In questo articolo vedremo assieme come avvenivano le registrazioni di dischi a 78 giri e qual è l'importanza del grammofono, secondo alcuni cantanti lirici dell'età dell'oro dell'opera. Lasceremo dunque direttamente 'parlare', con le loro testimonianze scritte e il loro canto, i grandissimi Gigli, Lauri-Volpi, De Luca, la Jeritza e la Tetrazzini, ma anche Sarobe (allievo di Battistini) ed il maestro di canto Cocchi.
GIGLI - Milano, 1918 - La prima esperienza di Beniamino Gigli con la registrazione della propria voce in grammofono:
« (...) avevo incominciato a incidere dischi.
F. W. Gaisberg della Voce del Padrone e della Victor Gramophone Company era venuto a Milano l'anno prima per prendere contatto con gli artisti ed anche per erigere uno stabilimento in luogo per la riproduzione delle matrici. Con le restrizioni del tempo di guerra applicate per i combustibili e il macchinario nuovo, era una faccenda piuttosto complicata. Tuttavia, Gaisberg riescì in un modo o nell'altro a mettere insieme uno stabilimento, andando persino a frugare, come egli stesso ha narrato, nei depositi di rifiuti a Porta Magenta.
Alla testa di questa sezione italiana della Voce del Padrone era stato posto il maestro Carlo Sabaino. Mascagni mi presentò a lui una sera, dopo una rappresentazione della "Lodoletta" al Lirico, ed egli mi chiese di andare a vederlo nel suo ufficio il giorno dopo. Fu là che, per la prima volta in vita mia, udii un disco di grammofono. Era l'aria "Com'è gentil" del "Don Pasquale"; il cantante era Enrico Caruso, di cui non avevo mai sentito la voce. Ascoltai - me ne ricordo perfettamente - con umiltà e reverenza.
"Ora vorrei che lei venisse con me nello studio per le registrazioni" mi disse il maestro Sabaino. "Desidererei provare a incidere la sua voce. Che cosa le piacerebbe cantare? Non se ne preoccupi, è soltanto un esperimento."
Sentendomi molto eccitato, scelsi l'aria di Flammen, "Ah, ritrovarla nella sua capanna" della "Lodoletta". Il giorno dopo, il maestro me la fece sentire. Era una strana sensazione, starsene seduti in silenzio in una poltrona ad ascoltare la propria voce; ma ciò che riesciva ancor più sorprendente era l'affinità di tono che potevo agevolmente avvertire fra il disco mio e quello di Caruso che avevo udito il giorno innanzi. Mi lasciò incerto. Che aveva voluto lasciar intendere, il maestro Sabaino, con quella sovrapposizione?
Mi abboccai con Gaisberg e concordammo di fare dieci dischi in una volta sola, prevalentemente le arie più famose delle opere che già avevo cantato. L'elenco comprendeva "Cielo e mar" dalla mia primissima opera, la "Gioconda", con il si bemolle che mi aveva dato tante preoccupazioni; "Dai campi, dai prati" e "Giunto sul passo estremo" dal "Mefistofele"; "Recondite armonie" e poi "E lucean le stelle" dalla "Tosca"; "Addio alla madre" dalla "Cavalleria rusticana", e l'aria appena citata dalla "Lodoletta". Non occorreva molta chiaroveggenza da parte mia per intuire le future possibilità di questo meraviglioso strumento, ma ero certamente lungi dal prevedere che la sede centrale londinese della Voce del Padrone avrebbe dovuto un giorno stipendiare sei persone per occuparsi unicamente dei miei dischi. »
(da: Beniamino Gigli - "MEMORIE" - Arnoldo Mondadori Editore, 1957)
LAURI-VOLPI:
« (...) In quel tempo, nel periodo 1915-1935, soltanto voci non comuni erano invitate dalla grande Casa discografica americana VICTOR a lasciare memoria di sé nei solchi del "record" d'ebanite, invenzioni del sommo Edison. Era cosa ardua, allora, dare misura del proprio valore davanti a un sensibilissimo microfono, dentro una sala sorda, ovattata, sotto il controllo di un tecnico del suono, che, con gesti a distanza o con segnalazioni luminose, obbligava l'artista, anziché a concentrarsi nella esecuzione del pezzo, a distrarsi in continue interruzioni e snervanti ripetizioni.
