sabato 29 luglio 2023

Lettera aperta al Maestro Alberto Veronesi - IL VIDEO



Gentile Maestro,

mi permetto di scriverLe una lettera perché questo è quello che esigono la mia coscienza, il mio intelletto e la mia anima.

Sono un soprano, ex strumentista e grande studiosa di storia della vocalità nel canto lirico.

Per mia natura ho sempre pensato prima di tutto alla musica e all'arte, credendo che il successo fosse una conseguenza della grande qualità. 

"Successo" oggi è un sostantivo maschile, legato, prima di tutto, alla grande visibilità, all'esplosione televisiva, ai grandi guadagni. Accade allora che lo stupire a tutti i costi, a scapito della grande qualità, per arrivare in fretta al successo, dia all'industria culturale una caratteristica tipica di decadenza, indecenza e marcescenza.

Invece "successo" è un termine che trae la sua origine dal verbo "succedere"; in parole semplicissime si potrebbe dire: "Tu fai una cosa, di conseguenza ne accade un'altra".

Il successo nell'arte dovrebbe essere infatti, qualcosa che accade e che volge (si spera) al meglio, dopo un percorso di studio lungo, lento e tutt'altro che semplice.

Adesso gentile Alberto, mi permetta di dirle quello che penso circa la Sua azione di dirigere bendato la Bohème, in protesta allo scempio registico: Lei è un grande.

Finalmente, qualcuno si è ribellato allo scempio. Vede, siamo tutti d'accordo nel constatare che c'è una parte di pubblico a cui piace che l'opera lirica venga violentata brutalmente da rozzi individui di nessun intelletto. Ma è anche vero di queste operazioni volgari, meschine, superficiali, mitomaniache e accentratrici, non piacciono, non se ne può più, anzi sono detestate da un vastissimo numero di persone.

Vede gentile Maestro Veronesi, io credo che Lei sia stato veramente  illuminato, e sia un uomo coraggioso e intelligente nel senso più puro della parola.

Io sono ritenuta da molti una dissidente, una che pensa e che canta alla vecchia maniera, altri mi disprezzano seriamente, ma per il coraggio che ho nell'oppormi a tale scempio, e di essere coerente con me stessa e con l'arte, tantissimi mi ammirano.

Mi sono chiesta perché un'opera di Caravaggio non possa essere toccata e invece un'opera di Verdi o di Puccini possa essere stravolta. Mi è stato risposto che Caravaggio è un pittore e un quadro non è teatro. A chi la pensa così e a questi bruti, scellerati, violentatori dell'arte, io rispondo che dovrebbero andare a studiare e che l'amore per l'arte non si compra e non è in vendita.

   

Questi devastatori dell'arte siano consapevoli che la loro posizione non è la stessa di milioni di persone che, in tutto il mondo, di violenza e devastazione dell'opera lirica, non ne possono più.

Dunque Lei sappia, caro Maestro, che non è per niente solo, che ha fatto benissimo a ribellarsi a una moda inutile e distruttiva.

Vede, per quanto Maria Callas fosse stata bella, avvenente e dotata di grande voce, noi oggi non la ricorderemmo se non fosse stata un'interprete eccezionale, una studiosa assoluta e perfetta in tutto quello che faceva. Posso citare grandi veri cantanti: non venitemi a dire che un Caruso, un Bergonzi, un Gigli o un Pertile fossero così avvenenti, eppure hanno fatto la storia dell'opera... con l'altissima qualità, con l'impegno, con lo studio e con il rispetto per l'arte.

Un musicista è sempre un tramite tra un capolavoro e il pubblico, e in tal senso il vero capolavoro è il manoscritto, prima traccia assoluta dell'idea del compositore.

Mi permetto di dirLe "Benvenuto tra i servitori veri della grande arte", Lei avrà sempre il nostro plauso e il nostro sostegno. 

Per contro, di chi si permette di falsificare i grandi capolavori operistici e di falsificare la vera tecnica del canto lirico italiano, va tutto il nostro ribrezzo.

E voi, cantanti, che pur di essere scritturati vi piegate ad ogni tipo di luridume e strazio, iniziate a pensare e a farvi un serio esame di coscienza.

Un saluto cordiale e grato da tutta la squadra di lavoro e di studio di Belcanto Italiano.

Sua devota ammiratrice, 

Astrea Amaduzzi




venerdì 28 luglio 2023

Belcanto Italiano in concerto - in memoria di Maria Callas - a Quinto Vicentino (Vicenza)

Il soprano lirico di coloratura e M° dell'Accademia di Belcanto Italiano Astrea Amaduzzi assieme alla sua allieva Eva Sun, talentuoso soprano drammatico proveniente dagli USA, sono chiamate a tenere alta la bandiera dell'Arte del canto lirico in memoria di Maria Callas, nel centenario della nascita del grande soprano greco

"MARIA CALLAS, LA DIVINA DEL MELODRAMMA" - XIX SERATA ALL'OPERA - Sabato 5 agosto 2023, ore 21.00 - Parco di Villa "Thiene", Quinto Vicentino (Vicenza)

Il Belcanto Italiano Duo in concerto a Recanati, protagonista del Memorial Gigli 2021

Con il patrocinio del Comune di Quinto Vicentino - in sinergia con Proloco Quinto, Gruppo Alpini "Sante Beato" Quinto, Ass. Naz. Carabinieri Quinto, Gruppo Protezione Civile Quinto - la Compagnia "VicenzaLirica" e l'Associazione Culturale "Arsamanda", in collaborazione con l'Accademia Nazionale di "Belcanto Italiano" e la sponsorizzazione di BCC Banca di Verona e Vicenza, presentano la XIX "Serata all'Opera".
Sabato 5 agosto, presso il Parco di Villa "Thiene", si terrà il concerto biografico nel centenario della nascita del grande soprano Maria Callas, ovvero la divina del melodramma, ideato e narrato dal baritono Pier Zordan, con la partecipazione di tre soprani, Astrea Amaduzzi (soprano lirico di coloratura e M° di Belcanto), Vittoria Bettanin (soprano lirico-spinto), Eva Sun (soprano drammatico), ed il mezzosoprano Floriana Sovilla.

Astrea Amaduzzi, soprano lirico di coloratura e Maestra di Belcanto

Eva Sun, soprano drammatico

Gli artisti della serata operistica interpreteranno i brani più significativi - alternando arie di Bellini, Donizetti, Ponchielli, Verdi, Bizet, Puccini e celebri duetti verdiani - a ripercorrere la sfolgorante carriera dell'ineguagliabile artista, iniziata nel 1947 con "La Gioconda" all'Arena di Verona e conclusasi con "Tosca" nel 1964 al Covent Garden di Londra.
Al pianoforte, a costante sostegno di tutti i cantanti, ci sarà il Maestro Mattia Peli, mentre il service luci sarà curato da Gianni Faccin.

Eva Sun, con i Maestri Astrea Amaduzzi e Mattia Peli, a conclusione del concerto del 5 giugno 2023 presso la Sala della sede dell'Ass. "Pro Lastra - Enrico Caruso" a Lastra a Signa (Firenze)

L'ingresso è libero fino ad esaurimento dei posti consentiti. In caso di maltempo, con annullamento prima dell'inizio, si recupera domenica 6 agosto ore 21.00 

Programma dell'evento dedicato a Maria Callas

 

Vittoria Bettanin, soprano lirico-spinto

Floriana Sovilla, vincitrice del 1° premio al Concorso Internazionale di Canto in memoria di Maria Callas a Parma e del premio speciale 'G.B.Meneghini' come interprete più meritevole al Concorso Maria Callas Rai 3 a Milano nel 1980

Programma (date e teatri sono riferiti a prime storiche o significative di Maria Callas):


Ponchielli - "Suicidio" (La Gioconda) - Vittoria Bettanin

Puccini - "In questa reggia" (Turandot) - Eva Sun

Bellini - "Casta diva" (Norma) - Astrea Amaduzzi

Verdi - duetto "Ciel! mio padre!... Rivedrai le foreste imbalsamate" (Aida) - Vittoria Bettanin, Pier Zordan

Verdi - duetto "Regna il sonno su tutti... Fatal mia donna, un murmure" (Macbeth) - Floriana Sovilla, Pier Zordan

Donizetti - scena della pazzia "Il dolce suono mi colpì di sua voce... Ardon gl'incensi" (Lucia di Lammermoor) - Astrea Amaduzzi

Verdi - "Son giunta... Madre pietosa vergine" (La forza del destino) - Eva Sun

Verdi - scena finale 1° "E' strano... Ah! Fors'è lui... Follie, follie... Sempre libera degg'io" (La traviata) - Astrea Amaduzzi

Puccini - "Sola, perduta, abbandonata" (Manon Lescaut) - Eva Sun

Verdi - duetto "Udiste... Mira di acerbe lagrime" (Il trovatore) - Vittoria Bettanin, Pier Zordan

Bizet - Habanera (Carmen) - Floriana Sovilla

Puccini - "Vissi d'arte" (Tosca) - Astrea Amaduzzi 

Il baritono Pier Zordan, nei panni di Rigoletto, al Teatro Parvum di Alessandria nel 2022

giovedì 27 luglio 2023

Mozart: "LA MUSICA È LA COSA PRINCIPALE IN UN'OPERA LIRICA"

In una lettera scritta al padre Leopold, ecco il "credo" mozartiano nel melodramma: LA MUSICA È LA COSA PRINCIPALE IN UN'OPERA LIRICA

In un periodo storico come questo, nel quale vengono sempre più spesso "imposte" regie non rispettose della musica creata dai grandi geni che hanno fatto la storia del Melodramma, vale la pena fermarsi un attimo e considerare cosa ne abbiano pensato i compositori le cui opere liriche si vanno ovunque nel mondo costantemente 'maltrattando' gravemente: avete mai riflettuto, ad esempio, sul pensiero del celebre Wolfgang Amadeus Mozart?

