lunedì 3 luglio 2023

La musica vocale sacra secondo Lorenzo Perosi



- "La mia fede è la mia vita. Quando ne contemplo la bellezza e la grandezza me ne esalto ed ho bisogno di esprimere questa esaltazione col linguaggio che mi è naturale... Rendere adorne di note musicali quelle opere di luce e di verità che sono eterne scritture, cercare di portare onore a questa nostra diletta Patria: sono due ideali cari al mio cuore di prete e di italiano." - (Lorenzo Perosi)


 


CHE PENSA E CHE DICE DON LORENZO PEROSI ("Le Cronache Musicali", Roma 1° gennaio 1900 - Intervista a Perosi, a cura di Italo Carlo Falbo)


Quando entrai nella sua camera da studio, piccolina, ma elegantissima, Don Lorenzo Perosi stava scrivendo la parola 'fine' sotto l'ultima nota della partitura del suo nuovo oratorio "La strage degli Innocenti". Accanto alla piccola scrivania era il pianoforte, aperto, sul leggio del quale stavano un po' confusi molti quinterni di carta da musica. Sull'ultima ottava acuta del piano dormiva una vecchia Bibbia.
Vedendomi, il Maestro si alzò sorridente e, stringendomi la mano, m’indicò i due lavori:
"Questo è l’oratorio che ho finito, quello, sul pianoforte, è l'altro che ho già sbozzato: "L'entrata di Gesù Cristo in Gerusalemme".
– La sua fecondità è veramente meravigliosa, Maestro.
– «È che io non resto un giorno, un'ora senza lavorare. Finché scrivo un'opera non so mai quel che scriverò dopo; ma non appena l'ho compiuta, penso all'altra e ricomincio da capo. Ma... cambiamo discorso. Ho saputo già della nuova Rivista musicale; finalmente! A Roma c'era proprio bisogno di una pubblicazione seria e bella, come saranno certamente le vostre "Cronache". Ed io voglio essere il primo ad augurare vita lunga e brillante al nascente periodico.»
– Grazie, Maestro, ma gli auguri non bastano. Da lei ci aspettiamo qualche cosa di più...
– «Vuol dire?...»
– Un articolo, per il primo numero.
Don Lorenzo rimase un po' sorpreso dalla mia domanda inaspettata.
– «Un articolo da me? E per il primo numero? Ma, anzitutto io non mi sono quasi mai provato a scrivere articoli di critica musicale; ho difatti rifiutato inviti ed offerte per l'Italia e per l'estero; e poi, pure volendo, ora, non potrei, ché mi mancherebbe il tempo anche di pensare un buon argomento.»
– Scriverà qualche cosa sulla musica sacra contemporanea, sull'oratorio moderno così come lei lo intende...
– «Eh sì! Vorrei ben dire a certi critici che prima di giudicare un autore bisognerebbe che ne conoscessero le idee, i sentimenti, le aspirazioni. La maggior parte dei miei critici ha infatti attaccato, con molta prosopopea, i miei lavori perché "quella non è musica sacra"!
Ma, sfido, io! Non ho inteso mai di scrivere "musica da Chiesa".»
– Come!...
– «Mi spiego. Ci sono due musiche sacre: la vera musica religiosa o ufficiale o da chiesa, che segue le leggi liturgiche più o meno rigorosamente, e quella del dramma-religioso (la mia), la quale non ha nulla di comune con la prima, e che ha un campo molto più largo, indeterminato, quasi quanto la musica profana.
E, in vero, a questo ho mirato coi miei oratori: a poter fondere la musica sacra con la profana, come ho fuso, nei libretti dei miei oratori il dramma religioso con l'umano. La madre che piange la morte del figlio, i cattivi che assassinano il buono, il grido della verità e della giustizia che trionfa e domina gli sghignazzamenti della folla, sono sentimenti essenzialmente umani, affetti passionali che tutti sentiamo, che noi italiani poi sentiamo più fortemente degli altri. Ed io che pure ho studiato profondamente i classici antichi e i maestri moderni, i novatori dell'arte melodrammatica e della sinfonica, sono rimasto coscientemente, sempre italiano, negli scatti passionali, nell'espressione sincera de' miei sentimenti, pur avendo fatto tesoro dei progressi della tecnica musicale nelle scuole estere.»
