COME INTERPRETARE LA ROMANZA DI CAVARADOSSI "E LUCEVAN LE STELLE" SECONDO GIACOMO PUCCINI, CON TRE COLORI DI VOCE DIVERSI PER TRE DIVERSE SENSAZIONI: VISIVA, OLFATTIVA E ACUSTICA!!!
Una sera Puccini si azzardò ad esprimere quasi timidamente il suo punto di vista nei riguardi della famosissima romanza "E lucevan le stelle". Diceva: — Ecco; dapprima il paesaggio: le stelle, il profumo della terra, lo stridere d'un uscio. Ma di questo mondo esterno, di questo "ambiente" tre sensazioni diverse: - visiva, l'una; - splendente, olfattivala seconda; - e acustica la terza. Chi parla delle stelle che rifulgono in cielo, adopera un colore di voce diverso da quello che suggerisce l'olezzo della terra notturna. Non parliamo poi della modulazione del "tono" della voce che si accompagna al ricordo di un suono lontano. Ma subito dopo il paesaggio, ecco il personaggio. "Un passo sfiorava la rena": è ancora l'orecchio teso allo stridere dell'uscio che coglie il fruscio del passo sull'arena. È lei, la divina. "Entrava ella fragrante" (e in quel "fragrante" c'è il profumo inebriante della creatura meravigliosa, c'è un profumo anche più voluttuoso di quello dianzi avvertito nel respirare l'aria notturna carica d'effluvi); "Mi cadea tra le braccia". E qui, con grande sentimento, il ricordo dei baci e delle carezze. Qui, con quella sensualità suggerita dall'inequivocabile aggettivo "fremente" il ricordo delle belle forme finalmente ignude, liberate dalle vesti leggerissime. Abbiamo citato questa sola romanza per far notare in che modo Puccini andava giù nel profondo dell'espressione; e per conchiudere che, in fatto di romanze, poco o nulla diremo pur nel molto che ci sarebbe da dire. E citiamo questa romanza perchè è proprio lì che si condensa ed emerge la psicologia di Cavaradossi, se pur si possa parlare di psicologia per delle persone sceniche come quelle che cantano in "Tosca". E proprio perchè sentiva il bisogno di esternare, nel momento supremo della sua vita, la passione per la divina Floria: è proprio per questo che Puccini non volle saperne dell'Inno Latino, della "trionfalata" (come ebbe a scrivere al Ricordi); e tanto meno d'una composizione irta di concetti filosofici. (...) Questa romanza del tenore fu improvvisata al pianoforte dal Maestro. E improvvisate furono le stesse parole ad esprimere lo spasimo d'amore, di nostalgia e di morte. Poi si recò da Giacosa, gli disse il suo pensiero, gli fece sentire la musica. E 'sotto la suggestione' dell'appassionata melodia, il poeta commentò in bei versi rivelatori il sentimento di quelle frasi d'amore. Due parole vennero però mantenute fra quelle che Puccini aveva buttate giù nella foga della improvvisazione, tanto per segnare una traccia: "Muoio disperato". C'è tutto Puccini.
(riportato in: Luigi Ricci - "Puccini interprete di se stesso" - Ricordi, 1954)
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cfr. - L'interpretazione di "E lucevan le stelle" scelta dal tenore Beniamino Gigli (che è stato 195 volte Cavaradossi sui palcoscenici di tutto il mondo):
(...) «E Cavaradossi, il bravo, innamorato, patriottico ed eroico Cavaradossi, come si fa a non indagarne la febbrile ansietà e a non sentirne lo spasimo accorato e fremente di fronte all'amore e alla morte? Nessuno, nè il compositore, nè il librettista, e nemmeno il drammaturgo originale, ci hanno detto se egli, volteriano ed incredulo com'è si lasci davvero convincere dalla illusione in cui la povera Tosca crede di aver raggiunto la duplice e definitiva salvezza. Eppure la distinzione è fondamentale nell'indagine e nei suoi risultati a seconda che si accetti per buona l'adesione dello sfortunato Cavaradossi alle parole della sua donna, o si ritenga che egli, appunto per la sua esperienza e per la sua convinzione nella trista perfidia di Scarpia, non creda minimamente alla promessa onde il malvagio ha tentato fino all'ultimo le sue vittime. Io, per parte mia, aderisco senz'altro alla seconda ipotesi, e appunto per questo reputo che bisogna dare al famoso grido "Io muoio disperato" il sussulto di una disperazione assoluta e tremenda che lo stesso ricordo degli attimi di gioia e di dolcezza, ormai fuggiti per sempre, rendono ancora più cupa e più tragica. Niente, nessuna illusione, per l'uomo che guarda in faccia la fine di ogni speranza e che, tutt'al più, sorride pietosamente perchè la sua innamorata non si accorga della tragedia che si avvicina. 'Poichè tu vuoi che io mi illuda con te, eccoti contenta, povera donna!... Ma io per mio conto ho dato l'addio alla vita e m'è rimasto sulle labbra e nel cuore il tremendo sapore del nulla leopardiano...'» !!!
(dal cap. 9 “Il cantante come esecutore e come creatore" del libro: Beniamino Gigli - "Confidenze", Istituto per l’Enciclopedia De Carlo, 1942 - Intervista a cura di Italo Toscani, distribuita in diciotto confidenze)
Belcanto Italiano torna ad Alessandria: un nome legato da anni all'illustre città piemontese, che ha arricchito il panorama culturale cittadino di opere e concerti di prim'ordine.
