lunedì 12 giugno 2017

"Come dev'essere la voce verdiana?" - Risponde lo stesso Giuseppe Verdi

<<La voce – scriveva Verdi al Somma – non importa sia grossa o piccola, basta che si senta, ma intelligenza, anima... >> !!! - (Parigi 17 maggio 1854)

Giuseppe Verdi conducting the Paris Opera premiere of "Aida" (sung in French) at the Palais Garnier on 22 March 1880
L'OPINIONE DI VERDI SUL CANTO (1875)

«Si è talvolta ingiusti verso i cantanti italiani quando li si accusa di trascurare la scena per amore del "belcanto". E però quanti cantanti vi sono che riuniscono le due cose, che sanno cantare e recitare? Nell'opera comica le due cose unite sono facili. Ma nell'opera tragica! Un cantante che è preso dall'azione drammatica, a cui vibra ogni fibra del corpo, che s'immedesima totalmente nel ruolo che rappresenta, non troverà il giusto tono. Forse per un minuto, ma nel successivo mezzo minuto egli canta già falso o la voce gli viene a mancare. Per l'azione e il canto raramente sono sufficienti forti polmoni. E pertanto sono dell'opinione che nell'opera la voce ha soprattutto il diritto di essere ascoltata. Senza voce non vi è canto giusto

(da: "L'opinione di Verdi sul canto", in "Signale für die musikalische Welt", Leipzig, XXXIII, 33: luglio 1875, p. 521)

VERDI ON SINGING:

«Italian singers are often unjustifiably criticized for neglecting acting for the sake of "bel canto". Yet how many singers are there who combine both, who can act and sing? In comic opera both are easily combined. But in tragic opera! A singer who is moved by the dramatic action, concentrates on it with every vibrant fibre of his body and is utterly consumed by the role he is portraying, will not find the right tone. He might for a minute, but in the next thirty seconds he will sing in the wrong way or the voice will simply fail. A single lung is rarely strong enough for acting and singing. And yet I am of the opinion that in opera the voice has, above all, the right to be heard. Without a voice true singing cannot exist.»

(from: "L'opinione di Verdi sul canto", in "Signale für die musikalische Welt", Leipzig, XXXIII, 33: July 1875, p. 521)
Signale für die musikalische Welt", Leipzig, XXXIII, 33: July 1875, p. 521



IL CANTO COME "ESPRESSIONE POETICA DELL'ANIMA" SECONDO GIUSEPPE VERDI :

Certo che in Germania non mancano le voci, esse sono quasi più sonore di quelle italiane, ma i cantanti considerano il canto come una ginnastica, si occupano ben poco di perfezionarsi e aspirano solo a crearsi un vasto repertorio entro il più breve tempo possibile. Non si prendono la briga di mettere nel loro canto un bel fraseggio; tutta la loro aspirazione non consiste altro che nell’emettere questa o quella nota con grande potenza. Perciò il loro canto non è un’espressione poetica dell’anima, bensì una gara fisica del loro corpo.

(da un’intervista a Giuseppe Verdi, intitolata "Verdi in Wien", pubblicata su "Neue Freie Presse" - Vienna, 9 giugno 1875)

LA "MEZZA VOCE" VERDIANA - Parla Verdi stesso in due estratti di lettere del 1848 e 1855 !!!

Parigi, 6 ottobre 1848 (Lettera di Verdi a Marianna Barbieri-Nini, per la quale il compositore di Busseto compose il ruolo di Gulnara nel suo "Il Corsaro", che era già stata prima interprete assoluta di Lucrezia ne "I due Foscari" al Teatro Argentina di Roma nel 1844 e di Lady Macbeth nel "Macbeth" al Teatro della Pergola di Firenze nel 1847) :