– Ma è vero che vuol fare un vero dramma lirico, di soggetto religioso, "Caino", e varcare così la soglia del teatro?
– «Io non scriverò mai un vero melodramma da teatro. Della messa in scena le opere mie, i miei oratori, che sono ciascuno "un quadro" della vita avventurosa e gloriosa di Cristo, non hanno bisogno. Certo la scena aiuta spesso moltissimo la musica; ma spesso le nuoce assai. Ho visto questa estate rappresentare il "Parsifal"; ma il maggior diletto ho provato ascoltando lo stupendo preludio, nella semioscurità del teatro di Bayreuth. La mia mente, seguendo le note divine, sognava dolci visioni: il mio spirito si elevava in alto, in alto, fuori, sopra del mondo reale, ed il godimento era straordinario. Poi la visione delle mutevoli scene di carta e dei cantanti contorcentisi nell'aprir bocca, e gesticolanti, mi fecero provare molto minor godimento.»
– Dunque lei aborrisce l'azione scenica e il libretto?
– «Non dico questo, no, perché comprendo bene che la musica da sola non può dir tutto; ma io non scriverò mai un dramma sceneggiato. Nei miei "quadri" c'è un'azione-musicale, non c'è bisogno, ripeto, di un'azione scenica.»
– E pure i libretti de' suoi oratori rappresentano un bel passo avanti sui libretti degli antichi oratori di Bach e di Mendelssohn.
– «Io presi a modello de' miei libretti quelli del nostro Carissimi, il quale per il primo introdusse la parte dello "storico" per la narrazione; ma ho modernizzato, a seconda la esigenza dei tempi, e modernizzerò ancora di più in seguito l'azione dell'oratorio, pur conservando sempre in massima il modello finora prescelto.
E come vado rendendo sempre migliore l'azione, vado maturandomi e progredendo nell'arte strumentale; vedo da me quanta strada ho percorso dalla "Trasfigurazione" alla "Resurrezione di Cristo", che pure ho scritta molti anni fa, quando ancora era inesperto degli effetti orchestrali...»
– E questo noi abbiamo notato con piacere, bene augurando per l'avvenire.
– «Spero, infatti, che il "Natale del Redentore" sembrerà a lei che non l'ha sentito a Como, un lavoro molto più organico e resistente ai colpi della critica seria e non ciarliera; e nella "Strage degli innocenti", finora inedito, credo di aver fatto ancora un altro passo avanti.
Non ho copiato nessuno; ho voluto far da me, seguendo il mio ideale e cercando di avvicinarmi ad esso poco a poco.
Ho tentato con ardimento; e se ho avuto molti applausi da una parte ho avuto acerbe critiche dall'altra. Ma nè quelli mi esaltano, come qualcuno scioccamente ha detto, nè queste mi dispiacciano e mi sfiduciano. Anzi la discussione ritempra il mio spirito e mi sprona a far meglio. Qualcuno però ha scritto che i miei oratori sono fatti sul modello dei tedeschi. Mai più!
L'oratorio tedesco è rimasto cristallizzato nella vecchia forma classica, e non ha fatto in verità alcun serio progresso. Si scrivono è vero, trecento e più oratori all'anno, perché in Germania tutti i musicisti sentono il dovere di scrivere una dozzina di oratori, ma dopo quelli di Mendelssohn, si può dire ch’essi non han saputo darci nulla di veramente importante.»
– Ma, dica, Maestro: poiché ella afferma che la sua non è musica di carattere sacro e da chiesa, perché la fa eseguire in chiesa? E quale ambiente crede meglio adatto per l'esecuzione dei suoi oratori?
– «Nè chiesa, nè sala, nè teatro. Non nelle chiese – perché eseguire un mio lavoro in una chiesa è quasi una profanazione; le chiese sono destinate al culto sereno della religione, e le ho già detto che la mia musica non è fatta per il culto, non per la liturgia. E, quanto alla musica da chiesa, io ho idee un po' radicali.»
– Sarebbero?
