Buona lettura a tutti!
Cos’è il Belcanto? - Di Angelo Fernando Galeano
Oggi su canali televisivi poco informati si parla di Belcanto per indicare il canto operistico tout-court, i musicologi tendono invece a identificare il Belcanto come un periodo netto di produzione operistica più o meno riconducibile a quello a cavallo fra la fine del Settecento e l’inizio del secolo successivo, per dare dei riferimenti, un po’ vaghi a dire il vero, da Mozart al Verdi della cosiddetta Trilogia Popolare, abbracciando l’intera produzione di Rossini, Bellini, Donizetti, per citare i più noti, e tutti i loro coevi.
Ma cos’è realmente Belcanto? Il Belcanto è uno stile vocale, un insieme di pratiche tecniche e stilistiche tramandate per generazioni e pressoché defunte nella seconda metà dell’Ottocento. Si può dire in soldoni che il Belcanto sia un modo di cantare.
Analizzando la parola si ricava che al momento della nascita di questo stile, o meglio della sua codificazione scritta in importanti trattati, fosse diffusa anche un’abitudine vocale meno raffinata, da qui l’esigenza di definire questo stile vocale “bello”, da cui Bel Canto, indi Belcanto.
Ma come nasce lo stile vocale poi denominato Belcanto?
L’epoca Barocca ha estremizzato e portato al massimo splendore il canto, e piena realizzazione dell’estetica dell’epoca si è compiuta spingendo verso l’estremo la vocalità, pretendendo sempre nuovi effetti e un’estensione e una perizia tecnica sempre più ampie forzando così la mano alla Natura e dando origine al fenomeno della castrazione, talmente di successo da essere esportato dal campo della musica sacra a quello della musica profana e del Teatro d’Opera, dove deflagrerà senza controllo.
Un’espansione vocale di simile portata ha creato i presupposti per una tecnica di canto molto più “atletica” di quella operistica originaria, al tempo della Camerata dei Bardi e di Monteverdi per intenderci, che era sicuramente piu giocata sulla naturalezza della voce quasi come fosse un parlato intonato, il recitar cantando appunto. I grandi Castrati del Settecento affinarono questa tecnica con esercizi di respirazione, studio del legato, delle agilità, raggiungimento di estensioni per l’epoca prodigiose, e piegando tutti questi fattori al raggiungimento di una peculiarità della vocalità Settecentesca che sarà l’omogeneità timbrica in tutta l’estensione, e la completa astrazione della voce cantata dalla voce parlata.
Nel Belcanto non esiste l’idea di verosimile, la vocalita e il timbro non devono assolutamente essere in linea con il carattere e anche il sesso del personaggio, il grande eroe o l’innamorato come Giulio Cesare, Arsace, Tancredi, Romeo, sono interpretati da castrati soprano o contralto, o da donne quando la pratica della castrazione non sembrerà più cosa opportuna, e l’unione perfetta delle anime e delle voci si ottiene mediante il canto all’unisono finale, o il melodioso canto per terza o per sesta, e giammai in finto unisono in ottava come soprano e tenore nell’opera tardo ottocentesca e poi verista, fino a Puccini che di tale sonorità ha fatto caratteristica peculiare dei propri duetti d’amore.
Vietato l’uso del cosiddetto “registro di petto”, se non per l’effettone teatrale, vietato l’uso del realismo nella voce, se un personaggio piange il suo dolore canta il suo pianto ma non piange, se urla di dolore canta il suo urlare ma non urla, se scaglia fulmini di odio e rancore canta il suo odio e rancore con note adeguatamente composte ma non urla mai il suo furore, lo canta.
Questa pratica vocale, definitivamente e in modo assai incompleto codificata solo in epoca ormai tarda nel 1840 da M. Garcia nel suo Traité complet de l’art du chant dopo decenni di tradizione orale e passaggio di consegne da allievo a maestro, morirà con l’avvento del realismo nel teatro musicale, la corrente artistica del Romanticismo spazzerà via questo stile in favore di uno più teatrale dove non sarà più “prima la musica e poi le parole”, per dirla con Salieri, ma prima il teatro, il personaggio, la recitazione, e si darà il la definitivo all’avvento della vocalità verista, vera tomba dell’arte del Belcanto, dove l’estetica vocale sarà esattamente l’opposto, ampia pratica del canto “di petto” per rendere la voce sempre più simile a quella parlata, ampio spazio a urla, gemiti, e ogni effetto che possa muovere a commozione il pubblico, in uno spettacolo in cui ormai la musica è un pretesto per mettere in scena un testo drammatico e non più il testo drammatico un pretesto per mettere in scena della musica meravigliosamente scritta e cantata.
Altro effetto della morte della tecnica del Belcanto è il progressivo inspessimento delle voci, la riduzione drastica e pressoché inevitabile dell’estensione, e la perdita di precisione nel canto di agilità, tutte conseguenze ascrivibili alla mancanza di perizia tecnico-atletica della nuova scuola di canto, alla sostituzione della respirazione diaframmatico costale con quella addominale, alla perdita delle conoscenze in termini di cavità di risonanza e di uso dei registri vocali.
Potrei dire della causa principale della scomparsa della tecnica belcantista con parole mie ma preferisco affidarmi a quelle di un mio mito, Gioacchino Rossini, che nel 1860 sostenne con uno scettico e supponente Richard Wagner una conversazione sul tema, riferita parola per parola da Edmond Michotte, fautore dell’incontro fra il grande Maestro a riposo e il compositore tedesco a Parigi nel tentativo di far rappresentare il suo Tannhäuser.
Rossini nel mezzo della conversazione parlando della sua carriera in Italia (finita nel 1823 con Semiramide) sostiene che le condizioni dei teatri in Italia all’epoca lasciavano abbastanza a desiderare ed erano in piena decadenza, così come l’arte del canto era in declino.
Wagner: “A cosa attribuisce un fenomeno tanto inatteso in un paese dove le belle voci abbondano?”
Rossini: “Alla scomparsa dei castrati!. Non si può immaginare come siano affascinanti la voce e il consumato virtuosismo di cui sono dotati, in mancanza di altro e per generosa compensazione, questi bravi fra i bravi. Erano anche maestri incomparabili. In genere veniva affidato loro l’insegnamento del canto nelle cappelle musicali collegate alle chiese e da esse mantenute. Alcune di queste cappelle erano celebri. Erano vere accademie di canto. Gli allievi vi accorrevano numerosi e molti di essi abbandonavano spesso la cantoria per intraprendere la carriera teatrale. In seguito al nuovo regime politico instaurato in Italia dai miei irrequieti compatrioti, le cappelle musicali furono sostituite da qualche conservatorio dove, in materia di buone tradizioni del bel canto non si conserva un bel niente ( si noti il gioco di parole ).
Quanto ai castrati, scomparvero e si perse l’abitudine di crearne di nuovi. È questa la ragione della decadenza inarrestabile dell’arte del canto.”
E non posso che essere pienamente concorde con lui.
Questo articolo, tratto dal sito del Controtenore Angelo Fernando Galeano che ringraziamo vivamente, verrà anche pubblicato sul Blog dedicato al Belcantismo
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