lunedì 13 aprile 2020

Il metodo di belcanto del baritono Leone Giraldoni, primo interprete verdiano nel "Simon Boccanegra" e "Un ballo in maschera"

Il baritono Leone Giraldoni
Il baritono Leone Giraldoni (1824 - 1897) studiò a Firenze con Luigi Ronzi (baritono e compositore italiano, fu anche professore di canto, ed impresario) e debuttò a Lodi nel 1847, nel ruolo del Gran Sacerdote nella "Saffo" di Giovanni Pacini.


Francesco Regli, nel "Dizionario biografico dei più celebri poeti ed artisti melodrammatici, tragici e comici, maestri, concertisti, coreografi, mimi, ballerini, scenografi, giornalisti, impresarii, ecc. ecc. che fiorirono in Italia dal 1800 al 1860" - Torino, Enrico Dalmazzo, 1860 - così presenta questo cantante per la cui voce scrissero le loro musiche, tra gli altri, Mercadante, Gomes e Verdi.
 
LEONE GIRALDONI (Francesco Regli - Dizionario biografico dei più celebri poeti ed artisti melodrammatici, 1860)

Il debutto alla Scala avvenne nel 1853, come Conte di Luna nel "Trovatore" di Giuseppe Verdi, e durante la sua lunga carriera Giraldoni cantò in tutta Europa con notevole successo. L'ultimo ruolo interpretato fu nel "Don Giovanni d'Austria" di Filippo Marchetti, al Teatro Costanzi di Roma, nel 1885.
Baritono creatore di vari ruoli operistici in opere di diversi compositori, quanto alle opere di Verdi Giraldoni fu primo interprete assoluto del ruolo di Simone nel "Simon Boccanegra" al Teatro la Fenice di Venezia, il 12 marzo 1857 e di Renato, ne "Un ballo in maschera" al Teatro Apollo di Roma, il 17 febbraio 1859.

Bisaccia del caricaturista : 'Giuseppe Verdi, Simon Boccanegra, Venezia, Teatro della Fenice, 1857'

"Les artistes, les femmes comme les hommes, chantent et ne crient pas! Qu'ils reflechissent à ceci: que déclamer ne signifie pas hurler! Si l'on ne trouve pas trop de vocalises dans ma musique, on ne doit pas en profiter pour s'arracher les cheveux, s'agiter et crier comme des possédés."

-scriveva GIUSEPPE VERDI il 9 dicembre 1857, da Busseto, al baritono Leone Giraldoni, primo interprete del "Simon Boccanegra"-

Gli artisti, uomini o donne che siano, cantano e non urlano! Che riflettano a questo: che declamare non significa urlare! Se non vi sono troppi vocalizzi nella mia musica, non bisogna approfittarne per strapparsi i capelli, agitarsi e gridare come degli indemoniati.
(trad. it. dal francese di Carolina Barone)


I contemporanei descrivevano la sua voce come calda, amabile e uniforme. Fu anche considerato un valido attore, dotato di nobile e dignitosa presenza scenica e di buon fraseggio, qualità che ne fecero uno dei baritoni preferiti da Verdi.
Giraldoni apparteneva alla generazione di baritoni in grado di portare in scena i nuovi impegnativi lavori di Verdi, ma anche il repertorio belcantistico, con stile esemplare e capacità tecniche.

Dopo essersi ritirato dalle scene insegnò canto, dapprima a Milano, poi, dal 1891, al Conservatorio di Mosca.

Giraldoni si sposò col celebre soprano e violinista Carolina Ferni. Il loro figlio, Eugenio Giraldoni (1870 - 1924), divenne un importante baritono come il padre (la madre gli aveva dato lezioni di canto ed egli fece il suo debutto a Barcellona, nel ruolo di Escamillo in "Carmen" di Bizet, nel 1891). Fu lui, Eugenio, a creare a Roma, nel 1900, il ruolo di Scarpia nella "Tosca" di Giacomo Puccini!
 