Ecco ciò che scriveva il 'genio salisburghese' - creatore di una dozzina di opere in lingua italiana (la maggioranza, nella sua produzione teatrale!), più alcune rimaste incompiute - in merito alla sua 'concezione operistica', mentre si apprestava ad iniziare a musicare un nuovo libretto, preparato dal librettista Giambattista Varesco. Il concetto teorico, ma anche soprattutto pratico è chiaro ed egli fa capire che non valga per lui solo per la sua nuova opera in creazione "L'Oca del Cairo" (rimasta poi incompiuta), bensì per qualsiasi opera lirica che un qualsiasi musicista si metta a comporre: "LA MUSICA È LA COSA PRINCIPALE IN UN'OPERA LIRICA"!!!

Queste le sue parole esatte:
« (...) può essere sicuro [Varesco] che il suo libretto non piace se la "Musica" non è buona. – LA "MUSICA" È LA COSA PRINCIPALE IN UN'OPERA LIRICA; – e dunque se deve piacere (e se vuol sperare di essere ricompensato) deve cambiarmi e fondermi tutto quello che voglio e non seguire la sua testa che non ha la minima pratica né conoscenza di teatro. »
(da una lettera del 21 giugno 1783 scritta da W.A.Mozart a suo padre Leopold)

Capito? LA MUSICA - non la regia, né il librettista, lo scenografo, il costumista, il macchinista, il tecnico luci, e tutti gli altri addetti ai lavori non musicisti - è la cosa principale in un'opera lirica per questo grandissimo genio!
Non che le altre cose non siano importanti, certo, ma non sono 'principali' (questo è il concetto concreto!). All'epoca, non esisteva nemmeno il regista come lo conosciamo noi oggigiorno: ma, in ogni caso, non sarebbe cambiato nulla per Amadeus: e dunque l'affermazione perentoria "La Musica è la cosa PRINCIPALE in un'Opera lirica" è ancora valida, che piaccia o no!!!
Pertanto, tutti coloro che lavorano "maneggiando" questi grandi capolavori, come "Le nozze di Figaro", "Così fan tutte", "Don Giovanni", e qualsiasi altra opera lirica concepita da qualsiasi compositore precedente e successivo a Mozart, devono rispettare la musica e il 'senso' della musica creata sulle parole del libretto definitivo scelto dal compositore, per essere reputati operatori dello spettacolo "legittimi". Diversamente, non avendo essi chiesto il permesso di 'modificare' l'opera d'arte agli autori, devono tener presente che sorgerà, anzi è già sorto, chi si oppone a questa deriva "deturpatrice" del patrimonio artistico mondiale pubblico, riportando in auge il modo di rappresentare l'Opera nel rispetto del volere di coloro che musicalmente l'hanno creata: dall'azione scenica, all'interpretazione vocale, alla direzione musicale, e a tutto il resto che, di una serata a teatro, "fa" davvero "OPERA"!

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MUSIC IS THE MAIN THING IN EVERY OPERA!

(...) I can assure him [Varesco] that his libretto will not please if the music is not good. Because MUSIC IS THE MAIN THING IN EVERY OPERA, and if he hopes for success and a good reward, he must let me alter things and reshape the libretto as much and as often as I wish, not merely following his ideas, for he has not the slightest experience and knowledge of the stage.

(from a Letter of 21 June 1783 written by W. A. Mozart to his father Leopold)


[Original text:
(...) daß kann ich ihm versichern daß sein Buch gewiß nicht gefällt, wenn die "Musique" nicht gut ist. – die "Musique" ist also die Haubtsache bey jeder "opera"; – und wenn es also gefallen soll (und er folglich belohnung hoffen will) so muß er mir sachen verändern und umschmelzen so viel und oft ich will, und nicht seinem Kopfe zu folgen, der nicht die geringste "Practic" und theaterkenntnüß hat.]


sabato 15 luglio 2023

Belcanto Italiano a Padova

Belcanto Italiano a Padova, 22 e 24 luglio 2023

Per la prima volta Belcanto Italiano sarà a Padova: vi aspettiamo per due giorni intensivi di seminario il 22 e il 24 luglio 2023. Tra le altre cose si studierà anche la "punta di diamante" di ogni suono!

Ci vediamo nella città veneta - famosa per gli affreschi di Giotto nella Cappella degli Scrovegni, ma anche per essere la cittadina ove venne fondata nel 1222 una delle più antiche Università del mondo - con i fondatori di Belcanto Italiano per due giornate intensive di studio: pronti a far brillare ogni suono!!!

Informazioni e prenotazioni (Tel./WhatsApp)  347.5853253

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«Per il grande desiderio che avevo di vedere
la Bella Padova, culla delle arti, sono arrivato...
ed a Padova sono venuto, come chi lascia
uno stagno per tuffarsi nel mare, e
a sazietà cerca di placare la sua sete.»

(William Shakespeare - "La bisbetica domata" - Atto 1, Scena 1)

giovedì 13 luglio 2023

Un'estate di Belcanto: dall'Italia alla Germania, con un 'Incontro Internazionale di Canto Lirico' in collaborazione con la Clinica foniatrica del Dr. Becker

Incontro Internazioale di Canto Lirico - Duisburg (Germania), dal 22 al 26 agosto 2023 - con i fondatori di Belcanto Italiano, Astrea Amaduzzi e Mattia Peli, in coll. con la clinica foniatrica del Dr. D.Becker
                                                                                                                                                                         L'estate di Belcanto Italiano continua con tre grandi appuntamenti del “Belcanto Italiano Summer Campus 2023”, tra Italia e Germania:

- dal 15 al 19 luglio sull'Appennino modenese
- dal 14 al 19 agosto sulle colline del Lago d'Orta e
- dal 22 al 26 agosto a Duisburg (Germania) in collaborazione con la clinica foniatrica “Medizinisches Stimmbildungsinstitut” del Dr. Donald Becker - https://www.stimmdoktor.de/

Nei primi due appuntamenti, tra Emilia e Piemonte, sarà possibile sviscerare qualsiasi aspetto della tecnica vocale - pura e applicata al repertorio operistico - con il soprano Astrea Amaduzzi e il M° Mattia Peli al pianoforte: dalla respirazione alla voce lirica.   

Mentre per l'ultimo appuntamento, ci vediamo in Germania, per un incontro internazionale che sarà molto più di una semplice masterclass!.... Perché sarà anche un incontro di culture e di anime che amano profondamente un'arte meravigliosa... E sarà anche un incontro concertistico: avremo infatti l'onore di rappresentare il vero Belcanto Italiano - come Belcanto Italiano Duo - in un evento in cui saranno invitati a partecipare anche alcuni Allievi, in collaborazione con la clinica foniatrica "Medizinisches Stimmbildungsinstitut" del Dr. Becker.      

 Informazioni e prenotazioni (Tel.WhatsApp) : (+39) 347.5853253 


lunedì 10 luglio 2023

Testimonianza di Geltrude Righetti-Giorgi, la prima 'Rosina' e 'Cenerentola', sul maestro Rossini e sulla sua musica operistica

G.Righetti-Giorgi - "Cenni di una donna già cantante sopra il maestro Rossini", Bologna 1823

Ecco la testimonianza della prima interprete rossiniana dei ruoli di Rosina e Cenerentola, la bolognese Geltrude Righetti-Giorgi, la quale parlava nel 1823 di Gioachino Rossini, del suo stile vocale-compositivo,  della "prima" romana del "Barbiere di Siviglia" e del ruolo di Cenerentola:
"Cenerentola non può essere cantata con pieno successo che da una persona che possieda un'estensione tutta uguale, agile e pieghevole di 18 corde"!


ROSSINI
« Io credo che con questa parola si sveglierà la curiosità di tutto il Mondo. Non vi fu Artista, che al pari di Rossini fosse o tanto lodato, o tanto biasimato. E quando poi non bastasse il solo suo nome ad eccitare la curiosità generale, accennerò presto presto, che è una Donna, che scrive di lui, e che imprende a difenderlo da molte taccie, che forse mal gli si appongono. Sono stata più volte assalita dalla voglia di rendere questo tributo alla verità. Mi trattenne però fino ad ora non la difficoltà dell'argomento, ma la sferza degl'indiscreti. In Italia una donna, che componga pel pubblico, è cosa strana. Mi renderò io adunque coraggiosa nel silenzio di tutte, e parlerò di cose, sulle quali tutte le italiane Donne s'interesseranno: voglio dire di Rossini, e della sua Musica. Non cerco lodi, nè ambisco alcun premio: Scrivo per la verità (...)

