BELCANTO ITALIANO INTERVISTA IL TENORE UGO BENELLI -
Intervista realizzata dal Soprano Astrea Amaduzzi il 25 gennaio 2015
Intervista realizzata dal Soprano Astrea Amaduzzi il 25 gennaio 2015
Ho avuto la fortuna di conoscere il Tenore Ugo Benelli negli anni Novanta, durante un corso tenuto sul Lago di Garda in cui io ero Allieva del meraviglioso Mezzosoprano Biancamaria Casoni, docente dell’Accademia del Teatro alla Scala di Milano. Ricordo chiaramente che talvolta, nei momenti di pausa, transitando da una stanza all’altra passavo proprio nell’aula dove il Maestro Benelli faceva lezione, e lo vedevo sempre con un gran sorriso e l’aria vagamente distratta, tipica dei veri grandi artisti. Ho avuto la fortuna di ascoltarlo mentre faceva degli esempi e raccontava qualche breve aneddoto, e questo mi ha dato l’illusione di trovarmi in un paradiso felice che però si stava ormai sgretolando: quello di chi aveva studiato duramente in ogni minimo dettaglio ed era da sempre stato seriamente al servizio della Musica.
Non dimenticherò mai l’emozione provata quando al termine della mia esecuzione dell’aria dei Capuleti di Bellini “Oh quante volte” la Signora Casoni mi abbracciò con le lacrime agli occhi dicendomi di quanto fosse stato straordinario quello che aveva sentito, e che non avrei mai dovuto cambiare nemmeno una virgola di quello che avevo fatto – e allora come adesso – passò il Maestro Benelli e mi disse “Sei bravissima!” con lo sguardo pieno di entusiasmo che non ho mai più trovato in nessuno. Ah, già, però è anche vero che di Cantanti così (specie tra i Tenori) non sappiamo se ce ne siano più, dobbiamo lavorare duramente e alla svelta perché la nostra opera rinasca.
E così Benelli, ottant'anni da poco compiuti e una carriera durata ben quarantasette anni, persona squisita e dall'ancora intatta e sempre presente ironia, ascolta le mie domande e risponde con grande passione!
Il Tenore Ugo Benelli è il Conte di Almaviva nel Barbiere di Siviglia, al Teatro San Carlo di Napoli |
Eh...si scopre che ho una voce, che viene apprezzata da qualcuno. Io ho avuto una strana combinazione, il vuoto della mia casa, diciamo quando quattro palazzi sono messi uno attaccato all'altro rimane un vuoto in questi palazzi, che sarebbe la parte dietro di tutti e quattro i palazzi, in questo vuoto abitava vicino a dove stavo io una signora che aveva una fabbrica di pelliccerie, vendeva pellicce a Genova e aveva studiato canto. Si chiamava Beltrami, non mi ricordo più il nome, e studiava canto; io ero ragazzetto ancora, avrò avuto 14-15 anni, e lei mi sentiva sempre cantare. Ormai non aveva più l'età per poter aspirare a una carriera, però andava a studiar canto perché gli serviva come uno sfogo, il canto è una cosa liberatoria. Essendo molto amante del canto, andava a studiare canto da un certo maestro. E mi disse, "poi quando hai diciottanni, ti porterò a far sentire da questo maestro".
Non ci pensavo quasi più... avevo studiato un po' di pianoforte in maniera abbastanza approssimativa, finiti gli esami di ragioneria a diciottanni, ci si parlava sempre da una finestra all'altra del palazzo, era roba di tre o quattro metri, e mi disse "Guarda che ti ho fissato un appuntamento, domani ti porto dal mio maestro". E la storia è cominciata così! Questo maestro era un avvocato, una persona di una cultura enorme... se tu pensi che suo padre era stato ambasciatore in Russia dello Zar! Era un appassionato di canto, perché era un avvocato con una grande responsabilità in una banca centrale di Genova a livello nazionale, e dava lezione così per diletto e non pagavamo niente, pagavamo solo l'affitto tutti insieme di questo enorme stanzone, e da questo stanzone sono usciti Giuseppe Campora, Rosetta Noli, Ottavio Garaventa, Federico Davià, Enrico Campi e quel grande tenore comprimario del San Carlo, come si chiama... un tenore che doveva fare il primo tenore in maniera assoluta... Piero De Palma!