Leone Giraldoni fu anche autore di due trattati di canto:
- "Guida teorico-pratica ad uso dell'artista-cantante" - Bologna, 1864 (un'edizione rivista ed ampliata fu pubblicata nel 1884)
- "Compendium, Metodo analitico, filosofico e fisiologico per la educazione della voce" - Milano, Ricordi, 1889

In questo articolo, prenderemo in esame alcuni punti in particolare più interessanti ed utili per l'arte del canto, tratti dagli scritti di Giraldoni padre. Ecco cosa insegnava in merito ai seguenti punti fondamentali:
1. Respirazione diaframmatico-intercostale ('lotta vocale')
2. Posa della voce (da ricercare sul "piano")
3. Lingua e mandibola rilassate nell'emissione vocale
4. Impostazione del suono vocalico
5. "Messa di voce" (<> ed i tre colori della voce: timbro "normale", "chiuso" ed "aperto")
6. A "rotonda" e "giro vocale" più si sale nell'estensione
7. Fusione dei registri

 


1a. RESPIRAZIONE DIAFRAMMATICO-INTERCOSTALE :

Il "diafragma", quel muscolo sul quale posano i polmoni, agisce sulla respirazione a guisa del mantice nell'organo. Ha una importanza tale nel canto che alcuni fisiologi musicisti non titubarono ad asserire che il canto non è che la ginnastica della respirazione. Solo chi fece un accurato studio della "respirazione
diafragmatica" nel canto, può apprezzare i sommi vantaggi. Questa respirazione che usai sempre nella lunga mia carriera teatrale viene da me propugnata e messa in pratica nella mia scuola.
Ecco dunque, in poche parole, descritto l'apparato vocale, che, in riassunto, si compone di:
Un organo produttore del suono (la laringe colle sue corde vocali);
Un ripercussore (la faringe e i suoi annessi);
Ed un mantice (il diafragma coi polmoni)

(...) Per la produzione del suono colla voce, abbiamo visto che il "diaframma" (1) colla sua pressione sui lobi inferiori dei polmoni, diventa causa primiera della sua produzione. (1 - Il diaframma è quel muscolo, che a guisa di volta divide lo stomaco dai polmoni.−E' suscettibile di grande forza di contrazione con
l'esercizio.) Quest'azione di usare del "diaframma" per la espulsione dell'aria dai polmoni si chiama "respirazione diaframmatica", la quale io reputo la più giovevole di tutte, perchè lascia completa libertà alla laringe, ove risiede il fenomeno della vibrazione delle corde vocali. (...) Per quanto questa "respirazione diaframmatica" (dopo essere stata assurdamente combattuta dagl'ignari) venga oggi, quasi ovunque, ammessa e lodata, pochi ne conoscono la giusta applicazione. (...)
Ho detto più sopra che nella "respirazione diaframmatica", il "diaframma" agisce in noi come il mantice nell'organo o nella fisarmonica.
E' una azione del resto talmente naturale, che quando siamo coricati non respiriamo diversamente.
Non vanto questo modo di respirazione siccome indispensabile per chi vuole cantare, giacchè molti cantanti ed anche celebri, non ne hanno la minima cognizione e cantano benissimo. Ma asserisco però che colui che, o per ignoranza o per indifferenza, non ne fa uso, si priva di grandi risorse. Azzardo dire che è tale la sua importanza che (specialmnte per essa) si può asserire non essere il canto che la pura ginnastica della respirazione. (...)

Come si ottiene?
E' facilissimo. − Coricatevi e respirate naturalmente. − Questa è la respirazione diaframmatica. Si osserverà che in questa posizione il petto rimane sempre immobile e non seconda punto l'azione compressiva del diaframma nella ispirazione come parimenti nella espulsione dell'aria.
Nello "ispirare" l'aria, il ventre si protende fuori e si comprime nella "espulsione" del respiro. − Se si accompagna questo atto con un suono emesso senza artifizio alcuno (...) prima leggermente, poscia con forza crescente poco a poco, si avrà già il primo rudimento di questa respirazione che, come si vede, è puramente fisiologica e naturale.
Ottenuto questo primo intento, si eserciterà a precipitare l'azione della "ispirazione" trattenendo quella della "espulsione", e viceversa fino a tanto che non si acquista una pratica tale che, domando tutti i movimenti ispiratori e espulsori, li si fanno obbedire e piegare a volontà.
Nel paragrafo seguente (...) accennerò ad altri movimenti dei muscoli intercostali, che amplificano la potenza dei suoni a cui si vuol dare maggiore vibrazione. (...)

