sabato 1 ottobre 2022

Lezione introduttiva di Beniamino Gigli - Londra, dicembre 1946

Introductory Lesson by Beniamino Gigli - London, December 1946

Dopo la fine della seconda guerra mondiale, il grande tenore recanatese - artista del Metropolitan dal 1920 al 1932 - si trovava nel novembre 1946 a Londra per interpretare Rodolfo nella "Bohème" pucciniana al Covent Garden. Tenne anche più concerti all'Albert Hall londinese nel medesimo mese, ritornandovi a cantare anche il 15 dicembre dello stesso anno. In quel periodo dette una 'lezione sul canto lirico' alla quale era presente anche Herbert-Caesari, che fu compagno di studi di Gigli a Santa Cecilia in Roma, nella classe del celebre baritono Antonio Cotogni (negli anni 1907-1911). Ecco quel che espose in italiano, come sappiamo dalla trascrizione di Caesari stesso in lingua inglese (riportato nel libro "The Voice of the Mind" del 1951). Buona lettura e riflessione a tutti!


Lezione introduttiva di Beniamino Gigli, Londra dicembre 1946

("Introductory Lesson by Beniamino Gigli, London December 1946" - Trad. it., dall'inglese, di Mattia Peli - Pres. del CISBI, Centro Internazionale di Studi per il Belcanto Italiano "Beniamino e Rina Gigli" di Recanati)

--> http://belcantogigli.blogspot.com/2015/07/beniamino-gigli-spiega-la-tecnica.html

VOCALI ITALIANE E SUONI VOCALICI

Tutti i celebri cantanti del passato, non italiani, come Sims Reeves, Charles Santley, Emma Albani, Marcella Sembrich, Nellie Melba, Victor Maurel, Marcel Journet, Dinh Gilly, ed altri, non solo erano ben al corrente della lingua italiana ma sapevano per esperienza che le cosiddette vocali italiane A, E, I, O, U (o meglio, le cinque vocali come concepite e pronunciate dagli italiani) costituiscono la "vera base" della voce e del canto, cioè, del Bel Canto. Tutti loro sapevano che per cantare bene è indispensabile una solida conoscenza dell'Italiano - vale a dire una conoscenza della lingua così come parlata dagli italiani stessi, una lingua che non conosce altri suoni vocalici che quelli sopramenzionati (e naturalmente le modificazioni di questi), che non presenta comunque suoni nasali, gutturali e duri. L'italiano parla con queste cinque vocali sia nella loro forma più pura che con leggere modificazioni di queste ai fini di maggiore espressione ed accentuazione, a seconda delle circostanze. Inoltre, la concezione italiana di queste cinque vocali in relazione alla propria lingua parlata esige imperativamente che queste siano prodotte su base chiara e scorrevole. 


Un buon cantante italiano - un prodotto della vera Scuola, l'unica e sola, "parla" come canta, per quanto riguarda le suddette cinque vocali pure e fluide, che per ragioni di convenienza sono chiamate italiane, o classiche, ma che di fatto si trovano praticamente in ogni lingua dei popoli civilizzati e non civilizzati, sebbene non sempre, o potremmo dire raramente, se non per niente, con la medesima purezza di forma, colori e accentuazione nota all'italiano.
Anch'io condivido l'opinione che il buon canto deve essere basato sulle 5 vocali a, e, i, o, u, nella loro forma più pura, e nelle modificazioni di queste.

Ora per quanto riguarda la formazione di queste vocali in relazione al canto devo mettere in luce  un fattore estremamente importante, cioè: l'assoluta necessità di concepire "mentalmente" in anticipo il suono vocalico e il suo colore o timbro, in forma pura o modificata, che si voglia o si stia per produrre. In altre parole, "ogni suono vocalico dev'essere formato mentalmente e dotato mentalmente del colore richiesto", a seconda delle circostanze, "prima" d'essere fisicamente prodotto su base spontanea e naturale, e in maniera fluida e sciolta. Certi metodi mirano ad una produzione vocalica molto enfatizzata unicamente su base fisica e senza nessuna forma e colorazione "mentale" data anticipatamente. Cosa che può solamente condurre a forme grossolanamente esagerate con conseguente irrigidimento, nel grado, delle parti utilizzate in tale produzione; il prodotto tonale ne soffre di conseguenza. Qualsiasi suono vocalico esageratamente enfatizzato stringe la gola; e sicuramente un tono che scaturisce da una regolazione e impostazione bloccate, per quanto minima possa essere la costrizione, non potrà mai essere spontaneo, armonioso ed espressivo, figuriamoci se bello

