lunedì 10 luglio 2023

Testimonianza di Geltrude Righetti-Giorgi, la prima 'Rosina' e 'Cenerentola', sul maestro Rossini e sulla sua musica operistica

G.Righetti-Giorgi - "Cenni di una donna già cantante sopra il maestro Rossini", Bologna 1823

Ecco la testimonianza della prima interprete rossiniana dei ruoli di Rosina e Cenerentola, la bolognese Geltrude Righetti-Giorgi, la quale parlava nel 1823 di Gioachino Rossini, del suo stile vocale-compositivo,  della "prima" romana del "Barbiere di Siviglia" e del ruolo di Cenerentola:
"Cenerentola non può essere cantata con pieno successo che da una persona che possieda un'estensione tutta uguale, agile e pieghevole di 18 corde"!


ROSSINI
« Io credo che con questa parola si sveglierà la curiosità di tutto il Mondo. Non vi fu Artista, che al pari di Rossini fosse o tanto lodato, o tanto biasimato. E quando poi non bastasse il solo suo nome ad eccitare la curiosità generale, accennerò presto presto, che è una Donna, che scrive di lui, e che imprende a difenderlo da molte taccie, che forse mal gli si appongono. Sono stata più volte assalita dalla voglia di rendere questo tributo alla verità. Mi trattenne però fino ad ora non la difficoltà dell'argomento, ma la sferza degl'indiscreti. In Italia una donna, che componga pel pubblico, è cosa strana. Mi renderò io adunque coraggiosa nel silenzio di tutte, e parlerò di cose, sulle quali tutte le italiane Donne s'interesseranno: voglio dire di Rossini, e della sua Musica. Non cerco lodi, nè ambisco alcun premio: Scrivo per la verità (...)

Egli (...) non poteva imparare dal Padre che della musica (...) poichè il Padre suonava per professione il Corno da Caccia. Io l'ho sentito a suonare più volte nelle Chiese, nelle Sale, e ne' Teatri. (...)
Rossini nell'età appena di anni 7 fu discepolo del Sig. D. [don] Angelo Tesei, rinomato Maestro di Cappella di questa Città, e tal profitto egli trasse da suoi insegnamenti, che giunto all'età di anni 8 cominciò a cantare il Soprano nelle Chiese di Bologna, e addivenne con tale esercizio peritissimo Cantore. L'ammirava io stessa in quella tenera età, sebbene fanciulla a leggere speditamente la musica, e parevami impossibile che un Maestro di Cappella potesse con tanta sicurezza di buon successo affidargli la parte cantante, o del "Laudamus te", ed anche del "Qui tollis". Rossini intanto tutto eseguiva con precisione, e con maestria, a tal che, rappresentandosi nel Teatro Zagnoni "La Camilla" di Paer fu prescelto a cantare la parte del figlio. Nulla di più commovente, e di più tenero del bel canone "Sento in sì fiero istante". I Bolognesi fin d'allora predissero, che Rossini sarebbe stato uno de' più celebri cantori d'Italia. Nè s'ingannarono: Rossini fa vedere in realtà nelle sue composizioni quanto profondamente conosca quest'arte divina. Le parti cantanti scritte o per David, o per Nozzari, o per Garzìa, o per la Marcolini, o per la sua Sposa, o per me (sì per me) giustificano pienamente la mia asserzione.

Ma qui a gloria di Rossini, e di Bologna, e per servire alla verità de' fatti, si torni un passo addietro. Parlando della educazione di Rossini, siccome Scolare di Canto, non si deve trascurare  quella ch'egli ebbe come compositore di Musica. (...) Dopo averlo il Tesei istrutto profondamente nel Canto, cominciò ad insegnargli le prime regole del Contrappunto; indi all'età di anni 14 fu mandato alle Scuole del rinomatissimo Padre Stanislao Mattei. Vide ben tosto questo insigne Maestro, ch'egli aveva a fare con un genio straordinario, che mal soffriva i vincoli della Scolastica disciplina. Non ostante lo coltivò con ogni maggiore industria, e ben appropriata istruzione nell'arte della musica. Rossini infatti l'anno 1808 si mostrò compositore. I suoi primi saggi furono sentiti con ammirazione. Negli Archivi del Liceo Filarmonico di Bologna esistono ancora e la prima Sinfonia, ch'egli compose, e la sua prima Cantata, dal che io traggo, che Rossini ebbe (egli è vero) i natali in Pesaro, ma ricevette educazione, studio, e fama da questa Città, che gli fu Madre, e nella quale ha stabilito il suo domicilio.
Che io mi sappia, Rossini dopo "la Camilla" non cantò mai più in Teatro. (...)