« Cara Sg.ra Barbieri,
Credo che il "Corsaro" fatto da voi, da Fraschini e da Bassini andrà bene, tanto più che non è opera che esiga grandi elementi ad eccezione dei cantanti principali.
Eccomi dunque a dirvi alcune cose, come desiderate, sui vostri pezzi. La cavatina è facile d'interpretare: bisogna cantarla semplicemnte e voi lo potete: prendete l'adagio largo e cantatelo a MEZZA VOCE.
La cabaletta pure prendetela non troppo presto e stringete soltanto le tre o quattro note d'agilità con cui termina. Io credo che questa cavatina vi farà molto effetto. Badate che il finale sia ben messo in scena. Il primo agitato se non è bene in scena potrebbe far ridere. L'adagio sia largo e declamato: e la stretta non tanto presto.
Nel duetto col basso prendete il primo tempo sostenuto, declamato; non date importanza alle note ma alle parole; la cabaletta in tempo tagliato ma non troppo presto.
Il basso ha la prima frase, che la dirà a piena voce: voi canterete in tutto questo tempo a MEZZA VOCE (ricordatevi delle "mezzevoci" che fate nel Macbeth). Voi sapete meglio di me che l'ira non si esprime sempre gridando, ma qualche volta con voce soffocata, e questo è il caso. Cantate dunque tutto quest'ultimo tempo sotto voce, ad eccezione dell'ultime quattro note: aspettate che il basso sia quasi fuori della scena per prorompere in un grido accompagnato da un "gesto terribile", quasi a far prevedere il delitto, che siete per commettere.
Nel duetto col tenore vi raccomando scena e musica; questo è certamente il pezzo meno cattivo di tutta l'opera. Quando voi entrate in scena fatelo lentamente e dite il recitativo sottovoce e lento: il primo tempo sarà moderato e cercate di esprimere la parola con tutta la potenza dell'anima vostra. Il principio dell'adagio altrettanto lento ditelo sottovoce; spiegate la voce e dite con passione tutto il resto, cominciando dalle parole "ah! fuggiamo". Dopo, quando abbandonate la scena fatelo precipitosamente, e quando ritornate pallida sconvolta fate ogni passo quasi come lo indica la musica, fino al momento in cui non potete più reggervi in piedi: mi direte per terra le parole seguenti: "già... l'opra è finita, per destarsi egli stava". Ditele senza andare a tempo, senza badare alle note, ma colla voce soffocata che appena si senta. La cabaletta ditela lenta e cantatela con tutta la passione. (...)
»

Parigi, 8 gennaio 1855
(Lettera di Verdi ad Antonio Somma, drammaturgo, librettista e poeta italiano):

« Caro amico, (...)
V'ho detto di far Edmondo d'un carattere schernitore, perché in musica resterà più variato: facendolo diversamente, bisognerebbe farlo cantare una delle frasi "grosse" con dei gridi. Lo scherno, l'ironia si dipingono (ed è più nuovo) a MEZZA VOCE: diviene più terribile e mi dà varietà di tinte rapporto all'Introduzione e Finale. Nel finale, riducendo le strofe in versi sciolti, procurate che sieno questi alternati fra settenaried endecasillabi: non perché così si usa, ma perché "cantando" si perde maggior tempo che "recitando", ed è necessario che i versi dei recitativi non siano continuamente "lunghi"
... »

PRESCRIZIONI DI GIUSEPPE VERDI SUGLI STUDI DA FAR FARE AI GIOVANI COMPOSITORI E CANTANTI

A Francesco Florimo - Genova, 5 gennaio 1871

Car. Florimo,
Se vi ha qualche cosa che possa lusingare il mio amor proprio, si è quest'invito a Direttore del Conservatorio di Napoli che, per mezzo vostro, m'inviano i Maestri dello stesso Conservatorio ed i tanti musicisti della vostra città. E' ben doloroso per me non poter rispondere, come io desidererei, a questa fiducia (...)

