sabato 18 febbraio 2017

Che cos'è il Belcanto? - di Giacomo Lauri - Volpi



Che cos'è il Belcanto?
Risponde uno dei più grandi e acclamati Tenori di tutti i tempi: Giacomo Lauri-Volpi

 “Belcanto” - voce compilata dal tenore Giacomo Lauri-Volpi, inserita nella “Enciclopedia della musica”, ed. Ricordi, Milano 1963

Il Tenore Giacomo Lauri - Volpi nel ruolo del Duca di Mantova

BELCANTO. Per B. si intende quel genere di canto individuale che nella storia della voce umana dapprima si affidò all’espressione melodica, poi si complicò nel gusto decorativo e ornamentale, in gara con il virtuosismo degli strumenti orchestrali. Questo genere di canto poté affermarsi quando l’opera, o dramma cantato, diede rilievo a un elemento psicologico che caratterizzò il passaggio dall’età media all’evo moderno: la scoperta della individualità del personaggio nell’arte e nella vita.
Il B. è la più tipica espressione dell’individualismo canoro, che generò il divismo sulla scena lirica. Le voci umane nel medioevo avevano collaborato con gli strumenti in senso collettivo, in aggruppamenti uniformi in cui il singolo scompariva in quanto tale. Ne risultava una sorgente sonora molteplice e indifferenziata, in cui si diluivano le componenti. Nel rinascimento balza in primo piano la personalità univoca, super-differenziata del solista, al quale fanno corona coro e orchestra. Come il rinascimento è rivelazione tutta italiana di valori umanistici, anche il B. (che del resto è fiorita espressione) è arte tutta italiana. Cosa strana: in Italia la scoperta dell’individuo, la esaltazione o culto della personalità, si verificò alla fine del ‘500, proprio quando l’Italia era scomparsa come individualità nazionale e politica, cadendo sotto il servaggio dello straniero, che la ridusse un mosaico di piccoli Stati. Il fenomeno di quella scoperta è evidente in ogni aspetto della vita musicale di allora e andrà sempre più radicandosi col passaggio dallo stile polifonico allo stile omofono, dal madrigale (a più voci) all’aria a una sola voce. Quel fenomeno è, in fondo, una manifestazione, una reazione del tipico individualismo italiano.

Il B., nella sua triplice accezione verbale, è alla base della origine e della evoluzione storica della voce e del melodramma, al quale conferisce lo slancio vitale e la vera ragione d’essere. Infatti gli ellenisti fiorentini nel crearlo alla fine del ‘500, non ebbero altro scopo che il canto in sé e non già – come fu detto – la ricostruzione del dramma greco: il canto fine a se stesso, in quanto forza viva, che si regge da solo per interno impulso del sentimento e della passione soggettiva. La voce umana diventa strumento del pensiero e non ha bisogno di elementi formali contrappuntistici. Si regge, per così dire, sullo sforzo di affermare la propria personalità melodica. Donde l’origine della parola cantata, caratteristica del dramma in musica. Vale a dire, la musica si mette a servizio della parola e del canto individuale. Creatore della scuola del B. – bello perché emotivo ed espressivo, da distinguersi, come abbiamo precisato, da quello decorativo – fu il romano Giulio Caccini, che da Roma si trasferì a Firenze, ove fondò la scuola di canto in cui fiorirono le voci delle figlie Francesca e Settimia: scuola basata sulla passione profonda e la parola adeguata e sulla chiarezza della dizione in armonia con la tradizionale, romana “concinnitas”. Il “recitar cantando”, proprio di questo stile rappresentativo, portò alla libertà melodica e a un rinnovamento della tecnica del suono cantato.

Nel suo insegnamento, il Caccini fu un rinnovatore della ortofonia vocale e uno dei primissimi compositori di melodrammi; egli lasciò scritte interessanti norme del B. Avvertiva i discepoli di “attaccare il suono appoggiandolo sulla nota immediatamente inferiore”, oppure di “evitare questa appoggiatura e di attaccare invece la nota direttamente ma dolcemente”, come nota “tenuta” che va dal piano al forte e decresce dal forte al piano iniziale (la classica “forchetta” in uso in ogni scuola che si rispetti), di cui si è perduta ogni traccia nel canto lirico attuale, divenuto monotono e meccanico, senza sfumature di fraseggio, privo insomma della tavolozza di colori che vanno dal sussurro delle note a “fior di labbra”, ma “appoggiate”, alla vigorosa espansione dell’esaltazione lirica, che fece degli artisti dell’800 i dominatori delle scene e delle corti di tutta Europa.

