domenica 31 maggio 2020

Confronto fra Parole e Musica secondo Rossini e Stendhal

 

«Se la voce umana, raffrontata agli strumenti, ha minor forza, possiede però, ad un grado perfetto, il potere di graduare i suoni. La diversità delle inflessioni, cioè l'impossibilità per la voce di essere "senza passione", è assai più importante, a parer mio, del vantaggio di  pronunciare le parole. (...) non sono le parole più forti come "vi odio a morte" oppure "vi amo alla follia" che fanno la bellezza di un verso; sono le "sfumature", sia nella posizione delle parole, sia nelle parole stesse, che "provano" la verità della passione e che destano in noi la simpatia. Ma le sfumature non possono essere ammesse, per mancanza di spazio, nelle cinquanta o sessanta parole che formano un'aria italiana; quindi le parole possono essere soltanto un semplice "canovaccio"; la musica ha il compito di rivestirlo di colori  vivaci.»

(Stendhal - 'Vita di Rossini' - Paris, 1824)
 

UNA PASSEGGIATA IN COMPAGNIA DI ROSSINI

Rossini (...) mi disse:
« (...) La musica non è un'arte imitatrice, ma tutta ideale quanto al suo principio, e quanto allo scopo, incitativa ed espressiva. La pittura e la scultura sono arti essenzialmente imitatrici, perciocchè imitano il vero; e l'ideale di quelle arti consiste nel formare di varie parti prescelte un tutto perfetto: Esse, imitando, rappresentano ciò che l'uom vede, e parlano agli occhi ed all'animo col muto linguaggio degli atteggiamenti. La musica non intende, e non può far pervenire agli orecchi una sembianza di tutto ciò che l'uom ode; ma lo risveglia, lo anima in mezzo ai pericoli delle battaglie, lo conforta e lo fa lieto nella solitudine dei campi, e con nuovo linguaggio, tutto suo proprio, parla al cuore, ridesta le affezioni più vive, rallegra, rattrista, atterrisce, commove. Saprete già che vi sono quattro caratteri o generi  di musica; il marziale, il pastorale, il severo, il grazioso. La musica  guerresca e la pastorale, poco meno del tempo antiche, sono un trovato  dell'uomo, il quale per sua natura cerca il diletto, ed abbisogna d'incitamenti e di conforto. Gli altri due generi, ideali ancor essi, sono più particolarmente espressivi. (...)
La musica può imitare imperfettamente solo quel vero che produce suono; la pioggia, il tuono, la tempesta, un piagnisteo lamentevole, uno strepito festoso. Il canto sì, il canto, di sua natura espressivo, in certo modo imita la  declamazione: Ma una facoltà sì limitata non si può prendere per l'attributo essenziale della imitazione. La musica è una sublime arte appunto perchè, non avendo mezzi per imitare il vero, s'innalza al di là della natura comune in un mondo ideale, e colla celeste armonia commove le passioni terrene. La musica, vi ripeto, è tutta ideale, non è un'arte imitatrice. (...)
Ponete ben mente, che l'espressione della  musica non è quella della pittura, e che non consiste nel rappresentare al vivo gli effetti esteriori delle affezioni dell'animo, ma nell'eccitarle in chi ascolta. E questa è la possanza del linguaggio, il quale esprime e non imita. Se non che la possanza del linguaggio è più  estesa, quella della musica più intensa. Le parole hanno virtù di rappresentare gli affetti alla mente e di concitarli nel cuore; la musica solo di concitarli, ma assai fortemente. La musica si può dire essere una specie di linguaggio armonioso. L'espressione della musica non è così chiara ed esplicita come la significazione della parole, non è così apparente e viva come le immagini e gli atteggiamenti della pittura, ma è più attraente e d'ogni poesia più poetica. La parola sarebbe un suono vano senza il significato attribuitole per convenzione. Non è così della musica, linguaggio espressivo per sè medesimo che, senza l'opera della mente di colui che ascolta, gli penetra immediatamente all'animo e fortemente lo commove. Il linguaggio della musica è comune ad ogni generazione di popoli, e da tutti s'intende, perchè s'intende col cuore. Aggiungete che è variatissimo per la varietà infinita delle modulazioni, ed acquista forza ed avvenenza dal concorso di più voci e di più suoni; dove le parole si succedono le une alle altre e, se molte ne uscissero ad un tempo, produrrebbero un mormorìo  confuso e perderebbero tutta la loro efficacia. La musica produce effetti maravigliosi quando si accompagna all'arte drammatica, quando l'espressione ideale della musica si congiunge alla espressione vera della poesia, ed alla imitativa della pittura. Allora, mentre le parole e gli atti esprimono le più minute e le più concrete particolarità degli affetti, la musica si propone un fine più elevato, più amplo, più astratto. La musica allora è, direi quasi, l'atmosfera morale che riempie il luogo, in cui i personaggi del dramma rappresentano l'azione. Essa esprime il destino che li persegue, la speranza che li anima, l'allegrezza che li circonda, la felicità che li attende, l'abisso in cui sono per cadere; e tutto ciò in un modo indefinito, ma così attraente e penetrante, che non possono rendere nè gli atti nè le  parole. Vi sono pur tante cose intorno a noi, le quali non per forza d'imitazione, non per un significato di convenzione, ma per virtù propria esprimono ed eccitano i nostri affetti. Un cielo sereno non imita il riso, e pure, perchè rallegra, lo chiamiamo ridente; chiamiamo trista la notte che ci risveglia melanconici pensieri. La musica drammatica spesso tiene luogo di quelle cose (notate bene tien luogo, non le imita) che senza essere la causa vera movente un affetto, pure lo eccitano in noi per loro stesse, perchè o sogliono precedere quella causa, o accompagnarla, o sono ad essa correlative. All'entrare in una foresta selvaggia ricettacolo di malandrini, l'oscurità del sito, il soffiare dei venti, il muoversi delle frondi, un incerto mormorio, un calpestìo, un fischio vi fa sgomentare, come se i masnadieri vi fossero sopra. Così, ad esempio, nell'ultim'atto dell' "Otello", prima del comparire di costui e prima ch'egli sfoghi la sua gelosa rabbia sull'infelice donna, la musica, se ottiene il fine a cui mirai, per sè medesima, indipendentemente dalle parole disporrà gli animi a quella orribile scena. Questa forza d'espressione si dee sentire da chi compone, non s'impara alle scuole, non vi son regole per insegnarla e tutta consiste nel ritmo. (...)
L'espressione musicale, vi dissi, sta nel ritmo, nel ritmo tutta la potenza della musica. I suoni non servono all'espressione, se non se come elementi di cui il ritmo si compone. Il magistero del compositore di musica consiste nel disporre dinanzi alla mente le scene o, come si suol dire, le situazioni principali del suo melodramma, nel considerare le passioni, i caratteri più rilevanti, la natura di esso, lo scopo morale, la catastrofe. Dee  quindi adattare con arte il carattere della musica al soggetto drammatico, e trovare un ritmo affatto nuovo, se il può, di nuovo effetto, se il può, ma tale che valga ad esprimere l'indole del dramma, e di mano in mano le situazioni, i caratteri, le passioni più rilevanti. Non si fermerà alle parole se non che per accordare con esse il canto, senza però scostarsi dal carattere generale della musica, che avrà trascelto, di guisa che le parole piuttosto servano alla musica, di quello che la musica alle parole. Le parole, in una scena patetica o terribile, saranno or liete or triste, ora di speranza ora di timore, di preghiera o di minaccia, secondo il movimento che a grado a grado il poeta volle dare alla scena. Se il maestro si farà a seguire di pari passo il senso delle parole, comporrà una musica non espressiva per sè  medesima, povera, volgare, fatta, dirò così, a mosaico, ed incongruente o ridicola.»

(riportato in: Antonio Zanolini - "Biografia rossiniana" - Bologna, 1875)

mercoledì 27 maggio 2020

Il decalogo di Puccini (10 Commandments of Puccini)


Giacomo Puccini seduto al pianoforte

 

"Tutto non si può scrivere" - ammoniva Puccini, alludendo, si capisce, al "quid" imponderabile che la musica è chiamata ad esternare con la forza espressiva, "spesso condensata" - aggiungeva acutamente - "in una sola nota e perfino in una pausa": in uno di quei silenzi che il grande Maestro chiamava "musica sottintesa".
"Ma se tutto non è possibile scrivere, da parte nostra, si rispetti al massimo grado, da parte degli esecutori, ciò che è stato possibile segnare negli spartiti e nelle partiture". E questo, si badi bene, lo diceva parlando della musica di altri musicisti, che venerava: ma, si capisce, lo stesso discorso poteva e doveva servire per la sua musica. Per la quale, bisogna dirlo, era esigentissimo. 



Così si legge nell'introduzione del libro "Puccini interprete di se stesso" del 1954, scritto da Luigi Ricci, rinomato pianista, preparatore vocale e direttore, che collaborò con Puccini per alcuni anni preparando le opere da Manon Lescaut al Trittico.

Un esempio pratico di come Puccini sia stato 'esigentissimo' ci viene descritto sempre dal Ricci più tardi, nel 1977 ( --> http://belcantogigli.blogspot.com/2020/03/beniamino-gigli-e-giacomo-puccini.html ):

Nel gennaio del 1918 (avevo già cominciato a lavorare in palcoscenico 'gratis', così allora s'incominciava a lavorare per far pratica) ci fu una esecuzione di "Rondine" presente l'Autore. E' con la Rondine che io ho iniziato la collaborazione col Maestro Puccini, che doveva durare ininterrottamente per circa sette anni.
Il tenore per quest'opera doveva essere Carlo Hachett, ma all'ultimo momento si ammala. Era compromessa l'andata in scena. Il tenore Pertile, che aveva intepretato l'opera al Comunale di Bologna, era impegnatissimo al Teatro alla Scala. Come fare? Beniamino Gigli che cantava "Lodoletta" e doveva cantare in seguito "Gioconda", "Mefistofele" e "Tosca", lo interpellarono. Gigli rifiutò e si comprende benissimo la ragione del suo rifiuto: opera non facile e pochi giorni per studiarla. Tuttavia mostrò il desiderio che io gli suonassi e accennassi l'opera al piano. Gli piacque, lo tratteneva soltanto la ristrettezza del tempo. Il Maestro Puccini, Emma Carelli e in buona parte anche io, data la grande amicizia che mi legava a Gigli, riuscimmo a vincere la sua riluttanza. Ci ponemmo al lavoro. Dopo due giorni d'intenso e profondo studio, sapendo come il Maestro Puccini era esigente e incontentabile per l'interpretazione delle sue opere, andai dalla signora Carelli e le dissi che sarebbe stato utile che il Maestro assistesse almeno una o due volte alle lezioni per darci la sua interpretazione, le sue desiderata, perchè io non avevo mai sentito l'opera. E così fu. Per tre giorni l'Autore di Bohème, venne durante le lezioni. Eravamo nel salone delle prove al Costanzi: Puccini, Gigli ed io. Poi venne il Maestro Panizza che dirigeva l'opera. Il Puccini c'insegnò l'interpretazione del personaggio, gli effetti vocali, i rallentati, affrettati ecc. In certe pagine non c'era un quarto uguale all'altro, e tutte queste cose sullo spartito non erano scritte. Io mi permisi di dire al Maestro: "Perchè non ha scritto sullo spartito tutte queste splendide interpretazioni?" Mi rispose: "Oh come si può scrivere tutto questo?"
In una settimana Beniamino fu pronto. Egli sapeva non soltanto cantare quest'opera con quella sua gola d'oro, ma la sapeva interpretare con arte sovrana, grazie alle prove avute con l'Autore. Puccini ne fu entusiasta. Gigli insieme alla insuperabile protagonista Gilda Dalla Rizza, la prima interprete dell'opera a Montecarlo, ebbe un successo personale.

