A Verona un evento belcantistico eccezionale, ospitato dall'Associazione "Verona Lirica".
In Piazza Bra, nella Sala Maffeiana presso il Teatro Filarmonico, Il 5 gennaio 1770 si tenne l'esibizione di Wolfgang Amadeus Mozart che stupì tutti gli accademici dell'Accademia Filarmonica al punto che il giovane musicista fu dichiarato Maestro di Cappella onorario.
In questa stessa sala si terrà il concerto del Soprano Astrea Amaduzzi, scelta dal nipote di Beniamino Gigli per rappresentare l'eccezionale qualità della Scuola di Canto italiana assieme al Pianoforte di Mattia Peli, Presidente del Centro
Internazionale di Studi per il Belcanto Italiano "B. e R. Gigli" di
Recanati.
Il concerto sarà arricchito dalla presenza di Alberto e Francesco Chiàntera, rispettivamente Presidente e Direttore dello splendido Museo della Radio di Verona, che con ascolti da grammofoni e dischi originali faranno ascoltare la voce di Gigli nelle sue indimenticabili esecuzioni.
Partner illustri come il Museo della Radio di Verona, l'Associazione Verona Lirica le Associazioni Gigliane di Roma e Recanati si sono mosse per la sapiente concertazione di Beniamino Gigli jr, nipote del grande tenore, che sarà il vero "collegamento" - tra il passato e il futuro - garante di una qualità intramontabile dimostrata dalla capacità di cesellare suoni, fraseggio ed espressioni che hanno reso l'Opera italiana un patrimonio inestimabile che tutto il mondo ama e cerca nella musica lirica.
Ad incorniciare l'evento, le coreografie di Rossana Sechi.
Il Concerto "Il Belcanto Italiano nella scuola di Gigli tra passato e futuro" si terrà a Verona nella Sala Maffeiana il 23 novembre alle ore 18,00.
L'ingresso è libero previa prenotazione al numero 330910308
"Vita di Giuseppe Verdi" - Figurine della "Serie Liebig" del 1902
"Scrivere ancora opere? e perché? Per vedersele eseguire sempre nel modo più barbaro? Credi tu che il 'Ballo in maschera' sia stato, non dirò eseguito, ma un po' interpretato, un po' inteso? Mai. E tu l'hai visto a Milano." (da lettera di Verdi a Tito Ricordi, 3 ottobre 1863)
E' da ritenere che per lui fosse essenziale una perfetta resa delle "parole sceniche", per tali intendendo
"quelle che scolpiscono una situazione od un carattere, le quali sono sempre potentissime sul pubblico" (a Giulio Ricordi, luglio 1870).
Giuseppe Verdi
Ma nelle opere più felici di Verdi tutto è "parola scenica", in fondo, anche il dettaglio infinitesimale.
In uno dei suoi numerosi elogi di Adelina Patti (a Giulio Ricordi, 5 novembre 1877) Verdi non ricorderà, del "Rigoletto" interpretato dal celebre soprano, l'esecuzione di "Caro nome" o di "Tutte le feste al tempio", ma "l'effetto sublime" dell' "Io l'amo" di Gilda allorché il padre, all'inizio del IV atto, mostrandole il Duca nella taverna, le chiede se l'ami ancora. Si tratta di tre sole note, semplicissime, elementari, vocalmente; eppure, a detta di Verdi, l'effetto era "sublime". In questo Verdi coincide con il rossiniano Stendhal, secondo il quale era soprattutto "l'infinitamente piccolo" (cioè la sfumatura) a distinguere il grande interprete dal pappagallo. E dunque il cantante incapace di sfumare e di valorizzare i dettagli non sarà mai "sublime" in Verdi.