Il Caccini, come “fioritura” ammetteva solo il trillo e per agevolarne l’esecuzione valorizzò il gruppetto, che è una delle forme più in uso nel canto fiorito o B. Nelle opere del Peri, del Caccini, del Monteverdi e successive (Dafne, Euridice, Arianna…) la parola declamata (recitativo) e la parola cantata si alternavano con accompagnamento del solo clavicembalo, la prima, e della rudimentale orchestra, la seconda. In quei tempi il canto non veniva sopraffatto da enormi complessi orchestrali. Senonché la voce solista incominciò, a poco a poco, ad abusare della sua sovranità, e nel ‘700, per il predominio dei soprani-maschi, il B. diventò una esibizione di licenze, gorgheggi e trilli, in cui la parola si diluiva in vocalizzi arditi e sorprendenti.

Lauri Volpi in "Rigoletto" nel 1929 a San Francisco
 Fu C. W. Gluck (1714-87) a restituire al melodramma dignità e semplicità d’espressione canora e verbale, con l’Orfeo e con l’Alceste. “Mi sono ben guardato – egli dice – d’interrompere il cantore nel fuoco del dialogo per introdurre un noioso ritornello, o di ritenerlo sovra una vocale favorevole perché possa dar prova della nobiltà della sua bella voce o fare delle variazioni su un motivo”. Il “ritorno alla natura”, propugnato dal Rousseau, aveva sortito il suo effetto. A debilitare le posizioni dei sopranisti che avevano portato le assurdità del B. al parossismo (basti ricordare il Farinello, che con le sue meraviglie vocali guarì l’ipocondria di Filippo V e tenne in vita Ferdinando IV di Spagna) intervennero la Benti-Bulgarelli, la Matrilli, la Priori nel ‘700, la Bertinotti e la Malibran nell’800. La quale gareggiando a Londra col sopranista Velluti, inflisse a questi una sconfitta memorabile. Con l’avvento dei “diritti dell’uomo” anche quelli vocali della donna vennero rispettati. Si videro, finalmente donne in abiti femminili cantare nei teatri le parti di donna, e con la stessa abilità di vocalizzi, variazioni, trilli e gorgheggi, che erano sembrati fino ad allora, una esclusività delle voci evirate. Ma anche la Malibran, e, dopo di lei, la Grisi e la Patti, abusarono delle loro eccezionali facoltà. La prima giunse al punto di introdurre in una data opera, brani di altre opere dello stesso autore o addirittura di altri autori. La mania di gareggiare con il violino, il flauto, l’oboe, è tuttora in voga nelle opere in cui il soprano leggero può sbizzarrirsi a piacimento nella cadenza finale di un’aria. (La scena della pazzia nella Lucia di Donizetti). Famosa la gara a chi meglio improvvisasse, tra la Malibran con la voce e Thalberg con il pianoforte. Gioacchino Rossini riuscì in parte a rimediare agli eccessi e agli arbitrii del B.

Con Wagner e Verdi la parola e la poesia riacquistarono la loro importanza. Ma, fin da Bellini, testo e musica si compenetrarono in guisa da non permettere che l’uno prevalesse sull’altra. Nella Norma, poniamo, il canto e la parola si equilibrano creando una melodia quasi perfetta di pensiero e di suono. In Bellini il vero B., immune da abbellimenti fuori posto, si snoda in frasi miracolose e trasporta l’anima dell’ascoltatore sensibile alla sublime sfera dell’assoluto. Basterebbe la corretta esecuzione di “Casta diva” (l’aria che contiene le più lunghe frasi melodiche che siano mai state scritte) per dare un’idea di ciò che s’intende per autentico e inconfondibile B. italiano: canto che dovrebbe essere di tutti i tempi, per la sua etica ed estetica nobiltà. Ma per eseguirlo occorre lo strumento vocale idoneo ad esprimere tutti i sentimenti dell’anima e le emozioni che, già provate dal compositore di genio, si trasfondono nello spirito dell’interprete avvezzo a scavare in profondità. Allora si comprende che sotto questo aspetto il B. è manifestazione del divino e la melodia non è il capriccio di note arbitrarie, ma il frutto di ispirazione, di cui lo stesso compositore si sorprende, dopo averla seguita e fissata in note.

