mercoledì 3 agosto 2022

Il ruolo "baritenorile" del Conte d'Almaviva rossiniano

 

Il ruolo del Conte d'Almaviva 'rossiniano' è stato pensato per essere interpretato da tenori lirico-leggeri, come comunemente accade in epoca modena?  La realtà storica mostra il contrario: il primo interprete Manuel Garcia padre (che creò il Conte d'Almaviva nel 1816) era un tenore del genere del "baritenore", così come Nicola Tacchinardi (padre del celebre soprano Fanny Tacchinardi-Persiani, creatrice del ruolo di Lucia di Lammermoor nel 1835) e nel Novecento i famosi ed eccellenti grandissimi tenori dal 'timbro baritonale' Fernando De Lucia ed Hermann Jadlowker!

L'Ottocento:

GARCIA
Una delle grandi innovazioni di Rossini fu di comporre la parte del Conte d'Almaviva del "Barbiere" per uno dei più valenti tenori baritonali dell'epoca, Manuel Garcia, con una scrittura eccezionalmente ardua nel rondò "Cessà di più resistere" dell'ultimo atto. (R.Celletti - VOCE DI TENORE, 1989)

(...) per le contrade della Spagna (...) il primo nome è già mitico, il tenore e compositore Manuel Garcia, padre del baritono Manuel Patricio, di Maria Malibran e di Pauline Viardot. La sua scheda vocale contemplava un timbro e una corposità baritonaleggianti, squillo, smalto lucente, fraseggio vigoroso, temperamento irruente, focoso. Un tale splendore non veniva meno nel canto fiorito, con un mordente e una 'verve' pieni di accensione, saldamente sorretti da una sicurezza cristallina che giungeva all'infallibilità. Basti ricordare l'aria finale del "Barbiere", "Cessa di più resistere", un monumento elevato alla difficoltà (la seconda parte diventa il rondò della "Cenerentola"): i tenori hanno sempre cercato di evitarla, salvo che in questi ultimi anni, ma di rado, mentre Garcia ne aveva fatto uno dei punti dove appoggiare la leva di un'abilità spericolata. (G.Marchesi - CANTO E CANTANTI, a Rodolfo Celletti - cap. II, L'Ottocento - 1996)

Nel "Barbiere" abbiamo, con il conte Almaviva, il ritorno a tessiture centrali. (...) Almaviva fu composto per Manuel Garcia padre, che era un baritenore, sia pure molto esteso nel suo genere. (...)
Anche il baritenore rossiniano sale a volte al do4 e perfino al re4, avvalendosi dell'emissione in falsettone. Generalmente il baritenore canta a voce piena fino al sol3 o la3 bemolle (sono le note più acute del baritono moderno) e quindi entra in registro di testa puro, producendo suoni bianchi, ma non privi di vibrazioni e di forza di penetrazione. (...) Il baritenore è anch'egli chiamato, come il tenore contraltino, a una vocalità ricca di fiorettature e di ornamenti (trillo incluso) (...)
Comunque, anche dai princìpi esposti da Garcia [figlio], si deduce che una legge fondamentale del canto nel periodo rossiniano (ma si trattava, in realtà, d'una regola nata con il belcantismo) era la varietà dei forti e dei piani, nonché un assiduo uso di tutte le tinte intermedie. Altrettanto fondamentale era la regola che bisognava variare un motivo tutte le volte che esso si ripeteva (...)
Quanto al trillo, tutte le voci femminili al tempo di Rossini, ne erano dotate e l'eseguivano sotto varie forme; le voci maschili, ci avverte Gilbert Louis Duprez, l'eseguivano generalmente a mezzavoce. Soltanto pochi cantanti erano capaci di eseguire un trillo a piena voce. Duprez attribuisce questa capacità al tenore Rubini, al baritono Barroilhet e al basso Lavasseur. Era comunque dotato d'un trillo a voce piena, sonorissimo, anche il tenore Manuel Garcia padre. (R.Celletti - STORIA DEL BELCANTO - Rossini. Tipi vocali rossiniani - 1983)

-->  http://belcantoitaliano.blogspot.com/2014/09/il-manuale-di-canto-di-manuel-garcia.html

TACCHINARDI                                                                                                                                   Dopo Manuel Garcia padre, nel 1816 al Teatro Argentina di Roma, ecco un'altro "tenore baritonale" che faceva benissimo anche le agilità, come giustamente ricordato dal Celletti: Nicola Tacchinardi, il quale affrontava nell'autunno del 1820, pochi anni dopo la prima assoluta del Barbiere rossiniano, il ruolo del Conte d'Almaviva alla Scala di Milano!