(da: Luigi Ricci - "Ricordando Beniamino Gigli e il suo tempo" - Roma, 14 novembre 1977)


 

Ecco dunque il "DECALOGO" pucciniano, come ci testimonia il Ricci:

I. - I TEMPI
II. - I COLORITI DI ESPRESSIONE
III. - I COLORITI DELLA SONORITA'
IV. - LE CORONE
V. - I PORTAMENTI
VI. - LA DEDIZIONE DEGLI ARTISTI
VII. - GLI SCENARI E L'ATMOSFERA DRAMMATICA
VIII. - IL SIPARIO INTESO COME MUSICA
IX. - LA MUSICA IN PALCOSCENICO
X. - FORZA SUGGESTIVA DELLE CAMPANE


I. - I TEMPI
Le indicazioni usate da Puccini nei riguardi del movimento agogico di questo o di quel brano di musica teatrale, non si discostano dalle usuali denominazioni: "lento, grave, adagio, largo, larghetto, andante, andantino, moderato, allegretto, allegro, presto", ecc.; e nemmeno le altre consuete indicazioni, che appaiono come ampliamenti o anche sfumature delle precedenti, subiscono nel musicista lucchese varianti di speciale importanza. Troviamo, cioè, lungh'esse le pagine degli spartiti la normale e consuetudinaria terminologia più o meno abbreviata: "allargando, ritardando, stentando, rallentando, accelerando, affrettando, stringendo", ecc.
In Puccini, un'importanza notevolissima acquistano le altre sottospecie agogiche: quelle espresse dalle parole: "più", "meno", "assai", "molto più", "molto meno" e che modificano alquanto il primitivo significato.
Puccini aveva una sensibilità acutissima nei riguardi di tutta questa varietà di movimenti ritmici: tanto di quelli fondamentali, o generali che dir si voglia, quanto di quelli restrittivi o secondari. All' "Andante", per esempio, voleva che effettivamente corrispondesse il suo esatto movimento; e cioè: "moderato", "piuttosto lento", "ma non del tutto lento". In generale quando si trattava di tempi lenti, il suo fiuto era d'una finezza straordinaria. Diceva che i tempi "troppo lenti" fanno morire l'azione, la narcotizzano, la rendono accidiosa e pesante, come tutte le cose morte.
Questa sua fobia dei tempi troppo lenti, era suscettibile - come tutte le regole - della sua brava eccezione; ma ho sentito più d'una volta la voce cordiale di Puccini spronare confidenzialmente il direttore d'orchestra: "Maestro! se s'addormenta lei, ci addormentiamo tutti!". Oppure: "Vita, vita, maestro! Non rallenti troppo. Non sente che questo brano casca a brandelli, che questo frammento si sbriciola, quest'altro s'impaluda?".
"Tutti han diritto al riposo" - sentenziava, bonario - "ma la musica non deve mai appisolarsi nè tanto mano star sveglia a mala pena e cascar morta dal sonno". Anche ammoniva: "La stasi è la negazione della musica, specie della musica teatrale. Anche un passo grave deve accusar la vita. La gazzella e l'elefante si muovono con la deambulazione che è loro propria: ma guai se piegano le gambe e stramazzano a terra...".
In queste immagini c'è tutto Puccini.


Comunque, a evitare equivoci sostanziali sulla dinamica generale del pezzo, il metronomo faceva buona guardia.
I numeri di metronomo segnati da Puccini sugli spartiti e nelle partiture sono esattissimi. Qualche indicazione numerica è stata cambiata, qualche altra aggiunta. Non c'è segno di metronomo che non sia stato da me scrupolosamente controllato in ognuna delle moltissime esecuzioni, alle quali assistette l'Autore. Ma, anche in questa del metronomo, bisognava con Puccini intendersi chiaramente. Era troppo ovvio, per lui, che altro è lo "stacco" giusto, esattamente corrispondente al numero metronomico; e altra cosa è lo svoglimento del nastro melodico. Qui entrava in funzione un altro metronomo: il cuore - "il Maelzel che sta dentro di noi" - come diceva Puccini. Qui entra in funzione quell'imponderabile "quid" che gli faceva dire: "Non tutto si può scrivere". No, non tutto si può scrivere: ma molto si deve sentire. E, d'altra parte, il molto sentire non deve far causa comune con l'arbitrio, nè venire in combutta con i capricci interpretativi.
Qualche sensibile oscillazione e un certo divario dal pensiero dell'Autore si può maggiormente verificare nell'interpretazione delle indicazioni dinamiche secondarie, o, diremo meglio, subordinate: là dove ci si imbatte nelle indicazioni dianzi elencate: "allargando, ritardando...".
Il "quantum": ecco il primo interrogativo che si prospetta all'interprete. Poi ce n'è un altro: l'andamento insensibilmente progressivo della modificazione del movimento. In altri termini: in quale spazio di tempo deve essere raggiunto l'acme della sfumatura? A questi interrogativi Puccini rispondeva con una sola parola: equilibrio. E' la parola che presiede a tutta la sua poetica, a tutta la sua estetica, a tutta la sua arte di compositore.


II. - I COLORITI DI ESPRESSIONE
Alla interpretazione delle indicazioni riguardanti i coloriti vari da darsi a un pezzo oppure a un particolare del pezzo stesso - "appassionato, comodo, con affetto, dolce, morendo, tranquillo, grazioso, gaio", ecc. - presiede un'altra parola: "Gusto". Nel decalogo pucciniano è l'imperativo categorico di maggiore peso. Cafonerie: nessuna. Gigionerie: abolite. Signorilità: ineccepibile. 


III. - I COLORITI DELLA SONORITA'
La medesima parola d'ordine, la medesima norma debbono essere tenute presenti in fatto di indicazioni riferentisi ai gradi di sonorità cui può giungere questo o quel luogo dello spartito; e cioè: "crescendo, diminuendo, forte, piano, sotto voce, mezza voce", et similia.


IV. - LE CORONE
Le note coronate, in mezzo alla frase, Puccini voleva che fossero esattamente "il doppio del loro valore morfologico". La qual cosa rientrava nel suo modo di intendere l'arte; mai effetti esagerati. Niente acuti molto lunghi e nemmeno esageratamente forti, violenti, aggressivi. Niente note dalla lunga agonia: note che, a smorzarle, ci vorrebbe un collasso. Esattezza di quel che era scritto: ecco quello che Puccini pretendeva.


V. - I PORTAMENTI
Puccini aveva in uggia il portamento ad ogni costo, il portamento ad ogni svolto, il portamento per abitudine. Ma se per caso ne segnava lui qualcuno, guai a non dare a quel voluto pezzo espressivo il massimo dell'intensità.


VI. - LA DEDIZIONE DEGLI ARTISTI
La voleva totale. In questa materia era un despota. Dalla esattezza tonale a quella del colore; dalla efficacia interpretativa della voce umana al gesto espressivo; dal nitore della pronunzia - per lui fondamentale - all'aderenza della parola, all'inflessione musicale.


VII. - GLI SCENARI E L'ATMOSFERA DRAMMATICA
Qui - si capisce - potremmo correre il rischio di esulare dal campo strettamente musicale. Eppure no. Per Puccini, la musica doveva investire la scena, doveva essere l'aria che i personaggi avrebbero dovuto respirar sulla scena, l'atmosfera, insomma, degli scenari. Certi effetti di luce dovevano essere, nè più nè meno, delle modulazioni toanli: ottiche quanto vi pare, ma rivolte a concorrere, con quelle auditive, all'emozione artistica di tutto l'insieme.
Parlando un giorno con Mascagni, Puccini ebbe occasione di dire con acutissima immagine che gli effetti di luce da lui sognati avrebbero dovuto essere regolati "da un orecchio attentissimo". 


VIII. - IL SIPARIO INTESO COME MUSICA
A un musicista di teatro della sensibilità di Puccini non poteva sfuggire l'importanza, spesso decisiva, dell'apertura, e, più ancora, della chiusura del sipario.
Non v'è dubbio che l'apparire e il disparire della scena dinanzi agli occhi dello spettatore debbono essere regolati anch'essi da un "orecchio attentissimo". Vi sono situazioni inesorabili che esigono una conclusione netta e perentoria, scene dopo le quali il sipario deve richiudersi con rapida violenza. Nella stessa guisa che il musicista dà a questo genere di catarsi un drastico uso di trincianti accordali, il regolatore di sipario, che dev'essere un musicista, ha da comportarsi in conformità della struttura musicale della chiusa, troncando nettamente l'azione. Ma esistono sipari che vanno chiusi quasi in un miracolo di estenuata lentezza, così come muoiono in orchestra le note sospirate dagli strumenti. in codesto modo di chiudere il sipario Puccini era l'incontentabilità fatta persona. Guai a non far coincidere l'ultimo movimento di chiusura, l'ultima sparizione della scena con l'accordo da lui designato! "Un sipario chiuso troppo presto o troppo tardi significa spesso l'insuccesso dell'opera". Era la sua ossessione.


