sabato 16 luglio 2022

Il palato molle, indispensabile creatore di forza a duttilità nel canto lirico

Il palato molle, indispensabile creatore di forza a duttilità nel canto lirico

Ho avuto 3 Maestri, meravigliosi, di uguale scuola. Una grande fortuna. Il primo era rinomato per essere bravissimo nel saper impostare le voci.

Lo conobbi quando avevo 12 anni, si chiamava Ennio Vetuschi. Era gentile e garbato, muoveva le mani con gesti eleganti e raffinati, sorridava anche con gli occhi dietro le lenti più spesse che io avessi mai visto e parlava a voce bassa. Ero stata invitata a farmi ascoltare da lui, che cercava nuove voci per il suo coro, attraverso il mio docente di musica delle scuole Medie, il Prof. Messina, che aveva notato la mia spiccata intonazione.

Vidi dunque Vetuschi nella sede della Corale Verdi sita nell'omonima piazza, a Teramo.
Sento ancora l'odore della carta di spartiti di ogni genere impilati in ogni angolo e divisi in decine di cartelle, e vedo ancora in quella sede storica il pianoforte a coda, il clavicembalo, l'organo e la scalinata che accoglieva le prove del coro sulla quale non vedevo l'ora di salire per cantare assieme agli altri.

Ennio Vetuschi, questo il nome del grande Maestro e geniale musicista, seduto al pianoforte, mi invitò a mettermi in piedi vicino a lui e a cantare qualche nota, riproducendo i toni suonati da lui. La prova di intonazione andò benissimo e mi invitò a tornare qualche giorno dopo.

Fu lui che mi impartì la prima lezione di canto della mia vita. Con gioia e semplicità mi invitò a cantare le 5 vocali su una nota sola, e poi mi disse a voce bassa:" Brava. Lo senti che la vocale "U" ti spedisce la voce più in alto? Qui!"  e si posò l'indice disteso sul naso, indicando il punto esatto in mezzo agli occhi. Ma il suo gesto fu molto chiaro. Non voleva indicare SOLO quel punto in mezzo agli occhi, voleva indicare TUTTO il naso fino alla parte che sta in mezzo agli occhi.


Poi Vetuschi iniziò a parlarmi con un linguaggio che non conoscevo, che aveva qualcosa di magico.

"Devi mettere la voce in maschera, dobbiamo impostare la tua voce, devi portare il suono QUI" (di nuovo ripetè il gesto indicando tutta la lunghezza del naso) "E poi devi imparare a respirare, perché nel canto lirico non puoi respirare normalmente, devi usare una respirazione molto più bassa, adesso te la insegno" ... E in un attimo mi fece mettere una mia mano sulla sua pancia e l'altra sul suo fianco. Sentii esattamente quello che faceva e capii esattamente come lo faceva. Lui mi disse "Imparerai piano piano, basta fare così". Poi aggiunse una cosa che rese immediatamente tutto ancora più facile e mi disse: "Respira con la pancia e gonfiala tanto".

La mia prima lezione di canto andò avanti con un suo interrogativo posto con un certo tono vagamente canzonatorio: "E il suono?... Come fai a portarlo in alto?" Io non potevo che rispondere "Non lo so". Mi invitò nuovamente a cantare le vocali AEIOU di fila su un solo suono e mi disse stavolta con una certa dose di maggiore passione "Ecco, senti la U come squilla! Devi alzare il palato molle!" ... Poi accadde la cosa che mi ha portato a passare quasi tutta la mia vita a studiare la voce nel canto lirico: fece un respiro profondo e con una facilità incredibile mi fece sentire la 5 vocali cantate da lui forti, chiare, vibranti e squillanti come non avevo mai sentito prima, con una voce che mi lasciò totalmente basita, perché finora da Vetuschi non avevo che sentito una voce calma e quasi sussurrata. In quei suoni vocalici c'era la forza impressionante di un tenore spinto usata con una facilità che forse mi impressionò più della forza stessa del suono.

Di nuovo mi disse:"Respira bene con la pancia e metti il suono nel naso. Per mettere il suono in maschera devi sollevare il palato molle".

Il resto fu un susseguirsi di suoi esempi e mie ripetizioni; penso che lui rimase davvero molto contento perché mi disse "Sei un usignolo!" e mi invitò a tornare a lezione ancora. Purtroppo le sue lezioni durarono poco perché non appena fui pronta per essere inserita nel coro pronta per partire in tournée anche all'estero mio padre si oppose e volle che io smettessi di frequentare le lezioni con il Maestro Vetuschi.

Ma quello che Vetuschi mi aveva trasmesso era già una base eccezionale e indispensabile, un solido fondamento per iniziare a costruire una voce sicura e per imparare a distinguere un sistema giusto da uno sbagliato.

Credo di aver pensato a questa storia della respirazione bassa e del suono alto per mesi, ma la cosa più bella era che io, SENTENDO quello che aveva fatto il Maestro avevo esattamente capito COSA CERCARE e COME, anche se non potevo vederlo più.

Dei miei tre eccelsi e unici insegnanti, gli ultimi due insistettero non poco sull'uso del fiato che non bastava mai, ma tutto sarebbe stato assolutamente vano se io non avessi saputo COME portare il suono in alto, e cioé molto semplicemente, alzando il palato molle.

La questione del palato molle per portare il suono in alto, nello squillo "di testa", è fondamentale.

A distanza di anni ho compreso che nel lavoro di prima impostazione di una voce vergine, comprendere la connessione tra l'uso del palato molle e della qualità eccelsa del suono, è perfino più importante della conduzione del fiato. Perché per cercare i primi suoni non serve una gran massa di fiato, anzi, è tutto il contrario. Serve poco fiato che, ben messo, ben indirizzato appunto dal palato molle, formi un suono alto e squillante, e sia condotto a regola d'arte dall'orecchio. E allora la richiesta di un grande fiato, pe la conduzione di lunghi suoni e belle frasi, sarà una conseguenza diretta nell'avanzare dello studio. E allora, formato un bel suono vibrante e squillante nel piano o nella mezzavoce, un bravo insegnante deve insistere molto anche nello studio della respirazione.

La ricerca del suono attraverso l'uso del palato molle e dello sgancio mandibolare che si aggiunge per il passaggio di registro e per le note più alte, disdegnato da tantissima parte degli studenti, è forse la cosa più alta e bella che io mi sia mai proposta di imparare; e il desiderio di un uso sapiente del fiato, lo ripeto ancora, è la diretta conseguenza di un suono che, messo bene, alto di posizione e squillante, vuole diventare frase musicale bella, timbrata, legata ed importante.  E se il fiato ne è il sostegno e la base, le labbra formano le vocali; ma la freccia acuminata che scaglia il suono in forma lirica, con potente chiarezza, per oltre i 3/4 dell'estensione di una voce umana è il palato molle. Chi non ne parla non ha mai imparato a cantare come nel periodo d'oro di Caruso, e non potrà mai trasmettere con esattezza tecnica quanto importante, indispensabile, e bello sia l'uso del palato molle nella formazione del suono nel canto lirico

Astrea Amaduzzi, Ravenna, 15 luglio 2022


--> Precedenti articoli sull'argomento:  

http://belcantoitaliano.blogspot.com/2015/08/come-si-usa-il-palato-molle-nella.html

http://astrea-amaduzzi-singing-teacher.blogspot.com/2015/12/la-voce-in-maschera-nel-belcanto.html

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Per chi volesse approfondire il tema, qui di seguito troverete 20 citazioni sul "palato molle" di grandi cantanti lirici e maestri di canto del Novecento di cui si possiedono numerose registrazioni,  ed un breve corollario con altre citazioni sul palato molle, di trattatisti, compositori, cantanti lirici e maestri di canto, sia dell'Ottocento che del Novecento, tra cui anche il grande Gioachino Rossini!

1. - Luisa Tetrazzini -

«Potete vedere facilmente lavorare la parte posteriore del vostro palato spalancando la bocca e dando a voi stessi la sensazione di chi sta per starnutire. Noterete molto di dietro nella gola, molto indietro al naso, una zona molle che si alzerà da sola nel momento in cui lo starnuto diventerà più imminente. Quel piccolo punto è il palato molle. Esso va alzato per le note acute per ottenere la risonanza di testa.
Nel momento in cui una cantante progredisce nella propria arte può far questo a suo piacimento.
La regolazione di gola, lingua e palato, tutti funzionanti assieme, risponderà giornalmente più facilmente alle sue esigenze. Comunque, ella dovrebbe essere in grado di controllare consapevolmente ogni parte in automatico.
La cosciente direzione della voce e padronanza della gola sono necessari. Di frequente nell'Opera la cantante, seduta o sdraiata in qualche posizione scomoda che non è naturalmente adatta per la produzione della voce, dirigerà coscientemente le proprie note nelle cavità della testa aprendo la gola e sollevando il palato molle. Per esempio, nel ruolo di Violetta la musica dell'ultimo atto viene cantata stando distesi. Per ottenere la giusta risonanza per alcune delle note acute io devo iniziare queste nella cavità di testa per mezzo, naturalmente, dell' "appoggio", o sostegno del fiato, senza il quale la nota sarebbe scarna e non avrebbe corpo.
La sensazione che io ho è di una lieve pressione di fiato che batte pressoché in una linea diretta nella cavità dietro la fronte al di sopra degli occhi senza assolutamente alcun ostacolo o sensazione in gola.
Questo è il corretto attacco per il suono di testa, o un suono preso nel registro superiore.»