In "Rossini e la Musica, ossia Amena Biografia Musicale, Almanacco per l'anno 1827. Anno I.°" così vengono sintetizzante le sue qualità vocali: <<I meriti principali che vengono attribuiti al canto del Sig. Tacchinardi sono robustezza sonora, nitidezza infinita, agilità della voce che lo tramanda, e intelligenza di adattarlo alla scena. Le sue primarie arene di gloria furono Parigi, Roma, Venezia ove destò entusiasmo inenarrabile nell' "Otello", e il R. Teatro di Torino, d'onde, sostenendo la parte di Jarba nella "Didone", le fioriture del suo canto ebbero palma su quelle del soprano Velluti.>>

Tacchinardi fu anch'egli un tenore baritonale, ma in grado di sostenere tessiture molto acute grazie a un uso abilissimo del falsettone, al quale saliva riuscendo a mantenere il suono omogeneo con quello del registro di petto. Il timbro era molto bello (non però come quello di Crivelli) e alla potenza s'univa una provetta agilità. Aveva gusto nell'ornamentazione e nelle variazioni, il fraseggio era dolce o vibrante a seconda delle situazioni, accentava con eloquenza e senza eccedere in enfasi. In Italia fu ritenuto un grande attore, specie nel gioco della fisionomia. (R.Celletti - VOCE DI TENORE, 1989) 

--> https://belcantoitaliano.blogspot.com/2017/03/il-tenore-nicola-tacchinardi-sulla.html

--> http://belcantoitaliano.blogspot.com/2017/07/il-tenore-nicola-tacchinardi-sulla.html

Come indicato sempre da Celletti:
Il tenore baritonale nelle opere serie italiane di Rossini trova largo spazio, ad esempio impiega il baritenore nel "Tancredi" (Argirio). (...) Nozzari, il più tipico baritenore rossiniano - dopo "Elisabetta regina d'Inghilterra" (Leicester) - sarà Otello nell' "Otello", Rinaldo nell' "Armida", Osiride nel "Mosè". (...)
E' soprattutto nell' "Armida", comunque, che Rossini affronta con decisione il problema di far cantare d'amore il baritenore; e lo risolve nei duetti Rinaldo-Armida ("Amor possente nome" del primo atto, "Dove son io" del secondo, "Soavi catene" del terzo) indirizzandosi verso una sensualità espressa da melodie ricche di ornamenti (in specie gruppetti) o fittamente fiorettate. 

Di solito, però, Rossini è troppo "belcantista" perché il baritenore possa ispirargli spunti davvero amorosi e melodie soavi e languide, oppure sognanti. Anche quando il baritenore è padre o antagonista, l'accoramento, la pateticità vengono a mancare. Il personaggio è in genere indirizzato verso il canto di forza, che trova le formule più tipiche in salti ascendenti, spesso accentuati, all'avvio, dal ritmo puntato, come in questa frase di Aureliano ("A pugnar m'accinsi o Roma", atto I). Nella vocalità di forza, comunque, è Otello che fa testo, sia nel Vivace marziale d'entrata ("Ah! sì per voi già sento"), sia nel veemente duetto con Iago ("L'ira d'avverso fato", atto II), sia nella scena conclusiva dell'opera. (...)


Il baritenore in veste di amoroso come alternativa al contralto <in travesti> era una soluzione che, ancor prima di Rossini, era stata adottata da altri operisti, ma che poneva sul tappeto il problema di chi avrebbe dovuto sostituire il tenore baritonale nei ruoli di padre, di antagonista, di tiranno, di traditore e simili. Il rimedio iniziale fu di continuare a servirsi, per questi ruoli, di un baritenore, ovviando all'uniformità timbrica che ne derivava scrivendo o per l'amoroso o per l'antagonista una parte dalla tessitura relativamente più alta dell'altra. Nell' "Achille" di Paer, ad esempio, sono baritenori sia il protagonista che Agamennone, ma la tessitura del primo è più elevata. Nell' "Elisabetta" di Rossini si ha la situazione opposta: Norfolk, che fu impersonato da Manuel Garcia padre, è un baritenore più acuto di Leicester (Nozzari).
L'impiego plurimo del baritenore provocò, in talune opere di Rossini, una situazione timbricamente assai confusa e senza dubbio monocorde. Nell' "Armida", caso limite, agirono simultaneamente, tra amoroso (Nozzari), antagonista, condottiero di eserciti, mago e caratteristi, ben sette tenori baritonali. La via d'uscita fu però suggerita a Rossini dal tenore d'opera comica o di mezzo carattere. (...)
Il baritenore (...) è più incline ai grandi intervalli che portano repentinamente la voce da un suono grave a uno acuto o viceversa (canto detto di sbalzo).

