and I was ready for the challenges of my first roles.

[*] The distinction between "covered" and "open tones" is predicated upon the complex physiology of the singing voice, and is one of those distinctions that are more easily heard than explained. One widely circulated reference book defines "covered tone" as follows: "The tone-quality produced when the singer's voice is pitched in the soft palate. It is gentler, more veiled in timbre, than [an] open tone." ("The Concise Oxford Dictionary of Opera", 1978 edition, page 88). Voice teachers often substitute the expression "singing in the mask" for the phrase "pitched in the soft palate", referring to the sensation of a tone's emanating from the area between the roof of the mouth and the cheekbones—an area likened to "wearing a mask" by many voice teachers. As to the exercises Ponselle describes as having learned from Romani, these varied slightly over the years, although she adhered to the same basic vocalises. In warming up, she would always proceed from what might be called a "head-tone hum"—a hummed tone because the "m" sound would help "place" the tone "in a point"—and would then proceed to an actual vowel form. Hence, the "ma-me-mi-mo-mu" beginning exercises. - J.A.D.

N.B. - LUCIANO PAVAROTTI REMEMBERS HIS ENCOUNTER WITH ROSA PONSELLE:
As a boy in Italy, growing up in my hometown, Modena, I can hardly remember a time when the name Rosa Ponselle was unfamiliar to me. (...) One can imagine how I felt, having grown up admiring an artist whom I had known only from a series of prized phonograph records, meeting her in person—and not only meeting her, but actually "singing" with her! (...) It was at Villa Pace, her magnificent home in the Greenspring Valley near Baltimore, that I met and sang with her. My visit to her villa was the culmination of a telephone-and-letter friendship that had begun a few years earlier. (...) After much animated conversation and a splendid meal, we made our way into her expansive music room, where, before she sat down at the piano, she said to me apologetically, "Luciano, I'm not in form today. Every day when I get up in the morning I try out my 'pianissimo'. If it's there, I'm in top form, and I can do anything. Today, it isn't there, but we'll sing together anyway, in full voice." And sing we did! From fragments of arias and snippets of duets to the beloved Tosti songs so dear to us both, we let our voices mate in one long shimmering line of harmony. My only wish was that we could have been transported magically into a modern recording studio, so that the whole world could have shared this once-in-a-lifetime experience.

(Rosa Ponselle & James A. Drake - "PONSELLE, A SINGER'S LIFE", foreword by Luciano Pavarotti - Doubleday & Company, Inc. - Garden City, New York, 1982)

 

9. Consiglio di tecnica vocale, dato dal grande tenore Enrico Caruso al celebre soprano Rosa Ponselle, sulla gola aperta negli acuti !!!

- "Rosa," I began, "where do we start on vocal technique?"
"Keep a square throat (...) Caruso taught me that," Rosa said. "He kept a little stretch in the back of the throat to keep it open...open in the back and relaxed. It feels like a square, but only on the high notes. (...) The palate is high and the back of the tongue flat," Rosa said. "This is the square."

- "Rosa," iniziai, "da dove cominciamo con la tecnica vocale?"
"Bisogna tenere una gola 'quadrata' (...) me lo insegnò Caruso," disse Rosa. "Egli teneva un piccolo spazio ampio nel retro della gola per mantenerla aperta...aperta nel retro e rilassata. È come la sensazione di un quadrato, ma solo negli acuti. (...) Il palato è alto e la parte posteriore della lingua distesa," disse Rosa. "Questo è il quadrato."

(tratto da una intervista al soprano Rosa Ponselle condotta dal basso Jerome Hines, riportata in: J.Hines - "Great Singers on Great Singing", Doubleday, 1982)


10. Il suono vocalico dal registro grave a quello acuto

- "I supposed," I ventured, "that what we're really talking about is what is commonly called an open throat. But you are basically applying this, you said, to high notes. How do you approach the concept of open throat in general?"
"Keep the tone dark," Rosa stated positively.
- "Her favorite vowel was OO," Igor [Chichagov, the accompanist in Rosa's studio for most of the years she had taught] said. "Her Latin voice tended to be too bright, so her only coach, Romano Romani, insisted on this school of Ruffo and Stracciari: use OO to keep a cover on the tone."