– «Ella sa che il canto ufficiale è il canto gregoriano, ma oggi è tollerata qualunque musica, da quella del Palestrina a quella dei modernissimi compositori di musica sacra. Orbene, io credo che dalle chiese, destinate al culto purissimo della religione, dovrebbero essere bandite tutte le orchestre massime e minime, e tutti i lavori non rigorosamente liturgici, compresi gli oratori e gli "Stabat" di Rossini. Di esecuzioni orchestrali, di musica profana se ne sente tanta dappertutto, a teatro, in piazza, nelle sale. In chiesa il credente non deve essere distratto da melodie ed accordi profani. Io ridurrei la musica ecclesiastica alle polifonie vocali. E, invero, la più bella messa di Mozart, il più commovente oratorio di Bach non rapiscono le anime fedeli in un'estasi celestiale come un coro a sole voci di Palestrina o di Orlando di Lasso, eseguito nel silenzio di un cattedrale vasta e austera, da l'alto di un palco nascosto...»
– E dell'oratorio in teatro che pensa?
– «È anche questa una profanazione... a rovescio, perché i teatri, moderni specialmente, sono ambienti dai quali dev'essere bandita ogni manifestazione di arte musicale purissima. Sarebbe tutt'al più accettabile un teatro come quella di Bayreuth, che è qualche cosa di mezzo fra un teatro e una sala. Ma spero che avrò un ambiente adattissimo per i miei lavori nella sala di S.Maria della Pace – intitolata generosamente al mio nome – che a Milano stanno costruendo e dove, per 10 anni, darò la "prèmiere" di tutte le mie composizioni. L'antica chiesa è trasformata in una sala originale, dove gli ascoltatori non vedranno nessun esecutore, e che sarà, durante le esecuzioni debolmente illuminata, quasi buia. Così alla delizia dell'occhio verrà interamente sostituita la delizia dell'orecchio. Ma con ciò non ho raggiunto il mio ideale. Col tempo spero di far accompagnare la mia musica da proiezioni sceniche, da grandi illustrazioni ottiche, che diano completa l'illusione della rappresentazione del dramma.»
– Una specie di 'proiezioni a sistema Lumière'?
– «Sì, ma che siano perfette, ideali; così che sembri allo spettatore di sognare, e di avere in sogno la visione netta, bella, affascinante della scena descritta. Quand'io compongo, non ho dinanzi agli occhi degli uomini e delle donne vive, in redingote, in "decolté", che aprono la bocca e cantano o che gesticolano e passeggiano; ho dinanzi agli occhi delle figure ideali come dipinte in un gran quadro, e mi parlano un linguaggio arcano, ch'io traduco nelle note della mia musica. È questa visione ch'io vorrei illustrata con proiezioni; e sono certo che la mia musica con un tale accompagnamento ottico sarebbe molto più compresa e gustata; mentre forse le nuoce la "materialità" della scena reale.»
– Il concetto è nuovo e molto ardito, ma assai bello e interessante; perché non tenta? L'arte delle proiezioni ha raggiunto finezze straordinarie e non le sarebbe difficile raggiungere il suo disegno che potrebbe essere il principio di una meravigliosa innovazione nell'arte rappresentativa.
– «Io spero di poterlo raggiungere col tempo», rispose Egli, con sicurezza.
In questo mentre entrò il cameriere ed annunziare la contessa X; ed io mi alzai, per uscire. Don Lorenzo stringendomi affettuosamente la mano mi rinnovò gli auguri per la nuova "Rivista", e mi pregò di scusarlo con gli amici per l' "articolo" che non avrebbe scritto.
– «Creda che proprio non ho tempo, e in questi giorni, con l’apertura dell' "Anno Santo", sono sempre occupato alla "Cappella Sistina".»
– Ma, grazie lo stesso, Maestro; l'articolo pel primo numero delle "Cronache musicali" è bell'e fatto…
– «Ah si?» – fece Don Lorenzo, come sorpreso; ma soggiunse subito, col suo solito sorriso – «Faccia come crede, però... sa... capirà...»
– Oh quell'abito, quell'abito!... – esclamai, stringendogli fortemente la mano, e Don Lorenzo raggrinzò la fronte, torse graziosamente la bocca, scrollò lievemente il capo ed emise un "eh!", molto espressivo, che voleva dir tante cose. Voleva dire che quell'abito era sì una vocazione e bisognava rispettarla, ma voleva dir pure che, alla fin fine, l'abito... non fa il prete!