Questa volta Alessandria viene inglobata in un tour che ha visto grandi successi anche a Cremona, Milano e Monza: il tour fa parte del "Festival Internazionale Itinerante di Belcanto Italiano", la cui missione è portare la grande musica tra la gente, abbattendo i confini di un normale festival; l'arte si mette in moto, organizzandosi con artisti e dando perfino ai più giovani studenti di esibirsi in importanti palcoscenici.
La tappa alessandrina del Festival Itinerante di Belcanto Italiano è fissata per il giorno 18 ottobre 2024, alle ore 20,30, al Teatro Parvum di Alessandria, in Via Mazzini 85.
Si esibiranno i maestri fondatori di Belcanto Italiano, il soprano Astrea Amaduzzi ed il Maestro Mattia Peli, che ancora una volta ci darà un saggio del suo raffinato pianismo. I maestri daranno la possibilità di esibirsi ad alcuni dei loro allievi. Sarà così possibile ascoltare il soprano drammatico statunitense Eva Sun, ed i tenori italiani Andrea Torciere ed Andrea Piazza.
Nella magica atmosfera del Teatro Parvum, saranno eseguite musiche di Purcell, Ciampi, Mozart, Cottrau, Verdi, Ponchielli, Mascagni, Cilea, Tosti e Puccini; e proprio a quest'ultimo genio dell'opera italiana, c'è una sostanziosa parte di concerto intitolata "Puccini Celebration" con arie da "La bohème", "Tosca", "Madama Butterfly" e "La rondine" e brani pucciniani per pianoforte solo, in un crescendo di emozioni celebrate appunto dal centenario che ricorre quest'anno, per una musica sempre giovane, toccante ed immortale.
Monza, 12 ottobre 2024: in un solo pomeriggio il marchio Belcanto Italiano promuove e firma la "Cavalleria Rusticana" di Mascagni e l'evento 'Puccini Celebration', in collaborazione con la Corale Monzese. Il via all'appuntamento musicale è alle 16,30 nella suggestiva cornice della Sala Maddalena ed è incastonato in una serie di incontri, "Gemma Bellincioni - una gemma preziosa", dedicati al celebre soprano per la ricorrenza dei 160 anni dalla sua nascita.
La 'Cavalleria' e un po' di Puccini ('Il cittadino di Monza', 10 ottobre 2024)
La serata è ricchissima: nella prima parte sarà messa in scena la prima e più celebre opera mascagnana con i solisti di Belcanto Italiano, reduci dai successi ottenuti al Teatro Filo di Cremona e alla Basilica dei Santi Nereo ed Achilleo di Milano, il soprano drammatico Eva Sun (USA) nel ruolo di Santuzza, Stefano Rossi nei panni di Turiddu, Kaori Yamada (Giappone) in quelli di Lola, Pier Zordan nel ruolo di Alfio, mentre Daniela Segato sarà Mamma Lucia. Nella seconda parte, invece, il soprano lirico e maestra internazionale di tecnica vocale Astrea Amaduzzi darà vita ad alcuni tra i personaggi femminili più amati da Puccini: Manon, Mimì, Tosca e Cio-Cio-San. Maestro concertatore e Pianista è Mattia Peli, mentre la Corale Monzese sarà diretta dal M° Filippo Dadone.
Va sottolineato che l'appuntamento, prodotto in collaborazione con il Festival Internazionale 'itinerante' di Belcanto Italiano, è dedicato a Mascagni e Puccini perché Gemma Bellincioni fu la prima interprete assoluta di Santuzza nella "Cavalleria Rusticana", ed è da ricordare che Giacomo Puccini è particolarmente legato alla città di Monza. Lo storico Ettore Radice, promotore e curatore dell'intera rassegna assieme agli altri partner ne spiega i motivi: "Quell’anno e mezzo trascorso a Monza, seppur vissuto nella povertà, fu tra i più cari nella memoria di Puccini che da quell’esperienza trasse l’ispirazione per la “Bohème”. A Monza nacque suo figlio Antonio che fu poi battezzato nella chiesa di San Biagio".
Gemma Bellincioni viene dunque festeggiata alla Sala Maddalena, in questo 12 ottobre 2024 come punto di unione tra la musica di Mascagni e Puccini, giacché fu anche interprete di "Bohème", "Tosca" e "Butterfly". La parabola artistica della Bellincioni è una vera lezione di stile. Ci ricorda che il verismo non è sanguigno, violento e roboante come viene spesso immaginato e rappresentato, ma tratteggia in modo raffinato sentimenti veri e profondi, spostando l'asse della messa in scena dai personaggi storico-mitologici a quelli semplici e veri che si possono incontrare nella vita comune, una contadina, un carrettiere, una ricamatrice, una gheisha. La sua è però una lezione di stile, ci ricorda che senza una formazione tecnica che trae le sue radici dal belcanto, virtuosistico e cesellato - infatti la Bellincioni fu cantante che interpretò spesso sia "Traviata" che addirittura "Il barbiere di Siviglia" -, nessun dramma può essere rappresentato in opera, e che l'opera è un linguaggio universale e meraviglioso perché rappresenta una parte dei sentimenti a noi tutti noti e dalla magnifica Italia li racconta al mondo con la voce della sua arte altissima.