Quando poi si vorrà dare al suono una potenza più intensa, oltre alla azione già indicata della pressione diaframmatica, si aggiungerà la pressione dei muscoli laterali che contornano il diaframma (...) si avrà una potenza grandissima di suono che non pregiudicherà punto la laringe e che permetterà di emettere i suoni più acuti senza sforzo di voce, essendo soltanto uno sforzo di pressione e di resistenza respiratoria.

(da: Leone Giraldoni - "Compendium - Metodo analitico, filosofico e fisiologico per la Educazione della Voce" - Milano, Ricordi, 1889)



1b. Respirazione diaframmatica (muscoli addominali ed interscostali) - "Lotta vocale" :

«Artisti eminenti, talenti rimarchevoli sparirono troppo presto dalle scene liriche solo per la ragione che, "respirando male", rovinarono tosto la loro voce.
(...) in quanto al tipo di respirazione clavicolare (generalmente usato dalle signore) che in quel modo di respirare, la laringe, la glotta e le corde vocali si trovano in condizioni diametralmente opposte. Questi movimenti contrari esercitati sulla laringe nel cantare colla respirazione clavicolare, rendono la voce più difficile, più faticosa e mono espansiva. (...)
Nella respirazione abdominale o diaframmatica invece, un piccolo numero di muscoli (ed in specie il diaframma) è messo in azione; e siccome questi muscoli non provocano nella loro azione altro che lo spostamento di visceri molli e mobili per natura, che oltreciò nella "ispirazione" la laringe conserva la sua posizione normale, lasciando la glotta senza contrazione di sorta e le corde vocali nè rilasciate nè tese in modo anormale; avverrà pure che nella "espirazione", gli organi principali conserveranno del pari la loro posizione e la loro tensione normali. Tutte queste condizioni fisiologiche desunte dall'azione naturale degli agenti della respirazione in questo tipo diaframmatico, parlano abbastanza in favore della preferenza che ogni cantante dovrebbe accordargli.
Se la respirazione di tipo laterale, che è quella che mette in azione i muscoli intercostali della parte inferiore del petto, viene usata soltanto come conseguenza della respirazione diaframmatica alla quale serve di corollario, coll'intento di aggiungere potenza alla voce, non avrà in questo caso nessun inconveniente.

La lotta vocale non è altro che l'antagonismo naturale che sorge nella respirazione diaframmatica fra i muscoli espulsori dell'aria contenuta nei polmoni e i muscoli costrittori che si oppongono alla sua uscita; antagonismo che ha per prodotto il suono. (...)
La grande arte della emissione vocale consiste nel sapere ove applicare questa resistenza, perchè, se fatta colla contrazione delle tonsille, produrrà la voce di gola, se colla laringe, una voce caprina o strozzata. (...)
Dal giuoco simultaneo di queste due forze antagoniste (espulsora e costrittora) risiede la potenza della modulazione della voce ed il merito del cantante, che non sarà padrone assoluto del suo fraseggiare e del suo fiato, se non quando sarà riuscito a rendere indipendenti l'uno dall'altro questi due movimenti opposti.»

(da: Leone Giraldoni - EDUCAZIONE DELLA VOCE - Respirazione, Lotta vocale - in "Gazzetta Musicale di Milano" del 27 ottobre 1889)

«Le corde vocali colpite dalla maggiore o minore intensità dell'aria che si espelle, vibreranno così senza veruna contrazione dei muscoli della glotta o della faringe. Questa maggiore o minore intensità che s'incute al fiato darà per conseguenza una maggiore o minore sonorità alla voce, a norma della predominanza dell'azione espellente o di quella contrattiva del fiato.
Il maneggio di queste due forze antagoniste, lo paragono all'archetto del violino, trovando nel maneggio di esso una somiglianza assoluta col meccanismo del fiato, giacchè quando il polso che tiene l'archetto appoggia più fortemente sulla corda, concorda esattamente al movimento indicato della resistenza del fiato all'atto della sua espulsione, e quando meno appoggia, più veloce corre l'archetto sulla corda, come più veloce esce l'aria allorquando minore è la resistenza che si oppone alla sua uscita.
Dal maneggio di queste due forze antagoniste deriva la modulazione del suono che forma una delle più belle prerogative del cantante educato ad una sana e perfetta scuola. (...)
Questa posa della voce sul puro fiato appoggiato, è cosa facilissima quando si è arrivato ad estrinsecarla da ogni contrazione dei muscoli della glotta, ma siccome sono pochissime le voci che posseggono questo movimento per natura, riesce di una somma difficoltà appena si ha l'abitudine di attaccare il suono con una qualunque contrazione.
Non ho avuto allievo che non si sia impazientito per non poter ottenere questo movimento con facilità.»