(tratto da: "Caruso and Tetrazzini on the Art of Singing" - Metropolitan Company, Publishers, New York, 1909 - trad.it. di Mattia Peli)


2. - Enrico Caruso -

LA VOCE E LA PRODUZIONE DEL SUONO
(...) Sarebbe bene parlare ora di un aspetto molto importante nel canto lirico—quel che viene chiamato l' "attacco" del suono. In generale esso può essere descritto come la posizione della gola e della lingua e la qualità di voce relative nel momento in cui è iniziato il suono. Il vizio più serio commesso da molti cantanti è quello di attaccare il suono o dal petto o dalla gola. Pur avendo una salute di ferro la migliore delle voci non può resistervi. (...)
E' una buona idea esercitarsi ad aprire la gola davanti a uno specchio e cercare di vedere il palato, come quando si mostra la gola a un dottore. (...)

Per evitar ciò [vale a dire questa voce ingolata e sforzata che è così sgradevole] si dovrebbe cercare di mantenere in basso la quantità di fiato incamerato, il più possibile verso l'addome, mantenendo così i passaggi superiori verso la testa piuttosto liberi per l'emissione della voce.

ERRORI DA CORREGGERE
(...) Quanto alla voce nasale, questo è il difetto, come ho detto, più difficile del quale liberarsi. (...) L'unico rimedio è ciò che ho precedentemente indicato—attaccare dall'addome, con la gola aperta, e portare la voce al palato molle (...)

(tratto da: "Caruso and Tetrazzini on the Art of Singing" - Metropolitan Company, Publishers, New York, 1909 - trad.it. di Mattia Peli)


3. - Rosa Ponselle -

- "Rosa," iniziai, "da dove cominciamo con la tecnica vocale?"
"...me lo insegnò Caruso," disse Rosa. "Egli teneva un piccolo spazio ampio nel retro della gola per mantenerla aperta...aperta nel retro e rilassata. È come la sensazione di un quadrato, ma solo negli acuti. (...) Il palato è alto e la parte posteriore della lingua distesa," disse Rosa.

(tratto da una intervista al soprano Rosa Ponselle condotta dal basso Jerome Hines, riportata in: J.Hines - "Great Singers on Great Singing", Doubleday, 1982 - trad.it. di Mattia Peli)


4. - Lilli Lehmann -

"Possiamo sentire il posizionamento della punta della lingua contro o dietro l'arcata anteriore dei denti."
"La corretta posizione della lingua, preparatoria al canto, è quella della vocale mista AOU, come per accingersi a sbadigliare."
"La lingua non deve salire con la punta verso l'alto. Non appena la punta è impiegata per la pronuncia delle consonanti l, n, s, t, z e dopo aver completato quest'attività molto veloce e netta, deve tornare nella sua posizione abituale e mantenerla."

SENSAZIONE DEL PALATO
"Possiamo percepire chiaramente questa sensazione sollevando dietro al naso il palato molle. Quest'ultimo si trova molto indietro, si può anche sentire toccandolo con accortezza. Questa parte così piccola riveste una grandissima importanza per il cantante. Dal fatto che si sollevi, dipende l'intera risonanza delle cavità della testa, quindi della voce di testa."

(Lilli Lehmann - "Meine Gesangskunst" - 1922; trad. it. "Il Canto: Arte & Tecnica", Analogon 2013)


5. - Nellie Melba -

«Si cantino le cinque vocali semplici (le vocali italiane "u, o, a, e, i") su una medesima nota e con un unico fiato. Si cominci sul SOL sopra al DO centrale e si ripeta l'esercizio su ogni nota, salendo fino al DO sul terzo spazio. Si lasci muovere comodamente la bocca per formare le diverse vocali, ma senza creare cambiamenti improvvisi che spezzino i diversi suoni vocalici. Si mantengano le vocali tutte della stessa qualità, con la stessa quantità di risonanza. In un primo momento, con buona probabilità, risulterà difficile mantenere la "a" della stessa qualità della "o", e la "e" e la "i" verranno probabilmente ancor più dissimili.
Non si irrigidisca la gola e si cerchi di renderle tutte uguali. Dev'esserci facilità e una formazione pura e naturale di ciascuna vocale.
Si imparerà a cantare correttamente questo esercizio solo se si utilizzerà l'orecchio e si manterrà il palato molle nella stessa posizione alta per tutte e cinque le vocali, posizione che esso assume molto naturalmente con la "u".
Quando si riuscirà a percepire uditivamente la propria voce in questo esercizio, risulterà molto più facile sentirla mentre si cantano le arie, e si rileveranno più sollecitamente i cambiamenti di qualità che così spesso rovinano una frase.»

(tratto da: "Melba Method" by Dame Nellie Melba - Chappell & Co., 1926 - trad. it. di Mattia Peli)


6. - Jean De Reszke -

IL SEGRETO DEL PALATO MOLLE ALZATO NELL'INSEGNAMENTO DEL CELEBRE TENORE JEAN DE RESZKE:
«Mi avevano mandato a Vichy, a fare un'audizione da Jean de Reszke (...) E sono stata estremamente fortunata non solo che mi abbia accettato - "une ravissante petite voix" è stato il suo verdetto - ma che io abbia potuto avere la sua guida illuminata per ben due anni; egli è scomparso nel 1925, ed infatti io sono stata tra gli ultimi suoi allievi. Mi sono stabilita a Nizza per due anni e ho preso lezioni di canto da lui tutti i giorni.
E' difficile descrivere oggi l'ammirazione e il rispetto che circondava la sua persona. Egli era stato uno dei più grandi tenori di tutti i tempi, suo fratello Edouard un magnifico basso, e sua sorella Josephine un eccezionale soprano. Con quale maestria egli mi faceva affrontare delle cadenze che hanno sviluppato e stabilizzato le note più alte del settore acuto della mia voce! Non potrò mai dimenticare alcuni sui esercizi. Ce n'era uno in particolare che mi faceva ripetere più e più volte per eliminare la 'frattura' data dal cambiamento di registro tra petto e testa: una sequenza di quattro note costituite da Fa, Fa diesis, Sol e Sol diesis. Mi aveva insegnato ad ottenere un palato alto attraverso la sensazione della sorpresa e non contraendo i muscoli della gola. Solo il palato molle dev'essere alzato.»

(da un'intervista al soprano Bidú Sayão, realizzata nel 1979 - in: Lanfranco Rasponi - "THE LAST PRIMA DONNAS" - London, Gollancz 1984 - trad. it. di Mattia Peli)

Da notare che oltre ad usarlo per aiutare a congiungere i registri, egli usava il palato molle anche per piani e pianissimi. Infatti il celebre tenore del Metropolitan di New York Jean De Reszke, allievo di Antonio Cotogni e Giovanni Sbriglia, insegnava tre differenti emissioni a "mezza voce": la più comune ed usata era quella di produrre un suono "con il palato alto e un certo sostegno del fiato" come viene spiegato e testimoniato nel capitolo "Jean De Reszke's Principles of Singing" di Walter Johnstone-Douglas, tratto dal libro: Clara Leiser - "Jean De Reszke and the great days of opera" - New York - Minton, Balch & Company, 1934.


7. - Titta Ruffo -

(...) credo che uno studente di canto, dopo aver ben piantata la voce nelle fondamenta – cioè dai suoni più gravi fino alle estreme note alte, sempre composta, libera, appoggiata, riunita tutta al disopra del palato, senza contrazioni muscolari, sostenuta soltanto dalla respirazione naturale – credo, dico, che ogni studente di canto, se sia dotato di sentimento e immaginazione o, insomma, di talento, possa con l'esercizio riuscir a formare tutti i colori di una tavolozza sonora, ed esprimere così tutti quanti i moti dell'anima in tutte le loro tinte e i chiaroscuri. Certo non è cosa né facile né breve. A perfezionare la voce umana, diceva giustamente uno de' più geniali e dotti artisti, Antonio Cotogni, occorrerebbero due vite: una per studiare, l'altra per cantare."

(da: Titta Ruffo - "La mia parabola" - Fratelli Treves Editori, 1937)


8. - Beniamino Gigli -

<<Aprire certi suoni è dannoso per gli studi successivi che l'esordiente dovrà affrontare. Non colpi di glottide, ma legature, così... appoggiarsi.>> (E ripete il passaggio vocale d'ottava, in FA, scivolando sul FA DIESIS con una facilità stupefacente, unica, la sua.)
<<Per questo basta tenere la gola aperta. A Santa Cecilia, Cotogni mi diceva di far prendere alla gola la posizione dello sbadiglio, e, a settantadue anni, me lo insegnava come faccio io adesso.>> (E l' "appoggio coperto" di Gigli risuona ancora, ineguagliabile, nella sala.)