Un concerto di ampio respiro, nella grande Basilica dei Santi Nereo e Achilleo in Viale Argonne a Milano, presentato dal Festival Internazionale Itinerante di Belcanto Italiano e dalla Corale Monzese, la partecipazione di solisti e coristi provenienti da Italia e Stati Uniti, la direzione di Filippo Dadone, la "voce del belcanto" del soprano Astrea Amaduzzi, maestra internazionale di tecnica vocale, e il raffinato accompagnamento pianistico del M° Mattia Peli: questi i numeri e le esclusive caratteristiche che rendono l'evento un appuntamento a cui non mancare. Domenica 6 ottobre 2024, alle ore 20.45, la città di Milano ospiterà dunque il concerto che preparerà, con tanta bellezza, alla festività del giorno successivo, dedicato alla Madonna del Rosario. Il grande concerto, ad ingresso libero, con il sostegno della Fondazione Mercadante, prende infatti il nome da quest'idea squisitamente sacra che sarà il motivo conduttore ideale dell'espressione artistica musicale.
Degna di nota è la partecipazione del soprano drammatico statunitense Eva Sun, dalla voce che possiede sorprendenti e originali similitudini callassiane, allieva dell'Accademia Nazionale di Belcanto Italiano, così come quello del soprano Nadia Bugo, del tenore Mauro Dell'Orto e del basso Sandro Eria, membri della storica Corale Monzese, cornice armonica incantevole per le voci soliste. Il programma musicale propone al pubblico milanese arie solistiche e brani sacri per solisti e coro ed operistici d'ispirazione sacra (come quelli scelti per l'occasione da "Mosè in Egitto", "La forza del destino", "Edgar" e "Cavalleria rusticana") composti nel Settecento da Vivaldi, Joh.Ch. Bach, Mozart, nella prima parte, e nell'Ottocento da Rossini, Mercadante, Verdi, Mascagni e Puccini, nella seconda parte, offrendo agli ascoltatori una notevole varietà di stili compositivi in un emozionante viaggio dal Barocco al Verismo ricco di melodie cantabili come di virtuosistiche 'colorature'.
Il Festival Itinerante poi, proseguirà il suo cammino con "Cavalleria Rusticana" e "Puccini Celebration", il 12 ottobre 2024 all'Auditorium "Sala Maddalena" di Monza: doppio appuntamento, in occasione delle celebrazioni per l’anniversario del celebre soprano Gemma Bellincioni che fu la prima interprete di Santuzza, nata appunto a Monza, che porta sempre la firma del marchio Belcanto Italiano in collaborazione con la storica Corale Monzese. Va sottolineato l'impegno di quest'ultima: La Corale infatti fondata nel 1888, quando Verdi era ancora attivo e la "Cavalleria Rusticana" non era ancora stata composta e Giacomo Puccini scriveva la deliziosa romanza "Sole e amore" che diverrà otto anni dopo il tema del famoso quartetto della "Bohème" pucciniana. La Corale Monzese fin dagli esordi seguì con fervore le opere ed i grandi successi dei musicisti e dei compositori dell’epoca, e tutt'oggi, assieme al lavoro dei membri di Belcanto Italiano, è un motore di diffusione dell'arte lirica italiana nel mondo.
Arriva a Cremona 'Puccini & Mascagni Opera Gala': in un'unica serata si potrà godere del doppio evento internazionale di Belcanto Italiano, con il patrocinio e in collaborazione con il Comune di Cremona.
Stati Uniti, Giappone e Italia in una compagnia musicale formata da 7 artisti, due Maestri, due professionisti e 3 talentuosi allievi dell'Accademia Nazionale di Belcanto Italiano. Queste le cifre e le nazionalità che faranno da piattaforma ad una interessante serata concertistico-operistica - la quale mira a mettere a confronto la vocalità mascagnana con quella pucciniana - che avrà luogo al teatro Filodrammatici di Cremona lunedì 23 settembre 2024, alle ore 20,30. L'appuntamento si svolgerà in due tempi e l'offerta culturale, divisa in due tematiche e in due momenti, è assai ricca.
La prima parte prende il titolo di "Puccini Celebration". Il Belcanto Italiano Duo, formato dal soprano lirico puro Astrea Amaduzzi e dal pianista Mattia Peli, in 'sintonia' con lo svolgimento delle Celebrazioni Pucciniane, donerà al pubblico, in un perfetto stile di esecuzione tipico dell'età d'oro dell'opera, una selezione di arie sopranili, tratte da "Manon Lescaut", "La Bohème", "Tosca" e "Madama Butterfly" e brani pianistici pucciniani originali e trascritti per pianoforte solo come il 'Piccolo Valzer' del 1894 (con il tema che sarà poi, due anni dopo, quello di Musetta), l'Intermezzo da "Butterfly" ed il toccante coro interno 'a bocca chiusa' nella speciale versione pianistica riportata in "Musica e Musicisti" del 15 agosto 1904.
Nella seconda parte, invece, si metterà in scena in forma di selezione la "Cavalleria Rusticana" di Mascagni. La breve opera, amatissima dal pubblico di tutto il mondo, sarà sempre accompagnata e condotta al pianoforte dal M° Mattia Peli e sarà in forma semiscenica. Santuzza verrà interpretata dal soprano drammatico Eva Sun (USA), Turiddu dal tenore Stefano Rossi (Italia), Lola da Kaori Yamada (Giappone), Alfio dal baritono Pier Zordan (Italia) e Mamma Lucia da Daniela Segato (Italia). Costumi e 'messa in scena' saranno a cura della Compagnia stessa, guidata dal soprano Amaduzzi.