(da: Leone Giraldoni - EDUCAZIONE DELLA VOCE - Attacco del suono - in "Gazzetta Musicale di Milano" del 17 novembre 1889)

«(...) è molto facile che coll'intento di ottenere per esempio la compressione del fiato, si contragga la glotta nel suo interno, ciò che renderà il suono assai disgustoso e procurerà una sensazione disaggradevole. Tutte cose da evitarsi.
Come pure potrà succedere che non dando alla resistenza la forza necessaria alla compressione del fiato, l'azione diaframmatica non trovando appoggio, si esalerà nel vuoto, ed il fiato verrà esaurito in un istante senza dare al suono veruna potenza; giacchè la potenza del suono deriva dall'effetto prodotto dall'azione antagonista delle due forze opposte della espulsione e della compressione del fiato.»

(da: Leone Giraldoni - EDUCAZIONE DELLA VOCE - Seguito e fine dell'attacco del suono - in "Gazzetta Musicale di Milano" del 29 dicembre 1889)

«Così si eviterà p.e. di fare subire alla laringe la contrazione che spetta al diaframma ed ai muscoli delle parti laterali del petto, nell'atto di spingere l'aria per otenere la desiderata resistenza che produce l'intensità e la modulazione del suono. Se si pensa alla delicatezza dei tessuti che rivestono la laringe (tessuti duttili, cartilagini unicamente create ad uno scopo prefisso quale la produzione della voce), si comprenderà allora a quale danno irreparabile si espone una voce se male diretta. Si comprenderà pure che la laringe, ove risiede il corpo vibrante che produce il suono, deve rimanere senza contrazione alcuna nell'emissione del suono e che spetta soltanto al diaframma di contrarsi per l'espulsione dell'aria che deve fare vibrare le corde vocali.»

(da: Leone Giraldoni - EDUCAZIONE DELLA VOCE - Produzione del suono - in "Gazzetta Musicale di Milano" del 13 aprile 1890)



2. RICERCARE LA POSA DELLA VOCE SUL "PIANO" 
(Attaccare la voce "NATURALMENTE"? - ossia, il CANTARE DI NATURA SENZ'ARTE E STUDIO non basta per cantare liricamente!!!) :

«Tutti vogliono trovar la posa della voce sul "forte" invece di cercarla sul "piano", ma sul "piano" appoggiato leggermente con scorrevolezza del fiato.
Che ne risulta allora?
Se il "piano" della voce, sul quale si vuole stabilire la sonorità del "forte", è stentato o proviene da contrazione, il "forte" avrà lo stesso difetto, ma molto più sensibile.
Comprendo perchè furono così pochi i maestri che, occupandosi della educazione della voce e scrivendo anche intorno ad essa, si sieno così poco fermati su questo punto per me tanto essenziale. E' ardua cosa da dimostrarsi colla pratica, più ardua assai ad analizzarsi teoricamente per iscritto. Non so se sarò riuscito a tanto da farmi comprendere agevolmente, ma ciononostante sono sicuro che questo mio scritto sarà sufficiente per dare luogo a fare riflettere intorno a questi miei precetti ed a maturarli. E' già qualche cosa in bene di quest'arte difficilissima su cui tanto si è scritto senza molto insegnare.
Difatti aprite qualunque libro che si occupa della voce e leggerete nei primi principi esposti riguardo alla "posa del suono" il consiglio di attaccare la voce "naturalmente". Questo "naturalmente" forma già materia a grave contestazione e mi sembra che nulla definisce. A chi avrà la voce per natura bene impostata, comprendo che questa raccomandazione possa avere un certo valore.
Ma per colui in cui, per esempio, si è fatto naturale l'appoggio alla gola, questo "naturalmente" vorrà significare alla gola, e allora? Sarà lo stesso che dire a uno che losca di guardare "naturalmente".
Cosa vi è di più difficile ad acquistare in arte se non la "naturalezza"? E quanto hanno dovuto studiare quegli artisti che, sulla scena, hanno quel fare "naturale" che colpisce e commuove! Eppure questa "naturalezza", che è tanto encomiata e tanto poco comune, l'avranno dovuta acquistare a forza d'arte e di studio; ma allora a che serve raccomandare di posare la voce "naturalmente", quando questo atto ha tanto bisogno di essere analizzato per esserne padrone, ed obbedisce a leggi fisse ed ineluttabili?
E avanti di questo passo vanno la maggior parte dei maestri che sul canto si posero a scrivere senza mai indicare cosa si deve fare per ottenere quello che raccomandano.»
(da: Leone Giraldoni - EDUCAZIONE DELLA VOCE - Attacco del suono - in "Gazzetta Musicale di Milano" del 17 novembre 1889)