- Lorenzo Perosi in un ritratto del 1949 -


LORENZO PEROSI, Monsignor (Tortona, 21 dicembre 1872 – Roma, 12 ottobre 1956), presbitero, compositore e direttore di coro italiano
Spalle poderose, testa quadra, capelli lunghi e argentei, occhi intelligenti, vivi e mobilissimi sotto grandi occhiali, mani piccole e vigorose quando stringono la bacchetta, ma che si fanno gentilissime non appena si posano sulla tastiera, Lorenzo Perosi passa le sue giornate tra lo scrittoio e il pianoforte, tra il Breviario e gli spartiti musicali.
Il Maestro vive ora in un appartamento del Palazzo del S. Uffizio, appartamento che fu già abitazione del fratello suo, Card. Carlo Perosi, e che gli venne concesso in uso da Papa Pio XI, grandissimo ammiratore dell'arte di Don Lorenzo, quando, nel 1931, il porporato si spense.
In questo appartamento, Perosi vive con le sorelle Felicina, Maria e Pia, tre buone creature votate alla rinuncia ed al sacrificio per il bene dei loro cari.
La giornata di questo prete che pare mandato da Dio per ricondurre a Lui con la soavità dei canti e le armonie musicali i lontani e i neghittosi, si svolge con un ritmo quasi monastico.
Don Lorenzo si alza abitualmente verso le sette si pone in preghiera, e, verso le otto, celebra la S. Messa nella Cappellina domestica.
Dopo il caffè, recita il Divin Ufficio. Esauriti così i doveri sacerdotali, Monsignore si trasferisce nel suo regno preferito: il regno della musica, che musica, si può dire, è ogni atto e ogni pensiero di Lui, e musica è l'atmosfera mirabile in cui Egli vive. La sua anima aperta e chiara, vede nella musica un riflesso dell'ordine e delle divine armonie; e questo pensiero gli fa amare la musica in un modo ancora più grande.
Perosi ha due pianoforti: uno nella sala d'ingresso e l'altro nella camera da letto, ma, di solito, suona col secondo cui è affezionatissimo.
Da questo pianoforte sono nate ed hanno preso il volo per il mondo, le sue mirabili teolodie.
A questo punto mi pare di sentire una domanda: dove Perosi ha studiato musica? Chi furono i suoi maestri? Rispondo. Suo primo maestro fu lo stesso suo padre, ch'era organista nel Duomo di Tortona.
A diciassette anni, Lorenzo Perosi era già noto nel campo musicale tanto da essere chiamato da P. Amelli ad insegnare musica ai novizi nella celebre Abbazia di Montecassino.
Nella pace di quelle mura e presso la ricca biblioteca dell'insigne Cenobio, egli ebbe agio di raccogliere e di coltivare il proprio spirito e di ascoltare forse per la prima volta le voci profonde e misteriose dell'anima sua.
«Là non soltanto prese dimestichezza coi grandi polifonisti religiosi dell'età aurea; non solo potè apprendere il canto gregoriano e coglierne attraverso le vere tradizioni di melodia e d'esecuzione notate sugli antichi manoscritti, la grande ed alta poesia; ma anche, e soprattutto, intese i bisogni della sua anima ingenuamente e squisitamente religiosa e sentì intenso il desiderio di accostarsi da vicino alla figura e alla vita del Cristo più di quanto non gliene avesse ispirato fino allora il costume corrente della vita cattolica italiana. Intuì Perosi, forse i tempi nuovi? Ascoltò forse le voci che salivano su da anime ardenti ed audaci, da spiriti colti desiderosi di un cristianesimo più puro e più evangelico? Egli non si occupava allora né si occupò dopo di critica religiosa e di esegesi neo-testamentaria, ma aveva l'occhio assai vivo e l'orecchio troppo fine per non accorgersi che qualche cosa nell'aria si agitava. E poi l'artista di genio prevede e presenta, pur senza rendersene ben conto, le varie correnti spirituali della sua epoca». Quello che è certo è che a Montecassino, l'anima di Perosi fu affascinata soprattutto dal Cristo, dalle pagine del Vangelo che profumano di divina poesia o grondano di sofferenza umana. Il Vangelo divenne così l'ispiratore della sua musica.
Ne abbiamo conferma in una interessante lettera diretta da Mons. di La Fontaine a Mons. Granito di Belmonte, poi Cardinale.