Curiosa, la registrazione del Terzetto dell'Aida che incisi a Filadelfia accanto a Elisabetta Rethberg, cantatrice esimia per stile e preziosa omogeneità della gamma vocale, e a Giuseppe De Luca, baritono eccellentissimo per sapienza canora, duttilità di voce e ingegnosità interpretativa. Nel primo momento, ci si mise tutti e tre sulla stessa linea davanti ai microfoni. Poi si cambiò: De Luca incollò la bocca sull'apparecchio, la Rethberg fu collocata immediatamente alle spalle del baritono, ed io venni relegato a circa due metri di distanza dai due. Evidentemente, la vibrante e insurrezionale voce di Radames non riscuoteva la "simpatia" del mezzo tecnico. Ciononostante il Terzetto risultò accettabile, tanto che l'eminente critico Rodolfo Celletti lo considera, accanto a quello dell' "A te, o cara" dei Puritani, uno dei dischi esemplari, addirittura un disco che fa testo, della vecchia produzione.
Per la divina melodia belliniana, tremai e non dormii la notte precedente l'incisione. Temevo che quel terribile 'do diesis' sopracuto, a piena voce, avrebbe fatto andare la macchina d'incisione in frantumi. Cercai, con estrema attenzione e diligenza, di legare e alleggerire i suoni affinché non mi si facesse ripetere il pezzo che "fa tremare le vene e i polsi" di qualunque tenore odierno. Perché il primo interprete, Rubini, emetteva quella nota in falsetto, a imitazione dei sopranisti che prima di lui e di Nourit, sopraneggiavano nel registro cosiddetto "di testa", che oggi nessun pubblico consentirebbe.
Allora non era dato all'artista ascoltarsi nel "provino". Dopo una settimana di attesa nervosa, tornai a Filadelfia per incidere in francese la Carmen, il Faust e la Leggenda di Kleintzack dai "Racconti di Hoffmann". Per la Carmen, da eseguirsi in francese e "alla francese", volli emettere quel "Je m'enivrais" a mezza voce, quasi un "misto", per adattarmi allo stile d'oltr'Alpe, in uso all'Opèra Comique parigina. Il Faust, anche in francese, presentava lo scoglio del "Je devine la présence" con quel 'do' di "présence" e quella "en" nasale e pericolosa che all'Opéra si esige venga emessa in falsetto. Riuscii però a spiegare la voce senza eccessiva ampiezza, in guisa che l'alta nota non alterasse l'equilibrio e le proporzioni dell'esecuzione complessiva. Dopo di che la direzione della VICTOR COMPANY richiese improvvisamente un altro brano in francese: la "Leggenda di Kleintzack", che io non conoscevo. Seduta stante, ne improvvisai l'incisione, leggendo il testo musicale. Chissà che cosa sarebbe venuto fuori. Per contro, la direzione ne rimase soddisfattissima, con grande mia sorpresa e incredulità. Quando ascoltai il disco, non potei però non rilevare a me stesso che la dizione francese era tutt'altro che ortodossa.
Tuttavia il disco ebbe fortuna, al pari dello Schiavo di Gomez, la cui romanza "Quando nascesti tu" era famosa in quel tempo per essere stata eseguita da Caruso che, morto quattro anni prima, aveva lasciato dietro di sé una scia luminosa. La mia voce era in piena formazione e non poteva riprodurre le oscure risonanze di cui la voce partenopea aveva fatto tanto sfoggio nell'incisione del brano. Tentai dunque di introdurre sfumature e mezze voci nei punti propizi, secondo l'espressione verbale. (...) La novità consistente nell'alternare lo stile "eroico" al "romantico", in contrasto con l'enfasi cordiale della fonetica carusiana, non dispiacque ai dilettanti e agli studenti di canto che nella nuova versione, rilevarono nuove opportunità di adattamento secondo i vari criteri interpretativi. Altra melodia scabrosa per l'incisione mi si affidava negli Studi della Victor: "Eran rapiti i sensi" dalla Norma. Quella vocale "i" sul 'do' acuto, costituiva un problema serio sotto l'aspetto tecnico dell'incisione sonora. Un salto di "quarta" a piena voce (sen-si) poteva danneggiare l'intera registrazione. La quale, per altro, risultò nitida e carica di "élan vital": slancio degno di un Proconsole romano. (...) »
[da: Ricordo, scritto da GIACOMO LAURI-VOLPI, dei Dischi a 78 giri registrati negli Stati Uniti (Filadelfia) nel periodo 1928-1929, e di come incise il 16 gennaio 1928 "A te o cara" (dei "Puritani" di Bellini) in tono con il do diesis sopracuto]
DE LUCA, sulle incisioni a 78 giri ascoltate da grammofoni:
Il signor De Luca rilascia alcuni pertinenti commenti sulla discussione che ha avuto luogo sull' "Open Forum" del "Musical America" su chi è il più grande baritono. Non è d'accordo, ad esempio, con quelli che, mentre vorrebbero indicare Battistini come il più grande baritono, lo considerano in realtà un tenore. "No, Battistini è un baritono", egli commentò, "un baritono che canta con arte meravigliosa, il suo registro è più bianco di quello di un baritono ordinario. Ma la sua voce è quella di un vero baritono". (...)