Si, il mio maestro di canto, perché come dice Dara: "fortunati quelli che hanno avuto un maestro solo". Dara ha avuto un organista di una chiesa a Mantova, non è stato allievo di Campogalliani, però lui ha continuato a studiare. Dice, "guai cambiare tanti maestri"! Bisogna aver la fortuna di trovare subito quello giusto. Con questo maestro ho cominciato a studiare che era epoca estiva, faceva lezioni collettive, anche in due tre per volta, e così potevamo cantare a lungo, perché fra un vocalizzo e l'altro ci potevamo riposare. D'estate non veniva nessuno, e così io andavo tutti i giorni a lezione. Diciamo che quei due mesi, i primi due mesi di studio per me sono stati molto importanti, perché lui mi ha seguito da solo personalmente, tutti i giorni, mattina e pomeriggio.
- Senti, in realtà che cosa facevate durante le lezioni?
Dei grandi vocalizzi, lui non voleva assolutamente che cantassimo pezzi d'opera. Tutt'al più aveva delle frasi che lui aveva composto e alla fine dei vocalizzi ci faceva fare queste frasi che ricordo ancora, erano molto poetiche, perché era un uomo di grande cultura: "O fior, o fior di gioventù io t'ho goduto, io t'ho goduto un dì". E su queste frasi praticamente si spaziava in tutte le note, si saliva alle note acute per poi scendere alle note gravi, oppure l'altra era: "Ella la testa sovra me chinava e il vento ai sogni un fremito donava." Erano le frasi musicate da lui che ci faceva fare, era il massimo di canto che lui ci concedeva.
- Quindi per mesi praticamente tu hai studiato l'emissione vocale?
Eh, sì, sì... per due anni, addirittura! E poi, c'era il concorso alla Scala, e lui disse: "Vai a fare questo concorso per la scuola della Scala per i cadetti, perché così sapremo cosa studiare; laggiù c'è Confalonieri, Campogalliani, ti daranno un giudizio, chiedilo anzi, su come approfondire le nostre lezioni". E io andai a fare questo concorso: prima la Cossotto, Benelli e Casoni, vincemmo noi tre! E mi trovai a orientare la mia vita in maniera diversa, non far più il ragioniere, rinunciare a un importante posto che mi avevano offerto a Genova, e andare alla Scuola della Scala.
Mio padre non voleva nel modo più assoluto, è stata l'anima romantica di mia madre che ha vinto, perché per una settimana non scambiò parola con mio padre e mio padre alla fine cedette, perché capisci che per un padre, il cui figlio aveva già un posto buono, non poter aver una garanzia per tutta la vita, andar a Milano a rischiare, eh, studiar canto è sempre un rischio...
- Quando studiavi i tuoi ruoli meravigliosi e difficilissimi che cosa hai fatto per preparare tutto il ruolo intero? Qual era il tuo sistema di studio?
Sai, dal punto di vista culturale poco, perché quando ho fatto Bel Canto io, lo sai, sono quasi ruoli insipidi quelli dell'amoroso, capito? L'amoroso è sempre lo stesso! Lindoro che è lì che piange e che si dispera e non ha una schiena, non è un maschio, un macho che reagisce a questa cosa... L'Elisir è abbastanza interessante, perché io che sono diventato poi, diciamo, anche abbastanza un aggressivo, la mia natura è di grande timido, capisci? quindi mi calzava a pennello il ruolo di Nemorino. Perché in fondo il timido con degli amici molto stretti che lui ha è dominante con pochissime persone e teme la massa, almeno per me era così...
La prima cosa che facevo, prendevo lo spartito e, prima cosa, davo una passata generale per vedere il tipo di vocalità che mi stesse bene, lo guardavo dall'inizio alla fine; poi cercavo di trovare un senso alle parole dal punto di vista grammaticale, se c'era qualche cosa da scoprire come personaggio cercavo di documentarmi, ma questo l'ho fatto di più nella seconda parte della carriera, quando ho fatto per esempio Wozzeck, ho preso il Wozzeck di Berg, ma ho anche letto il libro.