(dall'articolo di giornale, "Milano. Gigli, insegnaci a cantare" - Il Popolo d'Italia, 1 marzo 1938)


9. - Luigi Ricci -

IL PALATO MOLLE NELL'EMISSIONE DELLE VOCALI "A" ED "O":
(...) quando per la prima volta [Luigi Ricci] mi ascoltò in "A te l'estremo addio", mi fece subito dopo fare dei vocalizzi sulle lettere "A" ed "O", chiedendomi di stare "più su". Era una richiesta (...) della quale non riuscivo a capire il senso. (...) Il (...) "tirare su" di cui Ricci mi parlava era infatti inconsapevolmente riferito proprio al palato molle. (...) la A e la O sfruttano (...) appieno la risonanza del cavo orale rimanendo in basso, cioè in bocca. E' necessario quindi sforzarsi di "sollevare" anche questi suoni a livello alto (...)

(da: Andrea Foresi - UNA VITA PER L'OPERA, Conversazioni con Sesto Bruscantini - Akademos, 1997)


10. - Giacomo Lauri-Volpi -

<<Osservo me stesso e contemplo il mistero di questa voce divenuta così spontanea e sicura, laddove, giovine, trovava difficoltà e commetteva errori di colore d’intonazione e di emissione. (…) la voce ha trovato riposo, risparmio e sicurezza nella volta “palatina”. La nota, spinta dal soffio, si adagia, per così dire, nella cavità orale superiore, dietro gli incisivi e, con l’aiuto delle labbra, si estroflette nello spazio, modulando, con l’articolazione libera, le vocali. In tal modo ingolamento e intasamento del suono vengono evitati, e lo sforzo, bandito. Similmente, la respirazione non soffre fatica e l’intonazione alcuna offesa, per dar modo al canto di spiegarsi in ampiezza solenne e sonorità genuina. Grazie all’acquisita certezza, la voce è divenuta più lucente e robusta, nonostante il trascorrere del tempo (…) Il mio pensiero ha lavorato, e finalmente, ha trovato il punto di percussione giusto, indefettibile, che non altera il timbro né ingrossa il suono. Or, dico, comprendo praticamente l’assioma rossiniano: “Diffondere il suono con l’aiuto del palato, trasmettitore per antonomasia delle belle sonorità”. (…) Col tempo, la voce tende alla gravità (…) Ma il volume, come l’obesità corporea, è la morte prematura dei suoni. Detestando, per principio, il volume, ho salvato il timbro e il fiato. Il volume guasta il mantice.>>

(da: G. Lauri Volpi - “A viso aperto”, Corbaccio, dall’Oglio editore, 1953, pagina 333 : Diario, 11 aprile 1950)


11. - Giovanni Manurita -

L'APPARATO RESPIRATORIO
(...) Dopo che l'aria è arrivata al palato, diventa più sonora per mezzo dell'organo risonatore. Quest'organo è composto dal 'torace', dalla 'faringe', dal 'palato molle e duro', dai 'seni frontali' (che si trovano immediatamente al di sopra del palato), dalle 'narici' e dagli 'incisivi superiori'. Le corde vocali, tese dalla glottide, emettendo suoni semplici, hanno quindi bisogno di queste cavità di risonanza e per questi risonatori, raggiungono spesso la potenzialità 'voluta': da qui l' 'appoggio della voce' che consiste perciò nel servirsi sapientemente di questi risonatori. Il nostro apparato vocale è perciò un meraviglioso strumento a fiato. Una rassomiglianza ce la dà l'organo, nel quale i suoni vengono emessi da apposite laminette, disposte alla base dei tubi o canne verticali; queste laminette, sotto la spinta dell'aria in pressione, espulsa dai mantici, vibrano emettendo suoni semplici che i rispettivi tubi rendono potenti ed armonici. Le nostre corde vocali, laminette muscolari che son anch'esse disposte nel tubo laringeo in senso orizzontale, sotto la pressione del fiato e della volontà, si avvicinano, si allontanano, si accorciano e si distendono, diventano più sottili o più spesse, per dare sotto la spinta stessa del fiato, emesso dai poloni, il numero di vibrazioni necessarie a produrre i suoni, che si propagano nell'aria, a mezzo delle 'onde sonore'. I suoni semplici e deboli, emessi dalle corde vocali, sono, ripetiamo, resi forti ed armonici dalla cavità di risonanza o risonatori su menzionati. La trachea e i bronchi sono 'risonatori sottoglottici'; la 'faringe', la 'bocca' ed il 'naso', sono 'risonatori sopraglottici'. (...)
La 'respirazione diaframmatica' per gli uomini e quella 'diaframmatica-intercostale' per le donne, costituisce l'ideale per il canto; essa avviene naturalmente quando siamo distesi e supini e di essa ci accorgiamo per l'alzarsi e l'abbassarsi del ventre. In posizione dritta o in piedi, possiamo respirare con la fascia diaframmatica polmonare, ma per il canto è indispensabile respirare con il diaframma. Se nella posizione in piedi, cantando solleviamo le spalle, la respirazione è polmonare e quindi dannosa agli effetti del perfetto appoggio della voce.

TECNICA ED ARTE VOCALE
(...) dalla prima lezione, è cosa indispensabile, abituarlo [l'allievo] a respirare bene: questo esercizio può anche essere effettuato in posizione di coricato supino (...)

ATTACCO DEL SUONO
Dopo questi esercizi, eseguiti in posizione dritta o in piedi, si deve passare all'attacco del suono (...) abbassare gradualmente la mascella inferiore (nei suoni bassi, la mascella inferiore ha il minimo di apertura; nei suoni alti, il massimo). In tal modo, il velo palatino si innalzerà, scomparendo quasi completamente, per formare un 'piano di sonorità' con il palato duro.
(...) l'aria emessa liberamente, divenuta suono, andrà lontana, con migliore rendimento e minore sforzo di chi la emetterà. Quanto meno forza ci sarà nell'emissione, tanto più lontana andrà la voce 'liberamente' senza affaticare l'apparato vocale e potrà esercitarsi per molte ore, senza tema di diventar rauca.

VOCE LIBERA
(...) se penseremo di appoggiare il suono sostenuto dal diaframma nella fossa formata dal velo palatino, immediatamente soprastante (seni frontali), avendo cura di non irrigidire il collo, di non ritirare o indurire la lingua, avremo la 'voce libera' che avrà migliore timbro, maggiore volume.

(da: Giovanni Manurita - "Canto naturale, canto libero" - Di Biase Editore, Roma 1948)


12. - Elisabeth Schumann -

"Il fiato e il sostegno sono di primaria importanza. Essi aprono la gola, aiutano ad acquisire rilassatezza. Il fiato dev'essere pieno e profondo. Il sostegno deve venire da forti muscoli addominali. (...) Il palato molle deve sempre essere sollevato nel canto. (...) Il fiato solleva il palato nella misura giusta. Non lo si deve mai fare da soli, si abbia fiducia nel fiato e non si interrompa il suo naturale flusso. Sapete, il fiato è tutto nel canto. Non potrei cantare una scala, non potrei cantare una frase se non avessi il mio profondo, profondo fiato e non avessi fiducia nel fiato. Il fiato vuole fare ciò che è giusto se glielo si permette, e il fiato solleva il palato, come vi ho detto, nel modo giusto."

(da una registrazione audio intitolata: Elisabeth Schumann - "The Groundwork of Vocal Art", An interview, 1941 - trad. it. di Mattia Peli)


13. - Toti Dal Monte -

(...) il totale rilassamento dei muscoli del collo è condizione indispensabile per agevolare un'emissione fluida, scorrevole, senza sforzo, della voce, specialmente nei passaggi verso l'acuto: in modo tale, cioè, che la gola e il palato assumano una posizione molto simile a quella dello sbadiglio. (...)
In linea generale la vocale da adottare è il dittongo EO che consente al mento e alla mascella di restare "abbandonati" (...) e consente inoltre un'emissione "rotonda" in quanto evita di aprire troppo e nel contempo troppo raccogliere il suono. Qualora però l'allievo possieda una voce molto aperta o molto "indietro" – come si suol dire nel nostro gergo professionale – è consigliabile per i primi esercizi usare la vocale francese U. (...)
Negli acuti si raccomanda di avviare il fiato verso la testa (...)

(da: Toti Dal Monte - Presentazione dei "Vocalizzi", Ricordi 1970)


14. - Licia Albanese -

- "Cosa mi può dire della tecnica che impiega?"
- "(...) Alzo il palato e apro la gola... specialmente per gli acuti. Quando si cantano gli acuti, si deve aprire la bocca e la gola e anche aprire di più la mandibola." (...)

(tratto da una intervista al soprano Licia Albanese condotta dal basso Jerome Hines, riportata in: J.Hines - "Great Singers on Great Singing", Doubleday, 1982 - trad.it. di Mattia Peli)


15. - Régine Crespin -

(...) senza dimenticare che il palato molle sia alzato; mai basso. Se si tiene il palato molle abbassato, si perde la connessione con il suono 'di testa'.