3. LINGUA E MANDIBOLA RILASSATE NELL'ATTO DI EMISSIONE DEL SUONO VOCALICO:

«Non dimentichi [l'allievo] e lo ripeto, di tenere la parte superiore della lingua appoggiata contro la radice dei denti inferiori. Che, a parte questa leggera pressione della lingua sui denti, essa non risenta nessuna contrazione e che la parte posteriore sia appianata e distante dalle pareti della faringe.
Che regni il massimo abbandono nelle mascelle, come nessuna contrazione nè nella faringe, nè nella laringe.»

(da: Leone Giraldoni - EDUCAZIONE DELLA VOCE - Seguito e fine dell'attacco del suono - in "Gazzetta Musicale di Milano" del 29 dicembre 1889)

Sull'uso della lingua nel cantare (ovviamente nell'emissione delle vocali liriche, perché è chiaro che le consonanti hanno bisogno in particolare nei centri dell'articolazione della lingua) con Giraldoni erano d'accordo anche altri baritoni famosi come Delle Sedie, amico di Verdi e noto soprattutto come maestro di canto, e Coletti (primo interprete verdiano in "Alzira" e "I masnadieri"):


"La lingua si terrà appianata (...) se (...) si solleva nel mezzo, il suono è esposto a rompersi ed a produrre una stecca, oppure a sortire strozzato o gagnolante."

(da: E. Delle Sedie - "Arte e Fisiologia del Canto", 1876)



"Qualunque siasi la posizione della bocca, la lingua deve restare sempre bassa."

(da: La Scuola di Canto in Italia. Pensieri dell'artista Cav. Filippo Coletti, vice-presidente nel Consiglio direttivo della R. Accademia e Liceo di Santa Cecilia - Roma, 1880)

[ Nell'immagine riportata sopra: Il baritono italiano Coletti. Fu allievo di Alessandro Busti (a sua volta allievo del castrato Girolamo Crescentini) al Collegio reale di musica di Napoli. Esordì al Teatro del Fondo nel 1834 con "Il Turco in Italia" di Rossini e passò subito dopo al S. Carlo, con "La Straniera" di Bellini, "Mosè in Egitto" e "Maometto II" di Rossini. Ebbe immediato successo grazie soprattutto alle sue doti di agilità, che in seguito lo resero un eccellente interprete del personaggio di Assur nella "Semiramide", e non lo abbandonarono se non verso la fine della carriera. Si pose così subito in luce anche in opere di Persiani, Mercadante, Pacini, dei fratelli Ricci, di Nicolai; ma una particolare predilezione egli mostrò presto per Bellini e Donizetti.
Cantante dotato anche d'un gioco scenico vario e vigoroso, creò molti personaggi in nuove opere liriche di diversi compositori dell'epoca e divenne uno specialista del repertorio verdiano: fu il creatore del ruolo di Gusmano nella "Alzira" al San Carlo di Napoli nel 1845 e di Francesco ne "I masnadieri" all'Her Majesty's Theatre di Londra nel 1847 diretto dallo stesso Verdi. ]