Come cantò sulle prime nelle Chiese, e in Teatro, così cantò squisitamente, e sempre, non 'ora', nelle Case sul Pianoforte. Il Sig. Giornalista Inglese [Stendhal] parla specialmente della sua Cavatina di Figaro, e dell'Aria di Bartolo nel suo "Barbiere di Siviglia". Oh quante altre cose, anche d'altri Compositori, canta egli sul Pianoforte con sorpresa di chi lo ascolta! Egli ha cantato molte volte pezzi sublimi di Paisiello, di Cimarosa, e di Mayer. Io l'ho sentito cantare con infinito godimento mio, e degli ascoltanti alcuni pezzi dell'Opera "la Grotta di Trofonio" del Maestro Salieri. La espressione di Rossini come cantante sul Pianoforte non ha pari. Io ho veduti in Roma, e in Napoli i primi Signori carezzarlo grandemente per averlo una sera ad ornamento dello loro Società. Io stessa lo vidi premiato da Augusta Mano dopo che col suo Canto al Pianoforte aveva apportato a circostanti il più soave diletto.
Che Rossini abbia composte Canzoni nello stile d'allora, sarà vero; ma per mia mala sorte non ne intesi alcuna, e sì che dalla età di anni 15 fino a quella di anni 19 ebbi occasione di vederlo frequentemente. (...)
Io non so poi se Rossini abbia un'avversione speciale per le Sinfonie. Gli attribuirei piuttosto, come il Sig. Giornalista anche suppone, una specie d'infingardaggine, che lo abbia trattenuto dal comporne una per ciascuna delle sue opere. D'altronde la Sinfonia dell' "Italiana in Algeri", del "Tancredi", della "Cenerentola", e della "Gazza ladra", e tant'altre, ch'egli compose, provano bene, che l'estro di Rossini non è avverso alle Sinfonie. (...)

Rossini si pose veramente in onorevole seggio fra i Maestri Italiani, quand'ebbe composta l' "Italiana in Algeri", e il "Tancredi". Non seguì Rossini i "Crescendo" di [Giuseppe] Mosca solo in Milano, ma da per tutto. Io intesi a dire più e più volte, che Rossini è debitore de' suoi Crescendo a [Pietro] Generali. Rossini non n'è debitore che a se medesimo. Vid'egli, che il Popolo amava lo strepito, e che al fragore di molte note vibrate prorompeva in altissimo plauso. Egli seguì la espressione del discorso naturale; nel calore della disputa l'uomo si accende vieppiù, e più rinforza la sua voce. Rossini calcolò sull'effetto di questo naturale "Crescendo", e lo applicò alle sue composizioni. Ma egli è da notarsi che non sempre egli si dedica a questo sistema, e che molte volte gli si attribuisce, siccome qualità, una accidentale combinazione. La "Romance", per esempio, di Desdemona nell' "Otello", la Cavatina dei Palpiti, in sostanza dov'ha d'uopo di destare la tenerezza, ed il sentimento, non si rafforza co' timpani, o colle catube. Ne' quartetti, ne' quintetti, e ne' finali, egli imprime alle volte una celerità straordinaria all'andamento della sua musica, e vorrei veder uno di questi pezzi finire col languore del "mio ben quando verrà" di Paesiello. Tutti i Maestri antichi, e moderni danno fine ai loro pezzi concertati con forza, e con vigore. E quando, sino ne' Sagri Templi, s'intromette ne' finali dei "Kirie" e delle "Glorie" un motivo delicato, ciò non è che per far risaltare con maggior forza il "Crescendo" che ne segue. N'appello all'esperienza degli Amatori.