N.B. Con Lindoro dell' "Italiana in Algeri", scritto per Serafino Gentili, e con don Narciso, scritto per Giovanni David, si ha la comparsa di tenori piuttosto chiari, dal timbro brillante e dalla gamma molto estesa, che all'epoca venivano definiti <tenorini>.
Anche Garcia padre aveva in repertorio l' "Italiana in Algeri", ma di fronte all'acutissima tessitura e alla scrittura prevalentemente sillabica di "Languir per una bella", abbassava l'aria di un tono e mezzo, eseguendola in do maggiore anziché in mi bemolle!!! (R.Celletti - STORIA DEL BELCANTO - Rossini. Tipi vocali rossiniani - 1983)

Altro esempio, la cavatina di Gernando "Non soffrirò l'offesa" scritta per il tenore baritonale Claudio Bonoldi.
Fresco del debutto l'anno prima alla Scala (nell' "Annibale in Capua" di Farinelli), era già un divo:
"Bonoldi, oh, Bonoldi è un tenore per il Teatro alla Scala, piace e piacerà e scommetterei che per la sua voce forte e ben distesa sarà il tenore alla moda"; "piuttosto baritono che tenore ha una voce rotonda ed intuonata e canta bene"; "ha gran voce, ed arte di ben usarne; lo vorremmo un po’ meglio ordinato nel portamento e nel gesto"  ("Il Redattore del Reno", 8 gennaio 1811)
Tenore con timbro e volume di baritono, il B. fu "artista di potenti mezzi vocali e grande arte" (Schmidl).
Di lui si scriveva, sotto al suo ritratto: "Questo lodatissimo Tenore corre con somma lode la difficile carriera musicale, ed ottenne sempre meritati applausi non meno per la sua voce che per il bel metodo di Canto."



Il Novecento:

DE LUCIA
Dal 1840 in poi, il nuovo repertorio - in specie quello di Verdi - condusse spesso al San Carlo cantanti di scuola meridionale e scoppiò una delle tante polemiche Nord-Sud. A Milano s'urlava, a Napoli si cantava. Tesi eccessiva, ma non del tutto destituita di fondamento, stando a qualche testimonianza. Anche dopo la conversione a Verdi - e poi alle opere veriste e naturaliste - il pubblico del San Carlo rimase il più belcantista e severo d'Italia. Nel 1878 andò in estasi per la Patti, ma nel 1879 la presenza della diva non evitò fischi al di lei amante, il tenore Nicolini. Imparzialmente i melomani napoletani amarono tanto il tenore Roberto Stagno, siciliano, che il tenore Gayarre, spagnolo. Bruciarono poi incensi per il re dei baritoni, Battistini, che era romano, e per il soprano Bellincioni, che era lombarda, e non si stancarono mai d'ascoltare l'ultimo "rosignolo di Napoli", il tenore Fernando De Lucia, che tra il 1835 e il 1917 cantò spessissimo al San Carlo. La disputa del 1902 se nell'Elisir d'amore fosse migliore De Lucia o il giovane Caruso (entrambi erano napoletani) fu forse l'ultimo bagliore del culto dei napoletani per il canto cesellato. De Lucia "cesellava", Caruso no. Poi, gradatamente, anche il pubblico del San Carlo si rassegnò alla sorte degli altri pubblici, che fu quella di perdere la propria identità a misura che la perdevano i teatri di tutto il mondo. (R.Celletti - La grana della voce, 2000)

De Lucia ha lasciato molti dischi, diversi dei quali registrati tra il 1903 e il 1908 (...) il colorito, per essere quello d'un tenore di grazia, era piuttosto scuro, non aveva nulla a che vedere con le inflessioni bianche dei tenorini. Quanto agli acuti, sono pieni e squillanti fino al La naturale. (...) De Lucia dimostra spesso, nei dischi, d'avere una spiccata personalità (...) che possedesse una mezzavoce quanto mai suggestiva e pianissimi insinuanti, che eseguisse impeccabilmente agilità e fioriture, è certo. Era uno dei cosiddetti "cesellatori", che amava procedere per contrasti, facendo seguire alla piena voce suoni esili e dolci (...) (R.Celletti - VOCE DI TENORE, 1989)

De Lucia nel ruolo del Conte d'Almaviva, nel "Barbiere di Siviglia" di Rossini - Monte Carlo, 1907

Patria (Gazzetta dei Teatri), 12 novembre 1885
His voice, of "baritonal" timbre, is inherently most agreeable and inspiring and, without being overpowering, is sufficiently robust and extensive. [He] sings with much art and can execute delicate and very refined inflections and "smorzature". He sings with expression...