Egli (...) non poteva imparare dal Padre che della musica (...) poichè il Padre suonava per professione il Corno da Caccia. Io l'ho sentito a suonare più volte nelle Chiese, nelle Sale, e ne' Teatri. (...)
Rossini nell'età appena di anni 7 fu discepolo del Sig. D. [don] Angelo Tesei, rinomato Maestro di Cappella di questa Città, e tal profitto egli trasse da suoi insegnamenti, che giunto all'età di anni 8 cominciò a cantare il Soprano nelle Chiese di Bologna, e addivenne con tale esercizio peritissimo Cantore. L'ammirava io stessa in quella tenera età, sebbene fanciulla a leggere speditamente la musica, e parevami impossibile che un Maestro di Cappella potesse con tanta sicurezza di buon successo affidargli la parte cantante, o del "Laudamus te", ed anche del "Qui tollis". Rossini intanto tutto eseguiva con precisione, e con maestria, a tal che, rappresentandosi nel Teatro Zagnoni "La Camilla" di Paer fu prescelto a cantare la parte del figlio. Nulla di più commovente, e di più tenero del bel canone "Sento in sì fiero istante". I Bolognesi fin d'allora predissero, che Rossini sarebbe stato uno de' più celebri cantori d'Italia. Nè s'ingannarono: Rossini fa vedere in realtà nelle sue composizioni quanto profondamente conosca quest'arte divina. Le parti cantanti scritte o per David, o per Nozzari, o per Garzìa, o per la Marcolini, o per la sua Sposa, o per me (sì per me) giustificano pienamente la mia asserzione.

Ma qui a gloria di Rossini, e di Bologna, e per servire alla verità de' fatti, si torni un passo addietro. Parlando della educazione di Rossini, siccome Scolare di Canto, non si deve trascurare  quella ch'egli ebbe come compositore di Musica. (...) Dopo averlo il Tesei istrutto profondamente nel Canto, cominciò ad insegnargli le prime regole del Contrappunto; indi all'età di anni 14 fu mandato alle Scuole del rinomatissimo Padre Stanislao Mattei. Vide ben tosto questo insigne Maestro, ch'egli aveva a fare con un genio straordinario, che mal soffriva i vincoli della Scolastica disciplina. Non ostante lo coltivò con ogni maggiore industria, e ben appropriata istruzione nell'arte della musica. Rossini infatti l'anno 1808 si mostrò compositore. I suoi primi saggi furono sentiti con ammirazione. Negli Archivi del Liceo Filarmonico di Bologna esistono ancora e la prima Sinfonia, ch'egli compose, e la sua prima Cantata, dal che io traggo, che Rossini ebbe (egli è vero) i natali in Pesaro, ma ricevette educazione, studio, e fama da questa Città, che gli fu Madre, e nella quale ha stabilito il suo domicilio.
Che io mi sappia, Rossini dopo "la Camilla" non cantò mai più in Teatro. (...)

Come cantò sulle prime nelle Chiese, e in Teatro, così cantò squisitamente, e sempre, non 'ora', nelle Case sul Pianoforte. Il Sig. Giornalista Inglese [Stendhal] parla specialmente della sua Cavatina di Figaro, e dell'Aria di Bartolo nel suo "Barbiere di Siviglia". Oh quante altre cose, anche d'altri Compositori, canta egli sul Pianoforte con sorpresa di chi lo ascolta! Egli ha cantato molte volte pezzi sublimi di Paisiello, di Cimarosa, e di Mayer. Io l'ho sentito cantare con infinito godimento mio, e degli ascoltanti alcuni pezzi dell'Opera "la Grotta di Trofonio" del Maestro Salieri. La espressione di Rossini come cantante sul Pianoforte non ha pari. Io ho veduti in Roma, e in Napoli i primi Signori carezzarlo grandemente per averlo una sera ad ornamento dello loro Società. Io stessa lo vidi premiato da Augusta Mano dopo che col suo Canto al Pianoforte aveva apportato a circostanti il più soave diletto.
Che Rossini abbia composte Canzoni nello stile d'allora, sarà vero; ma per mia mala sorte non ne intesi alcuna, e sì che dalla età di anni 15 fino a quella di anni 19 ebbi occasione di vederlo frequentemente. (...)
Io non so poi se Rossini abbia un'avversione speciale per le Sinfonie. Gli attribuirei piuttosto, come il Sig. Giornalista anche suppone, una specie d'infingardaggine, che lo abbia trattenuto dal comporne una per ciascuna delle sue opere. D'altronde la Sinfonia dell' "Italiana in Algeri", del "Tancredi", della "Cenerentola", e della "Gazza ladra", e tant'altre, ch'egli compose, provano bene, che l'estro di Rossini non è avverso alle Sinfonie. (...)

Rossini si pose veramente in onorevole seggio fra i Maestri Italiani, quand'ebbe composta l' "Italiana in Algeri", e il "Tancredi". Non seguì Rossini i "Crescendo" di [Giuseppe] Mosca solo in Milano, ma da per tutto. Io intesi a dire più e più volte, che Rossini è debitore de' suoi Crescendo a [Pietro] Generali. Rossini non n'è debitore che a se medesimo. Vid'egli, che il Popolo amava lo strepito, e che al fragore di molte note vibrate prorompeva in altissimo plauso. Egli seguì la espressione del discorso naturale; nel calore della disputa l'uomo si accende vieppiù, e più rinforza la sua voce. Rossini calcolò sull'effetto di questo naturale "Crescendo", e lo applicò alle sue composizioni. Ma egli è da notarsi che non sempre egli si dedica a questo sistema, e che molte volte gli si attribuisce, siccome qualità, una accidentale combinazione. La "Romance", per esempio, di Desdemona nell' "Otello", la Cavatina dei Palpiti, in sostanza dov'ha d'uopo di destare la tenerezza, ed il sentimento, non si rafforza co' timpani, o colle catube. Ne' quartetti, ne' quintetti, e ne' finali, egli imprime alle volte una celerità straordinaria all'andamento della sua musica, e vorrei veder uno di questi pezzi finire col languore del "mio ben quando verrà" di Paesiello. Tutti i Maestri antichi, e moderni danno fine ai loro pezzi concertati con forza, e con vigore. E quando, sino ne' Sagri Templi, s'intromette ne' finali dei "Kirie" e delle "Glorie" un motivo delicato, ciò non è che per far risaltare con maggior forza il "Crescendo" che ne segue. N'appello all'esperienza degli Amatori.

Può essere benissimo, che in una Città d'Italia, seduto al Pianoforte con vaga, e giovane Donna, Rossini sia stato ispirato a comporre soavi Cantilene; ma questa potrebbe essere anche una spiritosa invenzione. E' bello il dirlo, quand'anche ciò stato non fosse. Per altro ho qualche dato, che sta in armonia col detto del Sig. Giornalista Inglese. Io stessa ho sentita più sere questa vaga o giovane Donna al Cembalo con Rossini, ed anche con Paganini improvvisare melodie da placare, siccome quelle d'Orfeo, l'ire d'Averno. I Bolognesi, che hanno 'gl'intelletti sani' scorgeranno, non v'ha dubbio, sotto il 'velame del mio strano dire' quale fosse la bella Diva, di che ragiono. (...)
Sulle prime Rossini, animato da genio straordinario, componeva senza studio, piena l'anima di nuove idee, e di nuove melodie. Consapevole che le regole della musica attuale non sono già convenzioni obbligatorie, egli le ruppe, e credette poterlo fare impunemente. Brillantissimo, quanto ferace di modi, gli bastavano venti, o ventidue giorni a comporre un'Opera. Contro questo torrente tentavano far argine le critiche de' puristi, ma Rossini trionfante, per la gloria della invenzione, sprezzò gli ostacoli, e si fece strada colla sua musica presso le più colte Nazioni. N'avessero pur danno le regole; ma siccome l'effetto era prodigioso, poco mancò, che il difetto delle regole non cangiasse esso stesso in regola, e ciò che fu errore non addivenisse precetto. (...)

Rossini con quest'arte soggiogò il Mondo, riformò quasi direi, la musica, e potè dire con verità: 'Se volete musica, bisogna che ricorriate alla mia; E voi grandi Puristi, voi arche di regole, e di sapere dovete rinnegare voi stessi, dacchè non abbiano che gli allettamenti del sonno le vostre Note. I Popoli d'Italia, di Francia, e di Germania le abbandonano dopo un primo saggio. Essi accorrono a sentire la dolcezza delle mie melodie, e m'innalzano alle stelle.' (...)
Io non sò se Rossini abbia mai dichiarato che solo sei settimane di tempo gli si accordano per far un'Opera, e che soltanto nell'ultime due egli compone un pezzo al giorno, che si distribuisce a' Cantanti nel giorno stesso, nè convenire saprei, che Rossini abbia mai detto, che non gli resta tempo per rivedere la istrumentazione.
Sono stata in Roma con Rossini i Carnevali degli anni 1816, e 1817 ne' quali compose il "Barbiere di Siviglia", e la "Cenerentola", e affè che la prima delle dette Opere gli costò studio, e fatica, e non vi si accinse già gli ultimi quindici giorni, prima di porla sulle scene. Piuttosto la "Cenerentola" fu da lui fatta alla infretta. Rossini pieno di genio non aveva bisogno di rivederne la istrumentazione. Io vorrei ch'egli volesse anche adesso dispensarsi da questa fatica. (...)
Qui, Sig. Giornalista Inglese parlerò io, per cui Rossini scrisse la parte di Rosina nel "Barbiere di Siviglia".