(tratto da una intervista al soprano Régine Crespin condotta dal basso Jerome Hines, riportata in: J.Hines - "Great Singers on Great Singing", Doubleday, 1982 - trad.it. di Mattia Peli)


16. - Beverly Sills -

Prendendo i suoni di testa, opto per il palato molle. Quando ero solita cantare Zerbinetta puntavo al palato molle. Mi sono guardata allo specchio mentre cantavo, giusto per vedere cosa avveniva. Nel raggiungere i suoni molto acuti ho notato che il mio palato molle si alzava maggiormente... (...) Se voglio entrare nella gamma dei suoni di testa esso [il suono della vocale] diventa una AO, con un suono quasi di U in esso presente che lo spinge in testa.

(tratto da una intervista al soprano Beverly Sills condotta dal basso Jerome Hines, riportata in: J.Hines - "Great Singers on Great Singing", Doubleday, 1982 - trad.it. di Mattia Peli)

17. - Franco Corelli -

- "Pensi ad alzare il palato molle?"
- "Credo che sia lo sbadiglio a sollevarlo"

(tratto da una intervista al tenore Franco Corelli condotta dal basso Jerome Hines, riportata in: J.Hines - "Great Singers on Great Singing", Doubleday, 1982 - trad.it. di Mattia Peli)


18. - Carlo Bergonzi -

L'importanza della copertura e dell'uso del palato molle nel passaggio di registro verso la zona acuta, secondo Carlo Bergonzi:
« (...) c'è anche il cantante capace di adattarsi [al diapason più alto usato oggi] ricorrendo alla tecnica, cioè alzando il cosiddetto palato molle che fa passare il suono. (...)
Ho sempre passato sul Fa-Fa diesis. C'è però un'altra cosa, anch'essa, penso, dovuta all'innalzamento del diapason. Alcuni maestri confondono molte cose: parlano di "chiuso" e di "aperto", ma confondono il "coperto" con il "chiuso". Coperto, il suono va coperto. Deve essere appoggiato ma coperto. (...) Il maestro deve dare anche l'impostazione del suono. Se la voce si chiude non lavora più né il diaframma né il resto. (...)
Il suono, coprendolo, passa. E una volta che arrivati al Fa diesis, Sol, La bemolle, si può andare dovunque, non ci sono limiti (...) Ma se si incomincia a chiudere sul Fa o sul Fa diesis come si fa ad arrivare al La, al Si bemolle? Se canto “un trono vicino al sol, un trono vicino al sol" chiudendo la voce, come faccio? E' già sul Fa che io so che faccio il Si bemolle. »

(da "Nuova Solidarietà" - "Le voci italiane ci sono ancora" - Intervista a Carlo Bergonzi - Il famoso tenore, sulla breccia ancora a 63 anni, spiega perché l’accordatura alta e la scelta di ruoli inadatti impediscono la formazione delle grandi voci
di: Liliana Celani e Giuseppe Matteucci, 12 marzo 1988 [http://www.carlobergonzi.it])


19. - Pablo Elvira -

La cosa più semplice, che è la più difficile da insegnare, è come 'sollevare' il 'palato'... sentire che il palato molle è un po' tirato su, vale a dire che si possa avere lo spazio necessario quando si canta. (...) Ora, c'è un segreto che sto per rivelare. C'era un tenore drammatico portoricano al tempo di Caruso chiamato Don Antonio Paoli. Cantò per gli zar. Tornò a Puerto Rico per morirvi, e là insegnò canto ad alcuni studenti.
Egli vocalizzava sempre con la vocale U. Ed anch'io ho usato questo sistema, ed ho sviluppato più [estensione] di quanto mi servisse. (...) Tutti questi vocalizzi di cui ho parlato, egli li avrebbe vocalizzati sulla vocale U, cercando di tenere la U con lo "squillo". E questo spiega perché io riesca a far ciò che voglio. Non ho mai studiato con lui, ma ho osservato i suoi allievi mentre insegnavano ad altri. Egli diceva che la vocale più difficile da cantare era la U. Quando si domina la più difficile le altre vocali diventano facili. Nell'emettere la U, si alza il palato molle. Se si canta A, si deve pensare a quando si sta sbadigliando per sollevare il palato...

(tratto da una intervista al baritono Pablo Elvira condotta dal basso Jerome Hines, riportata in: J.Hines - "Great Singers on Great Singing", Doubleday, 1982 - trad.it. di Mattia Peli)


20. - Sherrill Milnes -

- "Che ne pensi dell'uso del palato molle in una gola aperta?" domandai.

- Intendi il sollevamento del palato molle? E' un fatto fisiologico! Se qualcuno pensa d'esser contrario a ciò, significa che non lo comprende.

- "Più spazio", disse. "Più sollevamento del palato molle quando si sale cantando più in alto nella gamma dei suoni, e, se possibile, più apertura nella gola...la sensazione dello sbadiglio...tuttavia, senza che il suono cada indietro. Va mantenuta quella percezione alta nel naso del seno frontale..."

(tratto da una intervista al baritono Sherrill Milnes condotta dal basso Jerome Hines, riportata in: J.Hines - "Great Singers on Great Singing", Doubleday, 1982 - trad.it. di Mattia Peli)

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Breve corollario

- CRIVELLI:
"La canna de' Polmoni ha un'azione naturale d'elevarsi, e d'abbassarsi, e perciò imparte alla Laringe un movimento o all'ingiù verso l'espansione della Gola, o verso la Cavità della Bocca  - Nel produrre i suoni gravi la Canna de' Polmoni abbassandosi, la Laringe s'inclina verso l'espansione della Gola, e nel passar dai suoni gravi agli acuti la Canna de' Polmoni, elevandosi gradualmente, la Laringe, montando, s'inclina verso la Cavità della Bocca, e questo è la causa di quei suoni che sono chiamati vibrazioni di testa - durante quest'azione i muscoli interiori della Laringe o si dilatano, o si contraggono; nel dilatarsi producono i suoni gravi, nel contrarsi gradualmente gli acuti. (...) La lingua è piattamente distesa. - Il Palato molle, e l'Ugola, tendono verso il passaggio che communica col naso, e così producono uno spazio sufficiente, tra il quale il suono passa perfettamente libero, e con capacità di espansione."

(Domenico Crivelli - "L' Arte del Canto ossia Corso completo d'Insegnamento sulla Coltivazione della Voce" - Londra, 1820)


- ROSSINI:
"Allo studio delle vocali seguiva quello dei dittonghi, delle consonanti, dell'articolazione, della respirazione etc. Si badava soprattutto che il suono si propagasse grazie all'aiuto del palato della bocca. Questo, in effetti, è il trasmettitore per eccellenza di una bella sonorità. E in questo bisogna ammettere che la lingua italiana sembra davvero privilegiata nel promuovere lo sviluppo del "bel canto". "Amâre... bêllo..." Questi "mâ", "bêll", piazzati sul palato e così trasmessi, non son già musica?»"

[dal libricino di Edmond Michotte intitolato "Une soirée chez Rossini à Beau-Séjour (Passy) 1858, Exposé par le Maestro, des principes du 'Bel Canto'", 1895 ca. - trad. it. di Carolina Barone]

--> http://belcantoitaliano.blogspot.com/2020/12/rossini-sul-bel-canto.html


- BOCCABADATI:
"Coll'abbassare la lingua ed alzare il palato si ottiene una piacevole sonorità."

(da: VIRGINIA BOCCABADATI - Maestra di Bel Canto nel Liceo Musicale Rossini di Pesaro - "OSSERVAZIONI PRATICHE PER LO STUDIO DEL CANTO" - Pesaro, 1893)


- ISNARDON:
« [Si] vous avez placé l’appareil vocal dans la forme du "bâillement", votre palais soulevé, votre langue retombant inerte, vous présentez à la voix un "pavillon", comme pour les instruments à vent, où le son va prendre toute sa sonorité, toute son ampleur, toute son élasticité. »

[Jacques Isnardon - "La bouche et le chant" - Musica, novembre 1902, p. 28]


- SHAKESPEARE (tenor):
SOFT PALATE. - If we pass the finger backwards along the roof of the mouth, we discover the soft palate. There has been much discussion as to its influence over the tone of the voice. It is here suggested that its freedom of action depends on the freedom of the throat and tongue. (...)
THE TONGUE. - (...) The use of any muscles which would cause the tongue to be "rigidly drawn back" would destroy the purity of all the vowel sounds. As on ascending the scale the pipes of an organ diminish in length and breadth, there may be for every rising note wc sing a natural and unconscious contraction of the throat space, there certainly is a rising and falling of the soft palate, as the notes ascend mid descend. In placing the voice, then, no muscles must be employed which would interfere with the freedom of the tongue and throat. (...)

(from: "THE ART OF SINGING", by William Shakespeare - Based on the Principles of the Old Italian Singing-Masters - London, 1909)


- FILLEBROWN:
"The true office of the soft palate is to modify the opening into the nose and thus attune the resonant cavities to the pitch and timbre of the note given by the vocal cords and pharynx. (...)
As the voice ascends the scale the tension of the soft palate is increased and it is elevated and the uvula shortened, thus decreasing the opening behind the palate, but never closing it. In fact the larger the opening that can be maintained, the broader and better the tone. The author was himself unable fully to appreciate this until he had become able to sense the position of the soft palate during vocalization."