Il baritono non crede nel fonografo come infallibile test per la voce, come, del resto, è stato usato da alcuni corrispondenti dell' "Open Forum" nella discussione sul baritono più grande. "Ci sono alcune voci che rendono molto bene una volta registrate dalla macchina" disse, "come fossero certe facce che risultano più belle nello schermo". "Ci sono molti buoni cantanti le cui note non rendono bene se riprodotte, e per questa ragione io non credo che usare un registratore possa essere una prova affidabile. Inoltre essa non può mostrare l'arte drammatica del cantante, la sua espressione facciale, la presenza scenica, etc.".
"Comunque, non penso che, come alcuni dei lettori suggeriscono, questi dischi dei cantanti saranno di valore per la posterità tramandando un'idea di ciò che sono i cantanti del presente. Per esempio, noi abbiamo qualche registrazione di Battistini, ma non sono veramente buone e non daranno ai posteri un'adeguata impressione sul cantante."
(da un'intervista rilasciata da De Luca e pubblicata prima del debutto al Metropolitan di New York, del 25 novembre 1915 nel ruolo di Figaro - "Musical America", 6 novembre 1915)
Qualche anno più tardi affermava:
"Posso dire come riproduco un suono o una frase tramite le mie sensazioni. Naturalmente non posso udire l'effetto totale: nessun cantante può realmente udire l'effetto del suo lavoro, eccetto che sulla registrazione che gli può offrire, per la prima volta, il suono della sua voce". [Giudizio di De Luca sul disco nel 1920]
Molti anni dopo, il giudizio di De Luca sulle registrazioni a 78 giri cambiava radicalmente. Egli diceva che:
"Le registrazioni acustiche ci permettono di ricreare dal vivo interpretazioni famose e quindi costituire un legame diretto con l'eredità musicale ricevuta dal passato, come queste del presente che si legheranno a quelle del futuro. Quindi tali preziosi dischi devono essere conservati". [Affermazione di De Luca del 1949]
[come riportato in: William Shaman - "Giuseppe De Luca: A Discography" - Symposium Records, 1991]
JERITZA - 'Cantare per il fonografo':
(...) Quando mi recai nei laboratori della casa di produzione per la quale avevo accettato di fare dei dischi operistici, sapevo già una cosa per via della mia precedente esperienza: che dovevo cercare di cantare con la stessa naturalezza che usavo in palcoscenico. Ma una volta giunta lì, sapevo che l'unico modo per farlo sarebbe stato quello di dimenticare completamente quel che mi circondava, poiché l'ambiente a disposizione era tutt'altro che una scenografia.
Prima di tutto, le incisioni venivano fatte in una piccola stanza, talmente piccola che il gruppo dell'orchestra era ridotto a dieci o quattordici elementi che mi accompagnavano, i quali dovevano sedere vicini, faccia a faccia. Poi giungeva il momento del canto vero e proprio. Con l'orchestra posta così a ridosso del cantante il suono degli strumenti è così soverchiante da coprire la voce e cantando non riuscivo a sentirmi. Tale inconveniente, naturalmente, non si verifica mai una volta che il disco viene ultimato e perfezionato, e quando l'orchestra è stata "attenuata" in modo che la voce del cantante risalti sopra di essa.
Ma in quel momento risulta molto deconcentrante. Quando la cantante non riesce più a sentire la propria voce, si sente smarrita; tuttavia ho trovato il modo di superare tale difficoltà tenendomi le mani sulle orecchie, escludendo così l'orchestra. Una volta fatto ciò, sapevo di cosa si trattava e non ho avuto ulteriori problemi.