Per una malaugurata condiscendenza Rossini, pieno di stima pel Tenore Garzìa, lo aveva lasciato comporre le Ariette, che dovevansi cantare dopo la introduzione sotto le finestre di Rosina. Ebbe egli con ciò in pensiero di più giovare alla espressione del carattere Spagnuolo. Garzìa di fatti compose sui temi delle canzoni amorose di quella nazione.
Ma Garzìa dopo avere accordata la Chitarra sulla Scena, locché eccitò le risa degl'indiscreti, cantò con poco spirito le sue Cavatine che vennero accolte con disprezzo. Io mi era disposta a tutto. Salìi trepidante la scala, che dovevami portare sul balcone per dire queste due parole - "Segui, o caro, deh segui così" - Avvezzi i Romani a colmarmi di plauso nella "Italiana in Algeri", si aspettavano che io li meritassi con una Cavatina piacevole, ed amorosa. Quando intesero quelle poche parole, proruppero in fischj, e schiamazzi. Accadde dopo ciò, che doveva necessariamente accadere. La Cavatina di Figaro sebbene cantata maestrevolmente da Zamboni, ed il bellissimo duetto fra Figaro e Almaviva, cantato pure da Zamboni e da Garzìa, non furono neppure ascoltati. Finalmente io comparvi, sulla scena, non più alla finestra, ed assistita da un costante favore di trentanove Recite preventive. Non ero attempata, Sig. Giornalista, io toccava appena l'anno 23 dell'età mia. La mia voce era stimata in Roma per la più bella di quante v'erano mai state sentite. Vogliosissima di far sempre il mio dovere ero addivenuta la figlia de' Romani. Si tacquero essi adunque, e si disposero ad ascoltarmi. Ripresi coraggio, e come io cantassi la Cavatina della "Vipera" lo dicano i Romani stessi, e lo dirà Rossini. Essi mi onorarono con tre consecutivi plausi generali, e Rossini alzossi pure una volta per ringraziarli. Egli che stimava allora moltissimo la mia voce, a me si volse dal Cembalo, e mi disse scherzando..... 'Ah Natura!' "Ringraziala", gli rispos'io sorridendo, "che senza il suo favore, a questo punto tu non levavi dal seggio". Si credette allora risorta l'opera; ma non fu così. Si cantò fra me e Zamboni il bel duetto di Rosina e di Figaro, e l'invidia fatta più rabbiosa sviluppò tutte le sue arti. Fischiate da ogni parte. Si giunse al Finale, che è una Composizione classica, di cui si onorerebbero i primi Compositori del Mondo. Risate, urli, e fischj penetrantissimi, e non si faceva silenzio, che per sentirne de' più sonori. Allorchè si arrivò al bell'Unisono - "quest'avventura" - una voce Chioccia dal Lubione gridò: 'Ecco li funerali del D.C.' [n.b.: La Righetti-Giorgi tace, per rispetto alla memoria dell'estinto, il nome del Duca Francesco Sforza-Cesarini, l'impresario del Teatro Argentina che era morto improvvisamente il 6 febbraio, dopo aver assistito, la mattina, alle prime prove del "Barbiere".]
Non ci volle di più. Non si possono descrivere le contumelie, cui andò soggetto Rossini, che se ne stava impavido al suo Cembalo, e pareva dicesse "Perdona, o Apollo, a questi Signori, che non sanno ciò che facciamo".
Eseguito l'atto primo, Rossini avvisò di far plauso colle mani, non alla sua Opera, come fu creduto comunemente, ma agli Attori, che a vero dire, avevano procurato di fare il loro dovere. Molti se ne offesero. Ciò basti a dar un'idea del successo dell'Atto Secondo.

Il giorno dopo Rossini levò dal suo Spartito, quanto gli parve giustamente censurabile; indi si finse malato forse per non ricomparire al Cembalo. I Romani frattanto tornarono sul fatto loro, e pensarono, che almeno bisognava sentir tutta l'Opera con attenzione, per poscia giudicarne con giustizia. Accorsero quindi al Teatro anche la seconda sera, e vi fecero altissimo silenzio. Il Sig. Giornalista comincia qui a dire il vero. L'Opera fu coronata del plauso generale. Dopo ci recammo tutti al finto malato, il cui letto era circondato da molti distinti Signori di Roma, che erano accorsi a complimentarlo sull'eccellenza del suo lavoro. Alla terza recita il plauso crebbe; infine il "Barbiere di Siviglia" di Rossini passò al rango di quelle composizioni musicali, che non invecchiano, e che degne sono di stare a fianco delle più belle Opere buffe di Paesiello, e di Cimarosa.
Quanto ai "trilli" e alle "volate" di Rosina il Sig. Giornalista vorrà forse fare la critica alla Signora Fodor [Josephina Fodor cantò il "Barbiere" a Parigi nel 1819], che ne sostenne la parte per alcuni mesi a Parigi, e che sentìi io pure in Venezia, cantare la parte di Rosina, forse con sovverchie rifioriture. Il merito per altro di sì brava Cantante è superiore alle osservazioni del Sig. Giornalista. Quanto a me nel breve periodo di mia teatrale carriera feci la parte di Rosina a Roma, a Genova, a Bologna, a Firenze, e n'ebbi infinite dimostrazioni di pubblico aggradimento. Posso dirlo senza fasto, perchè prima di me lo dissero tutti coloro che accorsero ad ascoltarmi. Granara, Boschi, Cartoni, impressarj di dette Città smentitemi se il potete, ch'io anzi ve ne prego.
Alfine il mondo ha giudicato il "Barbiere di Siviglia" di Rossini per un capo d'opera dell'arte; dovunque lo si prende dagl'Impresarj e da Cantanti siccome tavola di Naufragio. Il Finale, il Duetto, il Quintetto, il Terzetto sono pezzi di un effetto meraviglioso. L'aria di D. Bartolo, che fu sostituita a Firenze a quella dello Spartito, è composizione del Sig. Pietro Romani [L'aria "Manca un foglio" fu scritta da Romani poiché il basso Rosich non riusciva a cantare quella di Rossini "A un dottor della mia sorte"]. Essa è una bell'aria, e non ispiace a Rossini, che sia stata introdotta nella sua Opera.

Non sarà forse discaro a miei Lettori, che io parli anche un poco dell'opera - "La Cenerentola" - che fu per me composta da Rossini in Roma l'anno 1817. M'invoglia a parlarne un altro Giornalista di Parigi, che di quest'opera ha pure scritto stranamente. (...)
Io le dirò (...) Sig. Giornalista, che la introduzione di "Cenerentola" è bellissima, e le potrei anche darne ragione; Le dirò che la parte della prima Donna è varia, dilettevole, e sfarzosa quanto mai dir si possa, sebbene debba costarle molta fatica. Io non so, se la Signora [Emilia] Bonini riesca o no a soddisfare il Pubblico di Parigi con questa difficile parte. Egli è certo che (...) Cenerentola non può essere cantata con pieno successo che da una persona che possieda un'estensione tutta uguale, agile e pieghevole di 18 corde. Chi non ebbe dalla natura questo dono non avvisi di cantare la parte di Cenerentola giusta la mente di Rossini.
Ma si torni al nostro assunto. (...)

Quando Rossini fu chiamato a Napoli egli non aveva composte che poche Opere, e non aveva certamente dato alle scene il suo "Barbiere di Siviglia". Egli si portò anzi da Napoli a Roma per comporvi questa musica. Io ho parlato bastantemente di sopra intorno ad alcune Opere fatte da Rossini in quella Capitale, e i popoli d'Italia vanno pronunciando su di esse il loro sentimento, che non discorda punto dal mio. Mi resterebbe a dire alcune cose dell' "Otello", che il Giornalista Inglese vuol percuotere colle sue critiche. E' vero; la sinfonia v'è festevole, e mal s'addice a prima vista questo genere ad un Dramma tragico. Ma chi prescrisse mai l'indole delle sinfonie delle Opere in Musica? Io non ricordo sinfonie veramente adattate all'azioni, che si rappresentano (...) Pretende taluno, che le sinfonie debbano per fino essere il riassunto dell'Opere, mentre altri sostengono, che nulla avendo che fare colle medesime, il loro andamento, e la loro composizione possano essere liberi, liberissimi. L'Opera dell' "Otello" ha un ingresso festevole. Otello indi si presenta con una Cavatina lietissima. Il Maestro si attenne nel comporre la sinfonia di questo Dramma all'idee, che da questi primi pezzi gli furono suscitate. Questo non è errore.
Del rimanente l' "Otello", checchè ne dicano i Parigini, ha piacciuto singolarmente a Napoli, a Roma, a Firenze, e in molte altre colte Città d'Italia, e vi fanno pompa alcuni tratti di Musica declamativa, che veramente sorprendono. L' "Otello" infine mentre si presenta fornita delle regole dell'arte, conserva in gran parte i pregi primieri dell'estro di Rossini: l'originalità, e la vaghezza. (...)

Non è mestieri, che Rossini abbia detto - sono il più giovane, e il più fortunato dei Maestri - ella è questa una verità riconosciuta da tutta l'Europa; a trentun anni con quaranta opere, quasi tutte d'un effetto sorprendente, e possessore di ben settantamila Scudi, si può presumere ch'Egli senta nel cuore tutta la forza della sua situazione. Ma non ne viene per conseguenza che appunto per questo straordinario, ed inaudito trionfo verrà impedita la durata della popolarità di Rossini. In Francia è stato più volte detto che Rossini, rovesciati i Troni legittimi di Paesiello e di Cimarosa farà anch'egli la sua strepitosa caduta. (...) Oh quanto ben s'addice a questo soggetto un pensiero d'Orazio? d'Orazio? in una donna? Orazio: non istupite: donna e Cantante io leggo sovente Metastasio. Com'io ne sono rapita, non mi contento di leggere i soli suoi Drammi per Musica; leggo anche le sue Canzoni, le sue Lettere, le sue Traduzioni. Vedete come Metastasio traduce Orazio nel Libro dell'arte Poetica dal Verso 45 al 50.

"L'uso, e il dispor delle parole esige
Gentilezza e cautela. Allor sarai
Egregio parlator, quando le voci
Note ad ognun, mercè la cura industre
Che in collocarle avrai nuove parranno."