«Posto così — essa dice — in immediato contatto col testo sacro, la cui declamazione gregoriana tanto drammatica e maestosa, soprattutto l'inno della passione, lo estasiava, Perosi concepì forse in quel tempo, sotto la profonda impressione ricevuta nell'anima sua, la prima idea non soltanto della "Trilogia", ma anche del vasto disegno d'un ciclo musicale d'oratorio sulla Vita di nostro Signore».
Si vuole, infatti, che il Perosi si sia proposto, giovanetto ancora, un programma cui tenne fede con singolare tenacia. Il proposito era questo: «Gli uomini del mio secolo non vogliono sentire il Vangelo, io lo farò loro sentire in musica».
Cosa sono i suoi "Oratori" se non il Vangelo musicato?
Cominciò con l'Oratorio "In coena Domini" cui tennero dietro: "La Passione", "La Resurrezione di Cristo", "Mosè", "il Natale", "il Giudizio Universale", "la Resurrezione di Lazzaro", "la Strage degli Innocenti", "la Trasfigurazione", "il Sogno Interpretato". Come ognun vede, la Musa del suo canto è sempre il Vangelo, la più grande parola che mai sia stata pronunciata sulla terra.
La ragione del fascino emanante dalla piccola persona e dall'opera del musicista tortonese (Perosi è nato a Tortona nel 1872) risiede, secondo il Damerini, «in due fatti principali: prima di tutto nel lungo periodo di decadenza in cui le grandi forme musicali, all'infuori dell'opera teatrale, erano cadute e dalla quale, d'un balzo, l'Italia sembrava liberarsi in virtù dell'Oratorio perosiano;
in secondo luogo nel fatto che Perosi, a parte il suo merito come creatore, seppe, con vero senso storico, risentire per il primo una tradizione di forme e di spiriti veramente italiana, soffocata anche da quei pochi seri musicisti solitari che coltivarono le grandi forme ma con "animus" troppo tedesco. Perosi, bisogna subito dichiarare, non si presenta come un riformatore, nell'assoluto senso della parola, ma piuttosto come un rievocatore della grande anima musicale italiana. Sì, è vero, la sua opera presenta elementi tolti quasi di peso dai grandi classici e romantici tedeschi; ma una educazione musicale seria e solida come poteva allora, come può anche oggi prescinderne? Chi conosce tuttavia profondamente la musica perosiana e non è abbagliato da preconcetti dogmatici deve pur riconoscere che se Perosi, nel corso della sua elaborazione interiore, interrogò anche spiriti magni stranieri, come un Bach e un Wagner, egli ne contemplò il viso sotto un colore — specialmente riguardo al primo — intonato al cielo italiano».
Quello che sicuramente è vero è che nella musica di Perosi si trova sempre un caldo ed elevato soffio di umanità che si sublima dell'ardore di una fede veramente sentita e vissuta.
Per questo la sua musica commuove. Si sente che è sincera, che viene dal profondo.
Quando, ad esempio, fu eseguita per la prima volta a Roma "La Resurrezione di Cristo", un'oratorio che ha una voce d'argento e una freschezza d'aurora, l'esecuzione fu interrotta dagli applausi per ben sei volte.
E, alla fine, il grido del pubblico scattato in piedi superò il clamore delle trombe inneggianti al Signore risorto.
Il nome del giovane prete cominciò da quel momento ad essere conosciuto nella Penisola: e P. Semeria, in una conferenza tenuta dopo la morte di Verdi, uscì a dire:
«Ecco è morto Verdi e sorge già un nuovo astro per la musica italiana: Perosi...».
E un fine critico musicale sentendo il "Benedictus" della Messa funebre composta da Perosi per la morte di Leone XIII, esclamò:
«E' un canto del « Paradiso » di Dante : è una festa di luci, di suoni, di anime».
Attraverso alla voce di Perosi, è, infatti, la pura eterna voce musicale di Palestrina, di Orlando di Lasso, di Vittoria, di Frescobaldi, di Gabrieli, di Carissimi, che ritorna a far vibrare le anime nostre, a farci provare emozioni di paradiso.