Avrei voluto porre, per così dire, un piede sul passato e l'altro sul presente e sull'avvenire (ché a me non fa paura la "musica dell'avvenire") ; avrei detto ai giovani alunni:
« Esercitatevi nella "Fuga" costantemente, tenacemente, fino alla sazietà, e fino a che la mano sia divenuta franca e forte a piegar la nota al voler nostro. Imparerete così a comporre con sicurezza, a disporre bene le parti ed a modulare senz'affettazione. Studiate Palestrina e pochi altri suoi coetanei. Saltate dopo a Marcello e fermate specialmente la vostra attenzione sui recitativi. - Assistete a "poche rappresentazioni" delle Opere moderne, senza lasciarvi affascinare né dalle molte bellezze armoniche ed istromentali né dall'accordo di "settima diminuita", scoglio e rifugio di tutti noi che non sappiamo comporre quattro battute senza una mezza dozzina di queste "settime"». (...)
Nell'insegnamento di canto avrei voluto pure gli studj antichi, uniti alla declamazione moderna. (...)
Torniamo all'antico: sarà un progresso. (...)


Al senatore Giuseppe Piroli - Genova, 20 febbraio 1871

Caro Piroli,
Viste le condizioni e le tendenze musicali dell'epoca nostra, eccovi quanto, secondo me, dovrebbe essere adottato in una Commissione chiamata a riordinare l'insegnamento. Sono idee generalissime, dette a voi tante volte a voce ed in iscritto ed accennate anche nella mia lettera a Florimo.
Non parlerò che del "Compositore" e del "Cantante", perché credo che nella parte esecutiva istromentale (che ha sempre dato ottimi risultati) vi sia poco a riformare.
Vorrei dunque pel giovine Compositore esercizj lunghissimi e severi su tutti i rami del Contrappunto.
Studj sulle composizioni antiche sacre e profane. Bisogna però osservare che anche fra gli antichi, non tutto è bello; quindi bisogna scegliere.
"Nissuno studio sui moderni!" Ciò parrà a molti strano; ma quando sento e vedo in oggi tante opere fatte come i cattivi sarti fanno i vestiti sopra un patron, io non posso cambiar d'opinione. (...) Quando il giovine avrà fatto severi studi; quando si sarà fatto uno stile e che avrà confidenza nelle proprie forze, potrà bene, se lo crederà utile, studiare più tardi queste opere e sarà a lui tolto il pericolo di diventare un imitatore. (...)
Pel "Cantante" vorrei: estesa conoscenza della musica; esercizj sull'emissione della voce; studj lunghissimi di solfeggio come in passato; esercizî di voce e parola con pronunzia chiara e perfetta. Poi, senza che un Maestro di perfezionamento gli insegnasse le affettazioni del canto, vorrei che il giovine forte in musica e colla gola esercitata e pieghevole cantasse guidato solo dal proprio sentimento. Non sarebbe un canto di scuola, ma d'ispirazione. L'artista sarebbe un'individualità; sarebbe "lui" o, meglio ancora, sarebbe nel melodramma il personaggio che dovrebbe rappresentare.
E' inutile il dire che questi studj musicali devono essere uniti a molta cultura letteraria.
Eccovi le mie idee. - Potranno queste venire approvate da una Commissione? - Sì? Eccomi allora pronto agli ordini del Ministro. - No?... Val meglio che me ne ritorni a S. Agata.


VERDI, "THE MASTER OF FAST TEMPOS" ("il maestro dei tempi celeri"), AND THE METRONOME !!!

In 1844, Geremia Vitali offered a description of tempo that seems to reflect Verdi’s own idea: 
"Il tempo è . . . un principio essenziale dell'arte: è la vita, l'anima, l'energia fisicomorale d'ogni frase e d'ogni idea: è la scintilla che muove e caratterizza le passioni e i sentimenti della melodia: è il nerbo che collega e sostiene le forme dell'armonia: è il sangue che circola nelle sue vene".

("Tempo is . . . an essential principle of the art of music; it is the lift, the soul, the internal energy of every phrase and every idea; it is the spark that arouses and distinguishes the passions and the sentiments of the melody; it is the nerve that connects and sustains the forms of the accompaniment; it is the blood that flows within its veins".)

[Geremia Vitali, “Proposta d’un nuovo mezzo per determinare con esatezza i tempi musicali,” Gazzetta musicale di Milano 3, no. 20 (1844): 79-80.]