(from: Thomas Fillebrown - RESONANCE IN SINGING AND SPEAKING - Boston, Oliver Ditson Company 1911)


- SAENGER:
Placing the voice—THE SOFT PALATE.
The soft palate is the back part of the roof of the mouth. Its freedom of action depends much on the freedom of the throat and tongue. It must rise, so that the roof of the mouth, back of the hard palate, may assume an arched shape, which is most favorable to the production of round, sonorous tones, "but" care must be taken not to exaggerate this arch and to keep the soft palate free and flexible.

(Oscar Saenger - "The Oscar Saenger course in vocal training" - A complete course of vocal study for the Tenor Voice, 1916)


- KLEIN, allievo di Garcia:
"Allorché si apre la bocca per emettere un suono, ciò deve avvenire abbassando leggermente la mascella inferiore, senza movimenti incomposti del capo, il quale rimane tranquillo ed eretto. La lingua si appiattisce leggermente quando la mascella inferiore si abbassa, mentre lo spazio faringeo si dilata. Il palato molle si eleva a forma di cupola. La forma così creata dà senz'altro l'avvio per la formazione della vocale madre, l' "a".
La forma di tutte le altre vocali, in qualsiasi lingua, non è che la variazione di questo processo fondamentale (...)"

(da: Gli "otto punti essenziali del sistema del Bel Canto", indicati dal signor Klein come quelli della scuola di E. Garcia, suo Maestro - tratto da: Herman Klein - "THE BEL CANTO" - Oxford University Press, 1923 - in: SANTA CECILIA, Roma, aprile 1960, traduzione a cura di Rachele Maragliano Mori)


- HUEY:
There are two ways of treating the soft palate in writing on "How to Sing". One, quite popular, is to forget it—not mention it at all. The other is to "Raise the soft palate by inhaling deeply" before phonation begins. Our prominent singers defend this latter action (...) "thus insuring an open throat".

(from: "The Soft Palate in Song", by L.O. Huey, in: THE ETUDE, October 1924)


- ARMSTRONG:
(...) let us see just how important its actions are in singing.
Up to about the year 1900, and for as far back as the writer can remember, the best teachers demanded of their pupils that they “arch” the palate. This was stressed also by great singers such as Jean de Reszke, and Enrico Caruso, the latter going so far as to advise the use of a hand mirror to see the action of the palate.
We now shall endeavor to show that an arching or a higher and higher elevation of the palate as the voice ascends, assists in the tensing of the vocal bands (cords) to meet and resist extraordinary breath pressure, and that adequate tension is not possible without the cooperation of an arching, or elevating soft palate.
(...) Then how may an arched position of the palate be developed? Through either a yawning sensation or a sombring of tone (...)
Essential in this is that the tip of the tongue be held in contact with the lower front teeth throughout the exercise, for should the tongue be drawn back, the
dilation will be only half the degree necessary to a full arching of the palate. Also, the vowel must be held focused on the upper front teeth (...)

(from: "The Soft Palate in Singing", by William G. Armstrong, in: THE ETUDE, December 1945)


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"Cantare non è gridare", ovvero il 'segreto' del Bel Canto

Ecco due citazioni ottocentesche che vi faranno riflettere, una scritta a metà Ottocento, l'altra verso la fine del medesimo secolo:

"CANTARE NON E' GRIDARE"!



GAETANO DONZETTI E LE SUE OPERE
« (...) Sempre nuovo ed immaginoso, ora gaio ed or triste, quando severo e sublime, quando tutta eleganza e tutto fiori, ci fa provare il vero incanto della musica, e una non avvi delle sue Opere, dalle più belle alle più leggiere, dalle manco alle più fortunate, che non racchiuda un pezzo da potersi propriamente chiamare classico.


Non ho toccato fino ad ora che delle sue composizioni sceniche.
E che cosa dirò del suo "Conte Ugolino", modello di declamazione poetico-musicale, in cui non solamente vestì di divine note i divini versi di Dante, ma di Dante entrò nello spirito, e con lui scese ardito nella Torre della Fame ad iterarne i lamenti, a rilevarne gli orrori?
Che dirò delle sue religiose armonie, nelle quali la parola di Dio è tradotta in suoni celesti? 

 

E come non mi stemprerò in lodi per le sue Raccolte da Camera, ove il gusto, la grazia e l'inspirazione stanno in pari grado con la chiarezza e con l'effetto?
O voi che insegnate o imparate, soffermatevi in questo palladio del Bello. Dalla squisitezza delle combinazioni, dalla soavità delle cantilene apprendete come si debba modulare la voce. Con tali modelli per guida, non istrazierete le orecchie ad altrui; la vostra carriera non sarà di breve durata, nè correrete il pericolo che vi scoppii una vena. Cantare non è gridare. Togliendo all'italica scuola la mellifluità e la dolcezza, le togliete la vita. Sono rose che essa addomanda, non isterpi, non bronchi..... »

(Francesco Regli - "Morti e vivi". Biografie artistiche pel nuovo anno 1850 - Tip. Fory e Dalmazzo, Torino 1850) 



Nell'introduzione ad una raccolta di canti di maestri italiani pubblicata nel 1887 a Berlino con il titolo di "IL BEL CANTO", F. Sieber scriveva:

"In unserer Zeit, wo sich das widerwärtigste Schreien aller Orten unter der beschönigenden Devise 'dramatischen Gesanges', breit macht, wo die unkundige Menge viel mehr darauf zugeben scheint, wie laut als wie schön gesungen wird, ist vielleicht eine Sammlung von Gesängen willkommen, welche — wie der Titel besagt — dazu beitragen möchte, dem bel canto wieder zu seinem recht zu verhelfen."

["Nel nostro tempo, in cui l'urlo più odioso si è diffuso ovunque sotto l'eufemistico motto di 'canto drammatico', e dove le masse ignoranti sembrano molto più interessate a quanto il canto sia forte piuttosto che a quanto sia bello, forse sarà benvenuta una raccolta di canti che — come dice il titolo — possa aiutare a riportare il bel canto al suo legittimo posto." - trad. it. a cura di Mattia Peli] 



martedì 5 luglio 2022

La registrazione a 78 giri e l'importanza del grammofono secondo alcuni cantanti lirici dell'età d'oro del belcanto


In questo articolo vedremo assieme come avvenivano le registrazioni di dischi a 78 giri e qual è l'importanza del grammofono, secondo alcuni cantanti lirici dell'età dell'oro dell'opera. Lasceremo dunque direttamente 'parlare', con le loro testimonianze scritte e il loro canto, i grandissimi Gigli, Lauri-Volpi, De Luca, la Jeritza e la Tetrazzini, ma anche Sarobe (allievo di Battistini) ed il maestro di canto Cocchi. 

 

GIGLI - Milano, 1918 - La prima esperienza di Beniamino Gigli con la registrazione della propria voce in grammofono:

« (...) avevo incominciato a incidere dischi.
F. W. Gaisberg della Voce del Padrone e della Victor Gramophone Company era venuto a Milano l'anno prima per prendere contatto con gli artisti ed anche per erigere uno stabilimento in luogo per la riproduzione delle matrici. Con le restrizioni del tempo di guerra applicate per i combustibili e il macchinario nuovo, era una faccenda piuttosto complicata. Tuttavia, Gaisberg riescì in un modo o nell'altro a mettere insieme uno stabilimento, andando persino a frugare, come egli stesso ha narrato, nei depositi di rifiuti a Porta Magenta.
Alla testa di questa sezione italiana della Voce del Padrone era stato posto il maestro Carlo Sabaino. Mascagni mi presentò a lui una sera, dopo una rappresentazione della "Lodoletta" al Lirico, ed egli mi chiese di andare a vederlo nel suo ufficio il giorno dopo. Fu là che, per la prima volta in vita mia, udii un disco di grammofono. Era l'aria "Com'è gentil" del "Don Pasquale"; il cantante era Enrico Caruso, di cui non avevo mai sentito la voce. Ascoltai - me ne ricordo perfettamente - con umiltà e reverenza. 