Io applico il concetto ai Maestri di Cappella, ed a Rossini, e fò questa versione.

"L'uso, e il disporre delle note esige
Gentilezza e cautela. Allor sarai
Bravo compositor, quando le note
Che molti sanno, colla cura industre,
Che in collocarle avrai, nuove parranno."

(...) Non è immaginabile la facilità di Rossini nel comporre Musica. Io ne convengo. Ma anche qui mi si permetta una distinzione. Quando Rossini compone animato dal suo genio, Rossini corre velocissimo. I rumori, che se gli fanno d'intorno lo ajutano anzi che nò a comporre le sue note. Simile a Cimarosa, lo strepito degli amici gli suscita nuove idee. Non è così quando compone per esempio il "Mosè". Allora bisogna ch'egli si concentri, ch'egli cerchi, ricerchi, e s'affatichi, e talora nel superare le difficoltà, Rossini sfugge a Rossini. Del rimanente io l'ho veduto in Roma comporre la "Cenerentola" in mezzo al più gran chiasso. Egli pregava gli amici così ad ajutarlo. Se ve ne andate, diceva egli talora, io manco di estro, e di appoggio. Bizzarria singolare! Si rideva, si parlava, ed anche si canticchiavano ariette piacevoli, sebbene in disparte. E Rossini? Rossini assistito dal suo genio ne faceva sentire tratto tratto tutta la possanza, portandone sul Pianoforte parti felicissimi. (...)
Il Signor Giornalista Inglese pretende, che Rossini colla sua estrema rapidità vinca e seduca gli animi senza lasciarvi le profonde impressioni, che vi producono le composizioni di Mozart. L'esperienza di più anni m'incoraggisce a esprimere anche su queste asserzioni il mio sentimento. Dirò in primo luogo, che mi piace quel concetto, che lessi (...) in un moderno libro francese: "la musica", si dice in esso, "è una monarchia, e il canto vi regna in monarca assoluto. Gli accompagnamenti sono i sudditi fedeli, ed ubbidienti al monarca". Ciò posto (non se ne adontino i popoli stranieri all'Italia) io sono d'avviso, che piaceranno sempre più al pubblico le opere di Rossini, che quelle di Mozart. In quelle di Rossini vi trovate sempre il canto italiano. Citerei qui almeno quarant'arie di Rossini tutte belle, e tutte cantabili nel gusto degli orecchianti, voglio dire di quegli esseri tanto sensibili alle dolcezze della musica, che ne apprendono tosto le melodie più affettuose, e le ripetono appena sentite con sommo diletto di chi le ascolta. Non v'ha Opera di Rossini, nella quale questo gusto veramente Italico, e che si va difondendo nelle altre nazioni, non primeggi. (...)
La musica poi de' giorni nostri è essenzialmente rapida, sia essa composta da Rossini, o da Mozart. Io non dico già che i larghi sieno veloci come gli allegri. No: ma i larghi scorreranno anch'essi, non lasciando posa negli animi degli ascoltanti, e lo si permetta; o questi "larghi" faranno una subita dolce impressione, o vi annojeranno immediatamente. Nel primo caso non è dal loro moto, che se ne trae il piacere; egli è dalla novità, e dalla vaghezza, con che sono composti. E così sarà, ed è degli "allegri", e dirò di più, che se si potesse formare un raziocinio, un concetto mentale sovra una frase, o un motivo musicale l'animo soprafatto dalla occupazione della mente vi perderebbe l'occasione del diletto. E vaglia il vero: immaginate una poesia strana, o colma di astruse parole, e fatela soggetto di composizione musicale. Se avvenga che il Pubblico, come sovente avviene abbia bisogno di applicazione speciale per comprendere il senso delle parole, gli sfugge allora la soavità della melodia, e non ne prova il diletto, che sarebbe da sperarsi.
Voglio dire con ciò, che la musica nostra è essenzialmente rapida, e la sua rapidità non nuoce, e non giova alla sua bellezza. La musica di un'Opera è sempre rapida, quand'anche la sua esecuzione dovesse durare dieci ore.

Gl'Italiani non desiderano una musica differente da quella di Rossini. No: anzi si desidera che Rossini non abbandoni Rossini per cercar novità astruse, e di niun'effetto. Gl'Italiani desiderano una musica espressiva, che loro ricerchi soavemente i cuori, e se qualche giovane maestro potrà ottenere tanto, egli starà a fianco di Rossini, e n'otterrà, com'egli, fama, e ricchezze.
Volete voi conoscere, Sig. Giornalista, coloro che sono stanchi della musica di Rossini? Gl'invidiosi del suo merito, e della sua fortuna: alcuni maestri suoi contemporanei, fabbricatori di note agghiacciate. Ma il Pubblico, e le Nazioni amanti della musica non soffrono invidia, sdegno, o rancore. (...) Dunque il più bello spartito, per esempio, d'Anfossi o di Sacchini finirebbe per eccitare una noja profonda. Un'Impresario procuri smentirmi col fatto. Ma che dico? Gl'Impresari tutti altro non cercano che musica di Rossini.
E poichè, col riportarsi di continuo al D. Giovanni di Mozart, vorrebbero gli stranieri di oscurare quel po' di gloria, che dalla musica nostra all'Italia ne viene, io chiamo la folla degli amatori, o degli orecchianti a sostenermi.
Questo D. Giovanni di Mozart, che fece tanto strepito a Milano, e a Firenze, nel Teatro di Santa Maria, fu poi freddamente accolto negli altri Teatri d'Italia, ne' quali lo si è fatto comparire. (...)
Non perciò intendo inculcare disprezzo per Mozart, che anzi onorare si deve un'anima Tedesca, che osò occuparsi d'italiani metri, e li adornò di belli e studiati accompagnamenti, in modo da far credere nuove anche le cose più rancide.
Ma io reclamo il gusto italiano, e dimando il canto soave, che "nell'immagina si sente"; egli è questo Monarca assoluto della musica, che vuol essere obbedito. La originalità sta nel canto, in quel canto che nasce dal fondo del cuore. Questa parte del sentimento, che durerà in eterno, è la sola, che deve apprezzarsi nelle Composizioni Teatrali. In fine un bel canto è l'opera del genio. Per me, e per tutti i dilettanti italiani val più una bell'aria ben cantata, che non tutti i quartetti, e quintetti istrumentali, (ne' quali però Mozart può chiamarsi enciclopedico) (...) La cosa è naturale. Malgrado tutta la celebrità di [Niccolò] Paganini, e il conosciuto valore di [Baldassarre] Centroni i loro strumenti [violino e oboe] non parlano. (...)
Non si confonda la musica, che piacer deve ne' Teatri col meccanismo, o congegnamento delle note musicali. Questo può essere perfetto, e non produrre la più leggera sensazione gradevole. Dal meccanismo meglio ordinato non nascono alle volte che noja, e sbadigli. Ah quante qui ne direi, se non avssi timore d'essere censurata da alcuni moderni Compositori (...) »

(Geltrude Righetti-Giorgi [prima interprete dei ruoli di Rosina e di Cenerentola] - "Cenni di una donna già cantante sopra il maestro Rossini" - Bologna, 1823)

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Ruoli rossiniani creati:
- Rosina ne "Il barbiere di Siviglia" di Rossini, al teatro Argentina di Roma, il 20 febbraio 1816.
- Angelina, ossia il ruolo del titolo ne "La Cenerentola" di Rossini, al teatro Valle di Roma, il 25 gennaio 1817.
Fu anche tra le prime interpreti di Isabella ne "L'Italiana in Algeri" di Rossini nel 1816 a Roma e Firenze e di Desdemona nell' "Otello" di Rossini a Siena nel 1817. 


venerdì 7 luglio 2023

'Belcanto Italiano Summer Campus 2023' continua in luglio sull'Appennino modenese, con i docenti dell'Accademia Nazionale di Belcanto Italiano

'Belcanto Italiano Summer Campus' sull'Appennino modenese, dal 15 al 19 luglio 2023

L'estate di Belcanto Italiano continua con tre grandi appuntamenti del “Belcanto Italiano Summer Campus 2023”, tra Italia e Germania:

- dal 15 al 19 luglio sull'Appennino modenese
- dal 14 al 19 agosto sulle colline del Lago d'Orta e
- dal 22 al 26 agosto a Duisburg (Germania) in collaborazione con la clinica foniatrica “Medizinisches Stimmbildungsinstitut” del Dr. Donald Becker - https://www.stimmdoktor.de/

 
 
Un'occasione imperdibile per tutti coloro che intendano raffinare la propria tecnica vocale, avvalendosi della guida dei fondatori di Belcanto Italiano; il soprano Astrea Amaduzzi, esperta di tecnica vocale, e il Maestro Mattia Peli, pianista e Vocal Coach.
I Maestri guideranno i partecipanti in un avvincente viaggio alla scoperta di una totale presa di coscienza del proprio strumento vocale nel canto lirico.
 
Alcuni degli argomenti che verranno affrontati: tecnica dell’emissione della voce nel canto lirico, uso del palato molle e della mandibola, studio dei passaggi di registro, studio del collegamento dei suoni, coscienza della voce in maschera, respirazione profonda, postura, arte scenica, gestualità e molto altro ancora. 
 
I seminari che si terranno sulle colline del Lago d’Orta e sull’Appennino modenese, saranno svolti con una vantaggiosissima formula per il soggiorno cui verrà affiancata, nei momenti conviviali, ottima gastronomia italiana sia vegetariana che non vegetariana.