4. Impostazione del suono vocalico nel canto lirico:


«La vocale A è quella che devesi adottare per lo studio; però devesi evitare di emetterla troppo chiusa o troppo aperta. L'uno o l'altro sarebbe difettoso; il chiuso e l'aperto essendo soltanto effetti drammatici di cui è buono servirsi a tempo e luogo, ma che diventerebbe difetto se l'uno o l'altro servisse di base all'emissione vocale; avremo occasione di riparlarne nel capitolo che riguarda i timbri.
Si potrà però nello studio, quando si crederà necessario far cambiare all'allievo la vocale che deve servire di base all'emissione semplice onde modificare artificialmente il suono nell'intento di estirpare qualche difetto naturale. Per cui se l'allievo avesso per vizio di cantare con voce troppo aperta, consiglio al maestro di cercare (coll'artifizio delle vocali più chiuse, come la O ed anche la U) di modificare il suono dell'emissione finchè l'allievo possa rendersene padrone in modo sicuro. La U è agevolissima per ottenere la ripercussione del suono verso la testa.
Con una emissione difettosa si va incontro a difficoltà insormontabili, o anche a disastri che in poco tempo mettono il cantante in istato di non poter più adoperare i suoi naturali mezzi. Quasi tutti i cantanti di gola appoggiando la loro voce nell'estremità della laringe, ossia epiglotta mediante l'avvicinamento de' pilastri del velo palatino fanno soffrire a queste parti molto sensibili di loro natura, una continua irritazione, che loro cagiona frequenti infiammazioni di gola, oltra ad una continua apprensione sulla loro voce, perdendo così quell'indispensabile franchezza necessaria ad un artista per palesare le doti del suo naturale ingegno. Oltre a questi deplorevoli risultati, la voce, appoggiata in gola, procura facilmente una stanchezza soverchia, giacchè quella continua tensione delle pareti interne, leva alla voce la necessaria energia ed elasticità. Eppure la maggior parte dei cantanti ha questo difetto, che diventa poi talmente costituzionale, che un incessante studio non basta ad estirparlo; quando invece poco avrebbe costato se fosse stato curato fino dal principio.»

(dal Capitolo III. di "Guida teorico-pratica ad uso dell'artista cantante" di Leone Cav. Giraldoni - Artista e Socio onorario di diverse Accademie Filarmoniche, Vice-Presidente della Società Nazionale di Mutuo Soccorso fra gli Artisti Lirici e Maestri affini - "Arte lunga vita breve" - Seconda edizione riveduta, corretta ed ampliata - Milano, 1884)


5. La "MESSA DI VOCE", ed i tre colori della voce: timbro "normale", "chiuso" ed "aperto":


«Dopo questi esercizi, per abituare il fiato alla pressione ed all'abbandono che devono naturalmente corrispondere con il forte ed il piano del suono, uso fare eseguire tre volte sopra ogni suono della scala diatonica, questo esercizio di pressione ed abbandono, che tradotto in calligrafia musicale, si segnerebbe così:
DO<> DO<> DO<> RE<> RE<> RE<> MI<> MI<> MI<> FA<> FA<> FA<>

Comincio col fare eseguire sei di quelle note con un solo fiato in tempo ordinario. Poi ne aumento il numero a poco a poco per abituare l'allieva alla durata del fiato.
Con tale ginnastica del fiato si acquista facilmente la elasticità della voce, e la modulazione gradatamente si rende facile e famigliare.
Giunto all'ottava, faccio sostenere sul forte questo suono, per accertarmi che la voce è emessa come lo desidero, cioè senza sfrozo della laringe e senza contrazione delle appendici faringee.
Quindi retrocedo la scala fino alla tonica sulla quale s'iniziò questo esercizio; tonica che, come l'ottava, faccio sostenere sul forte fino ad esaurimento del fiato, per le medesime ragioni su espresse.
Adesso siamo già in grado di affrontare le distanze, e così procedo:
Faccio attaccare il primo grado della scala sul puro fiato come negli esercizi dell'attacco del suono, quindi faccio prendere il 2.° grado con pressione del fiato e colle stesse raccomandazioni espresse nel paragrafo anteriore; poi faccio abbandonare subito la pressione per riprendere la 1.a nota sul puro fiato, dopo la quale faccio attaccare con pressione il 3.° grado della scala.
Torno sul 1.° grado sempre nel medesimo modo; e poi sul 4.° e così di seguito fino all'ottava.
Questo esercizio potrebbe scriversi così:
DO-RE<>DO-MI<>DO-FA<>DO-SOL<>DO-LA<>DO-SI<>DO-DO<>
la scala discendente così:
DO-SI<>DO-LA<>DO-SOL<>DO-FA<>DO-MI<>DO-RE<>DO-DO<>