Poi cercavo di approfondire la parola con il suono, vedere bene dove si deve respirare, non respirare troppo spesso se si può, se si può fare qualche virtuosismo con il fiato, tipo in "Don Pasquale" (canta): "né frapposti monti e mar, ti potranno" e continuare; invece potresti fare anche "monti e mar", fiato, "ti potranno, o dolce amica", perché è logica. Però quando si poteva... oppure nella serenata di Don Pasquale sempre "Com'è gentil" avevo sentito Valletti, mi raccontava Bruscantini, che faceva a gara a non respirare e allora anche in quei pezzi lì cercare dei virtuosismi con il fiato per dimostrare che qualcosa del canto avevi capito! È tutta lì la storia del canto, cantare sul fiato...
Bruscantini nei primi tempi, quando uno non capisce, faceva mettere una cinghia di cuoio sotto il diaframma, capisci, un po' tirata di modo che, se questo non ha l'idea, dice: "Prendi il fiato lentamente col naso, senti lì dov'è la cinghia, è lì che poi devi partire con il suono!" Eh, è difficile... il canto s'insegna direttamente, io non credo nella scuola di canto scritta. Come fai? è già difficile quando hai l'allievo, dargli delle idee, l'idea del diaframma come quei materassi ad acqua, perché il diaframma ha due pericoli, non si deve affondare troppo il suono però non si può neanche cantare per aria, c'è questa via di mezzo del suono nel canto, come l'acceleratore di una macchina se acceleri troppo in fretta la macchina si arresta con un sobbalzo, quello lì è affondare troppo il suono, però se cominci una piccola salita e tu non schiacci abbastanza l'acceleratore la macchina si ferma ugualmente perché non sale, però, capisci, gli dai questi esempi, ma poi gli devi far sentire qualche cosa, insomma.
- Nella tua esperienza quale importanza hanno i vocalizzi, quanto tempo al giorno bisogna fare di vocalizzi? E li hai usati solo per riscaldare la voce oppure anche per preparare taluni passaggi specifici delle arie?
Bisogna fare un'ora di vocalizzi, non tutti di seguito; un po' di seguito, sì, per allenare bisogna fare vocalizzi; per conto mio, sono la base di tutta la tecnica. Va all'orecchio del maestro sentire quando l'allievo comincia ad essere stanco, però io credo che un'oretta di vocalizzi fatti per benino, senza affogare, facciano bene.
- Ho sentito talvolta dietro le quinte miei colleghi fare un'ora e mezza di vocalizzi a tutto spiano e poi entrare in scena e cantare già stanchi, in quel caso prima di entrare in scena conviene farne di meno di vocalizzi!
Io sono d'accordo di farne di meno prima d'entrare in scena. La Cossotto quando cantava il Trovatore lo cantava una volta tutto in camerino, eh, beata lei, evidentemente aveva delle corde d'acciaio.
Io quando avevo la recita andavo il mattino, verso le undici e mezza, mezzo giorno, facevo un quarto d'ora, venti minuti, quel giorno lì, di vocalizzi, poi andavo in teatro, nel camerino ne facevo uno o due, senza stancarmi, più che altro tendevo a far dei "suoni", a preparare lo strumento come "ma, bo, be" col suono in avanti, mai con la T, e quello lo faceva anche Panerai, per preparare le risonanze del viso. Oppure, se sei in macchina, quando andavo in macchina che arrivavo in ritardo, in macchina mai vocalizzi, perché non ti senti, facevo tutti questi "suoni" per prepararmi a cantare.
Il mio maestro diceva che bisogna respirare come respirano i pesci, una apertura di diaframma molto laterale diciamo anche, lui diceva, per respirare. E anche quando si può, questo lo diceva anche Bruscantini, respirare dal naso quando si può. Ad esempio nella "Furtiva lagrima", che hai tempo, prima di ogni attacco, un bel respiro non profondissimo, ma profondo; lo sai te quando sei arrivato, che il diaframma è pronto. Ecco, approfittare quando si può di respirare col naso, per evitare di avere magari un po' d'aria fredda in gola, se il respiro è preso male o preso troppo in fretta. È un'Arte il saper respirare! Ci sono certi cantanti che respirano fra una frase e l'altra, e, se anche registrati, non te ne accorgi, uno era Bruscantini, ad esempio.
- Io sono solita abbracciare i miei allievi, e gli dico adesso fai forza contraria e così gli sento proprio i muscoli...