Al contrario, il fatto stesso di concepire "mentalmente", e "formare mentalmente" e colorare "ogni suono vocalico" da cantarsi (in forma pura o modificata a seconda di ciò che si deve esprimere) "prima" di produrlo, provoca movimenti semplici e spontanei (naturali) delle parti coinvolte. "Questo è ciò che io stesso ho sempre fatto e ciò che consiglio ad ogni cantante di fare". E se il cantante o la cantante non sono abituati a questo lavoro mentale di preparazione, non avendo ricevuto un tal insegnamento, vorrei sinceramente consigliargli di iniziare subito a coltivare questa abitudine di importanza vitale. Questa esige soltanto un'intensa attenzione vigile per un certo periodo di tempo. Con paziente e perseverante pratica, il pensiero e l'azione si fondono assieme, un atto istantaneo che avviene in una frazione di secondo.
Quando si deve passare da una vocale ad un'altra sulla stessa nota, o su un intervallo, è necessario, perfino imperativo, evitare ogni cambiamento brusco e improvviso della forma interna e dell'impostazione di un tono. Per quanto riguarda le note acute posso dire che il passaggio da una vocale all'altra (o, diciamo, a tutte le vocali consecutivamente una dopo l'altra) sulla medesima altezza di tono, per esempio, viene sentito appena; in altre parole, la differenza di posizione del tono 'messo a fuoco' nella cavità di risonanza tra una vocale e la successiva è così lieve da essere appena percepibile.


Le vocali "I" ed "E", "O" e "U", sono suoni stretti, nel grado, su note medie basse e più basse. Ma una volta che noi siamo su altezze di tono acute dev'essere dato loro ampio spazio per svilupparsi, proprio come se fossero della stessa "apertura" della vocale A. Il quale approvvigionamento di spazio, necessario ai fini dell'amplificazione tonale, viene fatto primariamente con la "mente" e la "volontà" del cantante (cervello e volontà).
È tutta una questione di pensiero e di volontà esercitati e sviluppati per un certo lasso considerevole di tempo dal cantante, prima durante i suoi studi e poi sulla scena teatrale o sul palco da concerto.
La vocale "I", in particolare, è un suono molto più stretto della "A" quando prodotta su note medie basse e più basse; di conseguenza questa né possiede né può essere dotata della medesima amplificazione che ha quest'ultima, la lettera A, su questi toni bassi.
Al contrario, quando cantata su una nota alta o di testa, alla vocale "I" può, e dovrebbe, essere dato lo stesso spazio per l'amplificazione tonale della "A".
Vedete, il passaggio da una vocale all'altra viene fatto soprattutto MENTALMENTE e senza nessuno sforzo fisico diretto e voluto in tal senso. Non mi soffermo sulla forma fisica, ma primariamente su quella mentale e sulla fluida fusione di vocale in vocale internamente. Quando il pensiero viene correttamente stabilito, la parte fisica reagisce e si regola di conseguenza con ugual precisione. Il mio canto, prima di tutto, io lo "creo nella mia mente". "Dev'essere così". Dopotutto, qualsiasi cosa al mondo è un prodotto del pensiero, umano e divino; tutte le cose fatte dall'uomo sono il risultato del pensiero, un concetto mentale. E la FORMA del suono vocalico gioca un ruolo estremamente importante.

Da parte mia, non insegnerei o raccomanderei a tutti i tenori di produrre alcuni di questi toni aperti. Ogni cantante, a qualsiasi categoria egli appartenga, maschio o femmina, è in un certo senso una legge a sé stesso da questo punto di vista perché, considerando le variazioni individuali nella struttura e nella vera e propria qualità e grado di flessibilità ed adattabilità delle parti mobili coinvolte nella forma interna, non tutte le voci, anzi in poche vi riescono, si prestano così prontamente a certe sfumature di tono. Di conseguenza, ogni cantante deve sperimentare sulla propria voce, preferibilmente con l'aiuto di un insegnante veramente preparato (ahimè, così pochi oggigiorno), quanto o quanto poco egli possa "aprire" una vocale A, od O, od E su un'altezza di tono medio alta, o su talune note acute, senza degenerare nell'appariscenza sfacciata del tono, nel quale la volgarità è proprio dietro l'angolo

 
Questa è una questione assolutamente personale e può essere risolta solo individualmente. Non ci dev'essere mai nessuna imitazione servile di nessuno. Poi ancora, l'impiego di questi toni aperti deve essere guidato e dipendere dal momento psicologico, quale emozione deve venire espressa, e che cosa deve rappresentare il cantante anche con una sola nota. Qui, la vocale e la sua colorazione (modificazione) è la base e la CHIAVE della situazione, come infatti lo è per tutte le situazioni vocali. Lo studente tenga costantemente a mente questo fattore estremamente importante. Un meccanismo vocale correttamente bilanciato insegna al cantante stesso fino a un buon punto, quanto il tono può o non può essere "aperto", e giusto quanto questo dovrebbe essere "concentrato" (raccolto), o chiuso (arrotondato) per evitare l'appariscenza sfacciata d'esso.
Quando il meccanismo vocale è corretto e il cantante sa veramente "cosa" fare, il "come" ed il "perché", non ci dovrebbero essere difficoltà nel produrre una nota acuta con qualsiasi vocale.