IX. - LA MUSICA IN PALCOSCENICO
Se per l'orchestra, collocata giù nel "golfo mistico" le esigenze di Puccini si può dire fossero severissime, pur nella loro forma signorile e cordiale, esse diventavano addirittura meticolose quando si trattava di far giungere al pubblico dei suoni strumentali su dal palcoscenico. La loro amalgama, specie di colore, con l'orchestra al di qua della scena, era da lui curata al massimo grado.


X. FORZA SUGGESTIVA DELLE CAMPANE
Quante mai campane ha fatto suonare Puccini nelle sue opere! Eppure quanta varietà di effetti! Ogni rintocco di campana si traduceva in un incubo per i Maestri Sostituti, addetti all'andamento musicale del palcoscenico. Riuscire a contentare Puccini in questa delicata faccenda era un problema quasi insolubile, perchè il timbro, l'intensità e la giustezza del suono che erano dentro di lui difficilmente combaciavano con lo scampanìo prodotto dalle campane di palcoscenico. "Troppo piano... No, adesso troppo forte. E' aspro. Troppo lontano. Troppo vicino. Più percussione, meno vibrazione. Poesia, poesia, poesia del suono, signori!".
Queste erano le sue osservazioni. Questa la sua grande arte.


(da: Luigi Ricci - PUCCINI INTERPRETE DI SE STESSO - Ricordi, 1954)




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TEN COMMANDMENTS OF PUCCINI
by Luigi Ricci

I. Tempo
II. Expressive Terms
III. Gradations in Volume
IV. Fermatas
V. Portamentos
VI. Dedication of the Artists
VII. Scenery and Dramatic Atmosphere
VIII. The Curtain as Music
IX. Music Behind the Scene
X. Bells

(from "Opera News" - December 17, 1977)
 


I. Tempo
The terms Puccini used with respect to tempo are not unusual - "lento, grave, adagio, largo, larghetto, andante, andantino, moderato, allegretto, allegro, presto" and so forth. Other terms that seem to amplify or diminish previous ones also do not undergo any important variations. We find, therefore, in the scores the normal and customary terminology, more or less abbreviated - "allargando, ritardando, stentando, rallentando, accelerando, affrettando, stringendo", etc.
There is another subspecies of tempo modification of considerable importance in Puccini's music. It is expressed by such words as "più", "meno", "assai", "molto più", "molto meno", and these rather alter the meaning of the terms to which they are added. Puccini had a very acute sensitivity to all this sort of rhythmic movement, both the fundamental or general types that you might care to name, as well as those types that are restrictive or secondary. For example, at an "andante" when he wanted to be certain of the exact tempo he would add "moderato", "piuttosto lento", "ma non del tutto lento".
In general, when he used slow tempos he was very discriminating. He said tempos that are "too slow" make the action die, narcotize it, make it seem heavy and lazy, as if everything were dead. His phobia toward very slow tempos was susceptible, as all rules are, to honest exceptions. But more than once I heard the friendly voice of Puccini say as he urged the conductor confidentially, "Maestro, if you go to sleep, then everything will go to sleep," or "Livelier, livelier, Maestro! Dont' slow down too much. Dont' you hear that this section is falling into fragmnets, and these fragments are crumbling apart and stagnating?"
He passed judgment good-naturedly, saying, "Everybody has a right to rest, but music must never drop off to sleep, much less become almost motionless and then fall into coma." He admonished that "stasis [motionlessness] is the negation of music, especially theater music. Even a solemn occasion must be charged with life. Gazelles and elephants move with a walk that is peculiar to them, but watch out if their legs fold up and they fall to the floor." In this metaphor is all Puccini.
Ordinarily, to avoid substantial misunderstanding about the tempo of a piece, the metronome makes a good guide. Metronome numbers assigned by Puccini in his vocal and orchestral scores are very precise... [but] it was obvious to him that tempos other than those corresponding exactly to a metronome number could also be the proper articulation of a piece. Another thing that could effect a change in the metronome mark is the unfolding of the melodic line. in this case another metronome takes over, the heart - "the Mälzel that is inside us," as Puccini put it. All this poses the question of what metronome mark one should follow. Puccini would answer by saying, "Not everything can be notated." A great deal must be felt; on the other hand, such feeling should not be an excuse for arbitrary or capricious interpretation.
Some of Puccini's sensitive oscillation and diversity of thought in tempo modification can be examined to a greater extent in the interpretation of the secondary, or better, subordinate terms listed above - "Allargando, ritardando", etc. The first question that confronts the interpreter regarding these is: how much? Another is the imperceptible and progressive execution of these terms. On other words, how much time should one take to reach the height of each tempo modification? Puccini answered this with one word: balance. This word presides over all his poetry, all his asthetics, all his compositional art.

II. Expressive Terms
To the interpretation of the terms concerning the various expressive coloring ("coloriti di espressione") given to a piece or a particular part of the same piece - "appassionato, comodo, con affetto, dolce, morendo, tranquillo, grazioso, gaio", etc. - there is another word that must take precedence: "taste"." In the commandments of Puccini this is of greatest importance. Silly practices: none. Conceited antics: abolished. Refinement: without exception.


III. Gradations in Volume
The same keyword, tha same norm ("taste"), must be upheld in terms referring to the gradations in the volume of sound ["coloriti della sonorità"], such as "crescendo, diminuendo, forte, piano, sotto voce, mezza voce" and the like.

IV. Fermatas
Puccini wanted the notes in the middle of a phrase that are marked with a fermata to be held "twice their actual value". This was consistent with his understanding of art: no exaggerated effects. No very long, piercing notes or exaggeratedly loud, violent or aggressive ones. No long, painfully held notes that would bring on the effect of exhaustion when released. Exactness in what he had written is what Puccini demanded.


V. Portamentos
Puccini disliked the excessive use of portamento - the portamento at every turn, the portamento out of habit. But if he happened to write one, be sure to give that section where it appears its maximum intensity.

VI. Dedication of the Artists
In this matter Puccini was a despot. He wanted total dedication, from tonal precision in the use of color; from effective interpretation of the human voice to effective use of expressive gesture; from clearness of pronunciation, which was to him fundamental, to adherence to the words and musical inflection.

VII. Scenery and Dramatic Atmosphere
Here we might run the risk of being outside a strictly musical area - but perhaps not. For Puccini, music must envelop a scene. It had to be the air his characters breathed onstage. In short, music must create the atmosphere of the scenery. The use of certain lighting effects was limited to what was evident from the harmonic changes. There could be as many visual effects as necessary, but they had to be arranged to correspond to aural effects and total artistic feeling. Speaking one day with Mascagni, Puccini remarked in the most vivid terms that the lighting effects of his dreams would be dutifully regulated with "a most attentive ear."

VIII. The Curtain as Music
The decisive importance of the raising and, even more important, the lowering of the curtain would not escape a theatrical composer with Puccini's sensitivity. The appearance and disappearance of the scene from the audience's sight must again be regulated with "a most attentive ear." There are situations that require a neat and peremptory conclusion, scenes after which the curtain must be closed rapidly and sharply. In the same manner that the composer makes dramatic use of slashing chords in this kind of cathartic ending, the operator of the curtain, a musician in his own right, has to behave in conformity with the closing musical structure, neatly cutting off the action. But there are also curtains that close just as the last gasping notes of the instruments die out in the orchestra, as if in a miracle of exhausting slowness. With this kind of closing curtain, Puccini was fastidiousness personified. Woe if the final closing moment, the final disappearance of the scene, did not coincide with the chord Puccini had designated! "A curtain closed too fast or too slow often means the failure of an opera." This was an obsession of his.

IX. Music Behind the Scene
If for the orchestra in the "mystic gulf" [orchestra pit] one could say Puccini's requirements were severe, no matter how refined and cordially worded, they were downright meticulous when it came to the sound of the backstage instruments reaching the public. Their amalgamation, especially of color, with the orchestra on this side of the stage was attended to by him with the greatest of care.

X. Bells
Puccini used bells many times, yet with what variety of effect! Each toll of the bell would turn into a nighmare for the assistant conductor charged wiht musical events backstage. Pleasing Puccini in this delicate affair was almost impossible, because the timbre, intensity and precision of the sound that he envisioned had difficulty tallying with the pealing actually produced. "Too soft...no, now it's too loud and harsh, Now it sounds as if it's too far away. Now too near. More percussive-sounding and less vibrant. Poetry, poetry, poetry of sound, gentlemen!"
These were his observations. This was his great art. 

Beniamino Gigli con Luigi Ricci ('Il Trovatore', 9-12-1939)

 
 Breve testimonianza di Luigi Ricci su Beniamino Gigli, studente per pochi mesi nel 1911 nella classe di canto di Antonio Cotogni a Santa Cecilia in Roma :

"Io accompagnavo già da vari anni la scuola di canto di Cotogni sia privatamente che nel Liceo di Santa Cecilia durante il periodo dei miei studi, e avevo conosciuto molti suoi allievi tra cui Gigli, il quale studiava al Liceo di Santa Cecilia e dava, per la bellezza della sua voce, ottima speranza di quello ch'è stato poi il suo avvenire luminoso. Questi entrò nella scuola di Cotogni, ma per esigenze di distribuzione di allievi, in seguito, venne affidato al Professore Enrico Rosati, venuto dal Conservatorio di Parma. Quei pochi mesi di studio, ma profondo studio accompagnati dal sottoscritto, bastarono al Cotogni per insegnare al suo allievo, quello che egli seppe sfoggiare nella sua lunga carriera: la mezza voce e il canto a fior di labbro, che doveva poi, nell'ugola di Gigli, commuovere gli uditori di tutto il mondo."

(tratta dal discorso inedito intitolato "RICORDANDO BENIAMINO GIGLI E IL SUO TEMPO" dato il 14 novembre 1977 a Roma - in occasione del 20° anniversario della scomparsa di Gigli - da Luigi Ricci, direttore d'orchestra, pianista accompagnatore, preparatore vocale di tanti cantanti tra i quali Bruscantini, Moffo, Olivero, curatore e compilatore dei volumi di variazioni, tradizioni e cadenze per tutti i registri vocali femminili e maschili, e scrittore di libri su Puccini, Mascagni e sui maestri di canto e sul canto lirico)

Cotogni e Ricci
Antonio Cotogni al pianista e compositore suo amico Luigi Ricci nel giorno del suo onomastico

venerdì 22 maggio 2020

VOCAL STUDY - Strategie di studio nell'esercizio quotidiano del cantante lirico

Enrico Caruso mentre studia con il suo pianista Salvatore Fucito

Cari studenti di canto lirico e colleghi professionisti, in questo articolo riportiamo alcune testimonianze dirette o indirette (in inglese), di famosi cantanti e/o maestri di canto italiani e stranieri, sulla strategia di studio nell'esercizio quotidiano del cantante lirico: dalla fase del novizio a quella del grande cantante navigato.
I nomi che abbiamo scelto - tutti grandi cantanti dell'epoca d'oro - sono la Patti, la Lehmann, la Tetrazzini, Caruso, Gigli, e ancora: Saenger, Galli-Curci, Muzio, Ponselle, Raisa, Farrar, Easton, Barrientos, Hempel, Alda, Garden, De Gogorza, Schumann-Heink, Bori, Braslau, Case, Homer, Jeritza, Miura, Onegin e Rethberg.