"Ora vorrei che lei venisse con me nello studio per le registrazioni" mi disse il maestro Sabaino. "Desidererei provare a incidere la sua voce. Che cosa le piacerebbe cantare? Non se ne preoccupi, è soltanto un esperimento."
Sentendomi molto eccitato, scelsi l'aria di Flammen, "Ah, ritrovarla nella sua capanna" della "Lodoletta". Il giorno dopo, il maestro me la fece sentire. Era una strana sensazione, starsene seduti in silenzio in una poltrona ad ascoltare la propria voce; ma ciò che riesciva ancor più sorprendente era l'affinità di tono che potevo agevolmente avvertire fra il disco mio e quello di Caruso che avevo udito il giorno innanzi. Mi lasciò incerto. Che aveva voluto lasciar intendere, il maestro Sabaino, con quella sovrapposizione?
Mi abboccai con Gaisberg e concordammo di fare dieci dischi in una volta sola, prevalentemente le arie più famose delle opere che già avevo cantato. L'elenco comprendeva "Cielo e mar" dalla mia primissima opera, la "Gioconda", con il si bemolle che mi aveva dato tante preoccupazioni; "Dai campi, dai prati" e "Giunto sul passo estremo" dal "Mefistofele"; "Recondite armonie" e poi "E lucean le stelle" dalla "Tosca"; "Addio alla madre" dalla "Cavalleria rusticana", e l'aria appena citata dalla "Lodoletta". Non occorreva molta chiaroveggenza da parte mia per intuire le future possibilità di questo meraviglioso strumento, ma ero certamente lungi dal prevedere che la sede centrale londinese della Voce del Padrone avrebbe dovuto un giorno stipendiare sei persone per occuparsi unicamente dei miei dischi. »

(da: Beniamino Gigli - "MEMORIE" - Arnoldo Mondadori Editore, 1957)


LAURI-VOLPI:

« (...) In quel tempo, nel periodo 1915-1935, soltanto voci non comuni erano invitate dalla grande Casa discografica americana VICTOR a lasciare memoria di sé nei solchi del "record" d'ebanite, invenzioni del sommo Edison. Era cosa ardua, allora, dare misura del proprio valore davanti a un sensibilissimo microfono, dentro una sala sorda, ovattata, sotto il controllo di un tecnico del suono, che, con gesti a distanza o con segnalazioni luminose, obbligava l'artista, anziché a concentrarsi nella esecuzione del pezzo, a distrarsi in continue interruzioni e snervanti ripetizioni.
Curiosa, la registrazione del Terzetto dell'Aida che incisi a Filadelfia accanto a Elisabetta Rethberg, cantatrice esimia per stile e preziosa omogeneità della gamma vocale, e a Giuseppe De Luca, baritono eccellentissimo per sapienza canora, duttilità di voce e ingegnosità interpretativa. Nel primo momento, ci si mise tutti e tre sulla stessa linea davanti ai microfoni. Poi si cambiò: De Luca incollò la bocca sull'apparecchio, la Rethberg fu collocata immediatamente alle spalle del baritono, ed io venni relegato a circa due metri di distanza dai due. Evidentemente, la vibrante e insurrezionale voce di Radames non riscuoteva la "simpatia" del mezzo tecnico. Ciononostante il Terzetto risultò accettabile, tanto che l'eminente critico Rodolfo Celletti lo considera, accanto a quello dell' "A te, o cara" dei Puritani, uno dei dischi esemplari, addirittura un disco che fa testo, della vecchia produzione.
Per la divina melodia belliniana, tremai e non dormii la notte precedente l'incisione. Temevo che quel terribile 'do diesis' sopracuto, a piena voce, avrebbe fatto andare la macchina d'incisione in frantumi. Cercai, con estrema attenzione e diligenza, di legare e alleggerire i suoni affinché non mi si facesse ripetere il pezzo che "fa tremare le vene e i polsi" di qualunque tenore odierno. Perché il primo interprete, Rubini, emetteva quella nota in falsetto, a imitazione dei sopranisti che prima di lui e di Nourit, sopraneggiavano nel registro cosiddetto "di testa", che oggi nessun pubblico consentirebbe. 


Allora non era dato all'artista ascoltarsi nel "provino". Dopo una settimana di attesa nervosa, tornai a Filadelfia per incidere in francese la Carmen, il Faust e la Leggenda di Kleintzack dai "Racconti di Hoffmann". Per la Carmen, da eseguirsi in francese e "alla francese", volli emettere quel "Je m'enivrais" a mezza voce, quasi un "misto", per adattarmi allo stile d'oltr'Alpe, in uso all'Opèra Comique parigina. Il Faust, anche in francese, presentava lo scoglio del "Je devine la présence" con quel 'do' di "présence" e quella "en" nasale e pericolosa che all'Opéra si esige venga emessa in falsetto. Riuscii però a spiegare la voce senza eccessiva ampiezza, in guisa che l'alta nota non alterasse l'equilibrio e le proporzioni dell'esecuzione complessiva. Dopo di che la direzione della VICTOR COMPANY richiese improvvisamente un altro brano in francese: la "Leggenda di Kleintzack", che io non conoscevo. Seduta stante, ne improvvisai l'incisione, leggendo il testo musicale. Chissà che cosa sarebbe venuto fuori. Per contro, la direzione ne rimase soddisfattissima, con grande mia sorpresa e incredulità. Quando ascoltai il disco, non potei però non rilevare a me stesso che la dizione francese era tutt'altro che ortodossa. 

Tuttavia il disco ebbe fortuna, al pari dello Schiavo di Gomez, la cui romanza "Quando nascesti tu" era famosa in quel tempo per essere stata eseguita da Caruso che, morto quattro anni prima, aveva lasciato dietro di sé una scia luminosa. La mia voce era in piena formazione e non poteva riprodurre le oscure risonanze di cui la voce partenopea aveva fatto tanto sfoggio nell'incisione del brano. Tentai dunque di introdurre sfumature e mezze voci nei punti propizi, secondo l'espressione verbale. (...) La novità consistente nell'alternare lo stile "eroico" al "romantico", in contrasto con l'enfasi cordiale della fonetica carusiana, non dispiacque ai dilettanti e agli studenti di canto che nella nuova versione, rilevarono nuove opportunità di adattamento secondo i vari criteri interpretativi. Altra melodia scabrosa per l'incisione mi si affidava negli Studi della Victor: "Eran rapiti i sensi" dalla Norma. Quella vocale "i" sul 'do' acuto, costituiva un problema serio sotto l'aspetto tecnico dell'incisione sonora. Un salto di "quarta" a piena voce (sen-si) poteva danneggiare l'intera registrazione. La quale, per altro, risultò nitida e carica di "élan vital": slancio degno di un Proconsole romano. (...) »

[da:  Ricordo, scritto da GIACOMO LAURI-VOLPI, dei Dischi a 78 giri registrati negli Stati Uniti (Filadelfia) nel periodo 1928-1929, e di come incise  il 16 gennaio 1928 "A te o cara" (dei "Puritani" di Bellini) in tono con  il do diesis sopracuto]



DE LUCA, sulle incisioni a 78 giri ascoltate da grammofoni:

Il signor De Luca rilascia alcuni pertinenti commenti sulla discussione che ha avuto luogo sull' "Open Forum" del "Musical America" su chi è il più grande baritono. Non è d'accordo, ad esempio, con quelli che, mentre vorrebbero indicare Battistini come il più grande baritono, lo considerano in realtà un tenore. "No, Battistini è un baritono", egli commentò, "un baritono che canta con arte meravigliosa, il suo registro è più bianco di quello di un baritono ordinario. Ma la sua voce è quella di un vero baritono". (...)
Il baritono non crede nel fonografo come infallibile test per la voce, come, del resto, è stato usato da alcuni corrispondenti dell' "Open Forum" nella discussione sul baritono più grande. "Ci sono alcune voci che rendono molto bene una volta registrate dalla macchina" disse, "come fossero certe facce che risultano più belle nello schermo". "Ci sono molti buoni cantanti le cui note non rendono bene se riprodotte, e per questa ragione io non credo che usare un registratore possa essere una prova affidabile. Inoltre essa non può mostrare l'arte drammatica del cantante, la sua espressione facciale, la presenza scenica, etc.".
"Comunque, non penso che, come alcuni dei lettori suggeriscono, questi dischi dei cantanti saranno di valore per la posterità tramandando un'idea di ciò che sono i cantanti del presente. Per esempio, noi abbiamo qualche registrazione di Battistini, ma non sono veramente buone e non daranno ai posteri un'adeguata impressione sul cantante."
(da un'intervista rilasciata da De Luca e pubblicata prima del debutto al Metropolitan di New York, del 25 novembre 1915 nel ruolo di Figaro - "Musical America", 6 novembre 1915)


Qualche anno più tardi affermava:
"Posso dire come riproduco un suono o una frase tramite le mie sensazioni. Naturalmente non posso udire l'effetto totale: nessun cantante può realmente udire l'effetto del suo lavoro, eccetto che sulla registrazione che gli può offrire, per la prima volta, il suono della sua voce". [Giudizio di De Luca sul disco nel 1920]
Molti anni dopo, il giudizio di De Luca sulle registrazioni a 78 giri cambiava radicalmente. Egli diceva che:
"Le registrazioni acustiche ci permettono di ricreare dal vivo interpretazioni famose e quindi costituire un legame diretto con l'eredità musicale ricevuta dal passato, come queste del presente che si legheranno a quelle del futuro. Quindi tali preziosi dischi devono essere conservati". [Affermazione di De Luca del 1949]

[come riportato in: William Shaman - "Giuseppe De Luca: A Discography" - Symposium Records, 1991]


JERITZA - 'Cantare per il fonografo':

