COME INTERPRETARE LA ROMANZA DI CAVARADOSSI "E LUCEVAN LE STELLE" SECONDO GIACOMO PUCCINI, CON TRE COLORI DI VOCE DIVERSI PER TRE DIVERSE SENSAZIONI: VISIVA, OLFATTIVA E ACUSTICA!!!
Una sera Puccini si azzardò ad esprimere quasi timidamente il suo punto di vista nei riguardi della famosissima romanza "E lucevan le stelle". Diceva: — Ecco; dapprima il paesaggio: le stelle, il profumo della terra, lo stridere d'un uscio. Ma di questo mondo esterno, di questo "ambiente" tre sensazioni diverse:
- visiva, l'una;
- splendente, olfattiva la seconda;
- e acustica la terza.
Chi parla delle stelle che rifulgono in cielo, adopera un colore di voce diverso da quello che suggerisce l'olezzo della terra notturna. Non parliamo poi della modulazione del "tono" della voce che si accompagna al ricordo di un suono lontano. Ma subito dopo il paesaggio, ecco il personaggio. "Un passo sfiorava la rena": è ancora l'orecchio teso allo stridere dell'uscio che coglie il fruscio del passo sull'arena. È lei, la divina. "Entrava ella fragrante" (e in quel "fragrante" c'è il profumo inebriante della creatura meravigliosa, c'è un profumo anche più voluttuoso di quello dianzi avvertito nel respirare l'aria notturna carica d'effluvi); "Mi cadea tra le braccia". E qui, con grande sentimento, il ricordo dei baci e delle carezze. Qui, con quella sensualità suggerita dall'inequivocabile aggettivo "fremente" il ricordo delle belle forme finalmente ignude, liberate dalle vesti leggerissime.
Abbiamo citato questa sola romanza per far notare in che modo Puccini andava giù nel profondo dell'espressione; e per conchiudere che, in fatto di romanze, poco o nulla diremo pur nel molto che ci sarebbe da dire. E citiamo questa romanza perchè è proprio lì che si condensa ed emerge la psicologia di Cavaradossi, se pur si possa parlare di psicologia per delle persone sceniche come quelle che cantano in "Tosca". E proprio perchè sentiva il bisogno di esternare, nel momento supremo della sua vita, la passione per la divina Floria: è proprio per questo che Puccini non volle saperne dell'Inno Latino, della "trionfalata" (come ebbe a scrivere al Ricordi); e tanto meno d'una composizione irta di concetti filosofici.
(...) Questa romanza del tenore fu improvvisata al pianoforte dal Maestro. E improvvisate furono le stesse parole ad esprimere lo spasimo d'amore, di nostalgia e di morte. Poi si recò da Giacosa, gli disse il suo pensiero, gli fece sentire la musica. E 'sotto la suggestione' dell'appassionata melodia, il poeta commentò in bei versi rivelatori il sentimento di quelle frasi d'amore. Due parole vennero però mantenute fra quelle che Puccini aveva buttate giù nella foga della improvvisazione, tanto per segnare una traccia: "Muoio disperato". C'è tutto Puccini.
(riportato in: Luigi Ricci - "Puccini interprete di se stesso" - Ricordi, 1954)
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cfr. - L'interpretazione di "E lucevan le stelle" scelta dal tenore Beniamino Gigli (che è stato 195 volte Cavaradossi sui palcoscenici di tutto il mondo):
(...) «E Cavaradossi, il bravo, innamorato, patriottico ed eroico Cavaradossi, come si fa a non indagarne la febbrile ansietà e a non sentirne lo spasimo accorato e fremente di fronte all'amore e alla morte? Nessuno, nè il compositore, nè il librettista, e nemmeno il drammaturgo originale, ci hanno detto se egli, volteriano ed incredulo com'è si lasci davvero convincere dalla illusione in cui la povera Tosca crede di aver raggiunto la duplice e definitiva salvezza. Eppure la distinzione è fondamentale nell'indagine e nei suoi risultati a seconda che si accetti per buona l'adesione dello sfortunato Cavaradossi alle parole della sua donna, o si ritenga che egli, appunto per la sua esperienza e per la sua convinzione nella trista perfidia di Scarpia, non creda minimamente alla promessa onde il malvagio ha tentato fino all'ultimo le sue vittime.
Io, per parte mia, aderisco senz'altro alla seconda ipotesi, e appunto per questo reputo che bisogna dare al famoso grido "Io muoio disperato" il sussulto di una disperazione assoluta e tremenda che lo stesso ricordo degli attimi di gioia e di dolcezza, ormai fuggiti per sempre, rendono ancora più cupa e più tragica. Niente, nessuna illusione, per l'uomo che guarda in faccia la fine di ogni speranza e che, tutt'al più, sorride pietosamente perchè la sua innamorata non si accorga della tragedia che si avvicina.
'Poichè tu vuoi che io mi illuda con te, eccoti contenta, povera donna!... Ma io per mio conto ho dato l'addio alla vita e m'è rimasto sulle labbra e nel cuore il tremendo sapore del nulla leopardiano...'» !!!
(dal cap. 9 “Il cantante come esecutore e come creatore" del libro: Beniamino Gigli - "Confidenze", Istituto per l’Enciclopedia De Carlo, 1942 - Intervista a cura di Italo Toscani, distribuita in diciotto confidenze)