I principi fondamentali che - con alcune differenze secondarie personali d'approccio - ribadiscono tutti, sono i seguenti:

1 - nell'esercitarsi, si deve cantare prevalentemente a "mezza voce" e non toccare troppo gli acuti;
2 - si deve cantare per un tempo breve (che può essere variabile) per ogni sessione di studio;
3 - si deve cantare complessivamente - se si uniscono i minuti di ogni sessione di studio - non più di due ore, in media, al giorno.
4 - si deve studiare anche molto mentalmente [fattore oggi quasi completamente disatteso e dimenticato, nonostante la sua importanza fondamentale]


Medidate bene, cari lettori: cantare sfruttando in modo sconsiderato il proprio capitale - sia dando continuamente troppo, cantando tutto a piena voce (quando non spinto!), sia esagerando nel tempo di studio giornaliero (e senza prendersi le dovute pause tra un momento di studio e l'altro per riposare le corde vocali) - è sicuramente deleterio.
Se aggiungiamo il fatto che spesso oggigiorno i cantanti non sono privi di difetti vocali, tecnicamente parlando, questo esagerare qualitativamente e quantitativamente senza una vera solidità tecnica di base rischierà di stancarvi moltissimo (o portandovi addirittura ad abbassamenti di voce) nella migliore delle ipotesi, fino al rischio di accorciare la carriera nella peggiore delle ipotesi (in seguito a polipi, noduli, etc.).


Conviene ascoltare la voce dei saggi consigli personali dei cantanti storici che ci hanno preceduto, finché si è ancora in tempo per farlo!

Bisogna usare:
1. un'ottima tecnica vocale e
2. cantare diluendo le forze con una strategia precisa, organizzata ed intelligente.

Buona lettura e riflessione!

 [N.B. - Tutte le traduzioni dall'inglese all'italiano sono a cura del M° Mattia Peli]



ADELINA PATTI, soprano


Adelina Patti:
<<Very often students wear out their voices with overstudy before they appear in public. They destroy the freshness of the voice by singing too much. (...)
My golden rule in singing is to spare myself until the voice is needed, and then never to give it all out. Put it in the bank. I do not push my voice for the pleasure of the moment. If you are prodigal of your powers at such times, the next time you wish to be generous you cannot.
There is an old Italian proverb that I hold fast to as my guide: "Who goes slowly goes safely: who goes safely goes far." I have always followed that course in the use of my voice. Consequently I have it at command when I need it. (...)
The true secret of preserving the voice is not to force it and not to sing when one ought not to.>>

(from: "Madame Patti's Advice to Singers, her own rules for preserving the voice - Dictated by Madame Patti to William Armstrong, and revised by her for publication" - "The Saturday Evening Post", 8 August 1903)

[Gli studenti, spessissime volte, s'esercitano eccessivamente consumando la voce prima d'apparire in pubblico. Essi, cantando troppo, distruggono la freschezza della voce. (...)
La mia regola d'oro nel canto è quella di risparmiarmi finché occorra avere voce, e poi di non esaurirla mai tutta. Mettete la voce in banca. Io non spingo la mia voce per il piacere del momento. Se si dissipano le proprie energie in quei momenti, la prossima volta che si voglia essere generosi non lo si potrà essere.
C'è un vecchio proverbio italiano al quale tengo fede come fosse la mia guida: "Chi va piano va sano e va lontano". Ho sempre seguito questa via nell'usare la mia voce. Di conseguenza l'ho a disposizione quando ne ho bisogno. (...)
Il vero segreto per preservare la voce è quello di non forzarla e di non cantare quando non si dovrebbe.]



LILLI LEHMANN, soprano


Lilli Lehmann:
In practising the singer should always stand, if possible, before a large mirror, in order to be able to watch himself closely. (...)
He should practice only so long as can be done without weariness. After every exercise he should take a rest, to be fresh for the next one. After the great scale he should rest 'at least' ten minutes; and these resting times must be observed as long as one sings, and not be filled with other tasks.
Long-continued exertion should not be exacted of the voice at first; even if the effects of it are not immediately felt, a damage is done in some way. In this matter pupils themselves are chiefly at fault (...)

(from: Lilli Lehmann - "How to sing" - New York, The Macmillan Company, 1916)

[Nell'esercitarsi il cantante dovrebbe sempre stare in piedi, se possibile, davanti ad un ampio specchio, in modo da potersi guardare da vicino. (...)
Dovrebbe esercitarsi solamente fintanto che lo studio non produca stanchezza. Dopo ogni esercizio dovrebbe riposarsi, per essere fresco per il prossimo. Dopo la grande scala dovrebbe riposare 'almeno' dieci minuti; e questi tempi di riposo devono essere osservati finché si canta, e non riempiti da altri compiti.
Non si dovrebbe richiedere uno sforzo prolungato alla voce all'inizio; anche se gli effetti di tal sforzo non si avvertono immediatamente, in qualche modo viene fatto un danno. In questo, sono gli studenti stessi ad essere principalmente i responsabili (...)]



 ENRICO CARUSO, tenore


Fucito, Caruso's Coach and Accompanist - "How Caruso practiced":
"Caruso frequently commenced the morning's vocal work by practicing vocalizes for about ten minutes, and this he usually did whether or not he had a performance that day. During those ten minutes his whole being was intent on his work; his concentration was so great that nothing seemed to escape his acute ear. (...)
He infused into his exercises the vital spirit that animated, and made significant, the final product of his labor. Even when he vocalized, he aimed at much more than what is normally sought by singers, namely, flexibility and power. He used the vocalizes with such skill and intelligence that they prepared his voice for the role he was scheduled to sing that night."

(from: "Caruso and the Art of Singing", 1922 - written by Salvatore Fucito)

[Caruso comunemente dava avvio allo studio vocale mattutino esercitandosi con i vocalizzi per circa dieci minuti, e questo lo faceva abitualmente, che avesse o meno quel giorno un'esibizione.
In quei dieci minuti, l'intero suo essere era intento nello studio; la sua concentrazione era così grande che nulla sembrava sfuggire al suo orecchio perspicace. (...)
Egli infondeva nei suoi esercizi lo spirito vitale che animava, e rendeva significativo, il prodotto finale del suo lavoro. Persino quando vocalizzava, mirava a molto di più di quel che normalmente viene ricercato dai cantanti, vale a dire, flessibilità ed intensità. Egli impiegava i vocalizzi con tale perizia ed intelligenza da preparare la sua voce per il ruolo che era previsto dovesse cantare quella sera.]



LUISA TETRAZZINI, soprano


Luisa Tetrazzini:
(...) practising should not be carried to excess. Many singers have, indeed, often done their voices great harm by practising too much. The vocal cords are exceedingly delicate and cannot be used too carefully. There can be no doubt that the wonderful preservation of Patti's voice was due in large measure to the extraordinary prudence and care with which she husbanded it. By never singing at rehearsals, by never singing when she was in the least degree out of health or tired, and so on, she added years probably to the length of her career. And all singers should act as far as possible on the same principle.
There should never be the smallest strain in practising, for instance. For this reason it is advisable to practise with the half voice mostly and only rarely at the extremities of the compass—and then with great care and discretion. In the same way there should never be any sense of fatigue, still less of hoarseness, after practice. (...)
Madame Lilli Lehmann prescribes, for instance, what she calls the Great Scale as an invaluable remedy for all manner of vocal ills—meaning simply long slow scales of sustained notes steadily repeated. Here is what she said, for instance, on this point:
"The great scale properly employed in practice accomplishes wonders. It equalises the voice, makes it flexible and noble, gives strength to all weak places, operates to repair all breaks and faults that exist, and controls the voice to the very heart. Nothing escapes it. It is the Guardian Angel of the voice. I sing it every day, often twice, even if I have to sing one of my greatest rôles in the evening. I can rely absolutely on its assistance."
And, as I have said, she prescribed this very exercise not only for daily practice when one is well, but also as a remedy for troubles when the voice is out of order. (...) Scales are, indeed, the foundation of all useful practice, especially at first.
Marchesi, for instance, relied on them almost exclusively in the earlier stages—long sustained tones, repeated again and again until her fastidious ear was satisfied; and no pupil can possibly fail to benefit from such exercise. Even for the acquisition of velocity, as I have said elsewhere, scales—and quite slow ones at first—are indispensable. (...)
As to the period and duration of practising, my own plan is to practise twice a day—at ten in the morning for an hour, with intervals of rest; and again in the afternoon, before dinner, for the same time. But the beginner should not practise for more than ten or fifteen minutes at a time, and should leave off immediately his voice begins to feel tired.
To which, I would add, that it is of the utmost importance not only what one practises but "how". Ten minutes' practice with the maximum of thought and concentration will be of more value than a whole hour of mere mechanical scales and arpeggi, sung without thought and care.
The pupil, while practising, should listen to himself with the utmost vigilance all the time—criticising ruthlessly every tone, and seeking always to eradicate every fault and blemish. It is for lack of this "mental" effort that pupils so often practise in vain—improving themselves in certain respects perhaps, but never acquiring that beauty of tone and perfection of execution which should be the foundation of all.
(...) As a great artist remarked in some words which I quoted earlier, the true artist will continue studying and practising and improving to the end of his day.
Read, for instance, what Signor Fucito tells us of Caruso:
"No one could have been a severer critic of Caruso's art than Caruso himself. He worked with tremendous concentration, and his acute ear was ever ready to descry the slightest flaw in the tone production, in quality or the interpretation of a musical passage." (...)
Incidentally in practising the student should avoid the acquisition of bad habits of standing, undesirable movements with the hands, and so on, and should also keep careful check upon his facial expressions. For the latter purpose it is an excellent plan to practise before a mirror (...)