Certo, far sentire anche te come respiri: "Mettete la mano, sentite dove respiro io!"
- Sì, sì, assolutamente, e gli dico di mettere le braccia a cintura e poi gli faccio sentire come respiro, e devo dire poi che per imitazione loro vanno molto bene!
Sì, e l'altra cosa, se non la capiscono ancora, fargli sollevare una sedia molto pesante, sono costretti ad attaccare sul diaframma, perché lo sforzo di sollevare questa sedia pesante impegna il muscolo del diaframma, gliela fai sollevare e poi li fai attaccare. Questo ci faceva fare quel famoso avvocato, vedrai che sono costretti ad attaccare sul diaframma.
- Che cos'è per te il cosiddetto "suono in maschera"?
Mah, io ti dico che Bruscantini, che faceva vocalizzi con Kraus, e io che studiavo spesso con Bruscantini, perché cantavo spesso con lui, diceva: "Intanto il primo passo è mettere la voce nella "Gnagnera", diciamo lì, anche se sa un po' di naso, non importa, basta che sia in avanti." Perché le gallerie non si scavano tutte assieme, ora sì, si chiama "talpa", ma una volta... la galleria si scava piano piano, l'importante è andare avanti in questa galleria, capisci... e Sesto mi ricordo mi diceva, dopo il primo passo dei suoni (fa, cantando, "E") in avanti: "E adesso però arrotonda il suono! Adesso che stai scavandoli, adesso falla bella la galleria, dagli una forma rotonda a questa galleria, fai un bel suono".
- E, di conseguenza, quanto è importante la pronuncia nell'arte del canto?
Tutto, tutto. Mi ricordo i complimenti di Massimo Mila: "Un tenore che canta con le vocali e con le consonanti!" ha detto. Esempio, la prima cosa che mi ha fatto riflettere su questo è stato Tito Gobbi nel Belcore. "Ti avRRei stRRozzato, RRidotto in bRRani" Se invece fai: "Ti avrei strozzato, ridotto in brani." Ma se tu dici: "Ti avRRei stRRozzato, RRidotto in bRRani" allora sì. Ecco che cos'è la pronuncia!
- Adesso una domanda squisitamente tecnica, molto importante per tutti i registri vocali. Quanto è importante l'uso della flessibilità laringea e morbidezza di gola nel canto?
Ah, te lo dico subito. Io feci da giovinetto una lezione con Tito Schipa che era di passaggio a Genova, ma io non studiavo ancora canto, volevo forse studiar canto, ma so che c'era Schipa, mi ricordo che andai... lui diceva "è importante la gola, rilassare la gola", ha parlato per un quarto d'ora di "rilassare la gola", diceva che non era mai abbastanza... di "cantare morbido", "come se la mascella non esistesse"...e una frase di Schipa è questa; e l'altra di Montarsolo: "Bisogna cantare come se uno dormisse, ma solo col diaframma". Per dar l'idea, deve esistere la colonna del fiato, il diaframma, e quel corpo lì dev'essere morto, per dire di nuovo di come dev'essere rilassata la gola di un cantante, è la cosa basilare.
Quando incisi con la Decca la "Cenerentola" con la Simionato, io ero giovanissimo, lei era già famosissima, mi diceva sempre: "Giù la testa, piccinella!" Perché io, alzando un po' la testa, trovavo bene il suono. E lei continuava a dirmi, "No, piccinella, più giù la testa, non alzare così la testa. Piccinella, abbassa la testa!"
Tirando su la testa il suono esce, ma sa leggermente di gola. Tenendo la testa nella posizione giusta e ammorbidendo la gola allora il suono acquista un altro sapore, la libertà.
E poi te lo aggiusti, anche. In un teatro con una buona acustica, il suono te lo aggiusti con questo sistema, se hai la gola morbida; se hai la gola dura è mal riuscito e il suono rimane quello.
- E adesso c'è una domanda proprio per i tenori. Perché i giovani tenori hanno così tanti problemi nel "passaggio" verso il registro di testa?
Luciano cominciava già a passare dal mi bemolle, eh, Pavarotti. Io ho avuto una gran fortuna, che quell'avvocato non ci ha mai parlato di "passaggio"; non ci ha mai detto, in quei mesi lì, che ci sono le "note di passaggio". Io mi sono trovato bene perché, evidentemente, si vede che la voce si stava impostando nella maniera giusta.