Dopodiché c'è la questione della regolazione della propria posizione, mentre si sta in piedi e si canta, in modo da essere esattamente alla distanza giusta dal ricevitore. Per i suoni del registro grave ci si deve avvicinare, per quelli del registro acuto ci si deve allontanare. Il meccanismo di ricezione è delicato: se il cantante produce un potente suono acuto troppo vicino alla macchina di registrazione, la sua pressione potrebbe facilmente danneggiare il ricevitore rompendolo. La pressione improvvisa dev'essere evitata. Se cantassi un passo 'piano' o a 'mezza-voce' ed improvvisamente dovessi produrre un suono acuto di potenza e volume considerevoli, il ricevitore, con ogni probabilità, non sopporterebbe lo sforzo.
La prima registrazione di un disco è sempre di tipo sperimentale. Consente alla cantante di sentirsi come ella 'non' vorrebbe risultare, le indica dove è in errore per quanto riguarda la distanza dalla macchina di registrazione, e le consente di apportare le dovute correzioni. Già la seconda registrazione, di regola, segna un progresso. E poi, avvicinandosi alla perfezione ad ogni ripetizione, arrivano una terza e una quarta registrazione e tante altre ancora quante ne possono essere necessarie per ottenere i risultati ottimali.
È facile dunque capire perché un'artista preferirebbe due ardue prove di palcoscenico ad una "sessione" di registrazione. È il genere peggiore di duro lavoro, ed assai arduo. In una piccola stanza, in circostanze ed ambienti del tutto diversi da quelli in cui di solito ella canta le proprie arie, l'artista è chiamata a cantarle ugualmente bene, se non meglio di quanto faccia in teatro. Eppure è una cosa fattibile se l'intelligenza e la concentrazione vengono esercitate a tal compito.
Una cosa che si tende a dimenticare è che mentre il ricevitore sta registrando, il minimo suono, una parola, un sussurro, il rumore di un movimento, la caduta di uno spillo, viene registrato assieme alla musica. È per questa ragione che solo all'artista stessa, ed a coloro che in altro modo sono direttamente coinvolti nel realizzare la registrazione, è permesso di stare in sala d'incisione. La prudenza è cosa saggia.
Ricordo che una volta ottenni il permesso di farmi accompagnare da un'amica affinché potesse assistere alla mia incisione di un disco. Era la ballata di Senta, da "L'olandese volante", e la mia amica aveva osservato con interesse il graduale sviluppo dell'incisione nel diventare un disco veramente ottimo. Quando, però, cantai il brano per l'ultima volta, per realizzare il disco finale, ella si dimenticò completamente della regola del silenzio, e non appena l'ultima nota uscì dalla mia bocca gridò, entusiasta: "Oh, l'hai cantata magnificamente!" L'accompagnamento non era ancora giunto al termine e com'era prevedibile, quando venne letto il disco quest'ingenua esclamazione "Oh, l'hai cantata magnificamente!" risuonò nel modo più comico possibile. Ovviamente, andò rifatto tutto daccapo.
E nonostante le pareti insonorizzate della sala di registrazione, certi rumori, se sono abbastanza acuti e striduli, entrano comunque. So che tutte le incisioni terminavano nell'avvicinarsi alle dodici di mattina, dato che altrimenti qualunque aria d'opera stessi cantando sarebbe stata interrotta dal suono dei fischietti della fabbrica che dappertutto annunciavano l'ora del mezzogiorno.
C'è un modo piuttosto sicuro per dire se la registrazione di un brano è venuta bene, anche se non la si è ascoltata. Non appena la registrazione è stata effettuata, si osservi il solco del disco al microscopio. La linea del solco rivela la verità: se questa è irregolare, con numerose interruzioni, il disco è privo di valore; se invece è regolare e non mostra interruzioni, allora quello sarà un buon disco.
(...) When I journeyed out to the laboratories of the company for which I had agreed to make some opera records, I already knew one thing out of my previous experience: that I must try to sing just as naturally as I would on the stage. But when I arrived, I knew that the only way I could do so would be to forget my surroundings completely, for my setting was anything but a stage setting.