Con questi esercizi ho già ottenuto grandi vantaggi, e senza che l'allievo vi ponga mente, egli si trova già iniziato (continuandoli per un certo tempo) al maneggio della sua voce, che si abitua ad essere elastica e malleabile e si prepara gradatamente ad affrontare l'intero suono filato di cui questi esercizi sono la miniatura. Ma del suono filato abbiamo tempo a parlarne essendo, secondo me, il "finis coronat opus" del cantante, perchè, per eseguirlo a dovere, bisogna avere una assoluta padronanza della ginnastica del fiato, per sapere equilibrare l'espulsione e la resistenza, e nel medesimo tempo avere la padronanza assoluta del maneggio dei movimenti affidati ai pilastri del velo palatino, che danno tutte le gradazioni che, dal leggero pel pianissimo del suono, lo convertono in suono rotondo pel forte, e viceversa dal forte al piano.
I pilastri ed il velo palatino possono paragonarsi alla tavolozza del pittore perchè, come regolatori del suono, sono essi che danno alla voce il colore che le si vuole imprimere.

Oggi che la musica più che mai cerca di essere verace interprete dei sentimenti e delle passioni che, le tante volte, il verbo non basta a descrivere, è necessario che la voce, che deve tradurre le intenzioni del compositore e del poeta, possa e sappia piegarsi a tutte le gradazioni del sentimento, dalla espressione la più patetica, la più poetica e mistica, fino agli scatti della declamazione vibrata. E' quindi indispensabile che il cantante sappia dare alla sua voce il colore che richiede la espressione del sentimento che il personaggio, ch'egli veste, deve tradurre.
(...) Molte volte l'artista non raggiunge l'effetto perchè difetta o strafà nell'espressione, passando o mancando il limite del "vero", per quanto giusto possa essere in lui il sentimento che lo anima.
Per cui l'artista, se vuole raggiungere l'effetto sul pubblico (ammesso naturalmente) ch'egli abbia tatto, criterio ed intelligenza sufficiente per intuirsi di un personaggio, deve sapersi dominare nella espressione di un sentimento onde regolarne le gradazioni senza lasciarsi dominare egli stesso dal sentimento che lo commuove.
Egli, che deve dominare il pubblico che lo ascolta, non può essere, in pari tempo, dominatore e dominato.
L'anima si appalesa nelle varie gradazioni dei sentimenti che la colpiscono sotto tre distinti stati:
"Normale", se nulla la commuove.
"Concentrato", se sono passioni racchiuse che la tormentano.
"Espansivo", per tutte le passioni che la esaltano.
A questi tre stati corrispondono tre timbri nella voce:
"Timbro normale", nè aperto, nè chiuso per lo stato normale dell'anima;
"Timbro chiuso", per lo stato concentrato;
"Timbro aperto", per esprimere lo stato espansivo.
Da ciò soltanto ne deriva pel cantare la necessità di rendere la voce sua pieghevole a questi diversi colori, ch'essa deve assumere per non cadere in contraddizione nella espressione dei sentimenti ch'egli è chiamato ad interpretare e tradurre.
A questi tre colori della voce si dovrà aggiungere il quadro degli "accenti drammatici" che la voce dovrà esprimere per tradurre le grandi passioni che accasciano l'animo, come il "pianto", il "singhiozzo", l' "afflizione" profonda»

(da: Leone Giraldoni - EDUCAZIONE DELLA VOCE - Degli esercizi progressivi atti a sviluppare l'organo vocale - in "Gazzetta Musicale di Milano" del 12 gennaio 1890)



6. "A" rotonda e minore-maggiore pressione del fiato nel salire-scendere in una scala di suoni legati tra loro:

«Avendo indicato già dettagliatamente il meccanismo dell'attacco del suono e quello antecedente della respirazione, appena si sarà sicuri di questa base sulla quale deve stabilirsi la voce, bisognerà cercare di unire tra loro questi suoni presi isolatamente a studiare, legandoli mediante la pressione del fiato, come si farebbe per un istrumento a corde con l'archetto.
(...) si attacca il primo suono leggerissimamente col puro fiato portato alle labbra; si rinforza il fiato trattenendolo senza contrazione per trovare la indispensabile resistenza e approssimando leggermente pure i pilastri del velo palatino per dare alla A una maggiore rotondità; si faranno seguire in questa medesima posizione i suoni naturali della scala diatonica, dalla tonica fino alla quinta (...) Si dovrà in pari tempo osservare che la risonanza riempia la cavità della bocca senza cercare di trattenerne la espansione, quindi si ricomincierà lo stesso esercizio spingendo la serie dei toni della scala fino alla 6.a del tono, poscia alla 7.a minore, poi alla 7.a maggiore e finalmente all'8.a
Si osservi bene che la progressione della sonorità, dal pianissimo col quale s'inizia questo esercizio, vada sempre aumentando fino al forte in uno alla successione delle note della scala, in modo da terminare sul forte la serie delle note cominciate sul pianissimo; progressione di sonorità che sarà relativa alla progressione della pressione che s'imprimerà al fiato a misura che si salirà, perchè (per regola generale in questi esercizi) più sarà alta la nota da emettere e più dovrà essere maggiore la pressione del fiato.
Si proseguirà questo esercizio salendo la scala di mezzo tono per volta.»

(da: Leone Giraldoni - EDUCAZIONE DELLA VOCE - Degli esercizi progressivi atti a sviluppare l'organo vocale - in "Gazzetta Musicale di Milano" del 12 gennaio 1890)



7. FUSIONE DEI REGISTRI

«Nella faringe abbiamo il "velo palatino", in mezzo al quale sta l' "ugola". Questo velo palatino si trova sorretto da una membrana che scende dietro alle tonsille. Queste parti laterali del velo palatino si chiamano "pilastri". Questi pilastri hanno anch'essi una grande importanza nella impostazione della voce, perchè, ad essi viene riservato l'ufficio di arrotondare la voce fino al punto di farla passare dal timbro aperto al timbro chiuso. Sono, in certa maniera, come i regolatori del colore che si vuole imprimere alla voce.
Nell'allargarli si permetterà alla voce di andare a colpire le pareti anteriori della bocca e del palato, ciò che le darà il timbro aperto. Nell'avvicinarli leggermente si otterrà il timbro più ampio ed anche completamente chiuso, secondo la gradazione che si darà a questo movimento. (...)
Questo movimento dei pilastri del velo palatino è quello che serve a procurare alla voce del baritono il passaggio sul timbro chiuso del registro acuto, cominciando dal "mi bemolle" 2.° in poi. Ho già detto che questo movimento, secondo che viene più o meno accentuato, darà alla voce la rotondità o il timbro chiuso su qualunque nota si adoperi. Per cui a questo movimento dei pilastri si deve ricorrere soltanto per ottenere il timbro chiuso sul quale s'informa il registro acuto. Ottenuto che si abbia questo movimento su queste prime note del registro acuto, è quistione solamente di resistenza col fiato per ottenere le note elevate, trattandosi unicamente, allora, della maggiore o minore tensione delle corde vocali.
Così ottengo facilmente di estendere il registro superiore alle note le più elevate senza che vi sia il minimo sforzo di laringe, trattandosi unicamente di repressione di fiato mediante l'azione del diaframma e dei muscoli laterali delle costole inferiore, anzichè di sforzi di voce.
Tutti questi precetti da me indicati servono per qualsiasi voce di uomo o di donna.
I soprano, mezzi-soprani e contralti troveranno nella esperienza che faranno della pressione del diaframma e della resistenza del fiato, unitamente alla leggerezza ed abbandono della gola ed al movimento indicato dei pilastri, una facilità straordinaria per la fusione delle note del primo registro, così detto di petto, colle note centrali; e colla pratica continuata di questi precetti, giungeranno a fondere insieme questi due registri come se fossero uno solo, senza che si possa distinguere dove o su quale nota essi cangiano.
Così pure i tenori nel passaggio quasi sempre disagevole che essi incontrano dal "fa" 2.° al registro superiore.»

(da: Leone Giraldoni - EDUCAZIONE DELLA VOCE - Fusione dei registri - in "Gazzetta Musicale di Milano" dell'1° dicembre 1889)

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