Può essere benissimo, che in una Città d'Italia, seduto al Pianoforte con vaga, e giovane Donna, Rossini sia stato ispirato a comporre soavi Cantilene; ma questa potrebbe essere anche una spiritosa invenzione. E' bello il dirlo, quand'anche ciò stato non fosse. Per altro ho qualche dato, che sta in armonia col detto del Sig. Giornalista Inglese. Io stessa ho sentita più sere questa vaga o giovane Donna al Cembalo con Rossini, ed anche con Paganini improvvisare melodie da placare, siccome quelle d'Orfeo, l'ire d'Averno. I Bolognesi, che hanno 'gl'intelletti sani' scorgeranno, non v'ha dubbio, sotto il 'velame del mio strano dire' quale fosse la bella Diva, di che ragiono. (...)
Sulle prime Rossini, animato da genio straordinario, componeva senza studio, piena l'anima di nuove idee, e di nuove melodie. Consapevole che le regole della musica attuale non sono già convenzioni obbligatorie, egli le ruppe, e credette poterlo fare impunemente. Brillantissimo, quanto ferace di modi, gli bastavano venti, o ventidue giorni a comporre un'Opera. Contro questo torrente tentavano far argine le critiche de' puristi, ma Rossini trionfante, per la gloria della invenzione, sprezzò gli ostacoli, e si fece strada colla sua musica presso le più colte Nazioni. N'avessero pur danno le regole; ma siccome l'effetto era prodigioso, poco mancò, che il difetto delle regole non cangiasse esso stesso in regola, e ciò che fu errore non addivenisse precetto. (...)

Rossini con quest'arte soggiogò il Mondo, riformò quasi direi, la musica, e potè dire con verità: 'Se volete musica, bisogna che ricorriate alla mia; E voi grandi Puristi, voi arche di regole, e di sapere dovete rinnegare voi stessi, dacchè non abbiano che gli allettamenti del sonno le vostre Note. I Popoli d'Italia, di Francia, e di Germania le abbandonano dopo un primo saggio. Essi accorrono a sentire la dolcezza delle mie melodie, e m'innalzano alle stelle.' (...)
Io non sò se Rossini abbia mai dichiarato che solo sei settimane di tempo gli si accordano per far un'Opera, e che soltanto nell'ultime due egli compone un pezzo al giorno, che si distribuisce a' Cantanti nel giorno stesso, nè convenire saprei, che Rossini abbia mai detto, che non gli resta tempo per rivedere la istrumentazione.
Sono stata in Roma con Rossini i Carnevali degli anni 1816, e 1817 ne' quali compose il "Barbiere di Siviglia", e la "Cenerentola", e affè che la prima delle dette Opere gli costò studio, e fatica, e non vi si accinse già gli ultimi quindici giorni, prima di porla sulle scene. Piuttosto la "Cenerentola" fu da lui fatta alla infretta. Rossini pieno di genio non aveva bisogno di rivederne la istrumentazione. Io vorrei ch'egli volesse anche adesso dispensarsi da questa fatica. (...)
Qui, Sig. Giornalista Inglese parlerò io, per cui Rossini scrisse la parte di Rosina nel "Barbiere di Siviglia".