(from: Luisa Tetrazzini - "How to sing" - New York, George H. Doran company, 1923)

[(...) l'allenamento vocale non dovrebbe essere portato all'eccesso. Molti cantanti, infatti, hanno spesso recato gran danno alla propria voce esercitandosi troppo. Le corde vocali sono estremamente delicate e non possono, prudentemente, essere usate eccessivamente. Non v'è dubbio che l'eccezionale conservazione della voce della Patti fosse dovuta in gran parte alla straordinaria prudenza e cura con la quale ella economizzò l'uso del proprio strumento vocale. Non cantando mai durante le prove, non cantando mai quando era al minimo grado di salute o stanca, e così via, ha aggiunto probabilmente anni alla durata della sua carriera. E tutti i cantanti dovrebbero agire il più possibile secondo lo stesso principio.
Non ci dovrebbe mai essere, per esempio, il minimo sforzo quando si studia. Per questo motivo è consigliabile esercitarsi utilizzando per lo più la "mezza voce" e solo raramente toccando le estremità dell'estensione—e quindi con gran cura e discrezione. Allo stesso modo, non dovrebbe mai esserci alcun senso di affaticamento, ancor meno di afonia, dopo essersi esercitati con la voce.
La signora Lilli Lehmann prescrive, ad esempio, quella che chiama Grande Scala come un prezioso rimedio per tutti i tipi di mali vocali—vale a dire semplicemente scale lunghe e lente di note tenute costantemente ripetute. Ecco ciò che afferma, per esempio, in tal merito:
"La grande scala propriamente impiegata nell'esercizio fa meraviglie. Uniforma la voce, la rende flessibile e nobile, dà forza a tutti i punti deboli, opera per riparare tutte le rotture e le imperfezioni esistenti e controlla la voce fino al suo nucleo. Nulla sfugge. È l'Angelo Custode della voce. La canto ogni giorno, spesso due volte, anche se la sera devo cantare uno dei miei più grandi ruoli. Posso contare assolutamente sulla sua assistenza."
E, come ho detto, ella ha prescritto questo preciso esercizio non solo per lo studio giornaliero quando si è in salute, ma anche come rimedio a problemi vocali quando la voce fosse fuori posto. (...) Le scale sono, davvero, il fondamento di qualsiasi efficace allenamento, specialmente all'inizio.
La Marchesi, per esempio, faceva affidamento quasi esclusivamente sulle scale lente nelle prime fasi—lunghi suoni sostenuti, ripetuti più e più volte fino a quando il suo orecchio meticoloso veniva soddisfatto; e nessuno studente può in alcun modo mancar di beneficiare di un tale esercizio. Persino per acquisire la velocità, come ho detto altrove, le scale—ed inizialmente quelle molto lente—sono un esercizio indispensabile. (...)
Quanto al periodo o durata di studio, il mio piano personale è d'esercitarsi due volte al giorno—alle dieci di mattina per un'ora, con intervalli di riposo; e di nuovo al pomeriggio, prima di cena, per un tempo simile. Ma che è alle prime armi non dovrebbe esercitarsi per più di dieci o quindici minuti per volta, e dovrebbe smettere immediatamente di cantare quando si sente la voce stanca.
A cui aggiungerei che è della massima importanza non solo il tipo di esercizio che si sceglie di fare ma anche "come" lo si fa. Dieci minuti d'allenamento con il massimo dell'impegno e della concentrazione sarà più apprezzabile che un'ora intera di mere meccaniche scale ed arpeggi, cantati senza concentrazione e cura.
Lo studente, nell'esercitarsi, dovrebbe ascoltarsi con la massima attenzione per tutto il tempo—criticando spietatamente ogni tono, e cercando sempre di sradicare ogni difetto e imperfezione. È per mancanza di questo impegno "mentale" che gli allievi così tante volte si esercitano invano—forse migliorandosi per certi aspetti, ma senza mai acquisire quella bellezza di suono e perfezione d'esecuzione che dovrebbe essere il fondamento di tutto.
(...) Come un grande artista ha sottolineato in alcune parole che ho citato in precedenza, il vero artista continuerà a studiare ed esercitarsi e migliorarsi sino alla fine dei suoi giorni.
Si legga, per esempio, ciò che il signor Fucito ci dice di Caruso:
"Nessuno avrebbe potuto essere un critico più severo dell'arte di Caruso di Caruso stesso. Egli lavorava con enorme concentrazione, e il suo acuto orecchio era sempre pronto a scorgere il minimo difetto nella produzione del suono, nella qualità o nell'interpretazione di un passaggio musicale."(...)
Tra l'altro nell'esercitarsi lo studente dovrebbe evitare l'acquisizione di cattive abitudini nello stare in piedi, movimenti indesiderabili con le mani e così via, e dovrebbe anche mantenere un attento controllo delle sue espressioni facciali. A quest'ultimo scopo è un'ottima idea esercitarsi di fornte ad uno specchio (...)]



BENIAMINO GIGLI, tenore


Beniamino Gigli:
<<I cannot honestly tell you that I practice so many minutes of scales, so many of "vocalises", so many of trills, because I do not do this—to-day. I had to, of course, when I was a student, but my teachers directed my work then. To-day I practice simply what happen to be at work upon. I select passages and cadenzas from my roles or my songs and work at those. But not too much. And "never" simply for the sake of practicing. That is not intelligent. I practice for a definite purpose. Is there a florid, difficult cadenza to be mastered? Good! I work on it—minutes or hours, as the work demands. Never by the clock. I work on "legati, crescendi", on all sorts of different effects. I work to master them thoroughly—not once, for a performance, but permanently, so that they are forever a part of me, to be counted on always. That, then, is enough.
On the day of a performance I do not sing at all before going to the stage. Early in the morning, when I wake up, I try my voice. I hum a few high tones, easily, softly. If they are good, then I do not think any more about my singing.>>

(from: "The Art of Singing" - A conference with the internationally famous Operatic Tenor BENIAMINO GIGLI, secured expressly for The Etude Music Magazine by R. H. Wollstein - December 1932)

[Non posso onestamente dire d'esercitarmi facendo tanti minuti di scale, di "vocalizzi", di trilli, perché non lo faccio—oggi. Ho dovuto farlo, ovviamente, quando ero studente, ma in quel periodo i miei insegnanti dirigevano il mio studio. Oggi mi esercito semplicemente su ciò che mi viene richiesto di cantare. Seleziono passaggi e cadenze dai miei ruoli o dai miei canti e lavoro su quelli. Ma non troppo. E "mai" semplicemente per il gusto d'esercitarsi: non è una cosa intelligente. Mi esercito per uno scopo definito. C'è una cadenza fiorita difficile da padroneggiare? Bene! Vi lavoro sopra - minuti o ore, in base a quel che richiede lo studio. Mai coll'orologio. Lavoro su "legati, crescendi", su tutti i tipi di effetti diversi. Studio per dominarli a fondo - non una volta, per un'esecuzione, ma in modo permanente, di modo che siano per sempre parte di me, ed io possa sempre contare su di essi. In tal caso, basta così.
Il giorno in cui mi esibisco non canto affatto prima di salire sul palcoscenico. Di mattina presto, quando mi sveglio, provo la voce. Canticchio dei suoni acuti, facilmente, con morbidezza. Se vanno bene, allora non penso più al mio canto.]


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OSCAR SAENGER, baritono ed insegnante di canto


Oscar Saenger:
"To think the tone forward is quite as important as to sing it forward. Without the mental impression of correct placing, the reality cannot exist. It is much better to think the tone forward for five minutes and sing one minute, than to practice the reverse. One should practice in fifteen-minute periods and rest at least ten minutes between. The student should never sing more than two hours a day—one in the morning and one in the afternoon. As most singers love their work, many are inclined to overdo." 

[Pensare il suono avanti è importante tanto quanto cantare con il suono avanti. Senza l'impressione mentale di un posizionamento corretto, la realtà non può esistere. E' molto meglio pensare il suono avanti per cinque minuti e cantare un minuto, piuttosto che fare l'opposto. Ci si dovrebbe esercitare per periodi di quindici minuti e riposarsi almeno dieci minuti tra una sezione e l'altra. Lo studente non dovrebbe mai cantare più di due ore al giorno - una alla mattina ed una al pomeriggio. Siccome la maggior parte dei cantanti ama il proprio lavoro, tanti sono portati ad esagerare.]



 GERALDINE FARRAR, soprano
 (prima interprete assoluta di Suor Angelica di Puccini)


Geraldine Farrar:
TECHNICAL STUDY
"I give between one and two hours daily to vocalizes, scales and tone study. But I love it! A scale is beautiful to me, if it is rightly sung. In fact it is not merely a succession of notes; it represents color. I always translate sound into color. It is a fascinating study to make different qualities of tonal color in the voice.
Certain roles require an entirely different range of colors from others. One night I must sing a part with thick, heavy, rich tones; the next night my tones must be thinned out in quite another timbre of the voice, to fit an opposite character."
Asked if she can hear herself, Miss Farrar answered:
"No, I do not actually hear my voice, except in a general way; but we learn to know the sensations produced in muscles of throat, head, face, lips and other parts of the anatomy, which vibrate in a certain manner to correct tone production. We learn the 'feeling' of the tone. Therefore every one, no matter how advanced, requires expert advice as to the results."

[STUDIO TECNICO
"Dedico da una e due ore al giorno per vocalizzare, scale e studio del suono. Ma adoro farlo! Una scala è bella per me, se è cantata correttamente. Infatti non è semplicemente una successione di note; rappresenta il colore. Io traduco sempre il suono in colore. E' uno studio affascinante per creare diverse qualità di colore del suono nella voce.
Certi ruoli richiedono una gamma di colori completamente diversa da quella che richiedono altri ruoli. Una sera devo cantare una parte con suoni spessi, pesanti e ricchi; la sera successiva i miei suoni devono essere diluiti in un altro timbro della voce, per adattarsi a un personaggio opposto."
Alla domanda se riesce a sentirsi, Miss Farrar risponde:
"No, in realtà non sento la mia voce, se non in modo generale; ma noi impariamo a conoscere le percezioni prodotte nei muscoli della gola, della testa, del viso, delle labbra e di altre parti dell'anatomia, che vibrano in un certo modo per correggere la produzione del suono. Impariamo la "sensazione" del suono. Pertanto, ognuno, non importa quanto avanzato, richiede una consulenza esperta in merito ai risultati."]