- Io ho notato che facendo lavorare i tenori tra il mi, fa e fa diesis con la massima morbidezza e con la mandibola che tende a sganciarsi, e soprattutto "portando la voce" come si intendeva anticamente, proprio il portamento per prendere la voce con dolcezza e portarla da una parte all'altra, gli ho risolto proprio questo problema tecnico del "passaggio" al registro di testa.
Vorrei farti una domanda io, nel caso di tenori leggeri, gliela fai fare qualche nota d'effetto un po' leggermente aperta, non è il termine esatto aperta, ma hai capito, non coperta?
- Guarda, io faccio lavorare tutti quanti i miei allievi con voci anche grandi, o piccole che siano, e anche i tenori leggeri, su suoni piccoli che qualche volta gli faccio ingrandire un po' di più a seconda di quello che devono dire ed esprimere, ma normalmente li faccio lavorare su un punto focale che è posto dietro le fosse nasali, una concentrazione sonora tutta lì, molto piccola, suoni molto ben in avanti, e parole ben pronunciate, e lavorare sul colore dei suoni.
Sì, diciamo, la Scotto ha sempre fatto gli acuti mai in pieno, li ha sempre presi piano e poi ampliati, se ci hai fatto caso, mai una nota: "pa!", però sempre "en garde", capisci, presa bene, giusta, lì, e poi ampliata. Taddei, anche, prendeva le note e poi diventavano delle caverne, però non le ha mai prese di getto.
- Io suggerisco anche talvolta l'attacco preciso, intonato, ma un pochino da sotto, per addolcire il suono e per portarlo, anche perché il segreto del legato è il portare una nota all'altra legando sul fiato!
Certo, quando uno sa legare vuol dire che canta "sul fiato". Il legato è il segreto del grande cantante, eh!
- Allora, adesso ho un'altra domanda che si ricollega un po' ai passaggi di registro, perché tanti ragazzi studiano con una posizione "a sorriso" verso gli acuti, io vengo dalla scuola che invece prediligeva lo sgancio mandibolare flessibile con totale abbandono della gola e maggiore apertura in senso verticale verso le note acute e, quindi, che cosa mi sai dire di questa famigerata posizione "a sorriso" in ogni zona della voce?
Ti rispondo con un esempio. La Freni era venuta a Genova e cantava Bohème all'Auditorium Montale, quel piccolo teatro che abbiamo insieme al Teatro dell'Opera. Ha ricevuto praticamente il pubblico, e c'era una persona che, guardandomi quasi con una certa rabbietta, disprezzando evidentemente il mio tipo di canto, chiese alla Freni: "Cosa pensa, signora Freni, del canto col sorriso?" E lei fece: "Che cos'è sto sorriso?" Capisci? Avrebbe voluto che la Freni dicesse: 'La tecnica del sorriso è la sola sulla quale si costruisce la voce'. Invece lei scosse la testa e disse sorridendo: "Ma che cos'è sto sorriso?" Ché cantano "La mamma morta" (di Giordano) con il sorriso sul viso. Te lo immagini "Ah perché non posso odiarti, infedel, com'io vorrei" (della Sonnambula) col sorriso!! (ride)
Per altri ha risolto le carriere, il tenore Alvinio Misciano aveva questo dono di avere un sorriso che comunicava al pubblico un'idea di rilassatezza e facilità di canto.
Certamente, se tu pensi al cavallo quando nitrisce, come fa? Per nitrire deve scoprire i denti, così fa il suono.
- Adesso ti faccio un'altra domanda che però secondo me, per il tuo tipo di scuola e di emissione, si risponde già da sola e sei autorizzato anche a farti una bella risata. Che cosa ne pensi della tecnica dell' "affondo"?
Cioè la scuola di Del Monaco, per dire... funzionava solo per lui. Eh, quell'esempio che t'ho fatto dell'acceleratore, se vai in una strada liscia, devi tener l'acceleratore lo senti col piede l'acceleratore, lo accarezzi, se "schiacci" la macchina salta e si ferma. E questo ha funzionato solo con uno e con pochi altri, quella tecnica lì; però non dimentichiamoci che ha cantato "Otello" per 25 anni, avrà avuto delle corde di titanio...