L'evento sarà poi replicato a Monza, perché la Compagnia Lirica Internazionale di Belcanto Italiano è stata richiesta per le celebrazioni per l'anniversario del celebre soprano Gemma Bellincioni che fu la prima interprete di Santuzza, nata appunto a Monza.
Lo spettacolo di Cremona ha dunque un carattere di ampio respiro, all'interno del Festival Internazionale 'itinerante' di Belcanto Italiano che proseguirà ad Alessandria, con una serata lirica, e a Milano (Basilica dei Santi Nereo e Achilleo) con un grande concerto di musica sacra con solisti e coro che si concluderà immancabilmente con alcuni brani di "Cavalleria", per poi giungere nel prossimo futuro in Romania, nel cuore della Transilvania: dall'Italia al mondo portando costantemente in alto la bandiera dell'Opera Italiana.
L'ingresso alla manifestazione è a offerta libera con prenotazione obbligatoria al n. 3475853253 tramite WhatsApp o telefono.
L'OPERA ITALIANA, A CONFRONTO CON QUELLA FRANCESE, NEL 1739-40:
L'opera italiana è molto differente da quella francese, sia per la scelta dei soggetti, sia per la costruzione della favola, sia per il numero e la specie degli attori, come pure il modo di metterli insieme. Non è, come da noi [in Francia], una serie di ruoli fissi, scritturati per opere analoghe che vengano rinnovati quando sia il caso. Qui [in Italia] l'impresario che vuol mettere su un'opera per un inverno, ottiene il permesso del governatore, prende in affitto un teatro, scrittura da diverse parti voci e strumenti, contratta con gli operai e lo scenografo, e finisce spesso per far bancarotta come i nostri direttori di compagnie di provincia. Per maggiore sicurezza, gli operai si fanno assegnare in pagamento dei palchi, che poi affittano per conto loro. In ciascun teatro si eseguono due opere ogni inverno, a volte tre; sicché facciamo il conto di vederne circa otto nel corso del nostro soggiorno [in Italia]. Ogni anno sono opere nuove e nuovi cantanti. Non si vuol rivedere né un'opera, né un balletto, né una scena, né un attore che sia stato visto già l'anno prima, a meno che non si tratti di qualche eccellente opera di Vinci, o qualche voce famosissima. Quando il celebre Senesino apparve a Napoli l'autunno scorso, tutti gridarono: "Che è questo? È un attore che abbiamo già visto, canterà al vecchio modo". Egli ha la voce un po' fievole, ma a mio giudizio è quanto ho udito di meglio per lo stile del canto. (...)
Vi ho detto che in Italia ignorano cosa significhi riprodurre o stampare qualunque musica, sia vocale sia strumentale. Ne avrebbero da fare troppe; i concerti, le sinfonie per grande coro piovono da ogni parte. Per quanto riguarda le voci, il loro numero è limitato; l'opera italiana si compone, di regola, soltanto di una mezza dozzina di personaggi, senza tutto quell'apparato di cori, di feste cantate e di danze che si incontra nelle nostre [in Francia]. Qui invece [in Italia] è più numerosa e variata l'orchestra; ma gli strumenti non sono né vari né preziosi, mentre le belle voci si pagano un prezzo esorbitante, oltre quello che bisogna sborsare per farle venire anche da molto lontano. I signori castrati sono zerbinotti graziosissimi, pieni di albagia, i quali i loro affari non li hanno dati via per nulla. In un'opera [in Italia] ci sono tre o quattro voci di "soprano" e un "contralto", maschi o femmine, oltre ad un "tenore" per le parti di re. Le voci di basso non si usano; sono rare e poco apprezzate. Se ne servono solo nelle farse; dove il ruolo del comico è di regola sostenuto da un basso. I tre generi di voce citati sono più alti di una terza o di una quarta di quelli che si trovano tra noi [in Francia]. I contralto [in Italia] sono rari e molto apprezzati; arrivano fino al 'si-mi' e sono di un genere diverso dai nostri [in Francia]. Non vi è genere di voce nota in Francia, che potrebbe riprodurre il loro modo di cantare. Sono voci di donna, in tono da mezzosoprano, però più basso di qualunque dei nostri [in Francia]; essi cantano, non già nell'ottava superiore propria delle donne, ma all'unisono con gli uomini.