AMELITA GALLI-CURCI, soprano


Amelita Galli-Curci:
"A singer who would keep her voice in the best condition, should constantly and reasonably exercise it. I always do a half hour or so of exercises, vocalizes and scales every morning; these are never neglected. But I never do anything to strain the voice in any way."

[Una cantante che voglia mantenere la propria voce nelle migliori condizioni, dovrebbe esercitarla costantemente ed adeguatamente. Io faccio sempre mezz'ora più o meno di esercizi, vocalizzi e scale tutte le mattine; questi non vengono da me mai trascurati. Ma non faccio mai nulla per affaticare la voce in alcun modo.]



ROSA RAISA, soprano 
(prima interprete assoluta di Turandot di Puccini)


Rosa Raisa:
"Even during the busiest days technic practice is never neglected. Vocalizes, scales, terzetta—what you call them —broken thirds, yes, and long, slow tones in 'mezza di voce', that is, beginning softly, swelling to loud then gradually diminishing to soft, are part of the daily regime. One cannot omit these things if one would always keep in condition and readiness. When at work in daily study, I sing softly, or with medium tone quality; I do not use full voice except occasionally, when I am going through a part and wish to try out certain effects."

[Anche nei giorni più densi d'impegni l'esercizio tecnico non viene mai trascurato. Vocalizzi, scale, terzine—come si chiamano—le terze spezzate, sì, e i suoni lunghi e lenti con la 'messa di voce', cioè, iniziando piano, aumentando d'intensità al forte e poi gradualmente diminuendo al piano, sono parte del programma d'esercizio giornaliero. Non si possono omettere queste cose se si vogliono mantener sempre vive la condizione e la prontezza. Nel momento in cui mi esercito nello studio giornaliero, io canto piano, o con una qualità sonora media; non impiego la piena voce salvo che sporadicamente, quando sperimento un ruolo e desidero provare certi effetti.]



FLORENCE EASTON, soprano
(prima interprete assoluta di Lauretta, in Gianni Schicchi di Puccini) 


Florence Easton:
"I do not, as a rule, use full voice when at work."
AMOUNT OF DAILY PRACTICE
"It seems to me the young singer should not practice more than two periods of fifteen or twenty minutes each. At most one should not use the voice more than an hour a day. We hear of people practicing hours and hours daily, but that is probably in books. The voice cannot be treated as the pianist or violinist does his fingers. One must handle the voice with much more care."

[Di norma, non uso la 'piena voce' quando mi alleno."
QUANTITA' DI ESERCIZIO GIORNALIERO
"Ho l'impressione che il giovane cantante non dovrebbe esercitarsi per più di due fasi di studio della durata di quindici o venti minuti ciascuno. In totale non si dovrebbe usare la voce per più di un'ora al giorno. Sentiamo parlare di persone che si esercitano per ore e ore al giorno, ma questo si trova probabilmente nei libri. La voce non può essere trattata come fa il pianista o il violinista con le proprie dita. Bisogna maneggiare la voce con molta più cura.]




MARIA BARRIENTOS, soprano 


Maria Barrientos:
"I do not neglect vocal technic now, for I know its value. I do about three quarters of an hour technical practice every day scales and exercises."

[Non trascuro ora la tecnica vocale, perché ne conosco il valore. Faccio circa tre quarti d'ora di allenamento tecnico ogni giorno, scale ed esercizi.]



CLAUDIA MUZIO, soprano
(prima interprete assoluta nel ruolo di Giorgietta, nel Tabarro di Puccini) 


Claudia Muzio:
"I work regularly every morning on vocal technic. Not necessarily a whole hour at a stretch, as some do; but as much time as I feel I need. I give practically my whole day to study, so that I can make frequent short pauses in technical practice. (...) My compass is three octaves—from C below middle C, to two octaves above that point. I also have C sharp, but I do not practice it, for I know I can reach it if I need it, and I save my voice. Neither do I work on the final tones of the lowest octave, for the same reason—to preserve the voice. (...)
I learn words and music of a rôle at the same time, for one helps the other. When I have mastered a role, I know it absolutely, words, music and accompaniment. I can always play my accompaniments, for I understand the piano. I am always at work on repertoire, even at night. I don’t seem to need very much sleep, I think, and I often memorize during the night; that is such a good time to work, for all is so quiet and still. (...) I never use the notes or score when going over a part in which I have appeared, for I know them absolutely, so there is no occasion to use the notes. Other singers appear frequently at rehearsal with their books, but I never take mine."

[Io lavoro regolarmente ogni mattina sulla tecnica vocale. Non necessariamente un'ora intera di fila, come fanno alcuni; ma per tutto il tempo che sento d'averne bisogno. Dedico in pratica tutta la giornata allo studio, in modo da poter fare brevi pause frequenti nell'allenamento tecnico. (...) La mia estensione è di tre ottave–dal DO sotto al DO centrale, fino a due ottave più in alto di quel punto. Io posseggo anche il DO diesis, ma non mi ci alleno, poiché so che posso raggiungerlo se ne ho necessità, e salvo la mia voce. Né mi metto ad esercitarmi sugli ultimi suoni dell'ottava più bassa, per la medesima ragione–per preservare la voce.
Imparo allo stesso tempo le parole e la musica di un ruolo, perché sono d'aiuto l'uno all'altro. Quando ho imparato un ruolo, lo conosco completamente, parole, musica ed accompagnamento. Posso sempre suonare i miei accompagnamenti, perché ne capisco di pianoforte. Sono sempre al lavoro sul repertorio, anche di notte. Non mi pare d'aver bisogno di dormire molto, penso, e spesso mi metto a memorizzare durante la notte; è un così buon momento per lavorare, perché tutto è così tranquillo e silenzioso. (...) Non uso mai le note o lo spartito quando ripasso una parte in cui mi sono presentata, perché le conosco del tutto, perciò non c'è motivo di usare le note. Altri cantanti si presentano spesso alle prove con i propri libri, ma io non prendo mai il mio.]



FRIEDA HEMPEL, soprano

Frieda Hempel:
"The young singer should always practice with a mirror (...)
Let the singer also use a watch when she practices, in order not to overdo. I approve of a good deal of technical study, taken in small doses of ten to fifteen minutes at a time. I myself do about two hours or more, though not all technic; but I make these pauses for rest, so that I am not fatigued. After all, while we must have technic, there is so much more to singing than its technic. Technic is indeed a means to an end, more in the art of song than in almost any other form of art. Technic is the background for expressive singing, and to sing expressively is what every one should be striving for."

[Il giovane cantante dovrebbe sempre esercitarsi con uno specchio (...)
La cantante usi anche un orologio quando si allena, per non esagerare. Io approvo un gran studio tecnico, ma preso in piccole dosi da dieci-quindici minuti per volta. Io stessa faccio circa due ore o più, sebbene non tutte di tecnico; ma faccio queste pause per riposare, in modo da non affaticarmi. Dopotutto, mentre dobbiamo avere tecnica, c'è così tanto di più da cantare che la tecnica. La tecnica è in realtà un mezzo per raggiungere un fine, più nell'arte della canto che in quasi ogni altra forma d'arte. La tecnica fa da sfondo al canto espressivo e cantare espressivamente è ciò che ognuno dovrebbe impegnarsi a raggiungere.]



[from: "VOCAL MASTERY - talks with Master Singers and Teachers" by Harriette Brower - New York, Frederick A. Stokes Company Publishers, 1920]

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FRANCES ALDA, soprano


Frances Alda:
"Most girls over-exercise their voices during the years when they are too delicate. It always pays to wait and spend the time in developing the purely musical side of study. (...) Even now I study pretty regularly two hours a day, but I rarely sing more than a few minutes. I hum over my new rôles with my accompanist, Frank La Forge, and study them in that way. It was to such methods as this that Marchesi attributed the wonderful longevity of the voices of her best-known pupils."

[La maggior parte delle studentesse esercita eccessivamente la voce negli anni in cui è troppo delicata. Vale sempre la pena aspettare e dedicare tempo allo sviluppo del lato puramente musicale dello studio. (...) Anche adesso studio abbastanza regolarmente due ore al giorno, ma raramente canto più di qualche minuto. Canticchio sui miei nuovi ruoli con il mio pianista accompagnatore, Frank La Forge, e li studio in questo modo. Era a metodi come questo che la Marchesi attribuiva la meravigliosa longevità delle voci delle sue allievi più note.]



MARY GARDEN, soprano
(prima interprete assoluta nel ruolo di Mélisande, in Pelléas et Mélisande di Debussy) 


Mary Garden:
"Three-quarters of an hour a day practice suffices me. I find it injurious to practice too long. But I study for hours. Such a rôle as 'Aphrodite' I take quietly and sing it over mentally time and time again without making a sound. I study the harmonies, the nuances, the phrasing, the breathing, so that when the time for singing it comes I know it and do not waste my voice by going over it time and again, as some singers do. In the end I find that I know it better for this kind of study."

[Tre quarti d'ora al giorno d'allenamento mi bastano. Trovo dannoso esercitarsi troppo a lungo. Ma studio per ore. Un ruolo come quello di "Afrodite" lo approfondisco in silenzio cantandolo mentalmente più volte senza emettere alcun suono. Studio le armonie, le sfumature, il fraseggio, i respiri, così che quando arriva il momento di cantare lo conosco e non spreco la voce ripetendolo mille volte, come fanno alcuni cantanti. In fin dei conti, trovo che l'ho imparato meglio così con questo tipo di studio.]



EMILIO DE GOGORZA, baritono e professore di canto 


Emilio De Gogorza:
"My daily work simply consists of scales, arpeggios and the simplest kind of exercises, the simpler the better. I always make it a point to commence practicing very softly, slowly and surely. I never sing notes outside my most comfortable range at the start. Taking notes too high or too low is an extremely bad plan at first. Many young students make this fault. They also sing much too loud. The voice should be exercised for some considerable time on soft exercises before loud notes are even attempted. It is precisely the same as with physical exercises. The athlete who exerts himself to his fullest extent at first is working toward ultimate exhaustion. I have known students who sang "at the top of their lungs" and called it practice. The next day they grew hoarse and wondered why the hoarseness came.
NEVER SING WHEN TIRED
Never sing when out of sorts, tired or when the throat is sore."