Per una malaugurata condiscendenza Rossini, pieno di stima pel Tenore Garzìa, lo aveva lasciato comporre le Ariette, che dovevansi cantare dopo la introduzione sotto le finestre di Rosina. Ebbe egli con ciò in pensiero di più giovare alla espressione del carattere Spagnuolo. Garzìa di fatti compose sui temi delle canzoni amorose di quella nazione.
Ma Garzìa dopo avere accordata la Chitarra sulla Scena, locché eccitò le risa degl'indiscreti, cantò con poco spirito le sue Cavatine che vennero accolte con disprezzo. Io mi era disposta a tutto. Salìi trepidante la scala, che dovevami portare sul balcone per dire queste due parole - "Segui, o caro, deh segui così" - Avvezzi i Romani a colmarmi di plauso nella "Italiana in Algeri", si aspettavano che io li meritassi con una Cavatina piacevole, ed amorosa. Quando intesero quelle poche parole, proruppero in fischj, e schiamazzi. Accadde dopo ciò, che doveva necessariamente accadere. La Cavatina di Figaro sebbene cantata maestrevolmente da Zamboni, ed il bellissimo duetto fra Figaro e Almaviva, cantato pure da Zamboni e da Garzìa, non furono neppure ascoltati. Finalmente io comparvi, sulla scena, non più alla finestra, ed assistita da un costante favore di trentanove Recite preventive. Non ero attempata, Sig. Giornalista, io toccava appena l'anno 23 dell'età mia. La mia voce era stimata in Roma per la più bella di quante v'erano mai state sentite. Vogliosissima di far sempre il mio dovere ero addivenuta la figlia de' Romani. Si tacquero essi adunque, e si disposero ad ascoltarmi. Ripresi coraggio, e come io cantassi la Cavatina della "Vipera" lo dicano i Romani stessi, e lo dirà Rossini. Essi mi onorarono con tre consecutivi plausi generali, e Rossini alzossi pure una volta per ringraziarli. Egli che stimava allora moltissimo la mia voce, a me si volse dal Cembalo, e mi disse scherzando..... 'Ah Natura!' "Ringraziala", gli rispos'io sorridendo, "che senza il suo favore, a questo punto tu non levavi dal seggio". Si credette allora risorta l'opera; ma non fu così. Si cantò fra me e Zamboni il bel duetto di Rosina e di Figaro, e l'invidia fatta più rabbiosa sviluppò tutte le sue arti. Fischiate da ogni parte. Si giunse al Finale, che è una Composizione classica, di cui si onorerebbero i primi Compositori del Mondo. Risate, urli, e fischj penetrantissimi, e non si faceva silenzio, che per sentirne de' più sonori. Allorchè si arrivò al bell'Unisono - "quest'avventura" - una voce Chioccia dal Lubione gridò: 'Ecco li funerali del D.C.' [n.b.: La Righetti-Giorgi tace, per rispetto alla memoria dell'estinto, il nome del Duca Francesco Sforza-Cesarini, l'impresario del Teatro Argentina che era morto improvvisamente il 6 febbraio, dopo aver assistito, la mattina, alle prime prove del "Barbiere".]
Non ci volle di più. Non si possono descrivere le contumelie, cui andò soggetto Rossini, che se ne stava impavido al suo Cembalo, e pareva dicesse "Perdona, o Apollo, a questi Signori, che non sanno ciò che facciamo".
Eseguito l'atto primo, Rossini avvisò di far plauso colle mani, non alla sua Opera, come fu creduto comunemente, ma agli Attori, che a vero dire, avevano procurato di fare il loro dovere. Molti se ne offesero. Ciò basti a dar un'idea del successo dell'Atto Secondo.

Il giorno dopo Rossini levò dal suo Spartito, quanto gli parve giustamente censurabile; indi si finse malato forse per non ricomparire al Cembalo. I Romani frattanto tornarono sul fatto loro, e pensarono, che almeno bisognava sentir tutta l'Opera con attenzione, per poscia giudicarne con giustizia. Accorsero quindi al Teatro anche la seconda sera, e vi fecero altissimo silenzio. Il Sig. Giornalista comincia qui a dire il vero. L'Opera fu coronata del plauso generale. Dopo ci recammo tutti al finto malato, il cui letto era circondato da molti distinti Signori di Roma, che erano accorsi a complimentarlo sull'eccellenza del suo lavoro. Alla terza recita il plauso crebbe; infine il "Barbiere di Siviglia" di Rossini passò al rango di quelle composizioni musicali, che non invecchiano, e che degne sono di stare a fianco delle più belle Opere buffe di Paesiello, e di Cimarosa.
Quanto ai "trilli" e alle "volate" di Rosina il Sig. Giornalista vorrà forse fare la critica alla Signora Fodor [Josephina Fodor cantò il "Barbiere" a Parigi nel 1819], che ne sostenne la parte per alcuni mesi a Parigi, e che sentìi io pure in Venezia, cantare la parte di Rosina, forse con sovverchie rifioriture. Il merito per altro di sì brava Cantante è superiore alle osservazioni del Sig. Giornalista. Quanto a me nel breve periodo di mia teatrale carriera feci la parte di Rosina a Roma, a Genova, a Bologna, a Firenze, e n'ebbi infinite dimostrazioni di pubblico aggradimento. Posso dirlo senza fasto, perchè prima di me lo dissero tutti coloro che accorsero ad ascoltarmi. Granara, Boschi, Cartoni, impressarj di dette Città smentitemi se il potete, ch'io anzi ve ne prego.
Alfine il mondo ha giudicato il "Barbiere di Siviglia" di Rossini per un capo d'opera dell'arte; dovunque lo si prende dagl'Impresarj e da Cantanti siccome tavola di Naufragio. Il Finale, il Duetto, il Quintetto, il Terzetto sono pezzi di un effetto meraviglioso. L'aria di D. Bartolo, che fu sostituita a Firenze a quella dello Spartito, è composizione del Sig. Pietro Romani [L'aria "Manca un foglio" fu scritta da Romani poiché il basso Rosich non riusciva a cantare quella di Rossini "A un dottor della mia sorte"]. Essa è una bell'aria, e non ispiace a Rossini, che sia stata introdotta nella sua Opera.