Ma dalle mistiche nozze del sacerdote tortonese con Madonna Melodia, sono nate altre opere di singolare valore artistico. Perosi ha infatti una vena musicale ricchissima, quasi inesauribile.
Egli ha composto trenta Messe ed oltre duecento pezzi musicali (mottetti, salmi, inni).
Sfogliando il numero senza numero delle sue pagine, si nota che il suo cantare è a un tempo elegia e salmo, dolore e amore, monito e speranza:
nel clima unico e ardente di una fede e di un amore che si arrossa nel sangue di Cristo.
Naturalmente, anche Perosi ha delle partiture che si prestano a critiche severe. «Ma, osserva il Damerini, bisogna però riconoscere che nelle sue Messe migliori, come l' "Eucaristica" a quattro voci e la "Pontificale" a quattro, cinque, sei e sette voci con archi, la buona e corretta forma liturgica è disposata con una bene intesa modernità di linea e di espressione e il senso profondo e sincero dell'adorazione religiosa non esclude il calore e il fervido abbandono che proviene dalla coscienza viva della pietà e del dolore umano. Questa maggiore compenetrazione dell'elemento umano, con l'atteggiamento sostanzialmente religioso del pensiero musicale nelle opere da chiesa di Perosi fu la causa della stragrande fortuna che l'autore ebbe sui primi tempi anche come compositore di musica liturgica, ad onta delle critiche talvolta aspre che egli ricevette da qualche parte».
Perosi ha inoltre composto alcune "Suites" intitolate alle città d'Italia: "Roma", "Venezia", "Firenze", "Messina", "Tortona", "Milano", "Torino", "Napoli", "Genova", che testimoniano della versatilità del suo genio musicale. Il Maestro ha composto inoltre altre opere di minore importanza e in gran parte inedite: "Oratio vespertina", per soli, cori e orchestra; "La Samaritana", per soli cori e orchestra; "Suite", per violino, violoncello e pianoforte; "Sonata e Variazioni", per violino e pianoforti; "Dovrei non piangere", poema sinfonico; "La festa del Villaggio", poema sinfonico.
Anche ai nostri giorni, il Maestro lavora instancabilmente. Sono abitualmente, quelli ch'egli compone, mottetti, temi, pensieri religiosi ch'egli ferma sulla carta, più che per gli altri, per sé medesimo.
A Roma, si dice che il Maestro stia preparando per il prossimo Anno Santo (1950) un Oratorio: "II Nazareno". Chi ha avuto la fortuna di sentirne qualche brano, ne dice meraviglie. A noi non resta che augurarci che il Maestro riesca a chiudere in bellezza anche questa sua nuova opera. Perché è proprio negli Oratori che c'è il meglio della musica di Perosi. Nelle sue opere oratoriche, infatti, si concentrano e si riassumono genialmente molti secoli di musica.
«Nel suo stile compatto e personalissimo — dice il Damerini — si fondono a nuova potenza espressiva di rinnovata coscienza religiosa il coro palestriniano gregoriano, l'aria nettamente tracciata dalla limpida dolorante serenità bachiana e le moderne combinazioni armoniche e strumentali».
Un'attività che grandemente appassiona il Maestro è la direzione della Cappella Sistina cui attende dal 1898. Riformò subito l'ordinamento della «cappella» facendovi entrare un buon numero di bambini. Quanto egli abbia dovuto faticare per riportare le esecuzioni musicali della «Sistina» all'antica grandezza è facilmente intuibile.
Più che alle melodie del Palestrina o di Vittoria, i cantori e il popolo romano erano attaccati a quelle del Capocci e fu necessario l'intervento personale di Leone XIII per chetare i marosi. Rifatto il gusto, oggi i romani accorrono a sentire sotto la cupola di Michelangelo il "Tu es Petrus" di Perosi così come ieri sono accorsi a sentire il "Roma Felix" di Caponi.
E' il prodigio della musica di Perosi che continua. E' la sua grande arte che continua ad entusiasmare e a consolare i cuori.
Concludendo diremo con Carlo Gatti: «Un Bach in pianeta è stato definito il Perosi; un Bach italiano più ingenuo e sereno del tedesco; un Bach cantore della Chiesa cattolica che ha seggio supremo, per disposizione di Dio, in Italia, paese incantevolmente luminoso».