A volte la voce dei castrati subisce la muta, ossia si abbassa nell'invecchiare, e da soprano che era diventa contralto. Non è raro che, nella muta, la perdano addirittura del tutto; sicché non rimane loro più nulla del baratto fatto, e l'affare si dimostra assai svantaggioso. Subiscono l'operazione verso i sette o otto anni; deve essere il bambino stesso a chiederla: la polizia ha messo questa condizione, perché la sua tolleranza apparisse un po' meno intollerabile. Diventano quasi tutti grandi e grassi come capponi, coi fianchi, il sedere, le braccia, il petto, il collo tondi e paffutelli come donne. Quando si incontrano in un gruppo di persone si rimane sbalorditi, quando parlano, a sentire uscire da questi colossi una vocetta da bambini. Alcuni sono molto graziosi; si fanno corteggiare e ricercare dalle donne, le quali, secondo quanto sostengono le cronache della maldicenza se li disputano per i loro talenti, che sono innumerevoli; e ne hanno, di talenti. Raccontano persino che uno di questi "semiviri" presentò al papa Innocenzo XI una supplica per ottenere il permesso di ammogliarsi, adducendo che l'operazione era stata fatta male; il papa scrisse in margine alla domanda: "Che si castri meglio". Bisogna essere abituati a queste voci di castrato per gustarle. Hanno un timbro chiaro e penetrante come quello dei chierichetti, e molto più forte; mi pare che cantino un'ottava più su della voce naturale delle donne. Queste voci hanno quasi sempre qualcosa di secco e di aspro, molto distante dalla dolcezza giovanile e pastosa delle voci di donna; ma sono brillanti, leggere, piene di splendore, assai forti ed estese. Le voci di donna in Italia sono di un genere analogo, estremamente lievi e flessibili; insomma, hanno lo stesso carattere della loro musica. Rotondità, non chiedetegliene, non sanno che cosa sia. Non parlate loro di quei mirabili suoni, che ci sono nella nostra musica francese, filati, continui, turgidi, e decrescenti sopra una stessa nota. Non vi capirebbero neppure, e tantomeno saprebbero eseguire tali suoni.
I DUE TIPI DI VOCE - 'DI TESTA' e 'DI PETTO' - DEGLI ITALIANI, E L'ARTE DELLE SFUMATURE E DEL "CHIAROSCURO", NEL 1739-40:
Gli italiani distinguono tuttavia due tipi di voce, e li chiamano: "voce di testa", fatta tutta di lievità ed adatta agli svolazzi che essi sanno dare alle loro variazioni musicali; "voce di petto", con suoni più schietti, più naturali e pieni. Per dirla in una parola, le voci sono in questo paese [l'Italia] gradevoli, modulate, seducenti al massimo; ma se si mettessero tutte dentro un alambicco, da tutto il miscuglio non si tirerebbe fuori una voce che possa neanche lontanamente paragonarsi a quella della [Catherine-Nicole] Lemaure. Benché sia partigiano zelante della musica italiana, son d'accordo con voi quando sostenete che quel genere di voce così rotondo, pieno, turgido, sonoro debba essere preferito a qualunque altro. Le migliori che io abbia udito sono la Faustina, la Tesi, la Baratti; dei castrati, Senesino, Lorenzino, Marianini, Appianino, eccellente contralto, Egizietto, Molticelli, Salimbeni, Porporino, un giovane scolaro di Porpora, grazioso quanto la più graziosa delle fanciulle; dei tenori, Rabbi, il migliore tenore che esista, che riesce ad arrivare in su quanto [Pierre de] Jellyot*, e ottimo attore. Nell'opera i sessi si scambiano facilmente; a Napoli, la Baratti faceva la parte di un uomo; qui invece sulla scena non tollerano donne; il buon costume non lo permette, e vuole soltanto graziosi fanciulli vestiti da donna; e, Dio mi perdoni, considerata l'inclinazione che in tutto il mondo si dimostra verso le femmine di teatro, ho un gran timore che a volte anche qui non si metta di mezzo la fornicazione. Talvolta queste bellezze sotto mentite spoglie non sono neppure tanto piccole. Marianini, che ha sei piedi di altezza, recita in una parte di donna al teatro Argentina; è la principessa più lunga che incontrerò in vita mia.
Quanto all'arte del canto, nessuno può meglio darvene un'idea dell'affascinante Vanloo [= Cristina Somis] se l'avete udita a Parigi. Non ha una voce molto estesa, in Italia se ne trovano molte più belle; ma nessuno la supera nell'arte di modularla con delicatezza e con gusto squisito. Potete vedere che quasi tutti i ruoli, sia che il personaggio sia uomo o donna, sono per voci acute; esse sono registrate sempre in chiave di 'do' sotto il primo rigo; la chiave di 'sol', sul secondo rigo, serve soltanto per gli strumenti. Qui non adoperano mai la chiave di 'sol' sul primo rigo, praticata da noi. (...) Essi [gli italiani] usano un metodo di accompagnamento che noi [francesi] non comprendiamo; ma che potremmo facilmente introdurre nella nostra esecuzione perché mette in rilievo tutto il valore della musica; esso consiste nell'arte del suono aumentato o diminuito, che vorrei chiamare arte delle sfumature e del chiaroscuro. Ciò si pratica sia insensibilmente, a gradi, sia d'un colpo. Oltre al forte e al piano, al fortissimo e al pianissimo, essi impiegano anche un "mezzo piano" ed un "mezzo forte", più o meno appoggiato. Ne vengono fuori dei riflessi, delle 'mezze tinte', che dànno un'incredibile grazia al colore del suono. (...) Quasi tutte le loro arie sono per voce singola; in tutta un'opera vi saranno sì e no due o tre duetti, e quasi mai un terzetto. I duetti sono dedicati ai temi affettuosi e commoventi, alle situazioni più patetiche dell'opera; sono di una bellezza meravigliosa, e producono estrema commozione. Soprattutto in essi le voci ed i violini adoperano quel chiaroscuro, quell'insensibile rigonfiamento del suono, che sale di forza da una nota all'altra, fino al grado più alto, e poi torna ad una sfumatura estremamente dolce e commovente. Sono ammirate qui le cadenze, o punto d'organo, collocate nel finale di ogni aria per gli "assolo". (...) io rimango della mia opinione, che cioè meno solenne è il genere, e tanto meglio la musica italiana riesce. Effettivamente, si sente che essa respira la gaiezza, e che in essa si trova come nel suo elemento. Mi piacciono anche le loro commedie, dove si mescolano il serio ed il comico. Ne è stata rappresentata una graziosissima, di Rinaldo da Capua, al teatro Valle, ed a Napoli ne ho vista una affascinante, di Leoardo Leo. Ritengo che noi [francesi] non riusciremmo a fare della musica allegra, per quanto possediamo ottime commedie di un genere un po' più elevato, prova ne siano le "Feste veneziane", che hanno veramente un tono da commedia; e Dio volesse che ce ne facessero spesso di simili! Le migliori scuole di musica, o, per servirmi della loro terminologia, i migliori seminari per maestri di cappella, sono a Napoli. Di là, sono usciti Scarlatti, Porpora, Domenico Sarri, Porta, Leo, Vinci, Pergolesi, Gaetano Latilla, Rinaldo da Capua, e parecchi altri celebri compositori. Per le voci, la buona scuola si trova a Bologna; la Lombardia eccelle nella musica strumentale. Ho l'impressione che la musica italiana avesse raggiunto il suo apogeo sei o sette anni fa; qui il gusto cambia continuamente.