FUNZIONAMENTO DELLA RESPIRAZIONE NEL CANTO LIRICO

Per quanto riguarda il respiro in relazione al canto, vorrei sottolineare che quando la produzione non è corretta può esserci un respiro non bilanciato, un dosaggio o controllo della fuoriuscita di fiato non accurato, inadeguato per sostenere la posizione del tono stesso; in questo caso, il cantante deve far ricorso ad un grosso sforzo muscolare.
La base del "serbatoio" del fiato è il diaframma; e l'esatto dosaggio della fuoriuscita del fiato per produrre, sostenere e alimentare un dato tono secondo l'idea e il volere ('pensiero e volontà') del cantante, dipende primariamente (fondamentalmente) dalla corretta azione del diaframma e secondariamente (e ausiliare estremamente importante) dall'azione delle costole inferiori o "fluttuanti". Quando un tono vocalizzato non è ben posizionato o ben messo, sia esso F o P, quando non è correttamente sostenuto dal fiato ('appoggiato') e "accordato" con esso, dà un'impressione ciondolante ('a ciondolone'), presenta una monotonia e fiacchezza tonale che sicuramente manca di carattere e di qualità comunicative; avrà poca o nessuna espressione ed "attitudine".
Con questi toni, specialmente nel canto a "mezzavoce", il fiato fuoriesce insieme al flusso tonale, diluendolo e indebolendolo. Come risultato l'intera frase non può essere completata adeguatamente per mancanza di fiato, essendosene perso molto in questo modo, senza giovarne il tono. Ogni tono deve essere ben posizionato, sostenuto ('appoggiato') e accordato col resto. E il pensiero e la volontà del cantante contribuiscono positivamente e in non minor misura a questo posizionamento e sostegno tonale. Senza un posizionamento e sostegno bilanciati nessun tono può in alcun modo avere o essere dotato di colore, accento, ed espressione; di conseguenza sarà più o meno "morto". Al contrario, ogni tono prodotto deve essere dotato di vita colorata in esatto grado ('in giusta misura') a seconda delle circostanze.

Vieni e stai davanti a me. Guarda come prendo fiato. Metti qui le tue mani. Senti come è abbassato il mio diaframma durante l'inspirazione (perciò spingendo in fuori la parete addominale) e come l'espansione delle costole laterali completa l'azione. Senti ancora come la parete addominale ha ora qualcosa di infossato all'interno (in conseguenza all'espansione obliqua delle costole inferiori) e come tutto è "flessibile". Nota in particolare che non vi è rigidità o durezza alcuna in questa regione del corpo, ma solo una flessibile solidità con della "elasticità" in essa presente. E nota bene, inoltre, che NON APPENA INCOMINCIO A CANTARE DIMENTICO TUTTO DEL DIAFRAMMA E DELLE COSTOLE, "tutto sull'apparato respiratorio e le sue azioni", e canto sull'aria accumulata proprio sotto la laringe.

LA NOTA TENUTA

Infine, voglio solo dire alcune parole in merito alla "Nota Tenuta" (segnata Ten). Questa ha un valore di durata inerente che non è né troppo lungo né troppo corto. Se tenuta troppo a lungo, rapidamente degenera in volgarità; se troppo corta mancherà di vera espressione. In entrambi i casi verrà a mancare di valori estetici ed artistici. Alcuni cantanti credono erroneamente di assicurarsi un effetto meraviglioso tenendo una nota per un lasso di tempo più lungo della sua esatta misura ('giusta misura'). La legge estetica e quella che regola l'espressione non possono essere ignorate con impunità. Per un'appropriata espressione e un effetto comunicativo verso il pubblico la nota dovrebbe essere tenuta per un esatto senso estetico che può essere innato in un cantante (che perciò lo sente istintivamente), o acquisito con una lunga esperienza.

(tratto da: E. Herbert-Caesari [Diplomé, La Regia Accademia di Santa Cecilia, Rome] - THE VOICE OF THE MIND – 1951)

- Beniamino Gigli - "I AM STILL LEARNING, IT IS THE SECRET OF SINGING" ("Sto ancora imparando, è il segreto del canto") -

 Per chi è interessato ad approfondire la 'scuola di canto' di Cotogni, ecco un articolo nel quale - tra l'altro - vi sono testimonianze di Gigli, Caesari, Lauri-Volpi ed altri allievi ancora del grande baritono e maestro di canto romano!

http://belcantoitaliano.blogspot.com/2019/03/la-scuola-romana-di-canto-lirico-di.html



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