Riassumendo, possiamo considerare il B. sotto i tre aspetti: classico o melodico (periodo iniziale, nel ‘600); virtuosistico per abbellimenti, capricci, ornamenti, variazioni, improvvisazioni (nel ‘700, periodo rococò); romantico, in cui si alternano la linea melodica e il superstite virtuosismo delle prime donne e dei primi tenori nell’800. Il B. vero è classico e romantico a un tempo, includendo ragione e sentimento, misura e calore, linea melodica e slancio poetico.


LETT. -
M. Kuhn, “Die Verzierungskunst in der Gesangs-Musik des 16.-17. Jahrhunderts”, 1902;
V. Ricci, “Il B.”, Milano 1923;
H. Klein, “The B.”, Londra 1923;
A. Della Corte, “Canto e B.”, Torino 1934;
L. Siotto Pintor, “Segreti del B.”, Milano 1938;
A. Machabey, “Le B.”, Parigi 1948;
J. Laurens, “B. et émission italienne”, Parigi 1950;
Ph. A. Duey, “B. in its golden age”, New York 1951;
R. Maragliano Mori, “I maestri del B.”, Roma, 1953;
Rossi della Riva, “Aclaraciones sobre la escuela italiana del B.”, Buenos Aires 1955;
U. Valdarnini, “B.”, Parigi 1956;

G. Lauri-Volpi, “I misteri della voce umana”, Milano 1957; “Gli otto punti essenziali del sistema del B.”, in “Santa Cecilia”, Roma aprile 1960 p. 92-102; O. Merlin, Le B., Parigi 1961

venerdì 17 febbraio 2017

LA RISCOPERTA DEL BELCANTO ITALIANO DEI PERSIANI


L'11 settembre del 1799 è una data importante per il Bel Canto italiano: nasceva infatti nell'amena cittadina marchigiana di Recanati (ove solo un anno prima era nato anche il celebre poeta Giacomo Leopardi) il più famoso e valente musicista recanatese, violinista e compositore di fama internazionale, GIUSEPPE PERSIANI (Recanati, 11 settembre 1799 – Parigi, 13 agosto 1869), la cui opera maestra fu "Ines de Castro".
Nello quartiere di Castelnuovo (lo stesso quartiere nel quale nacque più tardi, il 20 marzo 1890, anche il celeberrimo tenore Beniamino Gigli) è posta un'inscrizione sulla casa natale di Persiani. Da notare pure che a pochissimi metri si trova la Cattedrale di San Flaviano, nella quale crebbe il ragazzino Gigli, "cantore solista" per ben dieci anni tra i "Pueri Cantores" di Recanati.

Lapide commemorativa posta sulla facciata della casa natale di Giuseppe Persiani (Recanati)
A Giuseppe Persiani, dall'anno 1898, in occasione del primo Centenario della nascita di Leopardi, è intitolato il Teatro cittadino (al cui interno si trova attualmente, da alcuni anni, anche il Museo Beniamino Gigli) collocato tra piazzale Beniamino Gigli e Corso Persiani. Il maestro Pietro Mascagni, per l’avvenimento, vi diresse un poema sinfonico per orchestra e quattro concerti di musica classica eseguiti da cento professori del conservatorio di Pesaro; assistette allo spettacolo Giosuè Carducci.
E’ doveroso ricordare la serie di concerti che il grande tenore recanatese Beniamino Gigli eseguì al Teatro Persiani:
1915 (settembre) concerto di beneficenza;
1927 (31 luglio – 11 agosto) "La Bohème";
1937 (29 giugno) concerto di beneficenza.
1942 (10 novembre) concerto (Op. Ass)