"I used MOO, in the lower register...pure MOO...then gradually to MAH," Rosa said, and it was evident that this was the Italian 'awe', not the brither 'ah' used in French, German, or Russian (...)"
(...) "Always round," Rosa added. "And don't let the top get away from you with high 'tessitura'. It's a low, round sensation, the OO, and all vowels are based on it." (...)
"Giving the square throat," she added.
- "Early in her career," Igor said, "she was having a little problem with some high notes and not with others. She realized one of the good ones was on 'Mia mAdre'. That's the darker 'awe' vowel."
"I started with 'm' and a relaxed throat," Rosa said. "When I was not in good voice, and could not get a good 'awe' from OO, I would work on it until I got it."

- "Now," I said, "how about the transition in the throat or jaw as you go up in range from low notes to high notes? Is there any change?"
"In the middle register just talk, don't mouth words...don't make too big a spacing," she said. "But as you go up you need more spacing...mouth more open, jaw dropped, relaxed."

(tratto da una intervista al soprano Rosa Ponselle condotta dal basso Jerome Hines, riportata in: J.Hines - "Great Singers on Great Singing", Doubleday, 1982) 

 

11. L'EMISSIONE DEI PIANISSIMI

"In pianissimo you almost feel as if you're pulling a thread through your nose...and don't let it ever stop."
- I asked Rosa what sort of vocalizing she did during her career. She said she vocalized (...) when she felt like it. At first she tested her pianissimo and did a scale or two to see if the voice was there.

(tratto da una intervista al soprano Rosa Ponselle condotta dal basso Jerome Hines, riportata in: J.Hines - "Great Singers on Great Singing", Doubleday, 1982)

 

12. Rosa Ponselle sullo studio mentale:

"First of all," said Miss Ponselle, "I regard singing purely as a mental operation—that is, the 'art' of singing. For the girl who is a student of opera in the higher sense, mechanical exercises cannot well be advised, because vocal mechanics do not enter into singing as an 'art'. Too many students, I think, definitely fix their ambitions on opera, when they begin to study singing, before they find out whether or no they are fitted for it. When you begin to study singing, let your first thought be to learn how to sing. (...)
There seems little advantage to the student in recommending this, that or the other set of 'vocalises' or exercises for study use. After all, if you get down to the gist of the matter, it is altogether a question of the proper use of the exercises selected; 'how' to study what you study and not 'what' you study.
I spent less than a year preparing for opera, but when you ask me how I managed to accomplish so much in a time so comparatively short, the answer is simple. I was studious—working with my mind as well as with my throat—and I had had correct teaching from the 'very beginning', and therefore no faulty teaching to undo. One thing in which I am a great believer is the avoidance of vocal overexertion. During the opera or concert season I use daily vocal exercises to keep my voice flexible; but I practice them only a 'few minutes' each day (...) Even while I was preparing to sing in opera, I did not practice more than fifteen or twenty minutes a day; unless, of course, I was studying a new rôle. (...)
I would not attempt to draw comparisons, as regards difficulty, between one and another operatic rôle of the dramatic soprano repertory. (...) My own experience is that 'all rôles require the same mental exertion in order to render the motif in its best light'!"