Informazioni e prenotazioni (Tel.WhatsApp) 3475853253


lunedì 3 luglio 2023

La musica vocale sacra secondo Lorenzo Perosi



- "La mia fede è la mia vita. Quando ne contemplo la bellezza e la grandezza me ne esalto ed ho bisogno di esprimere questa esaltazione col linguaggio che mi è naturale... Rendere adorne di note musicali quelle opere di luce e di verità che sono eterne scritture, cercare di portare onore a questa nostra diletta Patria: sono due ideali cari al mio cuore di prete e di italiano." - (Lorenzo Perosi)


 


CHE PENSA E CHE DICE DON LORENZO PEROSI ("Le Cronache Musicali", Roma 1° gennaio 1900 - Intervista a Perosi, a cura di Italo Carlo Falbo)


Quando entrai nella sua camera da studio, piccolina, ma elegantissima, Don Lorenzo Perosi stava scrivendo la parola 'fine' sotto l'ultima nota della partitura del suo nuovo oratorio "La strage degli Innocenti". Accanto alla piccola scrivania era il pianoforte, aperto, sul leggio del quale stavano un po' confusi molti quinterni di carta da musica. Sull'ultima ottava acuta del piano dormiva una vecchia Bibbia.
Vedendomi, il Maestro si alzò sorridente e, stringendomi la mano, m’indicò i due lavori:
"Questo è l’oratorio che ho finito, quello, sul pianoforte, è l'altro che ho già sbozzato: "L'entrata di Gesù Cristo in Gerusalemme".
– La sua fecondità è veramente meravigliosa, Maestro.
– «È che io non resto un giorno, un'ora senza lavorare. Finché scrivo un'opera non so mai quel che scriverò dopo; ma non appena l'ho compiuta, penso all'altra e ricomincio da capo. Ma... cambiamo discorso. Ho saputo già della nuova Rivista musicale; finalmente! A Roma c'era proprio bisogno di una pubblicazione seria e bella, come saranno certamente le vostre "Cronache". Ed io voglio essere il primo ad augurare vita lunga e brillante al nascente periodico.»
– Grazie, Maestro, ma gli auguri non bastano. Da lei ci aspettiamo qualche cosa di più...
– «Vuol dire?...»
– Un articolo, per il primo numero.
Don Lorenzo rimase un po' sorpreso dalla mia domanda inaspettata.
– «Un articolo da me? E per il primo numero? Ma, anzitutto io non mi sono quasi mai provato a scrivere articoli di critica musicale; ho difatti rifiutato inviti ed offerte per l'Italia e per l'estero; e poi, pure volendo, ora, non potrei, ché mi mancherebbe il tempo anche di pensare un buon argomento.»
– Scriverà qualche cosa sulla musica sacra contemporanea, sull'oratorio moderno così come lei lo intende...
– «Eh sì! Vorrei ben dire a certi critici che prima di giudicare un autore bisognerebbe che ne conoscessero le idee, i sentimenti, le aspirazioni. La maggior parte dei miei critici ha infatti attaccato, con molta prosopopea, i miei lavori perché "quella non è musica sacra"!
Ma, sfido, io! Non ho inteso mai di scrivere "musica da Chiesa".»
– Come!...
– «Mi spiego. Ci sono due musiche sacre: la vera musica religiosa o ufficiale o da chiesa, che segue le leggi liturgiche più o meno rigorosamente, e quella del dramma-religioso (la mia), la quale non ha nulla di comune con la prima, e che ha un campo molto più largo, indeterminato, quasi quanto la musica profana.
E, in vero, a questo ho mirato coi miei oratori: a poter fondere la musica sacra con la profana, come ho fuso, nei libretti dei miei oratori il dramma religioso con l'umano. La madre che piange la morte del figlio, i cattivi che assassinano il buono, il grido della verità e della giustizia che trionfa e domina gli sghignazzamenti della folla, sono sentimenti essenzialmente umani, affetti passionali che tutti sentiamo, che noi italiani poi sentiamo più fortemente degli altri. Ed io che pure ho studiato profondamente i classici antichi e i maestri moderni, i novatori dell'arte melodrammatica e della sinfonica, sono rimasto coscientemente, sempre italiano, negli scatti passionali, nell'espressione sincera de' miei sentimenti, pur avendo fatto tesoro dei progressi della tecnica musicale nelle scuole estere.»
– Ma è vero che vuol fare un vero dramma lirico, di soggetto religioso, "Caino", e varcare così la soglia del teatro?
– «Io non scriverò mai un vero melodramma da teatro. Della messa in scena le opere mie, i miei oratori, che sono ciascuno "un quadro" della vita avventurosa e gloriosa di Cristo, non hanno bisogno. Certo la scena aiuta spesso moltissimo la musica; ma spesso le nuoce assai. Ho visto questa estate rappresentare il "Parsifal"; ma il maggior diletto ho provato ascoltando lo stupendo preludio, nella semioscurità del teatro di Bayreuth. La mia mente, seguendo le note divine, sognava dolci visioni: il mio spirito si elevava in alto, in alto, fuori, sopra del mondo reale, ed il godimento era straordinario. Poi la visione delle mutevoli scene di carta e dei cantanti contorcentisi nell'aprir bocca, e gesticolanti, mi fecero provare molto minor godimento.»
– Dunque lei aborrisce l'azione scenica e il libretto?
– «Non dico questo, no, perché comprendo bene che la musica da sola non può dir tutto; ma io non scriverò mai un dramma sceneggiato. Nei miei "quadri" c'è un'azione-musicale, non c'è bisogno, ripeto, di un'azione scenica.»
– E pure i libretti de' suoi oratori rappresentano un bel passo avanti sui libretti degli antichi oratori di Bach e di Mendelssohn.
– «Io presi a modello de' miei libretti quelli del nostro Carissimi, il quale per il primo introdusse la parte dello "storico" per la narrazione; ma ho modernizzato, a seconda la esigenza dei tempi, e modernizzerò ancora di più in seguito l'azione dell'oratorio, pur conservando sempre in massima il modello finora prescelto.
E come vado rendendo sempre migliore l'azione, vado maturandomi e progredendo nell'arte strumentale; vedo da me quanta strada ho percorso dalla "Trasfigurazione" alla "Resurrezione di Cristo", che pure ho scritta molti anni fa, quando ancora era inesperto degli effetti orchestrali...»
– E questo noi abbiamo notato con piacere, bene augurando per l'avvenire.
– «Spero, infatti, che il "Natale del Redentore" sembrerà a lei che non l'ha sentito a Como, un lavoro molto più organico e resistente ai colpi della critica seria e non ciarliera; e nella "Strage degli innocenti", finora inedito, credo di aver fatto ancora un altro passo avanti.
Non ho copiato nessuno; ho voluto far da me, seguendo il mio ideale e cercando di avvicinarmi ad esso poco a poco.
Ho tentato con ardimento; e se ho avuto molti applausi da una parte ho avuto acerbe critiche dall'altra. Ma nè quelli mi esaltano, come qualcuno scioccamente ha detto, nè queste mi dispiacciano e mi sfiduciano. Anzi la discussione ritempra il mio spirito e mi sprona a far meglio. Qualcuno però ha scritto che i miei oratori sono fatti sul modello dei tedeschi. Mai più!
L'oratorio tedesco è rimasto cristallizzato nella vecchia forma classica, e non ha fatto in verità alcun serio progresso. Si scrivono è vero, trecento e più oratori all'anno, perché in Germania tutti i musicisti sentono il dovere di scrivere una dozzina di oratori, ma dopo quelli di Mendelssohn, si può dire ch’essi non han saputo darci nulla di veramente importante.»
– Ma, dica, Maestro: poiché ella afferma che la sua non è musica di carattere sacro e da chiesa, perché la fa eseguire in chiesa? E quale ambiente crede meglio adatto per l'esecuzione dei suoi oratori?
– «Nè chiesa, nè sala, nè teatro. Non nelle chiese – perché eseguire un mio lavoro in una chiesa è quasi una profanazione; le chiese sono destinate al culto sereno della religione, e le ho già detto che la mia musica non è fatta per il culto, non per la liturgia. E, quanto alla musica da chiesa, io ho idee un po' radicali.»
– Sarebbero?
– «Ella sa che il canto ufficiale è il canto gregoriano, ma oggi è tollerata qualunque musica, da quella del Palestrina a quella dei modernissimi compositori di musica sacra. Orbene, io credo che dalle chiese, destinate al culto purissimo della religione, dovrebbero essere bandite tutte le orchestre massime e minime, e tutti i lavori non rigorosamente liturgici, compresi gli oratori e gli "Stabat" di Rossini. Di esecuzioni orchestrali, di musica profana se ne sente tanta dappertutto, a teatro, in piazza, nelle sale. In chiesa il credente non deve essere distratto da melodie ed accordi profani. Io ridurrei la musica ecclesiastica alle polifonie vocali. E, invero, la più bella messa di Mozart, il più commovente oratorio di Bach non rapiscono le anime fedeli in un'estasi celestiale come un coro a sole voci di Palestrina o di Orlando di Lasso, eseguito nel silenzio di un cattedrale vasta e austera, da l'alto di un palco nascosto...»
– E dell'oratorio in teatro che pensa?
– «È anche questa una profanazione... a rovescio, perché i teatri, moderni specialmente, sono ambienti dai quali dev'essere bandita ogni manifestazione di arte musicale purissima. Sarebbe tutt'al più accettabile un teatro come quella di Bayreuth, che è qualche cosa di mezzo fra un teatro e una sala. Ma spero che avrò un ambiente adattissimo per i miei lavori nella sala di S.Maria della Pace – intitolata generosamente al mio nome – che a Milano stanno costruendo e dove, per 10 anni, darò la "prèmiere" di tutte le mie composizioni. L'antica chiesa è trasformata in una sala originale, dove gli ascoltatori non vedranno nessun esecutore, e che sarà, durante le esecuzioni debolmente illuminata, quasi buia. Così alla delizia dell'occhio verrà interamente sostituita la delizia dell'orecchio. Ma con ciò non ho raggiunto il mio ideale. Col tempo spero di far accompagnare la mia musica da proiezioni sceniche, da grandi illustrazioni ottiche, che diano completa l'illusione della rappresentazione del dramma.»
– Una specie di 'proiezioni a sistema Lumière'?
– «Sì, ma che siano perfette, ideali; così che sembri allo spettatore di sognare, e di avere in sogno la visione netta, bella, affascinante della scena descritta. Quand'io compongo, non ho dinanzi agli occhi degli uomini e delle donne vive, in redingote, in "decolté", che aprono la bocca e cantano o che gesticolano e passeggiano; ho dinanzi agli occhi delle figure ideali come dipinte in un gran quadro, e mi parlano un linguaggio arcano, ch'io traduco nelle note della mia musica. È questa visione ch'io vorrei illustrata con proiezioni; e sono certo che la mia musica con un tale accompagnamento ottico sarebbe molto più compresa e gustata; mentre forse le nuoce la "materialità" della scena reale.»
– Il concetto è nuovo e molto ardito, ma assai bello e interessante; perché non tenta? L'arte delle proiezioni ha raggiunto finezze straordinarie e non le sarebbe difficile raggiungere il suo disegno che potrebbe essere il principio di una meravigliosa innovazione nell'arte rappresentativa.
– «Io spero di poterlo raggiungere col tempo», rispose Egli, con sicurezza.
In questo mentre entrò il cameriere ed annunziare la contessa X; ed io mi alzai, per uscire. Don Lorenzo stringendomi affettuosamente la mano mi rinnovò gli auguri per la nuova "Rivista", e mi pregò di scusarlo con gli amici per l' "articolo" che non avrebbe scritto.
– «Creda che proprio non ho tempo, e in questi giorni, con l’apertura dell' "Anno Santo", sono sempre occupato alla "Cappella Sistina".»
– Ma, grazie lo stesso, Maestro; l'articolo pel primo numero delle "Cronache musicali" è bell'e fatto…
– «Ah si?» – fece Don Lorenzo, come sorpreso; ma soggiunse subito, col suo solito sorriso – «Faccia come crede, però... sa... capirà...»
– Oh quell'abito, quell'abito!... – esclamai, stringendogli fortemente la mano, e Don Lorenzo raggrinzò la fronte, torse graziosamente la bocca, scrollò lievemente il capo ed emise un "eh!", molto espressivo, che voleva dir tante cose. Voleva dire che quell'abito era sì una vocazione e bisognava rispettarla, ma voleva dir pure che, alla fin fine, l'abito... non fa il prete!