Verdi dirige La Creazione di Haydn (figurine Caffé Lavazza)
Nelle tre lettere che, nel gennaio-febbraio 1847, Verdi indirizzò a Felice Varesi, primo interprete del "Macbeth", sono frequentissime le raccomandazioni di cantare "sotto voce" certi brani. Più tardi, nel 1857, Verdi scriverà al baritono Leone Giraldoni, primo interprete del "Simon Boccanegra":
"Les artistes, les femmes comme les hommes, chantent et ne crient pas! Qu'ils reflechissent à ceci: que déclamer ne signifie pas hurler! Si l'on ne trouve pas trop de vocalises dans ma musique, on ne doit pas en profiter pour s'arracher les cheveux, s'agiter et crier comme des possédés". Ecco poi come Verdi immaginava la vocalità di Iago:
"Non bisogna in quella parte né cantare, né alzar la voce (salvo poche eccezioni). Io, per es., se fossi attore cantante la direi tutta a fior di labbro, a MEZZA VOCE..." (a Giulio Ricordi, 11 novembre 1886).
Sempre a proposito dell' "Otello", è noto che Verdi esitò molto prima di scegliere come protagonista Francesco Tamagno. Giacché, scriveva Verdi a Giulio Ricordi, Tamagno era incline a cantare sempre forte e, se tentava la mezzavoce, il suono diventava "brutto, incerto, stonato". Nell' "Otello", continuava Verdi, vi erano frasi larghe, lunghe, legate
"da dire a MEZZA VOCE, cosa impossibile per lui".
Francesco Tamagno "Esultate" - 1903
Più tardi Verdi si rassegnò a Tamagno, ma quando udì Giovanni Battista De Negri, voce meno folgorante e stentorea, ma cantante più rifinito, espressivo e musicale, lo preferì di gran lunga, come da lettera a Giulio Ricordi del 5 febbraio 1889. I punti di forza di Tamagno, scrisse Verdi, erano, nell' "Otello", l' "Esultate", l' "Ora e per sempre addio" e "qualche altro sfoggio di voce". In tutto il resto De Negri (che però era anche lui applaudito nell' "Esultate" e doveva bissare l' "Ora e per sempre addio") era nettamente superiore.
Disco Zonofono 1903 - Giovanni Battista de Negri - Otello: Niun mi tema
In definitiva a Verdi non piacevano gli Otelli sempre stentorei (e figuratevi se potevano piacergli gli Ernani, i Duchi di Mantova, gli Alfredi, i Riccardi incapaci di modulare i suoni) e la fama di Tamagno in quest'opera sarebbe da considerare in parte usurpata o comunque dovuta al culto loggionistico degli acuti.
Il concetto verdiano di "parola scenica" e di fraseggio implica varietà d'accento, di colori e d'intensità. Nel gennaio 1863 Verdi si trovava a Madrid per mettere in scena la "Forza del destino" e Tito Ricordi gli spedì le parti di canto e il materiale d'orchestra. Verdi esaminò il tutto e si sentì "gelare il sangue nelle vene", per gli innumerevoli errori dei copisti. Tra l'altro, scrisse all'editore,
"mai o quasi mai nelle parti cantanti un'indicazione di frase, mai i cresc... rall... stent... pppp... ecc., qualche F o P semplice. In questo modo la musica diventa solfeggio."
Un'esecuzione simile, aggiunge poco dopo Verdi, è
"a controsenso, senza coloriti, senza espressione, senza intelligenza".
Se ne deduce che tutti i cantanti che, emulano i copisti della Ricordi, omettono sistematicamente l'esecuzione dei segni d'esressione, non interpretano, ma "solfeggiano" e sono quindi dei robot. Se vogliamo dare ragione a Verdi.
Ma questa lettera a Ricordi tocca un altro punto interessante.
"I tuoi copisti hanno il malvezzo d'aggiungere qualche nota (e immagina che note) quando di due vocali io ne faccio l'elisione e per conseguenza una nota sola".
Tanto per fare un esempio: Leonora, nella Forza del destino, non deve cantare "Dolce mia terra addio", ma "Dolce mia terr'addio".