Il Teatro Persiani a Recanati

La realizzazione del Teatro Persiani fu promossa dal gonfaloniere Monaldo Leopardi (padre di Giacomo), detto il Goldoni delle Marche, con il manifesto-programma dell’8 febbraio 1823 e firmata dall’architetto Tommaso Brandoni. Dopo varie vicissitudini e diatribe che ne ritardarono la costruzione, quando il 7 gennaio 1840 il Teatro Nuovo fu aperto al pubblico la cittadinanza riconobbe infine a Monaldo il merito di essere stato “Primo motore de le patrie scene”. La sala disegnata dal Brandoni prevedeva la curva a ferro di cavallo e quattro ordini di palchi, come preventivato nel manifesto-programma. La prima rappresentazione per l’apertura del nuovo Teatro di Recanati, nel Carnevale del 1840, dedicata ai Signori Condomini della Congregazione della Società del Teatro di Recanati, fu l’opera “Beatrice di Tenda” di Vincenzo Bellini. Seguirono "Il Furioso all'isola di San Domingo" e "L’elisir d’amore" di Donizetti. Direttore d’orchestra fu Giuseppe Bonfiglioli di Medicina, primo violino della città di Recanati e primo maestro della scuola di musica istituita dal Comune di Recanati nel 1837. Prima donna fu Teresa Asdrubali di Ancona, soprano, che eseguì, tra l’altro, un pezzo dell’Ines de Castro del maestro Persiani.

Carnevale 1840 - inaugurazione del Teatro Persiani

In Piazza Giacomo Leopardi, sotto i portici, troviamo una lapide commemorativa sulla quale si può leggere:

Giuseppe Persiani
Recanati, Mc 1799 - Paris, F 1869
Piazza Leopardi (Comune) - Recanati, MC :

MDCCXCIX-MDCCCLXIX
GIUSEPPE PERSIANI RECANATESE
POVERO E FORTE
NELLA LOTTA PER LA VITA
TEMPRÒ IL CARATTERE E L'INGEGNO
E LA ISPIRATA ANIMA TRASFUSE
NELL'ARTE DEI SUONI
_________

CON DANAO EUFEMIO DI MESSINA INES DE CASTRO
INTERPRETI LA SUA FANNY E LA MALIBRAN
IN ITALIA E FUORI
DELLA GLORIOSA ERA ROSSINIANA
APPARVE BEN DEGNO
_____

I CONCITTADINI
NELL'AGOSTO MCMIV
VOLLERO ONORATO IL SUO NOME


Dal 1829 la figura umana ed artistica del Persiani si legherà per tutta la vita a quella del soprano Fanny Tacchinardi (Roma, 4 ottobre 1807 – Parigi, 3 maggio 1867) interprete del belcanto e in particolare delle opere di Rossini, Bellini, Donizetti e del primo Verdi. Figlia del celebre tenore toscano Nicola Tacchinardi con il quale studiò canto, fu prima interprete assoluta di "Lucia di Lammermoor" di Donizetti e moglie di Giuseppe Persiani, che sposò nel 1829, del quale, oltre la Ines, interpretò altre sue opere liriche, come "Danao re d'Argo" del 1827 e "Il fantasma" del 1843.






Sul successo del Danao esiste la testimonianza di Giacomo Leopardi, concittadino e quasi coetaneo di Persiani, il quale si trovava in quel periodo a Firenze: pur non avendo visto l’opera, ne diede buona notizia alla sorella Paolina in una lettera del 7 luglio 1827 : "l'entusiasmo destato dal Persiani è verissimo. Ho sentito parecchi intendenti e dilettanti dire che Persiani è un genio straordinario".

Danao re d'Argo del Compositore Giuseppe Persiani -  (manoscritto)

Anche il padre di Fanny, Nicola Tacchinardi (Livorno, 3 settembre 1772 - Firenze, 14 marzo 1859), oltre ad essere stato uno dei più grandi interpreti dell' "Otello" di Rossini, fu interprete di opere di Persiani quali "Attila in Aquileia" al Teatro Ducale di Parma nel 1827 e "Gastone di Foix" alla Fenice di Venezia sempre nel 1827. Ci ha lasciato, tra l'altro, un suo breve trattato di importanza capitale, intitolato "Dell'opera in musica sul teatro italiano e de' suoi difetti", Firenze, presso Giovanni Berni, 1833, nel quale saggio tratta sia di tecnica vocale che di arte scenica.