[Il mio esercizio quotidiano consiste semplicemente in scale, arpeggi e nel tipo più semplice di esercizi: più semplice è meglio è. Faccio sempre in modo di iniziare ad allenarmi molto dolcemente, lentamente e con sicurezza. All'inizio non canto mai note al di fuori della mia gamma di suoni più comoda. Toccare note troppo acute o troppo gravi è un piano strategico estremamente negativo all'inizio. Molti giovani studenti compiono questo sbaglio. Cantano anche eccessivamente forte. La voce dovrebbe essere allenata per un certo tempo considerevole su esercizi dolci prima ancora di tentare di produrre note sonore. È esattamente come fare degli esercizi fisici. L'atleta che all'inizio si eserciti al massimo grado si sta impegnando fino al massimo dello sfinimento. Ho conosciuto studenti che cantavano "a squarciagola" e lo chiamavano allenamento. Il giorno dopo si svegliarono afoni chiedendosi perché fosse venuta loro l'afonia.
MAI CANTARE QUANDO SI E' STANCHI
Non cantare mai quando siamo giù di corda, stanchi o quando si ha mal di gola.]



ERNESTINE SCHUMANN-HEINK,  contralto
(prima interprete assoluta nel ruolo di Klytämnestra, in Elektra di R.Strauss)


Ernestine Schumann-Heink:
"As a rule the average professional singer does not resort to complicated exercises and great care is taken to avoid strain. It is perfectly easy for me, a contralto, to sing C in alt but do you suppose I sing it in my daily exercises? It is one of the extreme notes in my range and it might be a strain. Consequently I avoid it. I also sing most of my exercises 'mezza voce'.
There should always be periods of intermission between practice. I often go about my routine work while on tour, walking up and down the room, packing my trunk, etc., and practicing gently at the same time. I enjoy it and it makes my work lighter.
Of course I take great pains to practice carefully. My exercises are for the most part simple scales, arpeggios or trills."

[Di norma, il cantante professionista ordinario non ricorre ad esercizi complicati e presta molta attenzione nell'evitare sforzi. È assolutamente facile per me, come contralto, cantare un DO acuto ma pensate che io tocchi questa nota nei miei esercizi quotidiani? È una delle note estreme della mia estensione e potrebbe costituire uno sforzo. Di conseguenza lo evito. Inoltre canto la maggior parte dei miei esercizi a 'mezza voce'.
Dovrebbero esserci sempre periodi di pausa durante l'allenamento. Spesso faccio dei mestieri di routine mentre sono in tour, camminando su e giù per la stanza, facendomi il bagaglio, ecc., ed esercitandomi allo stesso tempo con la voce delicatamente. Mi piace e rende il mio lavoro più leggero.
Certo, mi costa fatica esercitarmi con cura. I miei esercizi sono per lo più costituiti da semplici scale, arpeggi o trilli.]



("Great Singers on the Art of Singing" by James Francis Cooke - Theo. Presser Co. - Philadelphia, 1921)

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LUCREZIA BORI, soprano


Lucrezia Bori:
"I believe in hard work, but not in overwork. Mental study, mental work is the most important. When I am preparing a rôle or a recital program I study one hour, study hard mentally alone, and another hour with my accompanist. And, of course, (...) I give time to those purely mechanical exercises which keep the voice flexible and in good singing trim—scales, arpeggios, tied notes, 'legato' and 'staccato' passages and so forth. (...) During the opera season I never practice more than half an hour a day, that is to say, at home. For with the rehearsals and the actual singing of the rôles I have enough to keep mind and throat busy."

[Credo nel duro lavoro, ma non nel superlavoro. Lo studio mentale, il lavoro mentale è la cosa più importante. Quando sto preparando un ruolo o un programma concertistico studio un'ora, studio sodo mentalmente da sola e un'altra ora con il mio pianista accompagnatore. E, naturalmente, (...) dedico del tempo a quegli esercizi puramente meccanici che mantengono la voce flessibile e in buona forma canora—scale, arpeggi, note legate, passaggi 'legato' e 'staccato' e così via. (...) Durante la stagione d'opera non mi esercito mai più di mezz'ora al giorno, vale a dire, a casa. Perché con le prove e l'interpretazione effettiva dei ruoli ho quanto basta per tenere occupata la mente e la gola.]



SOPHIE BRASLAU, contralto 
(prima interprete nel ruolo di Shanewis, in The Robin Woman di Charles Wakefield Cadman al MET) 


Sophie Braslau:
"I always do a certain amount of technical work while on tour, about half an hour a day, to keep 'tuned up' so to say. I usually begin with exercises combining two notes, then three, four, five and six, going on to scales in sustained tones. Each day I use exercises of a different type and kind, and work them out. (...)
So much may be done with the mind. I concentrate on my songs and study them mentally to a great extent, thus saving my voice for actual concert work. (...)
When I am not on tour I practice from one to two hours a day, with pauses for rest between times."

[Mentre sono in tour, compio sempre una certa quantità di studio tecnico, circa mezz'ora al giorno, per mantenermi 'accordata', per così dire. Solitamente inizio con gli esercizi che uniscono due note, poi tre, quattro, cinque e sei, proseguendo con scale a note sostenute. Ogni giorno utilizzo esercizi di vario genere e tipo, e mi ci alleno. (...)
Così tanto può essere fatto con la mente. Io mi concentro sulle mie arie e le studio in larga misura mentalmente, così da risparmiarmi la voce per la vera e propria fatica del concerto. (...) Quando non sono in tour mi esercito da una a due ore al giorno, con pause di riposo negli intervalli.]



ANNA CASE, soprano


Anna Case:
"When not on tour I plan to practice a little every day. I also remember that the vocal cords are the most delicate organs in the body, and that practice should come 'before' any other exertion, not 'after'. (...) When on tour, singing three or more concerts a week, I omit routine practice. Perhaps about five o'clock in the afternoon I may run over a few 'vocalises' to stimulate the vocal cords, or, if the cords are not in good condition, do so at eleven in the morning, but nothing more."

[Quando non sono in tour, mi organizzo per allenarmi un poco ogni giorno. Ricordo anche che le corde vocali sono gli organi più delicati del corpo e che l'esercizio dovrebbe venire "prima" di qualsiasi altro sforzo, non "dopo". (...) Durante un tour, cantando in tre o più concerti a settimana, ometto l'allenamento di routine. Forse verso le cinque del pomeriggio posso mettermi a ripassare un paio di "vocalizzi" per stimolare le corde vocali o, se le corde non sono in buone condizioni, lo si può fare alle undici del mattino, ma niente di più.]



Florence Easton:
"I do vocal exercises every morning to keep my voice in trim (...) As a rule I use the Viardot 'Vocalises' (Book Two) every day, unless I have a lot of singing to do that day, or am very, very tired.
Then there is the abuse of the voice in practice. But—I never practice vocal exercises with 'full voice' more than fifteen minutes a day! Not a minute more, and if you know absolutely what you need this is enough. But you can practice hours (with intervals) studying new rôles, songs or interpretations, if you sing 'mezza voce'. Never sing your top notes needlessly. Old Sims Reeves used to say that every singer had just so many top notes and used them up, one by one. In other words, when a singer uses her top notes she is drawing on her vocal capital, using something which cannot be replaced. Of course, first you must learn to produce your high notes. But, once you know 'how' to sing them, and have them settled in your mind, then be sparing in their use. They call for a tremendous output of physical energy."

[Mi esercito tutte le mattine per mantenere la voce in forma (...) Di norma utilizzo i 'Vocalizzi' della Viardot (Volume II) ogni giorno, a meno che non abbia da cantare molto quel giorno, o che non sia molto, molto stanca. Poi v'è l'abuso della voce nello studio. Io—però—non faccio esercizi vocali a "piena voce" più di quindici minuti al giorno! Non un minuto di più, e se sai perfettamente ciò di cui hai bisogno questo basta. Ma se si canta a "mezza voce" ci si può esercitare per ore (con intervalli di riposo) studiando nuovi ruoli, nuove arie o interpretazioni nuove. Mai cantare le note acute inutilmente. Il vecchio Sims Reeves era solito dire che "ogni cantante ha avuto a disposizione davvero così tante note acute e le ha consumate, una per una". In altre parole, quando una cantante fa uso delle note acute sta attingendo al proprio capitale vocale, servendosi di qualcosa che non può venire rimpiazzato. Naturalmente, per prima cosa bisogna imparare a produrre gli acuti. Ma, una volta che si sa "come" cantarli, e che si sono fissati in mente, ci si risparmi poi nell'utilizzarli; questi richiedono un enorme impiego d'energia fisica.]



Amelita Galli-Curci:
"I keep my voice flexible by singing long scales slowly in sustained notes, then quick scales, both 'legato' and 'staccato', and practicing trills on every note of the scale. (...) In all, I practice, perhaps, one to two hours a day, a half hour to an hour at a time. Students should practice ten to fifteen minutes at a time."

[Io tengo flessibile la mia voce cantando lentamente lunghe scale a note tenute, quindi scale veloci, sia "legato" che "staccato", ed esercitandomi con trilli su ogni nota della scala. (...) In tutto, mi alleno, forse, da una a due ore al giorno, per un lasso di tempo che va da mezz'ora a un'ora per volta. Gli studenti dovrebbero esercitarsi da dieci a quindici minuti alla volta.]



Frieda Hempel:
"Let the student practice anywhere from ten to twenty minutes in succession and then make a break. Sometimes, however, the singer may feel just like working for an hour or more with occasional resting spells (...)"

[Lo studente si eserciti da qualche parte da dieci a venti minuti consecutivi e poi faccia una pausa. A volte, tuttavia, il cantante può sentire il bisogno di lavorare per un'ora o più con frequenti momenti di riposo (...)]



LOUISE HOMER, contralto
(prima interprete nel ruolo di Hexe, in Königskinder di Engelbert Humperdinck al MET)


Louise Homer:
"I always practice one hour a day during the season; often from eleven to twelve in the morning, but more often from eleven to one, or from four to five in the afternoon. When I work two hours, I give one of them to straight technic: scales, sustained tones and arpeggios, singing 'piano' and 'forte'. Then I develop exercises on 'solfège' or the 'Ah' in all sorts of ways and in different keys; and I also use especially beautiful and difficult passages in opera arias and songs for exercise material. It is a simple and practical way of overcoming practical difficulties."

[Mi esercito sempre un'ora al giorno durante la stagione; spesso dalle undici alle dodici del mattino, ma più spesso dalle undici all'una o dalle quattro alle cinque del pomeriggio. Quando faccio due ore, ne dedico una alla tecnica vera e propria: scale, suoni sostenuti ed arpeggi, cantando "piano" e "forte". Quindi sviluppo gli esercizi su un "solfeggio" o sulla "A" in ogni genere di modo e in diverse tonalità; e uso anche passi particolarmente belli e difficili in arie d'opera e canti come materia di studio. È un modo semplice e concreto per superare difficoltà concrete.]