Verdi - Forza del destino
Torniamo all'interpretazione di Verdi. Ci sono tre ragioni per le quali i cantanti più rinomati e, in particolare, i divi dello "star system" del disco ci propongono esecuzioni incolori e solfeggiate. Primo: non conoscono la tecnica o l'hanno dimenticata; secondo: per avidità cantano indefessamente; terzo: se studiano un'opera nuova hanno appena il tempo di apprendere note e parole. Ma Verdi sapeva che il fraseggio, l'interpretazione nascono da uno studio approfondito. Da una lettera indirizzata al mezzosoprano Maria Waldmann il 5 marzo 1875, risulta che Verdi non riteneva sufficienti quaranta giorni di studio per poter cantare degnamente un nuovo brano della Messa, "facile, facilissimo come 'note' e come 'musica' ", in una'esecuzione parigina prevista per il 19 aprile di quell'anno.
"Sapete che vi sono sempre delle intenzioni su cui bisogna pensare", concludeva.
Verdi è circondato dagli eroi delle sue opere più celebri
Verdi non perdonava ai cantanti la scarsa professionalità e l'avidità. Quando Antonietta Fricci, già da lui molto stimata, volle cantare la parte di Aida, che non le si confaceva, pur di intascare 100.000 franchi, il commento, in una lettera del gennaio 1875, fu: "Va bene il denaro, ma un po' di coscienza e dignità vale più di 100 mila franchi".
Quando di trattò di dare il "Falstaff" alla Scala, tra le condizioni dettate da Verdi a Giulio Ricordi campeggia questa: "Non paghe esorbitanti agli artisti" (1 settembre 1892).
Ed ecco come definì Tamagno, che si presentava alla Scala, per una ripresa di Otello, quarantott'ore dopo aver cantato altrove: "o matto" - scrisse Verdi - "o schifosamente avido" (a Giulio Ricordi, 5 febbraio 1889).
Ritratto di Verdi con una citazione musicale dal Trovatore nelle figurine del "Cacao Suchard"
Voltiamo pagina. Verdi biasimava i direttori che curavano più l'orchestra che la concertazione con i cantanti, come il Mascheroni (lettera al Piroli del 28 giugno 1887).
"Il direttore esperto e pratico deve curare anzitutto il concerto delle voci."
Per concertare personalmente il "Simon Boccanegra" alla Scala chiese dai 25 ai 30 giorni di prove (a Giulio Ricordi, 21 febbraio 1881). Biasimava altresì i direttori (Faccio, nel caso specifico) che per propria comodità giudicavano i cantanti "dal lato puramente musicale", trascurando i valori vocali (a Giulio Ricordi, 1 ottobre 1883).
I criteri con i quali Verdi giudicava i cantanti erano quasi sempre in funzione delle parti che essi dovevano sostenere. In alcuni casi, della potenza della voce e della bellezza timbrica non gli importava nulla. Al tempo delle prime esecuzioni della "Traviata", esaltò la Piccolomini, la Spezia e la Boccabadati. "Tutte e tre hanno voce debole, ma talento, anima e sentimento di scena" (a Torelli, 11 novembre 1856).
La verità è che, come spiegò al Ricordi l'11 maggio 1887, Verdi vedeva come Desdemona non un'attrice-cantante, ma una vocalista.
Adalgisa Gabbi, interprete di Desdemona nell'Otello di Verdi
"Desdemona canta dalla prima nota del Recitativo, che è una frase melodica, fino all'ultima nota, 'Otello non uccidermi', che è ancora una frase melodica. Quindi la più perfetta Desdemona sarà quella che canta meglio."
Design for Giuseppe Verdi's I vespri siciliani (1855) by Roberto Focosi (father of Alessandro Focosi)
Trattandosi invece di scegliere un'Amneris, Verdi scriveva a Ricordi (10 luglio 1871) che, per quella parte, il sentimento drammatico, la padronanza della scena e "il diavolo addosso" contavano molto più della bella voce e della "finitezza del canto".