(Charles de Brosses - "VIAGGIO IN ITALIA, lettere familiari" [1] - Presentazione di Carlo Levi e Glauco Natoli - Parenti, 1957; ed. it. del testo originale in francese: Charles de Brosses - "Lettres familières écrites d'Italie en 1739 et 1740", Tome II - Librarie Académique, Paris 1869)
* cfr. Arthur Pougin - Un ténor de l'Opéra au XVIIIe siècle. Pierre Jélyotte et les chanteurs de son temps (Paris, Fischbacher 1905)
[1] N.B. Fra le lettere una s'impone all'attenzione dello storico della musica: quella lunghissima che reca il n.51 e che de Brosses ha indirizzato ad un certo "monsieur de Maleteste", nella quale perlappunto espone le differenze tra l'opera italiana e quella francese.
Ecco il nostro breve Documentario di Belcanto Italiano su Vivaldi, musicista e uomo - realizzato il 21 giugno 2024 a Venezia, presso la Chiesa di San Girolamo nel sestiere di Cannaregio - tra interessanti mie letture scelte, dal diario del viaggiatore tedesco Johann Friedrich A. von Uffenbach e dalle (poche) lettere vivaldiane esistenti, e qualche estratto saliente della nostra esecuzione 'live', come Belcanto Italiano Duo - Astrea Amaduzzi, soprano, Mattia Peli, organo - in omaggio al grande compositore veneziano, dell'espressivo "Quia respexit" (dal "Magnificat"), e del primo movimento del mottetto "In furore iustissimae irae". L'incipit di quest'ultimo brano paraliturgico, dalle caratteristiche chiaramente teatrali, è presente anche all'inizio del video, nella registrazione audio della nostra interpretazione offerta al pubblico veneziano, nel corso del concerto di musica sacra e operistica d'ispirazione sacra 'Capolavori del Belcanto' dell'anno scorso, che abbiamo tenuto il 20 maggio 2023 sempre a San Girolamo.
Il 28 luglio 1741 scompariva a Vienna uno dei più grandi geni della storia della musica: il violinista-virtuoso e compositore Antonio Lucio Vivaldi, detto "il Prete rosso". Era nato a Venezia il 4 marzo 1678 e nell'arco di circa quarant'anni donò al mondo non solo le sue famose 'Quattro stagioni' ma anche un immenso numero di straordinarie creazioni musicali strumentali, orchestrali, sacre ed operistiche (sono stati identificati una cinquantina di titoli di Opere liriche che vennero per la prima volta rappresentate 'in vita', dal 1713 al 1739, a Vicenza, Venezia, Firenze, Mantova, Roma, Milano, Reggio Emilia, Verona e, all'estero, a Praga, ma di esse ci rimangono ad oggi solo 26 partiture manoscritte!). Famoso in vita in tutta Europa, Vivaldi dopo la sua scomparsa 'sparì' improvvisamente alquanto dall'attenzione mondiale, per riapparire gradualmente in una sorta di progressiva "rinascita" a cominciare dai primi decenni del Novecento. Tuttavia, nonostante gli sforzi fatti da molti musicisti, ancora oggi la sua musica non è sufficientemente conosciuta ed eseguita, in particolare quella vocale, e soprattutto la sua musica operistica.
Ma quanto alla sua vita cosa sappiamo? Pochissimo! Una lettera di Vivaldi scritta da Venezia, il 16 novembre 1737, al Marchese Guido Bentivoglio d'Aragona, ci dà un quadro generale di base della sua esistenza terrena, lasciamo parlare lo stesso compositore...