Non sarà forse discaro a miei Lettori, che io parli anche un poco dell'opera - "La Cenerentola" - che fu per me composta da Rossini in Roma l'anno 1817. M'invoglia a parlarne un altro Giornalista di Parigi, che di quest'opera ha pure scritto stranamente. (...)
Io le dirò (...) Sig. Giornalista, che la introduzione di "Cenerentola" è bellissima, e le potrei anche darne ragione; Le dirò che la parte della prima Donna è varia, dilettevole, e sfarzosa quanto mai dir si possa, sebbene debba costarle molta fatica. Io non so, se la Signora [Emilia] Bonini riesca o no a soddisfare il Pubblico di Parigi con questa difficile parte. Egli è certo che (...) Cenerentola non può essere cantata con pieno successo che da una persona che possieda un'estensione tutta uguale, agile e pieghevole di 18 corde. Chi non ebbe dalla natura questo dono non avvisi di cantare la parte di Cenerentola giusta la mente di Rossini.
Ma si torni al nostro assunto. (...)

Quando Rossini fu chiamato a Napoli egli non aveva composte che poche Opere, e non aveva certamente dato alle scene il suo "Barbiere di Siviglia". Egli si portò anzi da Napoli a Roma per comporvi questa musica. Io ho parlato bastantemente di sopra intorno ad alcune Opere fatte da Rossini in quella Capitale, e i popoli d'Italia vanno pronunciando su di esse il loro sentimento, che non discorda punto dal mio. Mi resterebbe a dire alcune cose dell' "Otello", che il Giornalista Inglese vuol percuotere colle sue critiche. E' vero; la sinfonia v'è festevole, e mal s'addice a prima vista questo genere ad un Dramma tragico. Ma chi prescrisse mai l'indole delle sinfonie delle Opere in Musica? Io non ricordo sinfonie veramente adattate all'azioni, che si rappresentano (...) Pretende taluno, che le sinfonie debbano per fino essere il riassunto dell'Opere, mentre altri sostengono, che nulla avendo che fare colle medesime, il loro andamento, e la loro composizione possano essere liberi, liberissimi. L'Opera dell' "Otello" ha un ingresso festevole. Otello indi si presenta con una Cavatina lietissima. Il Maestro si attenne nel comporre la sinfonia di questo Dramma all'idee, che da questi primi pezzi gli furono suscitate. Questo non è errore.
Del rimanente l' "Otello", checchè ne dicano i Parigini, ha piacciuto singolarmente a Napoli, a Roma, a Firenze, e in molte altre colte Città d'Italia, e vi fanno pompa alcuni tratti di Musica declamativa, che veramente sorprendono. L' "Otello" infine mentre si presenta fornita delle regole dell'arte, conserva in gran parte i pregi primieri dell'estro di Rossini: l'originalità, e la vaghezza. (...)

Non è mestieri, che Rossini abbia detto - sono il più giovane, e il più fortunato dei Maestri - ella è questa una verità riconosciuta da tutta l'Europa; a trentun anni con quaranta opere, quasi tutte d'un effetto sorprendente, e possessore di ben settantamila Scudi, si può presumere ch'Egli senta nel cuore tutta la forza della sua situazione. Ma non ne viene per conseguenza che appunto per questo straordinario, ed inaudito trionfo verrà impedita la durata della popolarità di Rossini. In Francia è stato più volte detto che Rossini, rovesciati i Troni legittimi di Paesiello e di Cimarosa farà anch'egli la sua strepitosa caduta. (...) Oh quanto ben s'addice a questo soggetto un pensiero d'Orazio? d'Orazio? in una donna? Orazio: non istupite: donna e Cantante io leggo sovente Metastasio. Com'io ne sono rapita, non mi contento di leggere i soli suoi Drammi per Musica; leggo anche le sue Canzoni, le sue Lettere, le sue Traduzioni. Vedete come Metastasio traduce Orazio nel Libro dell'arte Poetica dal Verso 45 al 50.