(...) Quando mi recai nei laboratori della casa di produzione per la quale avevo accettato di fare dei dischi operistici, sapevo già una cosa per via della mia precedente esperienza: che dovevo cercare di cantare con la stessa naturalezza che usavo in palcoscenico. Ma una volta giunta lì, sapevo che l'unico modo per farlo sarebbe stato quello di dimenticare completamente quel che mi circondava, poiché l'ambiente a disposizione era tutt'altro che una scenografia.
Prima di tutto, le incisioni venivano fatte in una piccola stanza, talmente piccola che il gruppo dell'orchestra era ridotto a dieci o quattordici elementi che mi accompagnavano, i quali dovevano sedere vicini, faccia a faccia. Poi giungeva il momento del canto vero e proprio. Con l'orchestra posta così a ridosso del cantante il suono degli strumenti è così soverchiante da coprire la voce e cantando non riuscivo a sentirmi. Tale inconveniente, naturalmente, non si verifica mai una volta che il disco viene ultimato e perfezionato, e quando l'orchestra è stata "attenuata" in modo che la voce del cantante risalti sopra di essa.
Ma in quel momento risulta molto deconcentrante. Quando la cantante non riesce più a sentire la propria voce, si sente smarrita; tuttavia ho trovato il modo di superare tale difficoltà tenendomi le mani sulle orecchie, escludendo così l'orchestra. Una volta fatto ciò, sapevo di cosa si trattava e non ho avuto ulteriori problemi.
Dopodiché c'è la questione della regolazione della propria posizione, mentre si sta in piedi e si canta, in modo da essere esattamente alla distanza giusta dal ricevitore. Per i suoni del registro grave ci si deve avvicinare, per quelli del registro acuto ci si deve allontanare. Il meccanismo di ricezione è delicato: se il cantante produce un potente suono acuto troppo vicino alla macchina di registrazione, la sua pressione potrebbe facilmente danneggiare il ricevitore rompendolo. La pressione improvvisa dev'essere evitata. Se cantassi un passo 'piano' o a 'mezza-voce' ed improvvisamente dovessi produrre un suono acuto di potenza e volume considerevoli, il ricevitore, con ogni probabilità, non sopporterebbe lo sforzo.

La prima registrazione di un disco è sempre di tipo sperimentale. Consente alla cantante di sentirsi come ella 'non' vorrebbe risultare, le indica dove è in errore per quanto riguarda la distanza dalla macchina di registrazione, e le consente di apportare le dovute correzioni. Già la seconda registrazione, di regola, segna un progresso. E poi, avvicinandosi alla perfezione ad ogni ripetizione, arrivano una terza e una quarta registrazione e tante altre ancora quante ne possono essere necessarie per ottenere i risultati ottimali.
È facile dunque capire perché un'artista preferirebbe due ardue prove di palcoscenico ad una "sessione" di registrazione. È il genere peggiore di duro lavoro, ed assai arduo. In una piccola stanza, in circostanze ed ambienti del tutto diversi da quelli in cui di solito ella canta le proprie arie, l'artista è chiamata a cantarle ugualmente bene, se non meglio di quanto faccia in teatro. Eppure è una cosa fattibile se l'intelligenza e la concentrazione vengono esercitate a tal compito.
Una cosa che si tende a dimenticare è che mentre il ricevitore sta registrando, il minimo suono, una parola, un sussurro, il rumore di un movimento, la caduta di uno spillo, viene registrato assieme alla musica. È per questa ragione che solo all'artista stessa, ed a coloro che in altro modo sono direttamente coinvolti nel realizzare la registrazione, è permesso di stare in sala d'incisione. La prudenza è cosa saggia.
Ricordo che una volta ottenni il permesso di farmi accompagnare da un'amica affinché potesse assistere alla mia incisione di un disco. Era la ballata di Senta, da "L'olandese volante", e la mia amica aveva osservato con interesse il graduale sviluppo dell'incisione nel diventare un disco veramente ottimo. Quando, però, cantai il brano per l'ultima volta, per realizzare il disco finale, ella si dimenticò completamente della regola del silenzio, e non appena l'ultima nota uscì dalla mia bocca gridò, entusiasta: "Oh, l'hai cantata magnificamente!" L'accompagnamento non era ancora giunto al termine e com'era prevedibile, quando venne letto il disco quest'ingenua esclamazione "Oh, l'hai cantata magnificamente!" risuonò nel modo più comico possibile. Ovviamente, andò rifatto tutto daccapo.
E nonostante le pareti insonorizzate della sala di registrazione, certi rumori, se sono abbastanza acuti e striduli, entrano comunque. So che tutte le incisioni terminavano nell'avvicinarsi alle dodici di mattina, dato che altrimenti qualunque aria d'opera stessi cantando sarebbe stata interrotta dal suono dei fischietti della fabbrica che dappertutto annunciavano l'ora del mezzogiorno.
C'è un modo piuttosto sicuro per dire se la registrazione di un brano è venuta bene, anche se non la si è ascoltata. Non appena la registrazione è stata effettuata, si osservi il solco del disco al microscopio. La linea del solco rivela la verità: se questa è irregolare, con numerose interruzioni, il disco è privo di valore; se invece è regolare e non mostra interruzioni, allora quello sarà un buon disco

(...) When I journeyed out to the laboratories of the company for which I had agreed to make some opera records, I already knew one thing out of my previous experience: that I must try to sing just as naturally as I would on the stage. But when I arrived, I knew that the only way I could do so would be to forget my surroundings completely, for my setting was anything but a stage setting.
First of all the records were made in a small room, a room so small that the numbers of the little orchestra of ten or fourteen men which accompanied me had to sit close together, knee to knee. Then came the actual singing itself. With the orchestra so close to the singer the sound of the instruments is so overpowering that it drowns the voice and I could not hear myself sing. This effect, of course, is never made when the record has been finished and perfected, and the orchestra has been "toned down" so that the singer's voice stands out above it.
But at the time it is very distracting. When the singer no longer can hear her own voice she is at a loss; but I found myself able to overcome this difficulty by holding my hands over my ears, thus shutting out the orchestra. Once I did this I knew what I was about and had no further trouble.
Then there is the matter of adjusting your position, as you stand and sing, so that you are at exactly the right distance from the receiver. For deep register tones one comes closer, for high register tones one moves farther away. The receiving mechanism is a delicate one: if the singer produces a powerful high tone too near the machine, its pressure may easily break the receiver. Sudden pressure has to be avoided. If I were singing a passage 'piano' or 'mezza-voce' and suddenly were to produce a high tone of considerable power and volume, the receiver, in all probability would not stand the strain.
The first record made is always an experimental one. It enables the singer to hear herself as she would 'not' be, points out to her where she is at fault as regards her distance from the machine, and allows her to make the necessary corrections. The second recording already, as a rule, marks an advance. And then, growing nearer perfection with each repetition, come a third and a fourth and as many more recordings as may be necessary to secure the perfected results.
It is easy to see now why any artist should prefer two arduous stage rehearsals to one recording 'séance'. It is the hardest kind of hard work, and very exacting. In a small room, under circumstances and amid surroundings altogether different from those under which she usually sings her arias, the artist must sing them as well, if not better, than she does in the opera house. Yet it is something that can be done if intelligence and concentration are brought to bear on the task.
One thing apt to be forgotten is that while the receiver is recording, the least sound, a word, a whisper, the noise of a movement, the dropping of a pin, is recorded together with the music. It is for this reason that only the artist herself and those otherwise directly concerned in making the record are allowed to be in the recording room. The precaution is a wise one. I remember that on one occasion I secured permission for a friend to accompany me, and watch me make a record. It was "Senta's" ballad, from "The flying Dutchman", and my friend had watched with interest the gradual building up of the song into a really fine record. When I sang it for the last time, to make the final record, however, she forgot all about the rule of silence, and no sooner had the last note left my mouth than she cried out, enthusiastically: "Oh, you sang that beautifully!" The accompaniment had not yet come to an end and sure enough, when the record was played this artless cry of "Oh, you sang that beautifully!" rang out in the most comical way. Of course, the whole thing had to be done over again.
And in spite of the sound-proof walls of the recording room, certain noises, if they are high and shrill enough, manage to get in. I know that all recording came to an end when we neared twelve o'clock, since otherwise whatever opera air I was singing would have been punctuated by the sound of the factory whistles which everywhere announced the noon hour.
There is a fairly certain way of telling whether your record of a song has turned out well, even though you have not heard it. As soon as the record has been made one takes a look at the impression through a microscope. The line of the impression reveals the truth: if the line is irregular, with numerous breaks, the record is worthless; but if the line is smooth and shows no breaks, then the record will be a good one. (...)