"Ines de Castro" di Giuseppe Persiani venne rappresentata in moltissimi teatri italiani ed esteri, dal 1835 al 1843:

1835: Napoli (San Carlo), Ancona (T. delle Muse), Lucca, Palermo (S. Carolino)
1836: Genova (Carlo Felice), Roma (Apollo), Firenze (Alfieri), Bologna (Comunale), Padova, Modena
1837: Trieste, Piacenza, Venezia (Fenice), Torino (Regio), Milano (Scala), Corfù, Zante, Lugo, Rovigo
1838: Brescia, Ferrara, Rimini, Pisa, Bologna (Comunale), Faenza, Siena, Iesi
1838-39: Parma
1839: Parigi (T. Italiano)
1840: Padova, Macerata, Londra (T. Italiano), Assisi
1841: Parigi (T. Italiano), Città di Castello, Pesaro, Arezzo
1841-42: Catania,
1842: Ferrara, Forlì
1843: Firenze (T. Piaz. vecchia)

Dopo la Malibran, creatrice del ruolo nel 1835, e oltre la Tacchinardi-Persiani che rese celebre l'opera in Italia e all'estero, altre interpreti dell'epoca del ruolo di Ines furono Carolina Ungher (Ancona e Palermo), Rita Gabussi (Parma e Firenze), Amalia Schutz-Oldosi (Torino e Padova) e Sabina Heinefetter (Milano).
L’ultima rappresentazione documentata dell’opera nel XIX secolo avvenne a Malaga nel 1851.

Recite di Ines di Persiani con Fanny Tacchinardi :

Teatro Comunale di Bologna, 21 maggio 1836 -
Modena, giugno 1836 -
Teatro La Fenice di Venezia, carnevale 1837 -
Teatro Italiano di Parigi, 24 dicembre 1839 -
Her Majesty’s Theatre di Londra il 30 maggio 1840

Grazie alle ricerche musicologiche curate da Paolo Santarelli, che hanno riportato in luce l'esistenza dello spartito della seconda versione di "Ines de Castro", è stato così possibile rieseguire lo scorso anno (nel centenario della nascita di Rina Gigli) da parte del soprano lirico di coloratura Astrea Amaduzzi con il Maestro Mattia Peli al pianoforte, la più famosa romanza dell'opera "Cari giorni", sia nella veste originale scritta nel 1835 per Maria Malibran (nel Concerto "Omaggio a Leopardi e Gigli" tenutosi il 22 giugno 2016 presso l'Auditorium del Centro Mondiale della Poesia, al Colle dell'Infinito - ex convento Santo Stefano - di Recanati) che nella versione successiva scritta per il soprano Fanny Tacchinardi-Persiani, ruolo che ella interpretò per la prima volta in Italia nel 1836-'37 e in seguito all'estero nel 1839-'40 con Rubini e Lablache (con Performance Live presso l'Aula Magna del Comune di Recanati avvenuta il 2 agosto 2016 con il pianoforte di Beniamino e Rina Gigli)

In questa incantevole romanza, si possono notare lievi ma sostanziali differenze tra la prima e la seconda versione, sia nel tempo che nel testo che nel materiale compositivo, in particolare per quanto riguarda la linea vocale. E' possibile qui raffrontare le due versioni, ascoltandole in sequenza interpretate dalla voce del belcanto di Astrea Amaduzzi.


Testo prima versione: Romanza, in la minore - Andante (Introduzione orchestrale con violoncello solista), Andante malinconico - Tempo 2/4

Carcere. Ines è abbandonata sopra un rozzo sedile.

"Cari giorni a me sereni
d'innocenza e di virtù!
Foste brevi, siete spenti,
nè a brillar tornate più!
Cari giorni a me sereni
ah foste brevi, siete spenti,
nè a brillar tornate più,
foste brevi e siete spenti,
nè a brillar tornate più, tornate più.

Nel dolore è scorsa intera
la prim'ora dell'età!
Mia giornata innanzi sera
nel dolor tramonterà.
Nel dolore è scorsa intera,
ah mia giornata innanzi sera
nel dolore tramonterà,
mia giornata innanzi sera
nel dolor tramonterà, tramonterà,
nel dolor tramonterà,
nel dolor tramonterà."


Testo seconda versione: No.7 Romanza, in la minore - Moderato (Introduzione orchestrale con violoncello solista), Andantino - Tempo 3/4

Ines abbandonata sopra un sasso della prigione, Ines piange:

"Cari giorni a me sereni
d'innocenza e di virtù,
foste brevi, siete spenti
nè a brillar tornate più,
foste brevi siete spenti
ah! no, no, non tornate più
oh ciel! nè a brillar tornate più.