"L'uso, e il dispor delle parole esige
Gentilezza e cautela. Allor sarai
Egregio parlator, quando le voci
Note ad ognun, mercè la cura industre
Che in collocarle avrai nuove parranno."

Io applico il concetto ai Maestri di Cappella, ed a Rossini, e fò questa versione.

"L'uso, e il disporre delle note esige
Gentilezza e cautela. Allor sarai
Bravo compositor, quando le note
Che molti sanno, colla cura industre,
Che in collocarle avrai, nuove parranno."

(...) Non è immaginabile la facilità di Rossini nel comporre Musica. Io ne convengo. Ma anche qui mi si permetta una distinzione. Quando Rossini compone animato dal suo genio, Rossini corre velocissimo. I rumori, che se gli fanno d'intorno lo ajutano anzi che nò a comporre le sue note. Simile a Cimarosa, lo strepito degli amici gli suscita nuove idee. Non è così quando compone per esempio il "Mosè". Allora bisogna ch'egli si concentri, ch'egli cerchi, ricerchi, e s'affatichi, e talora nel superare le difficoltà, Rossini sfugge a Rossini. Del rimanente io l'ho veduto in Roma comporre la "Cenerentola" in mezzo al più gran chiasso. Egli pregava gli amici così ad ajutarlo. Se ve ne andate, diceva egli talora, io manco di estro, e di appoggio. Bizzarria singolare! Si rideva, si parlava, ed anche si canticchiavano ariette piacevoli, sebbene in disparte. E Rossini? Rossini assistito dal suo genio ne faceva sentire tratto tratto tutta la possanza, portandone sul Pianoforte parti felicissimi. (...)
Il Signor Giornalista Inglese pretende, che Rossini colla sua estrema rapidità vinca e seduca gli animi senza lasciarvi le profonde impressioni, che vi producono le composizioni di Mozart. L'esperienza di più anni m'incoraggisce a esprimere anche su queste asserzioni il mio sentimento. Dirò in primo luogo, che mi piace quel concetto, che lessi (...) in un moderno libro francese: "la musica", si dice in esso, "è una monarchia, e il canto vi regna in monarca assoluto. Gli accompagnamenti sono i sudditi fedeli, ed ubbidienti al monarca". Ciò posto (non se ne adontino i popoli stranieri all'Italia) io sono d'avviso, che piaceranno sempre più al pubblico le opere di Rossini, che quelle di Mozart. In quelle di Rossini vi trovate sempre il canto italiano. Citerei qui almeno quarant'arie di Rossini tutte belle, e tutte cantabili nel gusto degli orecchianti, voglio dire di quegli esseri tanto sensibili alle dolcezze della musica, che ne apprendono tosto le melodie più affettuose, e le ripetono appena sentite con sommo diletto di chi le ascolta. Non v'ha Opera di Rossini, nella quale questo gusto veramente Italico, e che si va difondendo nelle altre nazioni, non primeggi. (...)
La musica poi de' giorni nostri è essenzialmente rapida, sia essa composta da Rossini, o da Mozart. Io non dico già che i larghi sieno veloci come gli allegri. No: ma i larghi scorreranno anch'essi, non lasciando posa negli animi degli ascoltanti, e lo si permetta; o questi "larghi" faranno una subita dolce impressione, o vi annojeranno immediatamente. Nel primo caso non è dal loro moto, che se ne trae il piacere; egli è dalla novità, e dalla vaghezza, con che sono composti. E così sarà, ed è degli "allegri", e dirò di più, che se si potesse formare un raziocinio, un concetto mentale sovra una frase, o un motivo musicale l'animo soprafatto dalla occupazione della mente vi perderebbe l'occasione del diletto. E vaglia il vero: immaginate una poesia strana, o colma di astruse parole, e fatela soggetto di composizione musicale. Se avvenga che il Pubblico, come sovente avviene abbia bisogno di applicazione speciale per comprendere il senso delle parole, gli sfugge allora la soavità della melodia, e non ne prova il diletto, che sarebbe da sperarsi.
Voglio dire con ciò, che la musica nostra è essenzialmente rapida, e la sua rapidità non nuoce, e non giova alla sua bellezza. La musica di un'Opera è sempre rapida, quand'anche la sua esecuzione dovesse durare dieci ore.