Emanuele Muzio's letter of 20 May 1844 to Antonio Barezzi, in which he mentions articles concerning tempo by Vitali in the "Gazzetta musicale di Milano", testifies to Verdi's familiarity with the well-known musical journal and his interest in its ongoing debate concerning the matter of tempo.
The real problem, of course, was the lack of a precise means for measuring "movimento". The seemingly obvious solution - already in use in other countries - was the metronome. But in Italy in both theory and practice, resistance to the metronome was strong. Reluctance to change established habits, tradition, pride, and even the cost of the device accounted for the unwillingness of musicians in "Primo Ottocento" Italy to adopt it.
Despite objections, however, gradually the metronome began to meet with greater tolerance in Italy, as a series of articles by Luigi Casamorata in Ricordi's "Gazzetta musicale di Milano" during February and March 1846 attests. These essays declare the advantages of incorporating metronome markings into opera scores, explain how the metronome works, and explicitly instruct composers and performers on how to use the device and even how to construct one. Since Verdi subscribed to Ricordi's journal, he surely knew these essays, and there can be little doubt that he read them with an attentive eye. It was undoubtedly not a coincidence, the, that immediately upon the conclusion of Casamorata's series of essays Verdi added metronome markings to an opera for the first time - to "Attila".

[Vide: Casamorata, "Osservazioni, discussioni, proposte" - Gazzetta musicale di Milano 5, no. 9 (1 March 1846) and also no. 6 (8 February 1846), no. 11 (15 March 1846) and no. 13 (29 March 1846)]

In a letter of 30 March 1846, Muzio informed Barezzi: "Nei passati giorni abbiamo posto i tempi in tutto lo spartito [Attila] col Metronomo di Maelzel".

("In the past few days we have placed tempos in the entire score of 'Attila' using Maelzel's metronome".) Verdi did not write metronome markings in the autograph for "Attila" but rather wrote them on a separate folio. The autograph score for "Attila" contains no metronome markings. Instead, after relinquishing the score to his publisher, Francesco Lucca, Verdi wrote the metronome markings on a separate folio along with musical incipits for each major section. The autograph folio is currently in the Gisella Seldon Goth collection at the New York Public Library.From this point onward, incorporating metronme markings into his operas was one of Verdi's priorities. By July 1846 he had evidently assigned metronome markings to "I due Foscari". After this Verdi proceeded to write metronomic equivalents in the scores for his next two Italian operas: "Macbeth" and "I masnadieri". He omitted them from the work that followed, "Il corsaro" (this omission is not surprising, however, since Verdi neither attended the premiere nor participated in the publication of "Il corsaro", and the autograph contains little evidence of revision or of the meticulous attention to detail observed in other autographs!), but included them in "La battaglia di Legnano". He did not write them into his next score, "Luisa Miller", although he later added them to a manuscript copy for a performance in Milan. And Verdi wrote metronome markings into each of his scores from "Stiffelio" to "Falstaff", with the exceptions of "Rigoletto" and "La traviata".
Verdi's use of metronome markings is especially significant since, as a rule, no such measurements can be found in the autograph scores of operas by his Italian predecessors or contemporaries. It would appear that Verdi was one of the first major "Ottocento" composers to include metronome markings in his scores as a routine matter.
(Martin Chusid specifies: "None of the autographs or early piano-vocal editions for operas by Bellini, Donizetti, Pacini, or Mercadante that I have had the opportuinity to examine contains metronome markings. Rossini's Italian operas lack such markings as well, although, not surprisingly, his French scores do include them.")