- Lorenzo Perosi in un ritratto del 1949 -


LORENZO PEROSI, Monsignor (Tortona, 21 dicembre 1872 – Roma, 12 ottobre 1956), presbitero, compositore e direttore di coro italiano
Spalle poderose, testa quadra, capelli lunghi e argentei, occhi intelligenti, vivi e mobilissimi sotto grandi occhiali, mani piccole e vigorose quando stringono la bacchetta, ma che si fanno gentilissime non appena si posano sulla tastiera, Lorenzo Perosi passa le sue giornate tra lo scrittoio e il pianoforte, tra il Breviario e gli spartiti musicali.
Il Maestro vive ora in un appartamento del Palazzo del S. Uffizio, appartamento che fu già abitazione del fratello suo, Card. Carlo Perosi, e che gli venne concesso in uso da Papa Pio XI, grandissimo ammiratore dell'arte di Don Lorenzo, quando, nel 1931, il porporato si spense.
In questo appartamento, Perosi vive con le sorelle Felicina, Maria e Pia, tre buone creature votate alla rinuncia ed al sacrificio per il bene dei loro cari.
La giornata di questo prete che pare mandato da Dio per ricondurre a Lui con la soavità dei canti e le armonie musicali i lontani e i neghittosi, si svolge con un ritmo quasi monastico.
Don Lorenzo si alza abitualmente verso le sette si pone in preghiera, e, verso le otto, celebra la S. Messa nella Cappellina domestica.
Dopo il caffè, recita il Divin Ufficio. Esauriti così i doveri sacerdotali, Monsignore si trasferisce nel suo regno preferito: il regno della musica, che musica, si può dire, è ogni atto e ogni pensiero di Lui, e musica è l'atmosfera mirabile in cui Egli vive. La sua anima aperta e chiara, vede nella musica un riflesso dell'ordine e delle divine armonie; e questo pensiero gli fa amare la musica in un modo ancora più grande.
Perosi ha due pianoforti: uno nella sala d'ingresso e l'altro nella camera da letto, ma, di solito, suona col secondo cui è affezionatissimo.
Da questo pianoforte sono nate ed hanno preso il volo per il mondo, le sue mirabili teolodie.
A questo punto mi pare di sentire una domanda: dove Perosi ha studiato musica? Chi furono i suoi maestri? Rispondo. Suo primo maestro fu lo stesso suo padre, ch'era organista nel Duomo di Tortona.
A diciassette anni, Lorenzo Perosi era già noto nel campo musicale tanto da essere chiamato da P. Amelli ad insegnare musica ai novizi nella celebre Abbazia di Montecassino.
Nella pace di quelle mura e presso la ricca biblioteca dell'insigne Cenobio, egli ebbe agio di raccogliere e di coltivare il proprio spirito e di ascoltare forse per la prima volta le voci profonde e misteriose dell'anima sua.
«Là non soltanto prese dimestichezza coi grandi polifonisti religiosi dell'età aurea; non solo potè apprendere il canto gregoriano e coglierne attraverso le vere tradizioni di melodia e d'esecuzione notate sugli antichi manoscritti, la grande ed alta poesia; ma anche, e soprattutto, intese i bisogni della sua anima ingenuamente e squisitamente religiosa e sentì intenso il desiderio di accostarsi da vicino alla figura e alla vita del Cristo più di quanto non gliene avesse ispirato fino allora il costume corrente della vita cattolica italiana. Intuì Perosi, forse i tempi nuovi? Ascoltò forse le voci che salivano su da anime ardenti ed audaci, da spiriti colti desiderosi di un cristianesimo più puro e più evangelico? Egli non si occupava allora né si occupò dopo di critica religiosa e di esegesi neo-testamentaria, ma aveva l'occhio assai vivo e l'orecchio troppo fine per non accorgersi che qualche cosa nell'aria si agitava. E poi l'artista di genio prevede e presenta, pur senza rendersene ben conto, le varie correnti spirituali della sua epoca». Quello che è certo è che a Montecassino, l'anima di Perosi fu affascinata soprattutto dal Cristo, dalle pagine del Vangelo che profumano di divina poesia o grondano di sofferenza umana. Il Vangelo divenne così l'ispiratore della sua musica.
Ne abbiamo conferma in una interessante lettera diretta da Mons. di La Fontaine a Mons. Granito di Belmonte, poi Cardinale.
«Posto così — essa dice — in immediato contatto col testo sacro, la cui declamazione gregoriana tanto drammatica e maestosa, soprattutto l'inno della passione, lo estasiava, Perosi concepì forse in quel tempo, sotto la profonda impressione ricevuta nell'anima sua, la prima idea non soltanto della "Trilogia", ma anche del vasto disegno d'un ciclo musicale d'oratorio sulla Vita di nostro Signore».
Si vuole, infatti, che il Perosi si sia proposto, giovanetto ancora, un programma cui tenne fede con singolare tenacia. Il proposito era questo: «Gli uomini del mio secolo non vogliono sentire il Vangelo, io lo farò loro sentire in musica».
Cosa sono i suoi "Oratori" se non il Vangelo musicato?
Cominciò con l'Oratorio "In coena Domini" cui tennero dietro: "La Passione", "La Resurrezione di Cristo", "Mosè", "il Natale", "il Giudizio Universale", "la Resurrezione di Lazzaro", "la Strage degli Innocenti", "la Trasfigurazione", "il Sogno Interpretato". Come ognun vede, la Musa del suo canto è sempre il Vangelo, la più grande parola che mai sia stata pronunciata sulla terra.
La ragione del fascino emanante dalla piccola persona e dall'opera del musicista tortonese (Perosi è nato a Tortona nel 1872) risiede, secondo il Damerini, «in due fatti principali: prima di tutto nel lungo periodo di decadenza in cui le grandi forme musicali, all'infuori dell'opera teatrale, erano cadute e dalla quale, d'un balzo, l'Italia sembrava liberarsi in virtù dell'Oratorio perosiano;
in secondo luogo nel fatto che Perosi, a parte il suo merito come creatore, seppe, con vero senso storico, risentire per il primo una tradizione di forme e di spiriti veramente italiana, soffocata anche da quei pochi seri musicisti solitari che coltivarono le grandi forme ma con "animus" troppo tedesco. Perosi, bisogna subito dichiarare, non si presenta come un riformatore, nell'assoluto senso della parola, ma piuttosto come un rievocatore della grande anima musicale italiana. Sì, è vero, la sua opera presenta elementi tolti quasi di peso dai grandi classici e romantici tedeschi; ma una educazione musicale seria e solida come poteva allora, come può anche oggi prescinderne? Chi conosce tuttavia profondamente la musica perosiana e non è abbagliato da preconcetti dogmatici deve pur riconoscere che se Perosi, nel corso della sua elaborazione interiore, interrogò anche spiriti magni stranieri, come un Bach e un Wagner, egli ne contemplò il viso sotto un colore — specialmente riguardo al primo — intonato al cielo italiano».
Quello che sicuramente è vero è che nella musica di Perosi si trova sempre un caldo ed elevato soffio di umanità che si sublima dell'ardore di una fede veramente sentita e vissuta.
Per questo la sua musica commuove. Si sente che è sincera, che viene dal profondo.
Quando, ad esempio, fu eseguita per la prima volta a Roma "La Resurrezione di Cristo", un'oratorio che ha una voce d'argento e una freschezza d'aurora, l'esecuzione fu interrotta dagli applausi per ben sei volte.
E, alla fine, il grido del pubblico scattato in piedi superò il clamore delle trombe inneggianti al Signore risorto.
Il nome del giovane prete cominciò da quel momento ad essere conosciuto nella Penisola: e P. Semeria, in una conferenza tenuta dopo la morte di Verdi, uscì a dire:
«Ecco è morto Verdi e sorge già un nuovo astro per la musica italiana: Perosi...».
E un fine critico musicale sentendo il "Benedictus" della Messa funebre composta da Perosi per la morte di Leone XIII, esclamò:
«E' un canto del « Paradiso » di Dante : è una festa di luci, di suoni, di anime».
Attraverso alla voce di Perosi, è, infatti, la pura eterna voce musicale di Palestrina, di Orlando di Lasso, di Vittoria, di Frescobaldi, di Gabrieli, di Carissimi, che ritorna a far vibrare le anime nostre, a farci provare emozioni di paradiso.
Ma dalle mistiche nozze del sacerdote tortonese con Madonna Melodia, sono nate altre opere di singolare valore artistico. Perosi ha infatti una vena musicale ricchissima, quasi inesauribile.
Egli ha composto trenta Messe ed oltre duecento pezzi musicali (mottetti, salmi, inni).
Sfogliando il numero senza numero delle sue pagine, si nota che il suo cantare è a un tempo elegia e salmo, dolore e amore, monito e speranza:
nel clima unico e ardente di una fede e di un amore che si arrossa nel sangue di Cristo.
Naturalmente, anche Perosi ha delle partiture che si prestano a critiche severe. «Ma, osserva il Damerini, bisogna però riconoscere che nelle sue Messe migliori, come l' "Eucaristica" a quattro voci e la "Pontificale" a quattro, cinque, sei e sette voci con archi, la buona e corretta forma liturgica è disposata con una bene intesa modernità di linea e di espressione e il senso profondo e sincero dell'adorazione religiosa non esclude il calore e il fervido abbandono che proviene dalla coscienza viva della pietà e del dolore umano. Questa maggiore compenetrazione dell'elemento umano, con l'atteggiamento sostanzialmente religioso del pensiero musicale nelle opere da chiesa di Perosi fu la causa della stragrande fortuna che l'autore ebbe sui primi tempi anche come compositore di musica liturgica, ad onta delle critiche talvolta aspre che egli ricevette da qualche parte».
Perosi ha inoltre composto alcune "Suites" intitolate alle città d'Italia: "Roma", "Venezia", "Firenze", "Messina", "Tortona", "Milano", "Torino", "Napoli", "Genova", che testimoniano della versatilità del suo genio musicale. Il Maestro ha composto inoltre altre opere di minore importanza e in gran parte inedite: "Oratio vespertina", per soli, cori e orchestra; "La Samaritana", per soli cori e orchestra; "Suite", per violino, violoncello e pianoforte; "Sonata e Variazioni", per violino e pianoforti; "Dovrei non piangere", poema sinfonico; "La festa del Villaggio", poema sinfonico.
Anche ai nostri giorni, il Maestro lavora instancabilmente. Sono abitualmente, quelli ch'egli compone, mottetti, temi, pensieri religiosi ch'egli ferma sulla carta, più che per gli altri, per sé medesimo.
A Roma, si dice che il Maestro stia preparando per il prossimo Anno Santo (1950) un Oratorio: "II Nazareno". Chi ha avuto la fortuna di sentirne qualche brano, ne dice meraviglie. A noi non resta che augurarci che il Maestro riesca a chiudere in bellezza anche questa sua nuova opera. Perché è proprio negli Oratori che c'è il meglio della musica di Perosi. Nelle sue opere oratoriche, infatti, si concentrano e si riassumono genialmente molti secoli di musica.
«Nel suo stile compatto e personalissimo — dice il Damerini — si fondono a nuova potenza espressiva di rinnovata coscienza religiosa il coro palestriniano gregoriano, l'aria nettamente tracciata dalla limpida dolorante serenità bachiana e le moderne combinazioni armoniche e strumentali».
Un'attività che grandemente appassiona il Maestro è la direzione della Cappella Sistina cui attende dal 1898. Riformò subito l'ordinamento della «cappella» facendovi entrare un buon numero di bambini. Quanto egli abbia dovuto faticare per riportare le esecuzioni musicali della «Sistina» all'antica grandezza è facilmente intuibile.
Più che alle melodie del Palestrina o di Vittoria, i cantori e il popolo romano erano attaccati a quelle del Capocci e fu necessario l'intervento personale di Leone XIII per chetare i marosi. Rifatto il gusto, oggi i romani accorrono a sentire sotto la cupola di Michelangelo il "Tu es Petrus" di Perosi così come ieri sono accorsi a sentire il "Roma Felix" di Caponi.
E' il prodigio della musica di Perosi che continua. E' la sua grande arte che continua ad entusiasmare e a consolare i cuori.
Concludendo diremo con Carlo Gatti: «Un Bach in pianeta è stato definito il Perosi; un Bach italiano più ingenuo e sereno del tedesco; un Bach cantore della Chiesa cattolica che ha seggio supremo, per disposizione di Dio, in Italia, paese incantevolmente luminoso».