(Maria Jeritza - "SUNLIGHT AND SONG, A Singer's Life", trans. by Frederick H. Martens - D. Appleton and Company, New York - London 1924 - trad. it. di Mattia Peli)



TETRAZZINI - 'L'artista e il grammofono':

PRIMA di congedarci dal tema dell'esercizio pratico, mi sia consentito aggiungere una parola sul valore del grammofono per lo studente intelligente. Si tratta, infatti, di un supporto davvero inestimabile. Se ascoltare i più grandi cantanti è per lo studente la più bella di tutte le esperienze, come potrebbe essere altrimenti? Poiché ecco, nella maniera più conveniente possibile, il mezzo indicato per farlo. Nelle prime pagine di questo volume ho documentato quali inestimabili benefici io abbia avuto nel mio caso dal costante ascolto del bel canto fin dalla mia prima infanzia. Ora, per mezzo del grammofono, lo stesso beneficio è a disposizione di chiunque, e questo ovunque egli, o ella, possa trovarsi a vivere.
Ai tempi della mia giovinezza solo coloro che abitavano nelle grandi capitali potevano sperare d'udire artisti come la Patti, Tamagno, Caruso, Battistini e così via, ed anche costoro solamente se i mezzi glielo permettevano, cosa che non accadeva spesso per quegli studenti che erano poveri.
Al giorno d'oggi chiunque può godere di questo privilegio inestimabile, ovunque risieda, con una spesa relativamente esigua grazie all'azione del grammofono.
E può sentirli cantare non solo di tanto in tanto, ma tutte le volte che vuole e direttamente a casa propria. Se gli capita di studiare qualche ruolo particolare può essere "istruito" - in questo che è il modo più pratico e insuperabile possibile - da tutti i più grandi artisti lirici del momento. Può prendere un'aria particolare e sentirla cantata da Caruso più e più volte finché non avrà familiarità con ogni dettaglio della sua interpretazione—può notare il suo respiro, il suo fraseggio e ogni altro dettaglio inciso sul disco, in una maniera che sarebbe del tutto impossibile con qualsiasi altro mezzo.
E dopo aver ascoltato Caruso, può pure sentire, se vuole, lo stesso brano cantato da diversi altri grandi artisti, e beneficiare ancora di più degli ascolti confrontando le loro rispettive letture—notando come si assomigliano o come differiscono, a seconda dei casi, apprendendo tra l'altro in questa fase quanto un'interpretazione possa divergere notevolamente da un'altra ed essere comunque di prim'ordine
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Non solo, ma può allo stesso modo familiarizzare con intere opere, poiché alcune case discografiche pubblicano le raccolte complete delle opere più note che vengono riprodotte nella loro interezza: le parti vocali, l'orchestra e tutto in questo modo meraviglioso. Si potrebbe pensare, veramente, che la generazione futura, con il sostegno di un aiuto di così gran valore, debba fornirci ottimi cantanti in tale abbondanza che il mondo non ha mai visto precedentemente. Resta da vedere se sarà così o no. Ma certamente si può dire che mai prima d'ora gli studenti siano stati così straordinariamente aiutati. Io stessa ho il piacere di testimoniare che ho tratto il massimo beneficio oltre che gioia dalle registrazioni della Patti, mentre il signor John McCormack ha similmente riconosciuto il suo debito alle meravigliose interpretazioni di Caruso.
E spero, in tutta modestia, che gli studenti della generazione attuale possano trarre a loro volta un aiuto simile dalle registrazioni che io stessa ho realizzato. Senza dubbio il grammofono dovrebbe essere la guida, il filosofo e l'amico—l'aiuto e l'assistente più fidato e competente—non solo per ogni studente, ma anche per ogni insegnante dei giorni nostri.
Certamente, l'allievo è soltanto umano e spesso è riluttante a credere che ci siano gravi difetti nella propria voce. Mentre gli altri possono rilevare i suoi errori, l'allievo non può ascoltare in modo intelligente la propria emissione difettosa mentre canta.
Ma portatelo in una sala di registrazione e fatelo cantare nella tromba per registrare la propria voce, e assicuratevi che si riascolti mentre l'operatore prova il disco che ha fatto. Sarà sicuramente sorpreso di scoprire quanti difetti vi sono.
La sua emissione può essere ingolata, nasale o quel che volete. Il tutto è chiaramente evidenziato dal grammofono
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Non esiste strumento che è così studiato per togliere la presunzione a un giovane artista come lo è il grammofono. L'osservare la sua faccia mentre ascolta per la prima volta la propria voce è di solito il godersi una pantomima in miniatura.
Tuttavia, il grammofono è uno stimolo per guidare l'artista verso la perfezione e, naturalmente, un grande aiuto per il professore di musica.

BEFORE leaving the subject of practising I should like to add a word as to the value of the gramophone to the intelligent student. This is, indeed, a truly invaluable adjunct. If to hear the greatest singers is the finest of all experiences for the student, how can it indeed be otherwise? For here in the most convenient manner possible is the means provided for doing this. In the earlier pages of this volume I have recorded what inestimable advantages I derived in my own case from the constant hearing of fine singing from my earliest childhood. Now, by means of the gramophone, the same advantage is at the command of every one wheresoever he, or she, may happen to reside.
In my younger days only those dwelling in the great capitals could hope to hear such artists as Patti, Tamagno, Caruso, Battistini, and so forth, and even those only if means permitted, which was not often in the case of poor students.
To-day any one can enjoy this priceless privilege, wherever he may happen to reside, for a comparatively small outlay through the agency of the gramophone.
And he can hear them not only now and again, but as often as ever he likes and by his own fireside. If he happens to be studying some particular rôle he can be "coached" in this most practical and unrivalled manner by all the greatest artists of the day. He can take a particular aria and hear it sung by Caruso again and again until he is familiar with every detail of his rendering—can note his breathing, his phrasing, and every other detail in a manner which would be quite impossible by any other means.
And having heard Caruso he can then hear the same number sung by various other great artists if he chooses, and benefit still more by comparing their respective readings—by noting how they resemble one another or how they differ, as the case may be, incidentally learning in the process how widely one interpretation may differ from another and still be of the highest order.
Not only this, but he can familiarise himself with entire operas in the same way, for certain of the companies issue complete albums of the best known works which are reproduced in their entirety—vocal parts, orchestra, and all in this marvellous manner. One would think, indeed, that the coming generation should provide us with fine singers in such plenty as the world has never known before with the aid of such priceless help.
Whether it will be so or not remains to be seen. But certainly it may be said that never before have students been so wonderfully helped. I myself have pleasure in testifying that I have derived the greatest benefit as well as delight from the records of Patti, while Mr. John McCormack has similarly acknowledged his indebtedness to the wonderful renderings of Caruso.
And I hope in all modesty that students of the present generation may derive similar help in turn from the records which I myself have made. Beyond a doubt the gramophone should be the guide, philosopher, and friend—the most trusted and most competent aid and coadjutor—not only to every student, but also to every teacher of the present day.
Of course, the pupil is only human and often reluctant to believe that there are grave faults in his voice. Whilst others can detect his mistakes, the pupil cannot listen intelligently to his own faulty emission while singing.
But take him to a recording-room and get him to sing into the recording-horn, and let him listen as the operator tries over the record he has made. He is sure to be surprised to find how many faults there are.
His production may be throaty, nasal, or what you will. It is all brought out clearly by the gramophone.
There is no instrument that is so calculated to remove the conceit from a young artist as the gramophone. To watch his face as he first listens to his own voice is usually to enjoy a miniature pantomime.
Nevertheless, the gramophone is a spur to drive the artist forward to perfection, and, of course, a great aid to the music professor.

(from: Luisa Tetrazzini - "How to Sing" - New York, George H. Doran Company, 1923 - trad. it. di Mattia Peli)

 


CONTRIBUTI MODERNI ALLA PEDAGOGIA VOCALE (GRAMMOFONO, RADIO, ECC.) — L'epoca moderna ha creato uno speciale complesso di elementi sussidiari, che possono recare un notevole contributo alla didattica vocale.
Il disco grammofonico, per esempio, può intanto costituire già un importante mezzo di cultura: esso consente la ripetuta esecuzione — e quindi la conoscenza, anche profonda — di molte musiche poco note, eppure interessantissime; ma sopra tutto consente un diretto esame delle diverse interpretazioni dei grandi artisti (magari già scomparsi o lontani) e il cui confronto può essere sempre oggetto di studi e di rilievi importantissimi: non allo scopo di procedere ad una pedestre imitazione, ma bensì per seguirne il particolare processo ricreativo dell'opera vocale. Ma un altro importante pregio didattico offre ancora il disco grammofonico: e consiste nel dare all'allievo l'eventuale possibilità di ascoltare la propria voce fedelmente riprodotta nell'incisione grammofonica. Attraverso questa riproduzione, che gli consente di considerare il proprio canto con singolare oggettività, il cantante rimane quasi sempre assai sorpreso delle manchevolezze, che si rivelano e di cui non aveva affatto coscienza. (Si tratta di una situazione, per molti aspetti, analoga a quella degli attori cinematografici, che solo nella visione diretta di un proprio film possono avvertire le manchevolezze e le insufficienze del proprio gesto; e quindi correggerle).
Come il disco grammofonico, anche la radio è, oggi, un mezzo diffusissimo — anzi indubbiamente il più diffuso — di cultura musicale, per la frequenza delle trasmissioni delle grandi esecuzioni, che avvengono in tutto il mondo; ma la radio offre anche l'adito a interessanti considerazioni tecnico-vocali; essa predilige le emissioni morbide e le voci ricche di timbro; inoltre il microfono, mediante aspre vibrazioni metalliche, rivela con una sincerità inesorabile e implacabile le emissioni vocali forzate.

[da: Luigi Cocchi - "Il canto artistico", 1939]


SAROBE:

"Lo studio della voce con il grammofono è molto utile. Tuttavia, l'allievo deve essere guidato dal docente, che gli dirà che cosa è giusto e cos'è sbagliato. Ogni anno sarebbe opportuno che il cantante registrasse alcuni dischi per osservare la differenza e correggere i difetti.
Per essere un grande artista devi essere molto esigente."

[da: Celestino Sarobe (allievo di Mattia Battistini, baritono e "Profesor de Canto y Alta Opera del Conservatorio del Liceo") - "Venimécum del Artista Lírico" - Barcelona, 1947 - trad. it. a cura di Mattia Peli]