Venezia, 16 novembre 1737
Eccellenza. Dopo tanti maneggi e tante fatiche, ecco a terra l'opera di Ferrara. Oggi questo monsignor Nunzio Apostolico mi ha fatto chiamare e ordinato, a nome di Sua Em.a Ruffo, di non venire a Ferrara a far opera, e ciò stante essere io religioso che non dice messa, e perchè ho l'amicizia con la Girò cantatrìce. A colpo così grande V. E. si può immaginare il mio stato. Ho sulle spalle il peso di sei mila ducati in scritture segnate per quest'opera, e a quest'ora ho già sborsato più di cento zecchini. Far l'opera senza la Girò non è possibile, perche non si può ritrovare simile prima donna. Far l'opera senza di me non posso, perchè non voglio affidare nell'altrui mani un soldo sì grande. D'altra parte, sono tenuto alle scritture, onde ecco un mare di disgrazie. Quello che più mi affligge è che Sua Em.a Ruffo dà a queste povere signore una macchia che il mondo non ha loro mai dato. Sono quattordici anni che siamo andati assieme in moltissime città d'Europa, e pertutto fu ammirata la loro onestà, e può dirlo abbastanza Ferrara. Ogni otto giorni esse fanno le loro divozioni, come si può rilevare dalle fedi giurate e autenticate. Sono venticinque anni ch'io non dico Messa, nè mai più la dirò, non per divieto o comando, come si può informare Sua Eminenza, ma per la mia elezione, e ciò stante un male che patisco "a nativitate", pel quale io sto oppresso. (1) Appena ordinato sacerdote, un anno o poco più ho detto messa, e poi l'ho lasciata avendo dovuto tre volte partir dall'altare senza terminarla a causa dello stesso mio male. Per questo io vivo quasi sempre in casa, o non esco che in gondola o in carrozza, perchè non posso camminare per male di petto ossia stretezza di petto. Non v'è alcun cavaliere che mi chiami alla sua casa, nemmeno l'istesso nostro Principe, mentre tutti sono informati del mio difetto. Subito dopo il pranzo ordinariamente io posso andare, ma mai a piedi. Ecco la ragione per la quale non celebro messa. Sono stato tre carnevali a far opera in Roma, e V. E. lo sa, nè mai ho detto messa, e ho suonato in teatro, e si sa che sino a Sua Santità ha voluto sentirmi suonare e quante grazie ho ricevuto. Sono stato chiamato a Vienna, né mai ho detto messa. In Mantova sono stato tre anni al servigio del piissimo principe Darmstadt, insieme con queste signore le quali sono state sempre riguardate da S. A. S. con somma benignità, nè mai ho detto messa. I miei viaggi mi costarono sempre molto, perchè sempre gli ho fatti con quattro o cinque persone che mi assistessero. Tutto quello che io posso fare di bene, lo faccio in casa e al tavolino. Per questo ho l'onore di corteggiare con nove Principi d'altezza, e girano le mie lettere per tutta l'Europa. Per questo, ho scritto al sig. Muzzuchi che se non mi dà la sua casa io non posso venir a Ferrara. Insomma, tutto nasce per questo mio male, e queste signore mi giovano molto perchè sono informate di tutti i miei difetti. Queste sono verità note a quasi tutta l'Europa; dunque ricorro alla benignità di V. E. acciò si compiaccia d'informarne anche Sua Em.a Ruffo, mentre questo comando è il totale mio precipizio. Replico a V. E. che, senza di me, non si può far l'opera in Ferrara, e vede per quante ragione. Non facendosi, io debbo, o portarla in altro paese ch'ora non ritrovo, o pagare tutte le scritture, sicchè se Sua Eminenza non si rimovesse, supplicherei V. E. ad ottenere almeno da S. E. Legato la sospensione dell'opera, affinchè io fossi assolto dal pagare le scritture. Spedisco altresì a V. E. le lettere di Sua Em.a Albani che dovrei presentare io stesso. Da trent'anni sono maestro della Pietà, e senza scandali. Mi raccomando al benignissimo patroconio di V. E. e umilmente mi confermo ecc.
(1) Da quanto è detto nel seguito della lettera il male di cui era afflitto Vivaldi sembra evidente sia stato l'asma.
[Lettera di Vivaldi scritta a Guido Bentivoglio d'Aragona - Nell'immagine: Pier Leone Ghezzi (1674-1765), caricatura di Antonio Vivaldi disegnata in occasione dell'allestimento romano di 'Ercole su 'l Termodonte'. La didascalia riporta: 'Il Prete rosso Compositore di Musica che fece l'opera a Capranica del 1723'.]
Vedi anche il precedente video: Belcanto Italiano in visita a Venezia, sulle orme di Antonio Vivaldi (Dirette-Video del 4 e 5 marzo 2023)
Thomas Edison ed il Fonografo - IL TEATRO ILLUSTRATO, settembre 1889
EDISON ED IL FONOGRAFO
(...) Una delle ultime miracolose invenzioni di questo mago è il "Fonografo", del quale presentiamo il disegno unitamente al ritratto del suo immortale inventore: un fonografo che canta, parla, come solo l'uomo dovrebbe poter fare. Con esso nulla di più semplice che il registrare a Bayreuth le opere, per esempio, di Wagner e di farci assistere dopo, qui in Milano, alle rappresentazioni del "Tristano" o del "Parsifal". Noi siamo accorsi agli esperimenti dati nel ridotto della Scala. Una cassetta contenente l'apparecchio e due pile erano disposte su d'un tavolo nel centro della sala. Tutto intorno gli invitati aspettavano ansiosi che dal fonografo uscissero le voci e il suono che sono, per così dire, immagazzinati nel rocchetto. Un giovane ingegnere americano aveva applicato tale rocchetto all'apparecchio, e, messo questo in movimento per mezzo d'un congegno d'orologeria, ecco diffondersi per la vasta sala le prime note della "marcia reale". La prima impressione, per quanto aspettata, è di viva sorpresa: anche i tecnici non possono fare a meno di rimanerne colpiti.