Nación, 12 ottobre 1895 [Il barbiere di Siviglia, Teatro Nacional di Buenos Aires]
Sr. De Lucia showed not his mastery of singing in general, which there was no need to demonstrate, but sufficient of the Rossinian style and the decorated form for him to figure as one of the best interpreters of the part of Almaviva. To recognise him as such it would have sufficed to hear how he outlined, shaded in and then decorated the 'Ecco ridente in cielo', which brought him thunderous applause. In many places he sang passages, in "mezza voce" and "a fior di labbro", truly delicately and with similarly correct execution...

Pungolo, 28 febbraio/1 marzo 1902 [Il barbiere di Siviglia, San Carlo di Napoli]
Procida wrote:
De Lucia showed the greatness of his fascination in the first "serenata", 'Ecco ridente'. The penetrating sweetness of a voice that touches the innermost chords and exquisitely strikes the innate sentimentality of our audience immediately acted like a philtre; De Lucia modulated the sweet melody with a stimulating quality and a sentiment which are in the nature of the distinguished tenor; flexible, smooth, and caressing, his voice seduces by the beauty of its timbre. ...it is astonishing that a singer who is so knowing, and of such a sentimental nature, sustained a role in such a playful and strongly rhythmic music, which requires so much technical agility, without ever jumping a note, using a voice that is not usually exercised in such technical requirements, but [it] is dedicated to "Carmen", and which has become heavier as a result of his performance of Loris.

(citazioni in inglese riportate in: Michael E. Henstock - "Fernando De Lucia, Son of Naples 1860-1925" - Duckworth, 1990)


Jadlowker nel ruolo del Conte d'Almaviva, nel "Barbiere di Siviglia" rossiniano

JADLOWKER
Singolarissimo tenore, Hermann Jadlowker (...) aveva una voce molto ampia, il cui colorito baritonaleggiante presentava qualche analogia con quello di Caruso (...) non poteva competere con il fraseggio passionale e perentorio di Caruso, ma si rivaleva con una fonazione che consentiva un'eccezionale duttilità nell'uso delle mezzevoci e delle agilità. (...) Chi ascolta i suoi dischi ha la sensazione, in talune pagine del "Don Giovanni", dell' "Idomeneo", del "Barbiere di Siviglia", di udire uno dei leggendari baritenori preromantici, tanto esatta, veloce, impetuosa è la vocalizzazione e lucenti e cristallini sono i trilli. Sotto questo aspetto egli resta a tutt'oggi ineguagliato. (R.Celletti - VOCE DI TENORE, 1989)

La voce di Jadlowker aveva timbro stranamente scuro e sensuale (...) Le sue interpretazioni brillavano sempre per musicalità e buon gusto, ma soprattutto straordinaria era la tecnica: tra l'altro Jadlowker, che sembrava a volte, nella vocalizzazione, emulare i soprani d'agilità, possedeva un trillo stupendo, come documentano anche i suoi dischi (...) Eccelleva perciò in opere come il "Barbiere": l'incisione della cavatina pone in risalto la nitidezza delle fiorettature, così come l'aria dell' "Idomeneo" rispecchia la straordinaria fluidità dei suoi vocalizzi. Nonostante queste doti tipiche del tenore di grazia, la sua voce era ampia e voluminosa (...) (L.Riemens in: LE GRANDI VOCI, dir. R.Celletti - 1964)

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Ascolti:

Il Conte d'Almaviva rossiniano BARITENORE - 1904-1912

Rossini - "Ecco ridente in cielo" - Fernando De Lucia (1904)
Rossini - "Se il mio nome saper voi bramate" - Fernando De Lucia (1908)
Rossini - "All'idea di quel metallo" - Fernando De Lucia, Antonio Pini-Corsi (1906)
Rossini - "Ah! Qual colpo inaspettato" - Fernando De Lucia, Josefina Huguet ed Antonio Pini-Corsi (1906)
Rossini - "Ecco ridente in cielo" - Hermann Jadlowker (1912) 


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