First of all the records were made in a small room, a room so small that the numbers of the little orchestra of ten or fourteen men which accompanied me had to sit close together, knee to knee. Then came the actual singing itself. With the orchestra so close to the singer the sound of the instruments is so overpowering that it drowns the voice and I could not hear myself sing. This effect, of course, is never made when the record has been finished and perfected, and the orchestra has been "toned down" so that the singer's voice stands out above it.
But at the time it is very distracting. When the singer no longer can hear her own voice she is at a loss; but I found myself able to overcome this difficulty by holding my hands over my ears, thus shutting out the orchestra. Once I did this I knew what I was about and had no further trouble.
Then there is the matter of adjusting your position, as you stand and sing, so that you are at exactly the right distance from the receiver. For deep register tones one comes closer, for high register tones one moves farther away. The receiving mechanism is a delicate one: if the singer produces a powerful high tone too near the machine, its pressure may easily break the receiver. Sudden pressure has to be avoided. If I were singing a passage 'piano' or 'mezza-voce' and suddenly were to produce a high tone of considerable power and volume, the receiver, in all probability would not stand the strain.
The first record made is always an experimental one. It enables the singer to hear herself as she would 'not' be, points out to her where she is at fault as regards her distance from the machine, and allows her to make the necessary corrections. The second recording already, as a rule, marks an advance. And then, growing nearer perfection with each repetition, come a third and a fourth and as many more recordings as may be necessary to secure the perfected results.
It is easy to see now why any artist should prefer two arduous stage rehearsals to one recording 'séance'. It is the hardest kind of hard work, and very exacting. In a small room, under circumstances and amid surroundings altogether different from those under which she usually sings her arias, the artist must sing them as well, if not better, than she does in the opera house. Yet it is something that can be done if intelligence and concentration are brought to bear on the task.
One thing apt to be forgotten is that while the receiver is recording, the least sound, a word, a whisper, the noise of a movement, the dropping of a pin, is recorded together with the music. It is for this reason that only the artist herself and those otherwise directly concerned in making the record are allowed to be in the recording room. The precaution is a wise one. I remember that on one occasion I secured permission for a friend to accompany me, and watch me make a record. It was "Senta's" ballad, from "The flying Dutchman", and my friend had watched with interest the gradual building up of the song into a really fine record. When I sang it for the last time, to make the final record, however, she forgot all about the rule of silence, and no sooner had the last note left my mouth than she cried out, enthusiastically: "Oh, you sang that beautifully!" The accompaniment had not yet come to an end and sure enough, when the record was played this artless cry of "Oh, you sang that beautifully!" rang out in the most comical way. Of course, the whole thing had to be done over again.
And in spite of the sound-proof walls of the recording room, certain noises, if they are high and shrill enough, manage to get in. I know that all recording came to an end when we neared twelve o'clock, since otherwise whatever opera air I was singing would have been punctuated by the sound of the factory whistles which everywhere announced the noon hour.
There is a fairly certain way of telling whether your record of a song has turned out well, even though you have not heard it. As soon as the record has been made one takes a look at the impression through a microscope. The line of the impression reveals the truth: if the line is irregular, with numerous breaks, the record is worthless; but if the line is smooth and shows no breaks, then the record will be a good one. (...)
(Maria Jeritza - "SUNLIGHT AND SONG, A Singer's Life", trans. by Frederick H. Martens - D. Appleton and Company, New York - London 1924 - trad. it. di Mattia Peli)
TETRAZZINI - 'L'artista e il grammofono':
Ai tempi della mia giovinezza solo coloro che abitavano nelle grandi capitali potevano sperare d'udire artisti come la Patti, Tamagno, Caruso, Battistini e così via, ed anche costoro solamente se i mezzi glielo permettevano, cosa che non accadeva spesso per quegli studenti che erano poveri.
Al giorno d'oggi chiunque può godere di questo privilegio inestimabile, ovunque risieda, con una spesa relativamente esigua grazie all'azione del grammofono.
E può sentirli cantare non solo di tanto in tanto, ma tutte le volte che vuole e direttamente a casa propria. Se gli capita di studiare qualche ruolo particolare può essere "istruito" - in questo che è il modo più pratico e insuperabile possibile - da tutti i più grandi artisti lirici del momento. Può prendere un'aria particolare e sentirla cantata da Caruso più e più volte finché non avrà familiarità con ogni dettaglio della sua interpretazione—può notare il suo respiro, il suo fraseggio e ogni altro dettaglio inciso sul disco, in una maniera che sarebbe del tutto impossibile con qualsiasi altro mezzo.