In April 1844, Verdi wrote to conductor Leone Herz concerning the Viennese premiere of Ernani: “I advise you only that I do not like slow tempos; it is better to err on the fast side than to be too slow.”
("I tempi sono tutti segnati sullo spartito colla possibile chiarezza. Basta badare alla posizione drammatica ed alla parola, difficilmente si può sbagliare un tempo. Avverto solo che io non amo i tempi larghi; è meglio peccare di vivacità che languire". - Lettera di Verdi a Leone Herz, Milano, 18 aprile 1844,

istruzioni per una messinscena di "Ernani" all'Opera di Vienna)

In one review of Verdi’s performance of the Requiem in 1877 Cologne, the critic noted the composer’s preference for fast tempos. Verdi came to be known as “the master of fast tempos” ("il maestro dei tempi celeri") according to Opprandino Arrivabene in 1870 (Letter of Arrivabene to Verdi, 17 March 1870), and his tendency toward fast speeds became one of his trademarks.

[cfr. :
- Roberta Montemorra Marvin - "Verdi and the Metronome" - Verdi Forum: No. 20, Article 2 (1992)
- Martin Chusid - "Verdi's Middle Period: Source Studies, Analysis, and Performance Practice" - University of Chicago Press, 1997
- Ick Hyun Cho - "Rediscovering Giuseppe Verdi’s Messa da Requiem". Thesis Prepared for the Degree of Doctor of Musical Arts (Performance), University of North Texas, August 2003]

Verdi's Requiem - first performance at la Scala - 25 May, 1874
[The picture shows: LA MESSA DI VERDI SUL PALCOSCENICO DELLA SCALA (from left to right: Maini, Capponi, signora Waldmann, signora Stolz, Verdi) - Disegno dal vero del signor Osvaldo Tofani (1849-1915), incisione del signor Baldi, pubblicata nella "Illustrazione Universale" di Milano del 1874.
Verdi's Requiem - first performance at la Scala - 25 May, 1874. Three days after having played the

Requiem Mass in the Church of San Marco, Verdi organized a performance at La Scala, with the same soloists: Teresa Stolz (soprano), Maria Waldmann (mezzo-soprano), Giuseppe Capponi (tenor), Ormando Maini (bass). With La Scala's choir ( for the occasion, 120 choristers) and the full orchestra, of course, directed again by the same Verdi. The success of the Requiem Mass was immense.]


PRESCRIZIONI DI GIUSEPPE VERDI SUL RISPETTO ESECUTIVO DELLE SUE OPERE

A Giulio Ricordi - Genova, 11 aprile 1871

Ho letto il vostro articolo, che vi rimando, sull'orchestra, e credo vi sarebbe a ridire:
1) Sulle intenzioni e sull'efficacia istromentali dei Maestri nostri che voi citate.
2) Sulla divinazione dei Direttori... e "sulla creazione ad ogni rappresentazione"...(...) io voglio un solo creatore, e m'accontento che si eseguisca semplicemente ed esattamente quello che ho scritto; il male sta che non si eseguisce mai quello che è scritto. (...) Io non ammetto né ai Cantanti né ai Direttori la facoltà di "creare", che, come dissi prima, è un principio che conduce all'abisso... Volete un esempio? Voi mi citaste altra volta con lode un effetto che Mariani traeva dalla sinfonia della "Forza del Destino", facendo entrare gli "ottoni" in "sol" con un fortissimo. Ebbene: io disapprovo quest'effetto. Quelli ottoni a "mezza voce" nel mio concetto dovevano, e non potevano esprimere altro, che il Canto religioso del Frate. Il "fortissimo" di Mariani altera completamente il carattere, e quello squarcio diventa una fanfara guerriera: cosa che non ha nulla a che fare col soggetto del dramma, in cui la parte guerriera è tutt'affatto episodica.
(...)

A Giulio Ricordi - S. Agata, 9 giugno 1894

(...) 1.° Io ho il diritto che le mie opere, come da contratto, vengano eseguite come le ho scritte.
2.° L'Editore deve mantenere tale diritto, e se in Francia, come voi diceste, non ha abbastanza autorità, subentro io come autore e domando che "Falstaff" venga eseguito come io l'ho immaginato.

Domando questo formalmente e deploro che siensi fatte recite all'Opéra Comique in modo mostruoso ed umiliante. (...) io non sono disposto affatto a tollerare questo che io considero come un insulto artistico.
Verdi e Boito lavorano al Falst

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