["Prima di tutto ", disse la signorina Ponselle," considero il canto puramente come un'operazione mentale—vale a dire, "l'arte" del canto. Per le ragazze che studiano opera lirica nel senso più alto, gli esercizi meccanici non possono essere consigliati, perché la meccanica vocale non entra nel canto come "arte". Troppi studenti, penso, fissano definitivamente le proprie ambizioni sull'opera lirica, quando iniziano a studiare canto, prima di scoprire se sono o meno adatti a questo compito. Quando iniziate a studiare canto, il vostro primo pensiero sia quello di imparare a cantare. (...)
Non sembra di gran vantaggio allo studente il raccomandare questa, quella o quell'altra serie di 'vocalizzi' o esercizi ad uso di studio. Dopotutto, se si arriva all'essenza della questione, è tutta una questione di corretto uso degli esercizi selezionati; 'come' studiare ciò che si studia e non 'cosa' si studia.
Io ho trascorso meno di un anno a prepararmi per l'opera lirica, ma quando mi chiedete come sono riuscita a realizzare così tanto in un tempo relativamente breve, la risposta è semplice. Ero studiosa, lavorando con la mente e con la gola, ed ho avuto un insegnamento corretto 'fin dall'inizio', e quindi nessun insegnamento difettoso da eliminare. Una cosa della quale sono una grande sostenitrice è quella di evitare l'iperaffaticamento vocale. Durante la stagione operistica o concertistica impiego degli esercizi vocali giornalieri per mantenere flessibile la mia voce; ma mi ci esercito solamente per "pochi minuti" al giorno (...)
Anche quando mi stavo preparando per cantare in un'opera, non mi sono mai esercitata per più di quindici o venti minuti al giorno; a meno che, naturalmente, non stessi studiando un nuovo ruolo. (...)
Non tenterei di fare paragoni, quanto a difficoltà, tra un ruolo operistico e l'altro del repertorio del soprano drammatico. (...) La mia esperienza personale è che "tutti i ruoli richiedono lo stesso sforzo mentale per rendere l'idea predominante nella sua luce migliore"!]

(da: "The Art of the Prima Donna and Concert Singer" by Frederick H. Martens - D. Appleton and Company, New York, 1923)

 

N.B. : ecco la grandissima considerazione che ebbe Giacomo Puccini per l'arte della Ponselle!

L'INCONTRO CON PUCCINI, LUGLIO 1924:
It was in a similar room at the composer's villa at Torre del Lago, Nino reminded me, that a very young Enrico Caruso had been introduced to Puccini three decades before. After hearing this ebullient young Neapolitan sing several measures of "Che gelida manina", from "Bohème", Puccini had exclaimed, "Who sent you? God?"
Once the usual greetings were exchanged, Puccini asked me to sing, offering to accompany me in anything of his I wished to perform. I chose the "Vissi d'arte" from "Tosca". Minutes later, as my voice throbbed with emotion at Floria Tosca's phrase, "Nell'ora del dolor perché, perché Signor, ah... perché me ne rimuneri così?" (In my hour of misery why, why, O Lord, why do you repay me like this?) Puccini let his hands lay still on the keys, saying nothing. In the moments that passed between the last echoes of the piano chords and the words he finally said to me, "CHE PECCATO... CHE PECCATO CHE NON HO SENTITO PRIMA QUESTA VOCE!" (What a pity that I never heard this voice before!) the words of that final phrase from "Vissi d'arte" must have haunted him. He was at the end of his life, dying by inches from cancer of the throat, having "lived for art and love" just as Floria Tosca had.
During the course of the afternoon I sang "Vissi d'arte" several times for him, lingering on certain phrases more than others, trying this or that shading on various notes, all the while asking the great man which way he preferred the aria sung. He paid me a rich compliment when he said, "CARA, I prefer any way YOU interpret my music!" Later in the day, before we were served dinner, we posed with the Maestro for informal photos on his villa's tiled veranda. Edith took them with a Kodak I had bought for the trip. They were among the very last photographs ever taken of Puccini; three months later, a heart attack ended his misery.
Several weeks after his funeral, I received a letter from Signora Puccini asking if she and her family might have prints of some of the snapshots. In return, she enclosed an unfinished manuscript bearing the Maestro's familiar notation. It was an art song, untitled as yet. At the top of the manuscript, in his unmistakable longhand, he had written, "DEDICO ALLA BELLISSIMA VOCE DI ROSA PONSELLE" (Dedicated to the beautiful voice of Rosa Ponselle).

(from: Rosa Ponselle & James A. Drake - "PONSELLE, A SINGER'S LIFE", foreword by Luciano Pavarotti - Doubleday & Company, Inc. - Garden City, New York, 1982)


--> cfr. il breve articolo 'La tecnica vocale spiegata da Rosa Ponselle' apparso sul numero 1 de "Il giornale del belcanto italiano": 

http://www.belcantoitaliano.com/giornale_belcanto/il_giornale_del_belcanto_italiano_numero_1.pdf