MARIA JERITZA, soprano
(creatrice di diversi ruoli operistici, tra i quali Arianna in Ariadne auf Naxos e l'imperatrice in Die Frau ohne Schatten di R.Strauss, così come Marie/Marietta in Die tote Stadt di Erich Wolfgang Korngold)


Maria Jeritza:
"How do I practice every day? In the summer, when I am preparing new rôles, perhaps two hours a day in all; but I divide my time. I may sing for fifteen or twenty minutes, and then not sing again for an hour or so. I do my daily flexibility exercises every day, the scales at different speeds, beginning them 'mezza voce' and working up to the full sustained tone. I also sing Marchesi 'vocalises' and 'solfeggios', which include all sorts of coloratura passages and ornaments. During the season, when I am singing on the stage, I never practice, aside from rehearsals, more than an hour a day. The purely technical exercises do not really represent a strain. I always look on them 'as' purely technical, a mechanical means of oiling the voice, making it light, easily responsive; just as the simple gymnastic exercises I use make the body flexible and supple."

[Come mi esercito ogni giorno? In estate, quando sto preparando nuovi ruoli, forse due ore al giorno in tutto; ma divido il mio tempo. Posso cantare per quindici o venti minuti e poi non cantare nuovamente per circa un'ora. Faccio i miei esercizi di flessibilità quotidiana ogni giorno, le scale a diverse velocità, iniziando ad eseguirle a 'mezza voce' e sviluppandole fino al suono pieno e sostenuto. Utilizzo anche i 'vocalizzi' e 'solfeggi' della Marchesi, che comprendono ogni sorta di passaggi e ornamenti di coloratura. Durante la stagione, quando canto sul palcoscenico, non mi alleno, a parte le prove, più di un'ora al giorno. Gli esercizi puramente tecnici non rappresentano veramente una tensione. Li considero sempre 'come' puramente tecnici, un mezzo meccanico per oliare la voce, rendendola leggera, facilmente reattiva; così come i semplici esercizi ginnici che utilizzo rendono il corpo flessibile ed elastico.]



TAMAKI MIURA, soprano 


Tamaki Miura:
"Formerly, the day before I had to sing Madame Butterfly in opera, I used to practice a whole hour; but now I do not practice when I am to sing Madame Butterfly the next day. You see, it is a great strain to sing continuously for three hours on the stage, and I cannot help putting so much feeling, so much emotion into that rôle—it is a rôle that is all sentiment—that I find I do best with a whole day of rest before the performance.
Otherwise I have a regular routine for the days when I am to sing in the evening. I get up at ten o'clock, sing my exercises—scales and difficult vocal phrases (...) Then at eight o'clock I sing on the stage (...)
Daily exercises are absolutely necessary to keep the voice fit, but the student should be careful not to overexercise. When the singer is tired—whether she be singing in opera or concert, or merely tired from practice—she had best give the voice a complete rest for the time being. Twenty minutes' hard work in the morning, when I am fresh and interested, I find better than a couple of hours later in the day."

[In passato, il giorno che precedeva la recita in cui dovevo cantare Madama Butterfly in teatro, ero solita allenarmi per un'ora intera; ma ora non mi esercito quando devo interpretare il giorno successivo il personaggio di Butterfly. Vedete, è una gran fatica in termini d'impegno cantare continuamente per tre ore sul palcoscenico, e non posso fare a meno di mettere in questo ruolo così tanto sentimento, così tanta emozione - è un ruolo che è tutto sentimento - che trovo di far meglio così con un'intera giornata di riposo prima dello spettacolo.
Altrimenti seguo una regolare routine nei giorni in cui devo cantare di sera. Mi alzo alle dieci, faccio i miei esercizi canori - scale e difficili frasi vocali (...) Poi alle otto di sera canto sul palco. (...)
Gli esercizi giornalieri sono assolutamente necessari per mantenere la voce in forma, ma la studentessa dovrebbe fare attenzione a non esercitarsi esageratamente. Quando la cantante è stanca—sia che stia cantando in un'opera o in un concerto, o semplicemente stanca per l'esercizio—farebbe meglio in quel momento a far riposare totalmente la voce. Venti minuti d'intenso studio alla mattina, quando sono fresca e partecipe, li trovo più utili di un paio d'ore fatte successivamente nel corso della giornata.]



SIGRID ONEGIN, contralto

Sigrid Onégin:
"As to practice? I give an hour a day to technical work, and particularly to slow scales, as Lilli Lehmann teaches them. And, of course, trills, coloratura and so forth."

[Quanto all'allenamento vocale? Mi dedico un'ora al giorno all'esercizio tecnico, e in particolare alle scale lente, come Lilli Lehmann le insegna. E, naturalmente, ai trilli, alle agilità e così via.]



ROSA PONSELLE [Ponzillo], soprano


Rosa Ponselle:
"One thing in which I am a great believer is the avoidance of vocal overexertion. During the opera or concert season I use daily vocal exercises to keep my voice flexible; but I practice them only a 'few minutes' each day (...) Even while I was preparing to sing in opera, I did not practice more than fifteen or twenty minutes a day; unless, of course, I was studying a new rôle."

[Una cosa della quale sono una grande sostenitrice è quella di evitare l'iperaffaticamento vocale. Durante la stagione operistica o concertistica impiego degli esercizi vocali giornalieri per mantenere flessibile la mia voce; ma mi ci esercito solamente per "pochi minuti" al giorno (...)
Anche quando mi stavo preparando per cantare in un'opera, non mi sono mai esercitata per più di quindici o venti minuti al giorno; a meno che, naturalmente, non stessi studiando un nuovo ruolo.]



Rosa Raisa:
"Of course, the technical material for daily vocal exercises is much the same for every one who studies singing: scales, sustained note exercises and coloratura passage work, to keep the voice flexible. I believe, and I practice what i preach, that every singer should give at least a half an hour every morning to purely technical exercises. But—a most important point in technical exercise is to use 'the right quality of voice'. The 'mezza voce' quality, the medium tone, is the best to use in daily practice. Using this tone quality with 'crescendos' and 'decrescendos', you will secure far better results than by singing 'forte', for if you practice 'forte' a good deal, you may easily fall into the habit of unconsciously straining the voice."

[Naturalmente, il materiale tecnico per gli esercizi vocali quotidiani è più o meno lo stesso per tutti coloro che studiano canto: scale, esercizi di note sostenute e passaggi di coloratura, per mantenere la voce flessibile. Credo, e pratico ciò che predico, che ogni cantante dovrebbe dedicare almeno mezz'ora ogni mattina a esercizi puramente tecnici. Ma—un punto molto importante nell'esercizio tecnico è quello di usare "la giusta qualità della voce". La qualità della "mezza voce", il suono di media intensità, è il migliore da usare nell'esercizio quotidiano. Usando questa qualità di suono con "crescendi" e "decrescendi", si otterranno risultati molto migliori che cantando "forte", perché se ci si esercita parecchio in "forte", si potrà facilmente cadere nell'abitudine di sforzare inconsciamente la voce.]



ELISABETH RETHBERG, soprano


Elisabeth Rethberg:
"Hardly a day passes without my singing, and during the opera or recital season I usually give a quarter of an hour daily to purely technical work, scales and exercises."

[Difficilmente passo un giorno senza cantare, e durante la stagione operistica o concertistica dedico solitamente un quarto d'ora al giorno al lavoro puramente tecnico, scale ed esercizi.]



Ernestine Schumann-Heink:
"All vocal students have one fault in common—they want to push ahead too fast. But the principle of light and easy vocal training, especially at the start, avoidance of all strain, will bring a girl ahead far more quickly than plugging away with too much energy. A couple of lessons a week; they need not be longer than twenty minutes of half an hour; and seeing that she does her home practice at different times, each period of work lasting no more than twenty or twenty-five minutes, makes a sufficient study ration for the beginning student. (...)
For vocal 'practice' the 'mezza voce' is the thing. What I would say to every girl who wants to become a singer is: strain away, force your voice, if you insist on doing so, but do not expect to preserve it beyond middle life! A voice is a living organism, but it will wear out, just like a piano. Yet it will not wear out from use, but rather from abuse."

[Gli studenti di canto hanno tutti un difetto in comune—vogliono procedere avanzando troppo velocemente. Ma il principio di un allenamento vocale leggero e naturale, specialmente all'inizio, evitando ogni sforzo, farà progredire una ragazza molto più rapidamente che facendola affaticare con esagerata energia. Un paio di lezioni a settimana non devono essere più lunghe di venti minuti o mezz'ora; e assicurandosi che l'allieva faccia esercizio a casa in momenti diversi della giornata, ogni fase di studio della durata di non più di venti o venticinque minuti costituisce una razione sufficiente di studio per la studentessa principiante. (...)
Per l' "esercizio" vocale la "mezza voce" è la cosa migliore. Quello che vorrei dire ad ogni ragazza che voglia diventare una cantante è questo: continua pure a sforzare e forzare la tua voce, ma se insisti a fare in questo modo, non aspettarti di preservarla oltre la mezza età! La voce è un organismo vivente, ma si usurerà, proprio come un pianoforte. Tuttavia non è con l'uso che si consumerà, ma piuttosto con l'abuso.]



(from: "The Art of the Prima Donna and Concert Singer" by Frederick H. Martens - D. Appleton and Company, New York, 1923)

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Fonti consultate:

"Madame Patti's Advice to Singers, her own rules for preserving the voice - Dictated by Madame Patti to William Armstrong, and revised by her for publication" - "The Saturday Evening Post", 8 August 1903

Lilli Lehmann - "How to sing" - New York, The Macmillan Company, 1916

"Caruso and the Art of Singing", 1922 - written by Salvatore Fucito

Luisa Tetrazzini - "How to sing" - New York, George H. Doran company, 1923

"The Art of Singing" - A conference with the internationally famous Operatic Tenor BENIAMINO GIGLI, secured expressly for The Etude Music Magazine by R. H. Wollstein - December 1932

"VOCAL MASTERY - talks with Master Singers and Teachers" by Harriette Brower - New York, Frederick A. Stokes Company Publishers, 1920

"Great Singers on the Art of Singing" by James Francis Cooke - Theo. Presser Co. - Philadelphia, 1921

"The Art of the Prima Donna and Concert Singer" by Frederick H. Martens - D. Appleton and Company, New York, 1923