Nel dolore è scorsa intera
la prim'ora dell'età
mia giornata innanzi sera
nel dolor, nel dolor tramonterà, tramonterà
mia giornata innanzi sera
nel dolor tramonterà.
Oh ciel! nel dolor tramonterà
mia giornata innanzi sera
nel dolore tramonterà,
tramonterà, sì."

Del repertorio della Tacchinardi-Persiani, il soprano Amaduzzi aveva già registrato live, il 10 novembre 2015, nel Teatro Persiani di Recanati la Scena ed aria finale di Imogene "Col sorriso d'innocenza", dal Pirata di Bellini.


Ma, certamente, il "cavallo di battaglia" della Tacchinardi-Persiani resta in assoluto la "Lucia di Lammermoor", della quale opera donizettiana "Il dolce suono - Ardon gl'incensi" la scena finale della pazzia di Lucia è stata interpretata sempre dal soprano Amaduzzi nel Concerto in omaggio a Beniamino e Rina Gigli "Nel segno del Belcanto Italiano" presso l'Aula Magna di Recanati (con il pianoforte di Gigli) 18 marzo 2016.


Tornando al Persiani, oltre la sopracitata menzione del "Danao" da parte di Leopardi, abbiamo anche una interessante recensione del 16 giugno 1827 che riportiamo qui di seguito.





Con l'ascesa di Fanny negli anni Trenta dell'Ottocento, oltre a interpretare con successo i principali ruoli del Bel Canto di Rossini, Bellini e alcune prime assolute di Donizetti, appena dopo la Malibran, Fanny dal 1836 al 1840 cantò la "Ines" di suo marito, rendendola famosa in Italia e all'estero.

Cartolina del Circolo Filatelico Numismatico Recanatese per il Bicentenario della nascita di Giuseppe Persiani (fronte)

Cartolina del Circolo Filatelico Numismatico Recanatese per il Bicentenario della nascita di Giuseppe Persiani (Retro, particolare)

Ecco alcune immagini dei principali ruoli da lei cantati, e locandine di importanti eventi mondiali con la Tacchinardi-Persiani.
Fanny Tacchinardi Persiani nel ruolo di Amina nella Sonnambula di Bellini. Ritratto di Karl Bryullov, 1834

Figurino del personaggio di Ipermestra, ruolo interpretato dalla Sig.a Tacchinardi Persiani, nell'opera Danao re d'Argo di Giuseppe Persiani, 1835

Fanny Tacchinardi Persiani ritratta come Lucia di Lammermoor (1838)   


Costume di Mme Persiani nel ruolo di Adina, nell'opera L'elisir d'amor di Donizetti, 1839


Costume di Mme Persiani nel ruolo di Amenaide, nel Tancredi di Rossini, 1840

Sig.ra Persiani nel ruolo di Rosina nel Barbiere di Siviglia di Rossini, ca. 1840

Costume di Mme Persiani nel ruolo di Linda, nell'opera Linda di Chamounix, 1842

I Capuleti di Bellini, atto IV, scena ultima. Romeo, madame Angri - Giulietta, madame Persiani (Stampa di Henry Valentin del 1849)


Le opere Danao re d'Argo e Ines de Castro di Persiani al Teatro Comunale di Bologna nel 1836 con il soprano Fanny Tacchinardi-Persiani, moglie del compositore recanatese

Grand Concert Mad. Persiani, 1840

Nel periodo 1936-1939, anche a causa della prematura scomparsa della Malibran, la partitura ebbe ad opera del Persiani subì una sostanziale trasformazione, spostando gradualmente la vocalità dagli originari Malibran, Duprez, Porto ai non meno grandi Tacchinardi-Persiani, Rubini, Lablache (con un rilevante spostamento generale della scrittura del soprano e tenore da una tessitura originaria medio-grave della prima versione ad una più acuta della seconda versione).