(da: Attilio Baratti - "PROFILI DI MUSICISTI" - Steli Editore, Milano 1949)

 

Beniamino Gigli incontra il compositore Lorenzo Perosi - 23 dicembre 1932:

"... Venni da Recanati a Roma, accompagnato da un mio fratello, col proposito fermo di essere assunto nel coro della Cappella Sistina. Vana speranza; amara delusione, ché la mia età era di poco superiore a quella prescritta per l'ammissione alla Sistina. Da allora son trascorsi più di venti anni. Ieri, trovandomi presso Castel Sant'Angelo, i vecchi e non spenti ricordi si ridestarono; e, detto fatto, mi trovai sulla soglia della sua cameretta presso la casa di fratel Damaso. Non vi entrai subito. Mi arrestai ad ascoltare il maestro che suonava al piano, una pagina di musica classica col suo inimitabile magnifico tocco. Poi mi trovai, e con quale e quanta commozione, dinanzi a don Lorenzo. Si rievocò, naturalmente, il tempo della mia mancata ammissione al coro della Sistina. 
E Perosi: «Adesso, caro Gigli, si farebbe un'eccezione, quanto all'età, visto i progressi che l'ex mancato corista ha fatto»
Risposi: «Ben lieto e felice, ma ad una condizione, di cantare qualche 'a solo' di musica perosiana»
Così colsi l'occasione  per pregarlo di comporre un pezzo per la mia voce. Sarebbe il solo modo per compensarmi della 'protesta' e della delusione subite, allora.
Perosi sorrise, dicendo che la sua musica valeva così poco che non poteva interessare un'artista come me. Ah, la modestia sconfinata d'un musicista così geniale! Ma, a furia d'insistere, mi accomiatai da lui con una mezza promessa. Io sogno, pregusto già la gioia d'interpretare una pagina sublime del grande Maestro! ..."

-Intervista a Beniamino Gigli - Roma, 23 dicembre 1932
 

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«C'è più musica nella testa di Perosi che in quella mia e di Mascagni messe insieme.»
(Giacomo Puccini)

[citato in: Adriano Bassi, "Don Lorenzo Perosi: L'uomo, il compositore e il religioso" (Fasano di Brindisi, 1994), p. 226]

"Perosi non cambia una nota di ciò che ha scritto perché il profumo della sua musica sta tutto nella sua semplicità" (A. Toscanini)


"Maestro grande, ho riascoltato il suo monumentale <<Giudizio Universale>>, ed ancora una volta ne sono restato conquiso.
Che magistrale modello di suprema musicalità, il suo lavoro!
E qualche arido dodecafonico che lo avrà ascoltato, si sarà battuto il petto per un salutare 'Mea culpa'??? Le sono assai grato per avermi fatto il dono di indimenticabili momenti di esaltazione e di commozione. E sempre ammirandola mi creda."

Pesaro, 8 maggio 1950.
Suo dev. e aff.
M° Franco Alfano

[Testo di una lettera inedita rinvenuta in casa Onofri, indirizzata a Lorenzo Perosi, dal M° Alfano, al tempo direttore del Conservatorio di musica G. Rossini di Pesaro.]


"Perosi ha una mente geniale e creativa, capace di interpretare con i suoni la lode dell'onnipotenza, potenza e bontà di Dio" (P. Mascagni) 

"Ancora oggi come di più di cinquant'anni fa, mi colpiscono del Perosi il candore e la schiettezza del linguaggio, così come mi colpiranno sempre certi suoi invidiabili slanci lirici e la incisiva bellezza di certi suoi temi." (Ildebrando Pizzetti)