- Sì, certo, però prenderlo come modello per i ragazzi che iniziano a studiare forse è un tantino dannoso...
No, può essere totalmente negativo.
- Eh, infatti... pericoloso, diciamo, secondo me...
Mah, molto pericoloso, eh!
- Mi chiedono se secondo te le agilità sono naturali o si studiano?
Io dico che si studiano, perché quando ero alla scuola della Scala il Maestro Confalonieri voleva le agilità legate, poi ero alla Scala, c'era bisogno di un sostituto di Alva e Abbado, abituato con la Berganza, ché come sai, le voci spagnole le hanno anche un po' di natura, perché la famosa collana di perle, o il pallottoliere che lo arrovesci, e il pallottoliere o le perle fanno: ta-ta-ta-ta-ta-ta-ta... io ho fatto l'audizione con Abbado e ho dovuto cominciare a impararle staccate. Feci l'audizione e mi prese e imparai; quindi evidentemente c'è una tecnica per imparare le agilità. Io continuo a dire che fra vent'anni verrà fuori uno chiamato "Claudio Abbadion", perché questo è il merito di Rossini che è talmente moderno come compositore, che dirà: "Ma perché così staccate, mi piacerebbero un pochino più legate", e ritornerà di moda l'agilità rossiniana legata, perché dischi dell'epoca di Rossini non ne abbiamo, non abbiamo nessun documento che attesti come voleva le agilità Rossini...
- No, aspetta, però c'è qualcosa, c'è una traccia... nel senso che Manuel Garcia figlio suggeriva di fare le agilità staccate, mentre invece il padre, che è stato il tenore che ha fatto il Conte d'Almaviva nella prima del Barbiere di Siviglia al Teatro Argentina a Roma, suggeriva nel suo piccolo manuale di fare sempre le agilità legate e, siccome lui era un grande amico di Rossini, sicuramente c'è una buona probabilità che Rossini le abbia predilette legate, anche perché molte volte nello stesso spartito di Rossini troviamo proprio le quartine legate...
Certo, io ti parlo di Confalonieri, perché era il più grande critico d'Europa. Alla Piccola Scala dava lezioni a quelli che sono diventati poi i nuovi critici, c'era un pomeriggio alla settimana in cui dava lezioni e portava degli esempi che noi della scuola cantavamo, accompagnati da lui al pianoforte per dimostrare a questi che poi... alcuni, non faccio nomi, ma stanno scrivendo ancora, hai capito? Insomma, Confalonieri sapeva quello che diceva, eh, non poteva inventarsi le agilità... comunque, adesso se vogliono far Rossini devono pensare alla collana di perle o al pallottoliere: ta-ta-ta-ta-ta-ta-ta.
- Ma, dipende anche da come le stacchi...
Bisogna che non sia una macchinetta, merletti, punti perfetti, punti perfetti, perché se no non sa più neanche di musica, diventa quasi un nervosismo, quest'agilità tremendamente staccata, è un virtuosismo, però, eh...
- Cosa ne pensi della funzione del regista? Ritieni che una buona regia che tenga conto delle velocità o lentezze musicali nelle varie scene possa aiutare un cantante a cantare meglio e più a suo agio?
Sì, senz'altro! Basta che rimanga il senso della musica... A me è successo una volta che nel Don Pasquale, nell'entrata d'Ernesto, aprivo la porta, entravo baldanzoso! "Cosa fai?" mi han detto... - "Perché 'cosa fai?' perché non la sente questa musica? - "Ma la musica non importa"... capisci? Oppure, a Glyndebourne un grandissimo regista, che è stato anche direttore della Scottish Opera per anni, sai quel momento del Barbiere in cui Bartolo chiede a Figaro: "Che vieni a fare?" "Oh bella! Vengo a farvi la barba!" e il mio amico (...ride...) che è stato un baritono molto famoso faceva Bartolo in quell'edizione e ha visto passare sul fondo della scena una donna bellissima. E si è alzato e dice: "Mah... cosa ci fa quella lì?" - "Eh, ma chi dici? Non hai sentito Figaro che dice: 'Oh bella! Vengo a farvi la barba!'?" Hai capito? Ma questo un grande regista... ecco, allora, quando le regie sono queste, mi viene da urlare!!!