(da: Attilio Baratti - "PROFILI DI MUSICISTI" - Steli Editore, Milano 1949)

 

Beniamino Gigli incontra il compositore Lorenzo Perosi - 23 dicembre 1932:

"... Venni da Recanati a Roma, accompagnato da un mio fratello, col proposito fermo di essere assunto nel coro della Cappella Sistina. Vana speranza; amara delusione, ché la mia età era di poco superiore a quella prescritta per l'ammissione alla Sistina. Da allora son trascorsi più di venti anni. Ieri, trovandomi presso Castel Sant'Angelo, i vecchi e non spenti ricordi si ridestarono; e, detto fatto, mi trovai sulla soglia della sua cameretta presso la casa di fratel Damaso. Non vi entrai subito. Mi arrestai ad ascoltare il maestro che suonava al piano, una pagina di musica classica col suo inimitabile magnifico tocco. Poi mi trovai, e con quale e quanta commozione, dinanzi a don Lorenzo. Si rievocò, naturalmente, il tempo della mia mancata ammissione al coro della Sistina. 
E Perosi: «Adesso, caro Gigli, si farebbe un'eccezione, quanto all'età, visto i progressi che l'ex mancato corista ha fatto»
Risposi: «Ben lieto e felice, ma ad una condizione, di cantare qualche 'a solo' di musica perosiana»
Così colsi l'occasione  per pregarlo di comporre un pezzo per la mia voce. Sarebbe il solo modo per compensarmi della 'protesta' e della delusione subite, allora.
Perosi sorrise, dicendo che la sua musica valeva così poco che non poteva interessare un'artista come me. Ah, la modestia sconfinata d'un musicista così geniale! Ma, a furia d'insistere, mi accomiatai da lui con una mezza promessa. Io sogno, pregusto già la gioia d'interpretare una pagina sublime del grande Maestro! ..."

-Intervista a Beniamino Gigli - Roma, 23 dicembre 1932
 

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«C'è più musica nella testa di Perosi che in quella mia e di Mascagni messe insieme.»
(Giacomo Puccini)

[citato in: Adriano Bassi, "Don Lorenzo Perosi: L'uomo, il compositore e il religioso" (Fasano di Brindisi, 1994), p. 226]

"Perosi non cambia una nota di ciò che ha scritto perché il profumo della sua musica sta tutto nella sua semplicità" (A. Toscanini)


"Maestro grande, ho riascoltato il suo monumentale <<Giudizio Universale>>, ed ancora una volta ne sono restato conquiso.
Che magistrale modello di suprema musicalità, il suo lavoro!
E qualche arido dodecafonico che lo avrà ascoltato, si sarà battuto il petto per un salutare 'Mea culpa'??? Le sono assai grato per avermi fatto il dono di indimenticabili momenti di esaltazione e di commozione. E sempre ammirandola mi creda."

Pesaro, 8 maggio 1950.
Suo dev. e aff.
M° Franco Alfano

[Testo di una lettera inedita rinvenuta in casa Onofri, indirizzata a Lorenzo Perosi, dal M° Alfano, al tempo direttore del Conservatorio di musica G. Rossini di Pesaro.]


"Perosi ha una mente geniale e creativa, capace di interpretare con i suoni la lode dell'onnipotenza, potenza e bontà di Dio" (P. Mascagni) 

"Ancora oggi come di più di cinquant'anni fa, mi colpiscono del Perosi il candore e la schiettezza del linguaggio, così come mi colpiranno sempre certi suoi invidiabili slanci lirici e la incisiva bellezza di certi suoi temi." (Ildebrando Pizzetti)


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