Persiani - INES DE CASTRO

Titratto di Ines de Castro

Cavatina di Ines de Castro (manoscritto)

Cari giorni (incipit) - manoscritto della versione Malibran

Frontespizio di Ines de Castro in un'edizione del 1839

Lbretto di Ines de Castro

Ines de Castro con illustri interpreti Tacchinardi, Rubini e Lablache)

Figurino per Ines de Castro, costume per M.me Tacchinardi

Figurino per Ines de Castro, costume per M.me Tacchinardi

Ines de Castro, figurino di Don Pedro, costume per Monsieur Rubini

Una scena dalla Ines de Castro

Il basso Lablache nell'opera Ines de Castro di Giuseppe Persiani nel 1840

Inès de Castro, estampe - Peint par Mr. le C.te de Forbin, 1839


Scena di Henry Berthoud per il 3° Atto di Ines de Castro al Teatro Italiano di Parigi nel 1839

Sugli esiti delle rappresentazioni di "Ines" con Fanny abbiamo le recensioni in francese e inglese del periodo 1839-1840 che meritano di essere lette con attenzione. Le riportiamo qui di seguito.

Première représentation d'Ines de Castro, opéra séria en trois actes, musique de M. Persiani. Avec Mme Persiani, Rubini et Lablache. L'artiste. Revue du XIX Siècle, 1839

Première représentation d'Ines de Castro, opéra séria en trois actes, musique de M. Persiani. Avec Mme Persiani, Rubini et Lablache. L'artiste. Revue du XIX Siècle, 1839

Théâtre royal Italien.Inès deCastro,opéra-séria en deux actes,musique de Persiani. Avec Mme Persiani, Rubini et Lablache. Annuaire historique universel pour 1839. Revu par M. Charles-Louis Lesur

Théâtre royal Italien. Chronique d'Inès de Castro, opéra-séria en deux actes, musique de Persiani. Avec Mme Persiani, Rubini et Lablache. Annuaire historique universel pour 1839. Revu par M.Charles-Louis Lesur

Signora Persiani, the new prima donna at the Italian Opera (The Musical Review - New York, 1839)

Persiani's Ines de Castro (Courrier des Dames, 1840)

La purezza e raffinatezza del canto della Tacchinardi-Persiani viene confermata anche nella sua fine e composta scrittura, come vediamo in questa lettera scritta di suo pugno nel 1838.

Lettre de Fanny Persiani à Édouard Robert, 21 juillet 1838 

Oltre alla bella emissione nei cantabili, Fanny era famosa per le sue acrobatiche agilità mai abbandonate nel corso degli anni, come confermato ad es. dalla celebre "Polacca", di incredibile difficoltà virtuosistica, per lei scritta dal marito nella sua ultima opera "Il fantasma" del 1843.

Persiani - IL FANTASMA, Polacca cantata da Fanny Tacchinardi

Notevole il fatto che nel 1858, quando ancora era in vita, la sua figura di cantante venisse già storicizzata in una voce enciclopedica, non certo breve, a lei dedicata, inserita nel "Dictionnaire universel des contemporains" di Gustave Vapereau.

Gustave Vapereau - Dictionnaire universel des contemporains, 1858 - (Voce Fanny Persiani)

Negli ultimi anni, i coniugi Persiani vissero a Parigi fin verso la fine degli anni Sessanta dell'Ottocento quando scomparvero, e dunque nella capitale parigina si trova ancora oggi il sepolcro di famiglia di questi straordinari musicisti che segnarono una pagina di assoluta rilevanza nella storia dell'opera italiana.



Il sepolcro della Famiglia Persiani a Parigi

La loro arte e la loro vocalità, dalla scrittura compositiva del marito all'esecuzione personale della moglie, in particolare con l'Ines scritta per Fanny, rivive dopo 178 anni di oblio nella voce del soprano Astrea Amaduzzi, che oltre ad essere apprezzata interprete belcantista è anche un'ottima docente di tecnica vocale, dal momento che alla sua "Scuola" sa richiamare, ogni mese dal 2013 a questa parte, cantanti provenienti da tutto il mondo, dai principianti agli studenti di canto avanzati e persino ai professionisti che vogliono perfezionare la loro tecnica, partecipanti sia attivi che uditori delle "Belcanto Italiano Masterclasses" che si tengono costantemente in Italia (tra Ravenna, Roma e Recanati) e all'estero, con il sostegno e l'approvazione di Beniamino Gigli jr. di Roma. 

 Il celebre tenore Rubini nel ruolo del titolo ne "Il Solitario" di Persiani alla Scala di Milano, 1829