Quando la regia anche moderna ha un senso con l'opera è un'altra cosa. Mi diceva Leo Nucci che una volta in un Rigoletto in Germania gli chiesero una cosa talmente assurda che lui andò in direzione e disse, convinto di essere uno dei più grandi Rigoletti del mondo, con passione: "Non è possibile per me questo, o va via il regista o me ne vado io!" E il sovrintendente gli disse: "Va via Lei!" E mi disse Leo, "Da allora non son più andato in direzione a chiedere o lui o io"... perché purtroppo il mondo è in mano non si sa a chi!
Il Maestro Benelli è Ernesto Rousignac ne "Il giovedi' grasso" - La Scala - 1971 |
I recitativi del Barbiere sono importantissimi, nell'ingresso di Fiorello con Almaviva devono esserci due preoccupazioni, che il pubblico deve sentire, ma che lì c'è silenzio, non bisogna svegliare altri. E questa idea non c'è mai, in scena. "Fiorello-olà", eh no! "Fiorello... olà..." è tutto da trattenere, quella prima parte del Barbiere, cantare, pensare che devono farsi sentire, ma ci dev'essere quest'idea di non svegliare la gente; poi c'è la 'serenata' e questa è un'altra storia, perché quando suonano la musica si sente e mai fare quelle "puzzonate" come diceva Bruscantini di finire col do finale, perché allora Rosina dovrebbe aprire la finestra e buttarsi giù di sotto, no! è un'aria di maniera, che Almaviva canta a cinquanta ragazze e sempre la stessa, invece no, è alla seconda, che è l'aria che viene dal cuore, che Rosina apre il balcone, lezione di Sesto Bruscantini. E poi fanno: "Bene-bene, tutto-giova-a-saper", non è "bene-bene" è "bene, bene, tutto, giova a saper". È diversa la storia, eh! Lezione di Bruscantini. È recitativo! "È-desso-oppur-m'inganno?" Intanto prima di "È desso" stai vedendo nell'oscurità, "È desso... oppur m'inganno?" "Chi sarà mai costui?" "Oh è lui senz'altro" "Figaro!", perché ogni tanto Almaviva ha il comando. Sempre comandi netti, finché non diventa complice con Figaro, che poi scherzano assieme, c'è sempre la distanza fra Almaviva e Figaro. Perché Almaviva teneva il berretto in testa, aveva la concessione di tenere il berretto in testa, di non doverselo togliere quando passava il re, si diceva.
- Hai un consiglio speciale da dare ai giovani che vogliano intraprendere oggi la via del canto?
Sì, trovare subito il maestro giusto, questo qui è l'unico consiglio da dare, uno e subito. Prima d'andare a studiare canto, farsi accompagnare da uno che studia, quello studia dal tale, quello dal tal altro e dire: "Mi fai assistere a una tua lezione?" E vedi subito se è un allievo intelligente, perché sarà in grado di scartare e sentirà che cosa consiglieranno al collega che va a lezione da questo, Tizio, Caio e Sempronio e sarà in grado di decidere quale sarà il suo maestro. E dev'essere uno e solo quello, quello il grande consiglio, di scegliere bene il maestro, perché poi rimediare agli errori è molto difficile, quando poi hai specialmente una voce che si ingola, togliergliela dalla gola è patire le pene dell'inferno.
- Cosa ne pensi del mondo dell'Opera oggi?
E' un disastro, un disastro completo, non c'è avvenire per i giovani. Vedo qui a Genova, non so, ho visto addirittura un cast di sei recite che è stato diviso le prime due a un soprano, le altre due a un altro soprano, poi una a un soprano e una a un altro soprano. Questo vuol dire gettarli nelle fauci del leone, perché come fai a fare... intanto non ci sono le prove abbastanza per tutti, e poi rischiare per una recita, capisci, tutto appeso a un filo... e veramente ho pena per questi ragazzi che hanno tanto entusiasmo, tanta voglia di fare, ma non ci sono le possibilità di emergere, difficile venirne fuori.
- Che cosa si potrebbe fare per migliorare la situazione? perché oggi il Belcanto, il canto in generale sta proprio morendo... un po' perché c'è poca meritocrazia nell'ambiente teatrale, e c'è lo strapotere delle agenzie, un po' perché le colorature non si fanno più e quindi lo strumento vocale non si usa più come strumento ed è tutto bloccato e... tutti badano a essere "gran divi" senza avere una preparazione tecnica effettiva...