E dopo aver ascoltato Caruso, può pure sentire, se vuole, lo stesso brano cantato da diversi altri grandi artisti, e beneficiare ancora di più degli ascolti confrontando le loro rispettive letture—notando come si assomigliano o come differiscono, a seconda dei casi, apprendendo tra l'altro in questa fase quanto un'interpretazione possa divergere notevolamente da un'altra ed essere comunque di prim'ordine.
Non solo, ma può allo stesso modo familiarizzare con intere opere, poiché alcune case discografiche pubblicano le raccolte complete delle opere più note che vengono riprodotte nella loro interezza: le parti vocali, l'orchestra e tutto in questo modo meraviglioso. Si potrebbe pensare, veramente, che la generazione futura, con il sostegno di un aiuto di così gran valore, debba fornirci ottimi cantanti in tale abbondanza che il mondo non ha mai visto precedentemente. Resta da vedere se sarà così o no. Ma certamente si può dire che mai prima d'ora gli studenti siano stati così straordinariamente aiutati. Io stessa ho il piacere di testimoniare che ho tratto il massimo beneficio oltre che gioia dalle registrazioni della Patti, mentre il signor John McCormack ha similmente riconosciuto il suo debito alle meravigliose interpretazioni di Caruso.
E spero, in tutta modestia, che gli studenti della generazione attuale possano trarre a loro volta un aiuto simile dalle registrazioni che io stessa ho realizzato. Senza dubbio il grammofono dovrebbe essere la guida, il filosofo e l'amico—l'aiuto e l'assistente più fidato e competente—non solo per ogni studente, ma anche per ogni insegnante dei giorni nostri.
Certamente, l'allievo è soltanto umano e spesso è riluttante a credere che ci siano gravi difetti nella propria voce. Mentre gli altri possono rilevare i suoi errori, l'allievo non può ascoltare in modo intelligente la propria emissione difettosa mentre canta.
Ma portatelo in una sala di registrazione e fatelo cantare nella tromba per registrare la propria voce, e assicuratevi che si riascolti mentre l'operatore prova il disco che ha fatto. Sarà sicuramente sorpreso di scoprire quanti difetti vi sono.
La sua emissione può essere ingolata, nasale o quel che volete. Il tutto è chiaramente evidenziato dal grammofono.
Non esiste strumento che è così studiato per togliere la presunzione a un giovane artista come lo è il grammofono. L'osservare la sua faccia mentre ascolta per la prima volta la propria voce è di solito il godersi una pantomima in miniatura.
Tuttavia, il grammofono è uno stimolo per guidare l'artista verso la perfezione e, naturalmente, un grande aiuto per il professore di musica.
BEFORE leaving the subject of practising I should like to add a word as to the value of the gramophone to the intelligent student. This is, indeed, a truly invaluable adjunct. If to hear the greatest singers is the finest of all experiences for the student, how can it indeed be otherwise? For here in the most convenient manner possible is the means provided for doing this. In the earlier pages of this volume I have recorded what inestimable advantages I derived in my own case from the constant hearing of fine singing from my earliest childhood. Now, by means of the gramophone, the same advantage is at the command of every one wheresoever he, or she, may happen to reside.
In my younger days only those dwelling in the great capitals could hope to hear such artists as Patti, Tamagno, Caruso, Battistini, and so forth, and even those only if means permitted, which was not often in the case of poor students.
To-day any one can enjoy this priceless privilege, wherever he may happen to reside, for a comparatively small outlay through the agency of the gramophone.
And he can hear them not only now and again, but as often as ever he likes and by his own fireside. If he happens to be studying some particular rôle he can be "coached" in this most practical and unrivalled manner by all the greatest artists of the day. He can take a particular aria and hear it sung by Caruso again and again until he is familiar with every detail of his rendering—can note his breathing, his phrasing, and every other detail in a manner which would be quite impossible by any other means.
And having heard Caruso he can then hear the same number sung by various other great artists if he chooses, and benefit still more by comparing their respective readings—by noting how they resemble one another or how they differ, as the case may be, incidentally learning in the process how widely one interpretation may differ from another and still be of the highest order.