Gl'Italiani non desiderano una musica differente da quella di Rossini. No: anzi si desidera che Rossini non abbandoni Rossini per cercar novità astruse, e di niun'effetto. Gl'Italiani desiderano una musica espressiva, che loro ricerchi soavemente i cuori, e se qualche giovane maestro potrà ottenere tanto, egli starà a fianco di Rossini, e n'otterrà, com'egli, fama, e ricchezze.
Volete voi conoscere, Sig. Giornalista, coloro che sono stanchi della musica di Rossini? Gl'invidiosi del suo merito, e della sua fortuna: alcuni maestri suoi contemporanei, fabbricatori di note agghiacciate. Ma il Pubblico, e le Nazioni amanti della musica non soffrono invidia, sdegno, o rancore. (...) Dunque il più bello spartito, per esempio, d'Anfossi o di Sacchini finirebbe per eccitare una noja profonda. Un'Impresario procuri smentirmi col fatto. Ma che dico? Gl'Impresari tutti altro non cercano che musica di Rossini.
E poichè, col riportarsi di continuo al D. Giovanni di Mozart, vorrebbero gli stranieri di oscurare quel po' di gloria, che dalla musica nostra all'Italia ne viene, io chiamo la folla degli amatori, o degli orecchianti a sostenermi.
Questo D. Giovanni di Mozart, che fece tanto strepito a Milano, e a Firenze, nel Teatro di Santa Maria, fu poi freddamente accolto negli altri Teatri d'Italia, ne' quali lo si è fatto comparire. (...)
Non perciò intendo inculcare disprezzo per Mozart, che anzi onorare si deve un'anima Tedesca, che osò occuparsi d'italiani metri, e li adornò di belli e studiati accompagnamenti, in modo da far credere nuove anche le cose più rancide.
Ma io reclamo il gusto italiano, e dimando il canto soave, che "nell'immagina si sente"; egli è questo Monarca assoluto della musica, che vuol essere obbedito. La originalità sta nel canto, in quel canto che nasce dal fondo del cuore. Questa parte del sentimento, che durerà in eterno, è la sola, che deve apprezzarsi nelle Composizioni Teatrali. In fine un bel canto è l'opera del genio. Per me, e per tutti i dilettanti italiani val più una bell'aria ben cantata, che non tutti i quartetti, e quintetti istrumentali, (ne' quali però Mozart può chiamarsi enciclopedico) (...) La cosa è naturale. Malgrado tutta la celebrità di [Niccolò] Paganini, e il conosciuto valore di [Baldassarre] Centroni i loro strumenti [violino e oboe] non parlano. (...)
Non si confonda la musica, che piacer deve ne' Teatri col meccanismo, o congegnamento delle note musicali. Questo può essere perfetto, e non produrre la più leggera sensazione gradevole. Dal meccanismo meglio ordinato non nascono alle volte che noja, e sbadigli. Ah quante qui ne direi, se non avssi timore d'essere censurata da alcuni moderni Compositori (...) »

(Geltrude Righetti-Giorgi [prima interprete dei ruoli di Rosina e di Cenerentola] - "Cenni di una donna già cantante sopra il maestro Rossini" - Bologna, 1823)

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Ruoli rossiniani creati:
- Rosina ne "Il barbiere di Siviglia" di Rossini, al teatro Argentina di Roma, il 20 febbraio 1816.
- Angelina, ossia il ruolo del titolo ne "La Cenerentola" di Rossini, al teatro Valle di Roma, il 25 gennaio 1817.
Fu anche tra le prime interpreti di Isabella ne "L'Italiana in Algeri" di Rossini nel 1816 a Roma e Firenze e di Desdemona nell' "Otello" di Rossini a Siena nel 1817. 


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