Brava, io dico che "sono degli otorino-laringoiatri ma non sanno cantare". C'è della gente che mi "insegna", mi parla di gola, di narici, di tutto di canto però non sanno cantare. E poi vanno in mano anche a questi otorino-laringoiatri che alle volte, se è gente molto capace, possono avere un consiglio su che tipo di corde vocali hanno e a che cosa indirizzare i loro studi, ma spesso non capiscono niente. Perché, ti dico cosa facevo io quando iniziavo la carriera e non avevo soldi e avevo bisogno d'avere le medicine e ti garantisco che l'Enpals ai miei tempi aveva grandi specialisti e aveva dei reparti speciali, dei vice-primari d'ospedale, gente molto qualificata. Io andavo a rifornirmi dall'otorino-laringoiatra di Milano, o di Genova, a seconda se venivo a trovare i miei genitori, e andavo lì e cominciavo come un bravo attore a tossire in un certo modo, ma per finta; allora mi dicevano che avevo la laringite, oppure fingevo con altri di tossire anche in altri modi e allora mi dicevano ad esempio che avevo la laringo-faringite e mi facevano dare tutte le medicine per queste cose qui. I vari medici della gola e foniatri credevano veramente che fossi lì a farmi visitare perché stavo male e li convincevo che ero o afono o che avevo mal di gola o altro; e mi guardavano in gola e non capivano niente e mi assegnavano i medicinali che, nel caso mi fossi trovato a cantare fuori sede, avrei in realtà adoperato solo se mi fossi ammalato veramente. Quindi come posso credere a certi specialisti? D'altronde non ne ho avuto quasi mai bisogno, grazie a Dio! Ecco, questa è la verità, è molto triste, ma è la verità.
Non do lezioni di canto, logicamente, perché ho avuto qualche delusione, perché cominci un lavoro e poi non lo puoi finire... è quella la fregatura, vanno a studiare da qualcuno che poi gli promette che lo farà cantare... e poi anche perché preferisco e mi è più congeniale fare del perfezionamento su spartiti; se vengono che sento che cantano abbastanza bene e vogliono perfezionarsi sui ruoli che sono stati i miei ruoli, quello lo faccio più volentieri, perché insegnar canto richiede una passione enorme, dà soddisfazione ma ci vuole una grande passione e una grande pazienza e una grande attitudine!
C'è della gente che mi telefona e io dico subito: "Non raccomando nessuno, non conosco nessuno". Perché tanta gente viene solo per... io penso come ho dovuto fare io: "Tu pensa a studiare e pensa a essere bravo che poi le porte si aprono". L'audizione a Glyndebourne, mi hanno preso, l'audizione ad Aix-en-Provence, m'hanno detto: "Promettente, la vogliamo risentire". Ma alla seconda audizione mi hanno preso. Quando uno è preparato bene può sperare nel futuro; è la certezza d'aver studiato bene e di esser pronto che dà sicurezza a una carriera. Poi, sai, scommettere, non si può scommettere su nulla, specialmente al tempo d'oggi che è così dura; anche poter aiutare un allievo ad indirizzarlo, capisci... io direi a tutti: "Andate in Germania a far delle audizioni, perché lì ci sono almeno centoventi teatri e se avete delle qualità vi prendono."
Prestissimo, le belle cose della vita non bisogna mai lasciarle scappare!
Un saluto cordiale a tutti coloro che amano Belcanto Italiano, e anche a chi non lo ama, sperando che da chi sa e ha saputo cantare davvero s’impari una vera lezione di necessaria umiltà.
M° Astrea Amaduzzi
... e non dimenticate di ascoltare lo splendido Conte di Almaviva
del Tenore Ugo Benelli!!!
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Belcanto Italiano Masterclasses torna a Roma
dal 28 al 31 maggio 2015.Durante il seminario sarà organizzato un incontro speciale con il Dott. Beniamino Gigli,
nipote del grande Tenore Italiano.
Venite a trovarci nella Sala dei Papi in Piazza della Minerva!
Per informazioni e prenotazioni: 347.58.53.253
segreteria.belcantoitaliano@gmail.com