Not only this, but he can familiarise himself with entire operas in the same way, for certain of the companies issue complete albums of the best known works which are reproduced in their entirety—vocal parts, orchestra, and all in this marvellous manner. One would think, indeed, that the coming generation should provide us with fine singers in such plenty as the world has never known before with the aid of such priceless help.
Whether it will be so or not remains to be seen. But certainly it may be said that never before have students been so wonderfully helped. I myself have pleasure in testifying that I have derived the greatest benefit as well as delight from the records of Patti, while Mr. John McCormack has similarly acknowledged his indebtedness to the wonderful renderings of Caruso.
And I hope in all modesty that students of the present generation may derive similar help in turn from the records which I myself have made. Beyond a doubt the gramophone should be the guide, philosopher, and friend—the most trusted and most competent aid and coadjutor—not only to every student, but also to every teacher of the present day.
Of course, the pupil is only human and often reluctant to believe that there are grave faults in his voice. Whilst others can detect his mistakes, the pupil cannot listen intelligently to his own faulty emission while singing.
But take him to a recording-room and get him to sing into the recording-horn, and let him listen as the operator tries over the record he has made. He is sure to be surprised to find how many faults there are.
His production may be throaty, nasal, or what you will. It is all brought out clearly by the gramophone.
There is no instrument that is so calculated to remove the conceit from a young artist as the gramophone. To watch his face as he first listens to his own voice is usually to enjoy a miniature pantomime.
Nevertheless, the gramophone is a spur to drive the artist forward to perfection, and, of course, a great aid to the music professor.
(from: Luisa Tetrazzini - "How to Sing" - New York, George H. Doran Company, 1923 - trad. it. di Mattia Peli)
CONTRIBUTI MODERNI ALLA PEDAGOGIA VOCALE (GRAMMOFONO, RADIO, ECC.) — L'epoca moderna ha creato uno speciale complesso di elementi sussidiari, che possono recare un notevole contributo alla didattica vocale.
Il disco grammofonico, per esempio, può intanto costituire già un importante mezzo di cultura: esso consente la ripetuta esecuzione — e quindi la conoscenza, anche profonda — di molte musiche poco note, eppure interessantissime; ma sopra tutto consente un diretto esame delle diverse interpretazioni dei grandi artisti (magari già scomparsi o lontani) e il cui confronto può essere sempre oggetto di studi e di rilievi importantissimi: non allo scopo di procedere ad una pedestre imitazione, ma bensì per seguirne il particolare processo ricreativo dell'opera vocale. Ma un altro importante pregio didattico offre ancora il disco grammofonico: e consiste nel dare all'allievo l'eventuale possibilità di ascoltare la propria voce fedelmente riprodotta nell'incisione grammofonica. Attraverso questa riproduzione, che gli consente di considerare il proprio canto con singolare oggettività, il cantante rimane quasi sempre assai sorpreso delle manchevolezze, che si rivelano e di cui non aveva affatto coscienza. (Si tratta di una situazione, per molti aspetti, analoga a quella degli attori cinematografici, che solo nella visione diretta di un proprio film possono avvertire le manchevolezze e le insufficienze del proprio gesto; e quindi correggerle).
Come il disco grammofonico, anche la radio è, oggi, un mezzo diffusissimo — anzi indubbiamente il più diffuso — di cultura musicale, per la frequenza delle trasmissioni delle grandi esecuzioni, che avvengono in tutto il mondo; ma la radio offre anche l'adito a interessanti considerazioni tecnico-vocali; essa predilige le emissioni morbide e le voci ricche di timbro; inoltre il microfono, mediante aspre vibrazioni metalliche, rivela con una sincerità inesorabile e implacabile le emissioni vocali forzate.
[da: Luigi Cocchi - "Il canto artistico", 1939]
SAROBE:
"Lo studio della voce con il grammofono è molto utile. Tuttavia, l'allievo deve essere guidato dal docente, che gli dirà che cosa è giusto e cos'è sbagliato. Ogni anno sarebbe opportuno che il cantante registrasse alcuni dischi per osservare la differenza e correggere i difetti.
Per essere un grande artista devi essere molto esigente."
[da: Celestino Sarobe (allievo di Mattia Battistini, baritono e "Profesor de Canto y Alta Opera del Conservatorio del Liceo") - "Venimécum del Artista Lírico" - Barcelona, 1947 - trad. it. a cura di Mattia Peli]
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