Giuseppe Verdi e le sue opere- Verdi nel salone dell'Hotel Milan a Milano
Verdi, s'è già detto, detestava i cantanti professionalmente poco seri e tra questi incluse il tenore Baucardé, il cosidetto inventore del do di petto della "pira" del "Trovatore".
Verdi si dichiarava "nemicissimo" dei tagli e dei trasporti di tono, che rimproverò perfino alla Patti nell' "Aida", in una lettera a Giulio Ricordi del 1878, pur riconfermando che la riteneva "una meravigliosa Attrice-Cantante".
(tratto da: Rodolfo Celletti - IL CANTO - Storia e tecnica, stile e interpretazione dal "recitar cantando" a oggi - 1989)
Le prove al piano del Falstaff alla presenza del Maestro Verdi - Milano 1893
Alcune caratteristiche essenziali che Giuseppe Verdi si aspetta da un cantante che aspiri ad interpretare nel modo giusto le sue opere :
"I nostri cantanti non sanno fare in generale che la voce grossa; non hanno elasticità di voce, né sillabazione chiara e facile, e mancano d'accento e di fiato."
(da una lettera di Giuseppe Verdi a Giulio Ricordi del 13 giugno 1892 - riprodotta in Abbiati, "GIUSEPPE VERDI", IV, 444)
"La voce della Sig. Pantaleoni avvezza a parti violente, ha molte volte gli acuti un po' troppo mordenti, vi mette dirò così troppo metallo. Se potesse abituarsi a cantare un po' più di testa le riescirebbe più facilmente lo smorzato, e la voce sarebbe anche più sicura e più giusta."
(da una lettera di Giuseppe Verdi a Franco Faccio del 2 settembre 1886 - riprodotta in Giuseppe Morazzoni, "VERDI: LETTERE INEDITE", Milano 1929, 44)
(citazioni riportate nel capitolo "Towards a Verdian Ideal of Singing", da: David Milsom - "Classical and Romantic Music", first published in 2011 by Ashgate Publishing)
Ritratto di Giuseppe Verdi
VOCE VERDIANA :
"Voce verdiana, lo vogliamo sottolineare e chiarire ancora una volta, è quella che ha il fraseggio verdiano. E il fraseggio verdiano, come quello pucciniano o rossiniano, lo si ottiene da una profonda preparazione tecnica-vocale e una altrettanto profonda conoscenza dell'opera che l'artista deve interpretare, piegando la sua voce alla linea creata dal compositore. Perchè un cliché di voce verdiana, come è intesa, volgarmente: ampiezza, robustezza, colore cupo e drammatico, non esiste e particolarmente per i personaggi femminili.
Per questo concetto, possiamo affermare che Renata Scotto ha una voce verdiana e la sua struggente Gilda ne è una documentazione tangibile."
(da: "Renata Scotto o il trionfo della volontà", di Pierluigi Caviglia - Discografia completa a cura di R. Vegeto, in: "DISCOTECA", novembre 1967)
Renata Scotto - Rigoletto - "Caro nome"
Un esempio di cantante approvato da Verdi stesso: "Caro Bonci - scriveva Verdi ottantacinquenne da Milano, il 21 maggio 1898 - nel mio vecchio Ballo in maschera che il pubblico fiorentino predilige, la vostra interpretazione mi è stata una sorpresa graditissima e mi ha fatto ridere: ridere col pensiero: riandando al tempo lontano in cui lo scrissi... “È scherzo od è follia”... va detto quasi parlato e sfiorato col canto, e l'aggiunta della risata rispettando il tempo e gli spazi, è una vostra unica privativa e specialità che Vi riconosco e che mi riconferma la vostra perizia e lo studio che voi ponete in ogni esecuzione."
GIUSEPPE VERDI acclamato a PARIGI per Faltaff (1894)