Dal fonografo uscì poi l'inno di Garibaldi, e successivamente, la voce dei più noti cantanti e dei più celebri oratori. I canti popolari e le canzoni patriottiche uscivano dal magico corno con una freschezza e una efficacia tali da supporre vicina una fanfara che intonasse quei noti motivi. La voce di Kaschmann, il celebre baritono, risuonò così gagliarda che per poco non sorse fra gli astanti un caloroso applauso come già fra il pubblico di Londra, allorchè udiva dalla bocca stessa dell'artista quelle note che il fonografo aveva raccolte per ripeterle a piacimento. Levato il corno e applicata al suo posto una cannula di gomma ramificata, le cui estremità terminavano in due globetti simili a quelli della luce elettrica, le vibrazioni erano tali da chiedersi se i suonatori e i cantanti non fossero nascosti lì vicino.
L'ingegnere Copello invitò poi i presenti a parlare presso l'apparecchio, per udir poi ripetute le frasi, e il sindaco Negri pronunciò queste parole: "Milano in questo giorno manda un addio riverente alla memoria di Benedetto Cairoli. —Saluta in lui l'uomo illustre che ha onorato l'Italia colla fede indomabile e col coraggio più indomabile ancora. Milano riverente manda un saluto a Cairoli, ai suoi fratelli e all'eroica madre loro." Poi aggiunse: "Davanti al fonografo non è più sostenibile il detto antico: 'verba volant scripta manent', perchè la parola rimane imprigionata al volo ed è fissata per sempre. È sperabile che fra i vantaggi che produrrà il fonografo possa esservi quello di render più caute le donne." Il discorsetto sindacale fu ripetuto parecchie volte dal fonografo, cosicchè non abbiamo durato fatica a tenerlo a mente.
Ecco ora una breve descrizione del fonografo:
Una molla è collegata ad una lamina vibrante in guisa che tutte le vibrazioni di una vicina piastra vengono immediatamente e simultaneamente riprodotte da uno stiletto e, reciprocamente, tutti i movimenti dello stiletto vengono riprodotti dalla piastrina. Questi tre organi si possono avvicinare quanto basta, poichè lo stiletto tocchi il cilindro, senza però che eserciti su di esso veruna pressione. Sul cilindro si adatta un sottilissimo foglio di stagno. Quando si parla nell'imboccatura del fonografo, la piastrina vibra sotto l'azione delle onde sonore che escono dalla bocca; lo stile, che fa corpo con essa, vibra simultaneamente all'emissione della voce, e per conseguenza trovasi animato da una specie di tremolio. Ogni volta che si appoggia sulla foglia di stagno, sebbene questa pressione sia debolissima, lascia sopra di essa una leggiera traccia. Ora, se parlano, si agisce sulla manovella per far girare il cilindro, lo stiletto seguirà forzatamente l'elica del cilindro e traccerà consecutivamente delle solcature, le quali saranno la rappresentazione grafica dei suoni emessi nell'imboccatura dell'istrumento, siano poi queste parole o note musicali, poco importa. In conseguenza di ciò, la frase qualsiasi pronunciata nella imboccatura, si troverà impressa sulla foglia di stagno; il fonografo dunque registra le vibrazioni che agiscono sopra di esso. Questa è la prima operazione. Per fargli ripetere quante volte si voglia la frase o le frasi registrate, basta far vibrare la piastrina, esattamente come vibrò sotto l'azione delle onde sonore che ricevette. Allontanando lo stiletto dal cilindro, si riconduce quest'ultimo al suo punto di partenza, girando la manovella in senso contrario; poscia si riavvicina lo stiletto in guisa che possa seguire esattamente le traccie che ha lasciato, e si gira la manovella nel senso voluto perchè lo stilo segua di nuovo il cammino percorso nell'atto dell'emissione dei suoni; lo stiletto stesso ripassando sulle proprie traccie, effettuerà i movimenti della prima operazione, questi saranno comunicati alla piastra vibrante, e le onde sonore generate dalle sue vibrazioni riprodurranno i suoni emessi e registrati sulla foglia di stagno. Vero miracolo della scienza!
(da: "IL TEATRO ILLUSTRATO", settembre 1889)
Giuseppe Kaschmann è probabilmente il baritono in assoluto più versatile tra quelli esistiti. Egli cantò diversi ruoli al Metropolitan, tra i quali Enrico, il Conte di Luna, Sir Riccardo Forth, Telramund, Don Giovanni, Valentin, Hamlet, Comte de Saint Bris, Kurwenal, Wolfram, Amonasro, Wotan e Rigoletto.
0:00 "O de verd'anni miei" (Ernani, 1903) 3:09 "Carlo che sol il nostro amore" (Don Carlo, 1903) 5:47 "Credo in un dio crudel" (Otello, 1903) 9:30 "O vin, discaccia la tristezza" (Hamlet, 1903) 12:58 Serenata (I Medici, 1903) 15:49 "Ah mon remords" (Dinorah, 1910) 21:26 "Credo in un dio crudel" (Otello, 1910)